Prima ancora dell’art. 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per cui l’imposta sui beni o servizi acquistati nell’esercizio dell’impresa viene detratta da quella sulle operazioni effettuate, la regola era stata affermata dalla I Direttiva comunitaria dell’11 aprile 1967, n. 67/227, e dalla legge delega 9 ottobre 1971, n. 825, sulla riforma tributaria. L’istituenda imposta sul valore aggiunto avrebbe dovuto prevedere, si leggeva, la «detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta dal soggetto o a lui addebitata in dipendenza di atti relativi alla produzione e al commercio di beni e di servizi imponibili».
L’obiettivo era quello di costruire un sistema economico basato su una sana e trasparente applicazione dell’imposta sui consumi, del tutto diverso dalla precedente IGE: un’imposta a cascata che colpiva l’intero valore del bene in ogni fase del processo di produzione o distribuzione. Più numerose erano queste fasi, più alto era il carico finale dell’imposta che gravava sul prodotto.
Il tratto differenziale del nuovo sistema era quello per cui dall’imposta relativa a ciascuna transazione si sarebbe detratta quella addebitata sulla precedente. Così facendo, il prezzo finale del prodotto non sarebbe stato più distorto dal numero delle fasi di produzione o di distribuzione, dipendendo il carico finale dell’imposta soltanto dalla categoria di appartenenza del bene, «qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione».
In tali termini, più che un diritto del contribuente, inteso nel senso restrittivo del termine, la detrazione in parola è un elemento base della struttura del tributo volto a garantire la neutralità fiscale di questi passaggi intermedi.
Nel caso oggetto di discussione, l’Ufficio finanziario aveva rideterminato l’ammontare dell’IVA detratta per l’acquisto di un immobile. Nel bilancio di fine anno, lo stesso valore era stato iscritto alla minore cifra del presumibile realizzo. L’IVA corrisposta sulla somma frutto di tale svalutazione era stata ritenuta indetraibile per difetto di inerenza.
L’inerenza del costo fa parte del meccanismo di detrazione in parola. Intanto l’IVA assolta sugli acquisiti può essere detratta, in quanto il bene acquistato sia strumentale all’esercizio dell’impresa (1). Essa deve essere valutata in relazione al momento in cui l’imposta diventa esigibile, quando cioè l’erario possa far valere il suo diritto a percepire il tributo nei confronti del cedente. L’esposizione di una detrazione d’imposta diviene dunque legittima al verificarsi di un fatto generatore d’imposta previsto dall’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972.
Nel campo delle imposte dirette tale inerenza si valuta anche sulla base della congruità del costo.
Fra i primi casi decisi dalla Corte di Cassazione, si rinviene quello della sentenza che si cita in nota (2). Allora, la Suprema Corte ebbe ad affermare che l’Amministrazione finanziaria può negare «la deducibilità di parte di un costo ove questo superi il limite al di là del quale non possa essere ritenuta la sua inerenza ai ricavi o, quanto meno, all’oggetto dell’impresa». Nel caso deciso, l’Ufficio finanziario aveva disatteso la delibera di una società circa la determinazione del compenso per gli amministratori, ritenendolo sproporzionato al volume d’affari.
Sul punto, sono intervenute anche posizioni contrarie, rimaste tuttavia isolate. Nella sentenza della Suprema Corte 9 maggio 2002, n. 6599 (3), ad esempio, è stato affermato che «l’Amministrazione Finanziaria non ha il potere di valutare la congruità dei compensi corrisposti agli amministratori nelle società di persone per cui tali compensi sono deducibili come costi alla stregua dell’articolo 62 del T.U. n. 917/86». Quello che rilevava ai fini della valutazione dell’inerenza era dunque soltanto la “qualità” del costo e non anche la sua “quantità”. Una volta riconosciuto che il costo serviva a produrre ricavi, questo andava giudicato deducibile nella sua interezza senza che fosse possibile parlare di deducibilità limitata.
Attualmente, la congruità del costo è un parametro per valutarne l’inerenza, potendo questa essere affermata, o negata, non solo sul piano della strumentalità all’esercizio dell’attività, ma anche sulla base della sua dimensione quantitativa. Compete all’Amministrazione finanziaria, afferma da ultimo la Suprema Corte, «la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa, con possibile negazione della deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato» (4).
