SOMMARIO: 1.Premessa – 2.La pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Lecco: a) fatto e diritto; b) esame critico – 3. Conclusioni.
Una Corte di merito, cioè la Commissionetributaria provinciale di Lecco [1], si occupa della questione, particolarmente dibattuta nel corso degli ultimi anni, relativa all’impugnabilità del diniego di autotutela dell’Amministrazione finanziaria.
Si tratta di una tematica che, da un semplice riscontro della giurisprudenza di legittimità e delle elaborazioni dottrinarie più recenti, presenta, tuttora, profili controversi [2].
I giudici lombardi accolgono, nella loro pronuncia, l’orientamento restrittivo tendente a delimitare rigidamente i confini di ammissibilità dell’impugnazione del diniego di autotutela nell’ambito di atti che non siano definitivi e in presenza di eventi sopravvenuti e mai di vizi originari.
Al fine di argomentare le proprie conclusioni, i giudici della Commissione territoriale si soffermano su alcuni aspetti estremamente rilevanti riguardanti il potere riconosciuto all’Amministrazione finanziaria di riesaminare gli atti emessi ed, eventualmente, ritornare sui propri passi, facendo proprie le difese dell’Ufficio relative alla vicenda in oggetto.
Appare, pertanto, essenziale riassumere il caso concreto all’attenzione del consesso di merito, al fine di segnalarne gli elementi di principale importanza. L’interesse alla questione, infatti, è stimolato dalla problematica processuale riguardante il diniego di autotutela e dalla rinnovata reticenza, mostrata in questa sede, a riconoscerne la valenza di atto autonomamente impugnabile tout court. Si è tralasciato, invece – in quanto non particolarmente rilevante per lo studioso – il dibattito sostanziale inerente la corretta portata del metodo accertativo applicato dall’Ufficio che, peraltro, anche dalle parti e dalla Commissione viene trattato in via subordinata.
Successivamente, dopo un inquadramento sistematico dei temi dibattuti, vengono evidenziati i profili di criticità rilevabili nella pronuncia in esame per formulare, infine, alcune osservazioni conclusive.
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2.La pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Lecco: a) fatto e diritto
Per effettuare un esaustivo esame critico della pronuncia dei giudici lombardi con riguardo al punto che ci appare degno di rilevanza e, cioè, la tematica relativa all’inquadramento del diniego di autotutela, è necessario sintetizzare brevemente le circostanze di fatto e di diritto che appaiono conducenti e, quindi, “depurare”, come evidenziato in premessa, la ricostruzione degli elementi di fatto e di diritto dalle parti riguardanti la questione della procedura accertativa utilizzata e le relative contestazioni.
Si legge nella ricostruzione dello svolgimento del processo effettuata dai giudici che, alla base della pronuncia in esame, vi è il ricorso di un contribuente avverso avvisi d’accertamento rettificativi del reddito personale regolarmente dichiarato, dei quali si chiedeva l’annullamento per manifesta violazione di legge ex artt. 38, commi 4, 5 e 6, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 164 del TUIR, nonché per infondatezza e illegittimità dei motivi addotti dall’Ufficio in merito al rigetto di istanza di autotutela.
Gli avvisi, secondo il contribuente medesimo, erano viziati da alcuni errori materiali subito evidenziati, inizialmente, con istanza di autotutela e, successivamente, con istanza di accertamento con adesione, entrambe con esito negativo da parte dell’Ufficio. A queste istanze ne seguiva una ulteriore, sempre in autotutela, nella quale si rilevava, peraltro, che l’Ufficio non aveva dato spazio a un corretto e sufficiente contraddittorio, in quanto, a fronte degli elementi giustificativi forniti, aveva espresso categorico e immediato parere negativo, senza concedere il tempo necessario per dimostrare e comprovare gli elementi addotti a propria difesa, adducendo motivazioni che, sia in fatto come pure in diritto, erano, a detta del contribuente, prive di qualsivoglia pregio e valore logico e giuridico.
Si costituiva in giudizio l’Ufficio, chiedendo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n.546, inquanto il diniego di autotutela non rientrava tra gli atti impugnabili, ivi tassativamente indicati. Si affermava, peraltro, che l’autotutela, così come concluso in alcune sentenze della Corte di Cassazione del 2009, costituirebbe una mera facoltà della pubblica Amministrazione che non fa sorgere, in capo al contribuente, alcun diritto azionabile con il ricorso, soprattutto con riferimento a un atto divenuto definitivo.
Il contribuente, a questo punto, formulava una successiva memoria nella quale chiedeva, in via pregiudiziale, la conferma dell’ammissibilità del ricorso presentato contro il rigetto dell’autotutela, in conformità alla consolidata giurisprudenza e all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992. Si affermava, infatti, che la richiesta formulata dall’Ufficio era inammissibile, infondata e illegittima, in quanto l’art. 19, primo comma, lett. h) e i), del D.Lgs. n. 546/1992, prevede espressamente che il ricorso può essere proposto anche contro, rispettivamente, «il diniego o la revoca di agevolazioni» e «il rigetto di domande agevolate di rapporti tributari», come pure contro «ogni altro atto per il quale
la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie». Si rilevava, peraltro, che con la circolare n. 98/E del 23 aprile 1996 [3], di commento al testo originario del D.Lgs. n. 546/1992, lo stesso Ministero delle finanze aveva chiarito che «la formulazione tecnica della norma mirava a conferire al “diniego” o al “rigetto espresso” dell’Amministrazione il “valore di provvedimento negativo autonomamente impugnabile”, venendo così ad attribuire a tale specifico atto e comportamento un significato tipico».