In buona sostanza, l’Amministrazione finanziaria può verificare se il costo che l’imprenditore deduce abbia effettivamente partecipato alla dinamica aziendale nel modo che la contabilità d’impresa rende manifesto. In questi termini, la sua dimensione può essere un elemento sintomatico della parziale deviazione qualitativa della spesa rispetto all’attività dell’impresa.
Nel caso in esame, l’Ufficio finanziario intendeva estendere queste conclusioni sulla congruità di un costo anche alla detraibilità dell’IVA.
La Corte di Cassazione ha escluso questa facoltà richiamando i suoi precedenti specifici sulla «neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA» (5).
Tale neutralità, come si è visto, è assicurata dal meccanismo della detrazione per cui l’IVA corrisposta per l’acquisto di beni o servizi nell’ambito di un’attività d’impresa viene detratta da quella dovuta.
Se così è, risulta del tutto inconferente alla logica del tributo attardarsi a valutare, nell’ambito di queste fasi che precedono quella della immissione al consumo finale, se il valore attribuito al bene o al servizio sia o meno congruo. Se l’IVA versata dal cedente corrisponde a quella detratta dal cessionario, l’erario non subisce alcuna perdita dal meccanismo della rivalsa e della detrazione in relazione alla indicazione di un prezzo piuttosto che un altro. In relazione cioè al fatto che questo sia superiore o inferiore a quello di mercato.
Chiara su questo punto la posizione della Corte di Giustizia UE. La neutralità dell’imposizione IVA prevista dalla Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 vuole «che le condizioni di applicazione da esso indicate sono tassative e che, pertanto, una normativa nazionale non può prevedere, sul fondamento di tale disposizione, che la base imponibile sia pari al valore normale dell’operazione in casi diversi da quelli elencati nella citata disposizione» (6).
Ciò significa che le considerazioni sopra esposte in tema di antieconomicità dell’operazione sono del tutto estranee alla detraibilità dell’IVA. Non è pertanto consentito, per usare questa volta le parole della Suprema Corte (7), «rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e, dunque, diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico».
A questo fa eccezione, evidentemente, il passaggio del bene al consumo finale, in cui una artificiale differenza del prezzo rispetto al dato oggettivo può effettivamente nascondere una perdita di gettito fiscale. E, ancora, fanno eccezione i casi in cui l’antieconomicità in parola può celare situazioni fraudolente od artificiose quali la falsità della fattura oppure il difetto dell’inerenza in quanto tale (8).
In suddetti casi, sono di nuovo le parole della pronuncia della Corte di Cassazione in commento, «se l’Amministrazione riesce a dimostrare l’antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all’attività svolta».
Nel caso deciso, questo non era accaduto, essendosi il tutto risolto nella contestazione dell’antieconomicità parziale dell’operazione.
Un breve cenno deve essere dedicato anche alla questione relativa all’illegittimità dell’accertamento per la mancata attivazione del contraddittorio di cui all’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente).
L’illegittimità che la Suprema Corte ha statuito richiama il principio da ultimo affermato dalle Sezioni Unite secondo cui «l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa» (9).
Nel caso in esame, l’eccezione della ricorrente non era pretestuosa in quanto, se l’Ufficio finanziario avesse regolarmente attivato il contraddittorio, essa avrebbe potuto far valere le ragioni di cui sopra circa la neutralità dell’IVA.
Si era dunque verificata la combinata condizione richiesta dalle Sezioni Unite. Da un lato, la ricorrente aveva allegato le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato attivato; dall’altro lato, tali ragioni non erano state giudicate meramente pretestuose, tant’è vero che l’accertamento è stato alfine annullato sulla base delle medesime.
In tali termini, l’eccezione era stata formulata nel pieno rispetto del canone di correttezza e lealtà processuale sopra menzionato, laddove vuole che un determinato strumento difensivo, nella specie il diritto al contraddittorio anticipato, non sia utilizzato per finalità diverse da quelle della tutela dell’interesse sostanziale per le quali è stato normativamente predisposto.
Il fatto è che un diritto così dipendente da tali condizioni è un diritto del tutto evanescente. Nei fatti, nell’ottica del giudice tributario, la violazione delle garanzie di difesa protette dal principio del contraddittorio rileva effetti sulla procedura di accertamento soltanto se le ragioni successivamente addotte contro l’atto impositivo siano tali da comportarne l’annullamento. È come se, si diceva in un precedente intervento su questo tema (10), nel processo penale l’imputato potesse eccepire con successo la nullità del procedimento per il mancato rispetto dell’art. 415-bis c.p.p. sul diritto ad essere sentito al termine delle indagini preliminari, soltanto dimostrando che il fatto per cui si procede non sussiste o che il medesimo non l’abbia commesso.