La copia dell’atto di diniego emesso dall’Agenzia delle entrate, prodotta in allegato al ricorso, consentiva di affermare che il parere negativo alla correzione e modificazione degli evidenti errori materiali commessi nella quantificazione degli accertamenti “sintetici” relativi ai periodi d’imposta in questione, era stata manifestato in modo espresso, costituendo, quindi, il provvedimento di rigetto atto impugnabile in conformità al disposto del, più volte citato, art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.
Sosteneva, dunque, il contribuente che il ricorso presentato non violava in alcun modo il disposto del predetto articolo, in quanto, per costante e consolidata giurisprudenza, anche della Suprema Corte [4] il rigetto di un’istanza di autotutela rientra tra gli atti impugnabili avanti alla Commissione tributaria competente. Tale enunciato è, peraltro, rafforzato dalla sentenza n. 698 del 19 gennaio 2010 della Corte di Cassazione [5], che ha affermato che il mancato intervento in autotutela da parte degli Uffici – che costringe il privato ad affrontare spese legali e d’altro genere per proporre ricorso e per ottenere per questa via l’annullamento – rende innegabile la responsabilità della pubblica Amministrazione, in presenza di un fatto illecito e di un danno ingiusto, e determina l’insorgere dell’obbligo al risarcimento del danno, derivante dalla violazione del principio del neminem laedere.
La Commissioneadìta conclude, peraltro, che il ricorso del contribuente dev’essere respinto, in ragione delle motivazioni sviluppate dall’Ufficio.
I giudici di merito abbracciano, infatti, la tesi in base alla quale un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione da parte del contribuente-ricorrente non sarebbe suscettibile di autonoma tutela giurisdizionale, per due precisi motivi: la discrezionalità dell’attività di autotutela, il cui concreto ed effettivo esercizio non costituirebbe un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali non esperiti, e l’inammissibilità di una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo.
In più, essi affermano che un’impugnazione avverso il rifiuto espresso o tacito dell’Amministrazione a procedere ad autotutela potrebbe essere considerata ammissibile solo dopo aver valutato se il rifiuto sia impugnabile o meno nel merito e se con l’istanza di autotutela il contribuente chieda l’annullamento dell’atto impositivo per eventi sopravvenuti e non per vizi originari del medesimo.
Nel caso in esame, come in tutte le altre ipotesi ad esso riconducibili, sia in sede di autotutela che di ricorso, sono, infatti, dedotti fatti già accertati e già presenti nei prodromici avvisi d’accertamento e, quindi, noti al contribuente, così come le motivazioni, che potevano e dovevano solo essere posti alla base di tempestivo ricorso giurisdizionale.
Il ricorso proposto viene, pertanto, rigettato con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
b) esame critico
Esaminiamo i profili critici di questa pronuncia attraverso un cronologico riscontro degli elementi di fatto e di diritto che abbiamo assunto come rilevanti nel ricostruire il caso concreto.
La prima affermazione dei giudici lombardi è quella in base alla quale viene negata la possibilità di impugnare il diniego di autotutela di un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, innanzitutto, per la discrezionalità dell’attività di autotutela il cui concreto ed effettivo esercizio non costituisce un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali non proposti.
Dobbiamo brevissimamente ricordare che, sul tema della discrezionalità o doverosità dell’autotutela tributaria, si contrappongono due orientamenti dottrinari. Un primo [6] è quello in base al quale – soprattutto in presenza di atti definitivi – assume particolare rilevanza l’interesse alla certezza e stabilità delle situazioni giuridiche derivanti dal provvedimento contestato che, peraltro, avrebbe potuto essere impugnato dal contribuente entro il termine decadenziale. Ecco perché si dovrebbe propendere per una natura discrezionale dell’istituto in esame.
Larga parte della dottrina, invece, ha maturato una tesi fondata su alcuni fondamentali principi costituzionali e, in particolare, sull’art. 53 Cost. [7] che, richiedendo che sia garantita un’imposizione giusta, in presenza di un atto che presenti vizi rilevanti da questo punto di vista, ne imporrebbe il ritiro e farebbe propendere per una doverosità dell’autotutela tributaria [8]. Sarebbe, quindi, essenziale dare corso a un riesame che abbia come esito un provvedimento motivato che chiarisca le ragioni, di fatto e di diritto, sottostanti alla decisione, quando si riscontri una concreta lesione di un interesse pubblico, in particolare se l’autotutela è stata sollecitata con istanza di parte, com’è avvenuto (per ben due volte, oltreché attraverso l’accertamento con adesione) nel caso concreto del qualela Corte si è occupata.