Anche la Corte di Giustizia europea è attestata su questa linea. La violazione del diritto al contraddittorio determina la nullità del successivo provvedimento impositivo «soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso» (11).
Gli accertamenti non preceduti dal contraddittorio preventivo sono dunque salvi. Con buona pace di quanto avevano affermato le Sezioni Unite (12), secondo cui il contatto dialettico con il contribuente è «un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa». In aperto contrasto, altresì, con l’art. 41 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (13) sul «diritto ad una buona amministrazione», laddove contempla «il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio».
In conclusione, siccome il contraddittorio, più che al contribuente, giova all’ente impositore che, come evidenzia la stessa Amministrazione centrale (14), ha tutto il vantaggio, attraverso la partecipazione attiva del contribuente, a pervenire in tempi rapidi alla determinazione dell’obbligazione tributaria oggetto di verifica, il tempo è ormai maturo per regolamentarne la procedura in conformità al «quadro di reciproca e leale collaborazione» a cui faceva riferimento la legge 11 marzo 2014, n. 23 (15), portante delega al Governo per l’adozione di un sistema fiscale più equo e trasparente.
Allo stato attuale, si stima che in un contraddittorio così strutturato il contribuente sottoposto a verifica non abbia grande interesse ad anticipare all’Ufficio finanziario il contenuto delle sue difese sicché questi, per riprendere le parole della circolare sopra menzionata, possa «individuare con maggiore attendibilità la sussistenza dei presupposti dell’atto in corso di definizione».
Se non si cambia, il dibattito sul contraddittorio può dirsi chiuso.
Avv. Bruno Aiudi
(1) L’inerenza intesa quale requisito di detraibilità dell’IVA è una relazione concettuale tra costo e impresa, che «richiede elementi obiettivi che evidenziano una concreta strumentalità del bene o servizio all’attività d’impresa»; così Cass., sez. trib., 20 gennaio 2017, n. 1544, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cfr. Cass., sez. trib., 17 maggio 2000, n. 12813, in Boll. Trib., 2001, 308, con nota di M. MASTROGREGORI, Sulla rettificabilità dei compensi agli amministratori di società.
(3) In Boll. Trib., 2002, 949.
(4) Così Cass., sez. trib., 3 novembre 2016, n. 22176, in Boll. Trib. On-line.
(5) Così testualmente la pronuncia annotata.
(6) Così Corte Giust. UE, sez. II, 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cfr. Cass., sez. trib., 27 settembre 2013, n. 22132, in Boll. Trib. On-line.
(8) La detrazione dell’IVA pagata sugli acquisti richiede l’inerenza del bene acquistato «intesa come strumentalità dello stesso in relazione agli scopi dell’impresa, circostanza la cui prova incombe sull’interessato»; in questi termini, cfr. Cass., sez. trib., 24 marzo 2016, n. 5860, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, in Boll. Trib., 2016, 222, con nota di B. AIUDI, Il contraddittorio? Non ce lo possiamo permettere.
(10) Cfr. B. AIUDI, Il contraddittorio?, cit. Ved. altresì V. AZZONI, Dialogo tra un antico e un moderno intorno ai diritti dei contribuenti sottoposti a verifica fiscale secondo il pensiero della Suprema Corte (sentenza n. 24823/2015), in Boll. Trib., 2016, 184.
(11) Cfr. Corte Giust. UE, sez. V, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, in Boll. Trib. On-line.
(12) Cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, in Boll. Trib., 2010, 303, con nota di M. PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite.
(13) La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, detta anche Carta di Nizza, è stata proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo da Parlamento, Consiglio e Commissione.
(14) Cfr. circ. 6 agosto 2014, n. 25/E, in Boll. Trib., 2014, 1168.
(15) Cfr. l’art. 1, primo comma, lett. b), della citata legge n. 23/2014.
IVA – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Sussiste – Violazione – Invalidità dell’atto impositivo – Consegue, ma solo se il contribuente abbia assolto l’onere di enunciare le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
IVA – Detrazione dell’imposta – Diritto alla detrazione – Deve essere garantito qualora gli obblighi sostanziali siano stati assolti – Principi applicabili – Potere dell’Amministrazione finanziaria di valutare la congruità dei costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni – Immediata ed automatica applicabilità al diritto di detrazione dell’IVA – Non sussiste.
IVA – Detrazione dell’imposta – Diritto alla detrazione – Principio di neutralità dell’imposizione fiscale IVA per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle relative attività – Sussiste.
IVA – Detrazione dell’imposta – Diritto alla detrazione – Diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, senza limitazioni e sino a quando il bene o servizio viene reso al consumatore finale – Sussiste.
IVA – Detrazione dell’imposta – Diritto alla detrazione – Riconduzione del diritto alla detrazione alla sola esigibilità ed inerenza dell’acquisto del bene o servizio, senza riferimento al valore del bene o servizio – Sussiste – Operazione economica effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato – Irrilevanza.
IVA – Detrazione dell’imposta – Diritto alla detrazione – Negazione del diritto alla detrazione solo allorquando sia dimostrato con elementi oggettivi che esso sia invocato in modo fraudolento o abusivo – Rideterminazione del valore delle prestazioni e servizi acquistati escludendo il diritto alla detrazione per le ipotesi in cui il loro valore risulti antieconomico o diverso da quello da considerare normale o comunque tale da produrre un risultato antieconomico – Inammissibilità.
IVA – Detrazione dell’imposta – Diritto alla detrazione – Potere dell’Amministrazione finanziaria di rideterminare il valore delle prestazioni e servizi acquistati escludendo il diritto alla detrazione per le ipotesi in cui il loro valore sia ritenuto antieconomico nella normale logica imprenditoriale – Ripartizione dell’onere della prova – Regole e condizioni.
In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali è principio giurisprudenziale assolutamente condivisibile quello secondo cui, per i tributi c.d. armonizzati, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale al contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
Con riferimento al diritto alla detrazione di imposta, cui è speculare la questione della legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria che provvede alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti considerando antieconomiche determinate scelte imprenditoriali, in base al principio secondo cui chiunque svolga un’attività economica dovrebbe, secondo l’id quod plerumque accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti, in tal modo valutando negativamente, ai fini fiscali, le condotte improntate all’eccessività di componenti negativi o all’immotivata compressione di componenti positivi di reddito, si deve tenere presente che: a) i principi affermati in materia di imposte sui redditi, secondo cui rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, non sono immediatamente ed automaticamente applicabili in materia di detraibilità del tributo IVA, che è un tributo armonizzato alla disciplina introdotta dapprima con la VI Direttiva CEE e, da ultimo, con la Direttiva 2006/112/CEE; b) il sistema comune dell’IVA è ispirato al principio della neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA; c) costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa unionale il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, come previsto sia dalla VI Direttiva che dagli artt. 167 e segg. della vigente Direttiva 2006/112/CEE, la Corte di Giustizia dell’Unione europea avendo più volte sottolineato la centralità di tale diritto nel meccanismo dell’IVA, diritto che, in linea di principio ed ordinariamente, non può subire limitazioni, essendo inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche, con un meccanismo che consente la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale che si interrompe allorché il bene o servizio viene reso al consumatore finale; d) la normativa unionale riconduce il diritto alla detrazione dell’IVA alla sola esigibilità ed inerenza dell’acquisto del bene o servizio, senza contemplare alcun riferimento, e comunque non in modo diretto, al valore del bene o servizio, al punto che la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato appare irrilevante; e) il diritto alla detrazione dell’IVA può quindi essere negato solo ove sia dimostrato dall’Amministrazione finanziaria, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato dall’imprenditore fraudolentemente o abusivamente, mentre in condizioni normali non è consentito all’Amministrazione stessa di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico, atteso che non vi sarebbe elusione od evasione fiscale se anche i beni o i servizi siano forniti a prezzi artificialmente bassi o elevati fra le parti, che godano entrambe del diritto a detrazione dell’IVA, essendo solo a livello del consumatore finale che può ricorrere perdita di gettito fiscale; f) il diritto alla detrazione dell’IVA, allora, potrà essere negato dall’Amministrazione finanziaria allorché la riscontrata antieconomicità dell’operazione commerciale rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA, e perciò se l’Amministrazione stessa riesca a dimostrare l’antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all’attività svolta, potendo altresì accadere che l’antieconomicità costituisca indizio di abuso del diritto, che presuppone un uso di una forma giuridica e cioè l’uso concreto di essa non per l’affare per il quale è tipicamente prevista, ma per uno scopo diverso, univocamente ed esclusivamente rivolto a perseguire un indebito risparmio fiscale.
[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Tirelli, rel. Luciotti), 3 febbraio 2017, sent. n. 2875, ric. Filzi 25 s.r.l. c. Agenzia delle entrate]
FATTI DI CAUSA – 1. A seguito di una verifica fiscale condotta nei confronti della FILZI 25 s.r.l. a socio unico, in liquidazione, le cui risultanze risultano compendiate in un processo verbale di constatazione notificato alla contribuente in data 13 aprile 2010, l’Agenzia delle entrate accertava che la predetta società in data 30 giugno 2005 si era resa acquirente di un immobile sito in Milano di proprietà della Unipol Assicurazioni s.p.a. versando il prezzo di € 32.900.000,00; che in sede di redazione del bilancio aveva iscritto tra le rimanenze finali il valore di presumibile realizzo, stimato in € 30.400.000,00, al netto degli oneri accessori, con conseguente contabilizzazione di una svalutazione di € 2.500.000,00; che in data 18 dicembre 2016 aveva venduto l’immobile al prezzo complessivo di € 30.891.304,00. Ritenendo che l’operazione commerciale sopra descritta fosse priva di valida ragione economica, l’Amministrazione finanziaria notificava alla società contribuente un avviso di accertamento con cui recuperava a tassazione la somma di € 500.000,00 corrispondente all’IVA dovuta sull’importo della svalutazione contabilizzata in bilancio.
2. Il ricorso proposto dalla società contribuente avverso detto atto impositivo veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano e stessa sorte subiva l’appello proposto alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
2.1. Nella sentenza n. 176 del 10 dicembre 2012 la Commissione di appello sosteneva che la mera differenza negativa tra il prezzo di acquisto e quello di vendita dell’immobile rendeva l’operazione antieconomica e che, da un lato, le giustificazione addotte dalla società non erano né provate né plausibili e che il convincimento, cui era pervenuta la Commissione, non era adeguatamente contrastato dalla circostanza che la società avesse percepito, a seguito del trasferimento del possesso dell’immobile l’anticipato all’atto di stipula del contratto preliminare, canoni di locazione superiori a quanto pagato per oneri finanziari, posto che la somma algebrica portava comunque ad una perdita. Riteneva, altresì, insussistenti i motivi di inapplicabilità delle sanzioni comminate o di riduzione delle stesse.
3. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione la società contribuente sulla scorta di quattro motivi (di cui il terzo articolato in due submotivi tra loro alternativi), illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., cui non replica l’intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE – 1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e 12, comma 7, legge n. 212 del 2000, per avere la CTR implicitamente rigettato il motivo di appello con cui aveva dedotto la nullità e comunque l’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione del principio del contraddittorio anticipato, dato che la contestazione afferente l’indebita detrazione dell’IVA era stata formulata per la prima volta nell’avviso di accertamento.
2. Il motivo è fondato e va accolto.
2.1. In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali è principio giurisprudenziale assolutamente condivisibile quello secondo cui, per i tributi c.d. armonizzati, «l’amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale [al] contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa» (Cass. S.U., n. 24823 del 2015 (1); conf., tra le tante, Cass. n. 11283 del 2016 (2)).
Nella specie la ricorrente avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio preventivo con l’ufficio finanziario le ragioni che ha addotto nel secondo motivo di ricorso (di seguito esaminato) e, più precisamente, la circostanza che la ripresa a tassazione operata nella specie dall’ufficio si pone in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA, poiché relativa ad un importo per il quale era stata emessa regolare fattura e l’IVA in essa indicata regolarmente pagata e portata in detrazione, corrispondendo ad un’operazione commerciale di compravendita di immobile – quella oggetto di verifica – regolarmente e concretamente effettuata. È quindi invalido l’avviso di accertamento impugnato, in quanto emesso in violazione del principio sopra enunciato.
3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 13 e 19, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972.
Sostiene la ricorrente che, a prescindere dalla congruità del prezzo di cessione del complesso immobiliare, l’IVA era stata regolarmente fatturata, pagata e portata in detrazione in quanto versata in relazione a somme effettivamente corrisposte, cosicché il recupero a tassazione dell’IVA sulla parte (pari ad € 2.500.000,00) di prezzo versato era illegittimo in quanto in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA.
4. Il motivo è fondato.
4.1. Con riferimento al diritto alla detrazione di imposta, cui è speculare la questione, che qui viene in rilievo, della legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria che provvede alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti considerando antieconomiche determinate scelte imprenditoriali, in base al principio secondo cui chiunque svolga un’attività economica dovrebbe, secondo l’id quod plerumque accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti, in tal modo valutando negativamente, ai fini fiscali, le condotte improntate all’eccessività di componenti negativi o all’immotivata compressione di componenti positivi di reddito, l’orientamento di questa Corte (v. Cass. n. 12502 del 2014 (3) e n. 22130 e n. 22132 del 2013 (4) per compiutezza di argomenti, di cui agli ampi stralci di seguito citati), è fermo nel ritenere:
a) che i principi affermati in materia di imposte sui redditi, secondo cui rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (cfr. Cass. n. 12813/2000 (5) con riferimento all’ILOR; Cass. n. 9497/2008 (6) e Cass. n. 3243/2013 (7), Cass. n. 1711/2007 (8) con riferimento all’IRPEG; Cass. n. 7487/2002 (9); Cass. n. 10802/2002 (10); Cass. n. 5463/2003 (11); Cass. n. 398/2003 (12); Cass. n. 19150/2003), non sono immediatamente ed automaticamente applicabili in materia di detraibilità del tributo IVA che, com’è noto, è tributo armonizzato alla disciplina introdotta dapprima con la sesta direttiva CEE e, da ultimo, con la dir. 2006/112/CEE;
b) che il sistema comune dell’IVA è ispirato al principio della neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA (v., segnatamente, sent. 21 giugno 2012, Gabalfrisa e a., punto 44 (13); sent. 21 febbraio 2006, Halifax e a., C-255/02, p. 78 (14); sent. 21 giugno 2012, nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben e David, p. 39 (15); sent. 6 settembre 2012, C-324/1 I, Gabor Toth, p. 24 (16));
c) che, infatti, costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa unionale (v., in particolare, sentenze 25 ottobre 2001, Commissione/Italia, C-78/00, punto 28 (17); 10 luglio 2008, Sosnowska, C-25/07, punto 14 (18); 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria, C-274/10, punto 42 (19)), il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, come previsto sia dalla sesta Direttiva che dagli artt. 167 e segg. della vigente direttiva 2006/112/CEE, la Corte di Giustizia avendo più volte sottolineato la centralità di tale diritto nel meccanismo dell’IVA; diritto che, in linea di principio ed ordinariamente, non può subire limitazioni, essendo inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche, con un meccanismo che consente la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale che si interrompe allorché il bene o servizio viene reso al consumatore finale;
d) che, infatti, la normativa unionale riconduce il diritto alla detrazione alla sola esigibilità ed inerenza dell’acquisto del bene o servizio, senza contemplare alcun riferimento, e comunque non in modo diretto, al valore del bene o servizio, al punto che, anche per la Corte Europea, la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato appare irrilevante (Corte giust. 20 gennaio 2005, causa C- 412/03, Hotel Scandic Gasabach, p. 22 (20));
e) che, pertanto, il diritto alla detrazione può essere negato solo ove sia dimostrato dall’amministrazione finanziaria, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato dall’imprenditore fraudolentemente o abusivamente (Corte giustizia, sent. 21 giugno 2012, nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben e David, p. 42 e giurisprudenza ivi citata), mentre in condizioni normali non è consentito all’amministrazione di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico; infatti, secondo la Corte di giustizia non vi sarebbe elusione od evasione fiscale se anche i beni o i servizi sono forniti a prezzi artificialmente bassi o elevati fra le parti, che godano entrambe del diritto a detrazione IVA, essendo solo a livello del consumatore finale che può ricorrere perdita di gettito fiscale (Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan, p. 47 (21));
f) che, allora, il diritto alla detrazione potrà essere negata dall’amministrazione finanziaria allorché la riscontrata antieconomicità dell’operazione commerciale rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA, e perciò se l’amministrazione riesce a dimostrare l’antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, nel qual caso spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all’attività svolta, potendo altresì accadere che l’antieconomicità costituisca indizio di abuso del diritto che, com’è noto, presuppone un uso di una forma giuridica e cioè l’uso concreto di essa non per l’affare per il quale essa è tipicamente prevista, ma per uno scopo diverso, univocamente ed esclusivamente rivolto a perseguire un indebito risparmio fiscale.
4.2. Orbene, applicati tali principi al caso di specie, in cui neanche è posta in discussione l’effettività dell’acquisto immobiliare effettuato dalla società contribuente, spettava all’amministrazione finanziaria fornire la prova – nella specie mancante e neanche desumibile dagli elementi di valutazione emergenti ex actis – dell’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione (che, si ricorda, è consistita nell’acquisto di un fabbricato per l’importo complessivo di € 32.900.000,00, con successiva iscrizione tra le rimanenze finali di un valore di presumibile realizzo di € 30.400.000,00, al netto degli oneri accessori, con conseguente contabilizzazione di una svalutazione di € 2.500.000,00 e, quindi, di vendita del medesimo al prezzo di € 30.891.304,00 dopo che la società, entrata nell’immediato possesso del bene ne aveva riscosso i canoni di locazione) o del carattere abusivo o elusivo di tale operazione, cosicché ha errato la CTR che ha escluso la detraibilità di un costo sicuramente sostenuto dalla società contribuente peraltro assumendo l’esistenza di un danno erariale di fatto insussistente, essendo pacifica la regolarità, ai fini fiscali, dei passaggi fra prestatore e committente che non ha cagionato alcuna perdita in danno dell’erario.
5. Sulla base di tali considerazioni va accolto il motivo di ricorso in esame con conseguente assorbimento, per sopravvenuta carenza di interesse, del terzo motivo di ricorso – con cui viene dedotta l’insufficiente motivazione della sentenza gravata in relazione al rigetto del motivo di appello proposto con riferimento alla dedotta corrispondenza dell’operazione commerciale in esame a criteri di economicità – e del quarto motivo – con cui viene dedotta la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo di gravame proposto con riferimento all’inapplicabilità sub specie delle sanzioni amministrative pecuniarie.
6. Conclusivamente, quindi, vanno accolti il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata e, non essendovi ulteriori accertamenti fattuali da compiere, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con accoglimento dell’originario ricorso della società contribuente. Le spese di questo giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’Agenzia delle entrate nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, maggiorate del rimborso delle spese forfettarie, nella misura che si reputa congruo indicare nel 15% del compenso, e degli accessori di legge, mentre le spese dei giudizi di merito vanno compensate tra le parti in ragione del recente consolidamento della giurisprudenza in materia. Deve altresì darsi atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M. – La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della società ricorrente. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, compensando tra le parti le spese dei giudizi di merito.
(1) Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, in Boll. Trib., 2016, 222.
(2) Cass., sez. VI, 31 maggio 2016, ord. n. 11283, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass., sez. trib., 4 giugno 2014, n. 12502, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass., sez. trib., 27 settembre 2013, nn. 22130 e 22132, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cass., sez. trib., 17 maggio 2000, n. 12813, in Boll. Trib., 2001, 308.
(6) Cass., sez. trib., 11 aprile 2008, n. 9497, in Boll. Trib., 2008, 1369.
(7) Cass., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 3243, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cass., sez. trib., 26 gennaio 2007, n. 1711, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cass., sez. trib., 22 maggio 2002, n. 7487, in Boll. Trib. On-line.
(10) Cass., sez. trib., 24 luglio 2002, n. 10802, in Boll. Trib., 2002, 1666.
(11) Cass., sez. trib., 8 aprile 2003, n. 5463, in Boll. Trib. On-line.
(12) Cass., sez. trib., 14 gennaio 2003, n. 398, in Boll. Trib., 2004, 138.
(13) Corte Giust. UE, sez. III, 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, in Boll. Trib., 2013, 1370.
(14) Corte Giust. UE, sez. grande, 21 febbraio 2006, causa C-255/02, in Boll. Trib. On-line.
(15) Ved. nota 13.
(16) Corte Giust. UE, sez. III, 6 settembre 2012, causa C-324/11, in Boll. Trib. On-line.
(17) Corte Giust. CE, sez. V, 25 ottobre 2001, causa C-78/00, in Boll. Trib., 2001, 1663.
(18) Corte Giust. CE, sez. I, 10 luglio 2008, causa C-25/07, in Boll. Trib. On-line.
(19) Corte Giust. UE, sez. III, 28 luglio 2011, causa C-274/10, in Boll. Trib. On-line.
(20) Corte Giust. UE, sez. I, 20 gennaio 2005, causa C-412/03, in Boll. Trib., 2005, 565.
(21) Corte Giust. UE, sez. II, 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, in Boll. Trib. On-line.