Tale orientamento, peraltro, negli ultimi tempi appare prevalere in quanto rafforzato, anche, da alcuni interessanti risvolti giurisprudenziali, come una sentenza della Corte di Cassazione [9], nella quale i Supremi Giudici, richiamando il dovere della pubblica Amministrazione di conformarsi alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, affermano come essa, constatata la presenza di un errore in un atto emanato, debba compiere le necessarie verifiche e, una volta accertato l’errore, debba annullare il provvedimento riconosciuto illegittimo o, comunque, errato. Essi, infatti, concludono espressamente che in ipotesi siffatte «non vi è, dunque, spazio alla mera discrezionalità poiché essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell’arbitrio».
Il secondo motivo per il quale si afferma l’inammissibilità dell’impugnazione del diniego è che una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo sarebbe inammissibile.
Questa affermazione riporta all’attenzione tutta la tematica dell’impugnabilità del diniego di autotutela.
In merito, riteniamo ormai ampiamente acquisito il principio in base al quale, se si riconosce un’autonoma impugnabilità del diniego, esso non può che essere sindacato innanzi alle Commissioni tributarie [10]. Tanto è stato affermato nelle citate sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 16776/2005 [11] e n. 7388/2007, con le quali i Supremi giudici hanno ricordato che l’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n.448, ha riconosciuto il carattere generale della giurisdizione tributaria e che, quindi, tutte le controversie riguardanti i tributi di ogni genere e specie, le sanzioni, gli interessi e accessori, comprese quelle relative all’esercizio (o al mancato esercizio), espresso o tacito, del potere di autotutela, da parte dell’Amministrazione finanziaria rientrano nella giurisdizione stessa. Non esiste, infatti, un limite che impedisce al giudice tributario di conoscere di interessi legittimi, considerato che l’art. 103 Cost., secondo una costante giurisprudenza, non ha individuato una riserva assoluta a favore del giudice amministrativo.
Le difficoltà che permangono sono, quindi, quelle relative alla delimitazione dei confini entro i quali tale impugnazione può essere considerata ammissibile.
Nella appena citata sentenza n. 7388/2007, le Sezioni Unite, con espresso riferimento all’aspetto che ha sempre costituito la motivazione “più forte” a non riconoscere questa possibilità e, cioè, il considerare l’elencazione contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 come tassativa [12], hanno sottolineato come il non includervi il diniego di autotutela comporterebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, che contrasta con i principi contenuti negli artt. 24 e 113 Cost. e con la giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie, in quanto spinge il contribuente a rivolgersi altrove per colmare l’evidente vuoto di tutela.
Nonostante ciò, in merito, nel 2009, la Cortedi Cassazione inizia un percorso che, in altra sede [13], abbiamo definito a ritroso.
Si succedono, infatti, alcuni interventi interlocutori [14] nei quali si inizia a modificare il quadro che si era creato, poiché si sostiene che non sarebbe proponibile un’impugnazione del provvedimento di rifiuto dell’istanza di autotutela volta a ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo, a seguito di sentenza di primo grado, passata in giudicato per decorrenza dei termini per appellare, in quanto la discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria rende inammissibile un’ulteriore valutazione di un atto già esaminato.
Con riguardo alla questione della definitività dell’atto contestato, il dato normativo sembra abbastanza chiaro in quanto l’art. 2 del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37 [15], attuativo dell’autotutela dell’Amministrazione finanziaria, ammette espressamente che l’atto illegittimo o infondato possa essere annullato, anche se non più impugnabile, senza fare ulteriori precisazioni. Dottrina e giurisprudenza, viceversa, non sono concordi in quanto riconducono la problematica alla possibile violazione del principio del ne bis in idem e al diverso riconoscimento che si tende ad attribuire alla definitività dell’atto, intesa come mancata impugnazione nei termini e decorrenza dei medesimi, rispetto a quella scaturente dal giudicato.
Non tutta la dottrina [16], infatti, riconosce alla prima ipotesi la stessa impegnatività della cosa giudicata che dà luogo a un’efficacia preclusiva sostanziale, così come, anche nel caso di giudicato processuale, si riconosce l’inammissibilità del nuovo sindacato giurisdizionale solo rispetto al giudicato sostanziale – per la cui formazione si è valutata nel merito la pretesa tributaria – e non per il giudicato in rito – che è limitato all’esame di questioni pregiudiziali sull’esistenza di requisiti processuali [17].
Anche in giurisprudenza si registrano pronunce di tenore differente.
Con la sentenza della Corte di Cassazione n. 3608 del 2006 [18], infatti, si è affermato che deve ritenersi certamente ammissibile il ricorso contro il mancato esame di un’istanza volta a ottenere l’annullamento di un atto impositivo, per il quale sono decorsi i termini di impugnazione, se la richiesta è giustificata da eventi sopravvenuti, come, ad esempio, il condono, la modifica del sistema sanzionatorio o l’assoluzione penale.
Si è, quindi, mostrata un’apertura per la definitività derivante dallo scadere dei termini per l’impugnazione, in presenza di eventi sopravvenuti e non per vizi originari dell’atto esaminato.
Nella citata sentenza n. 2870/2009 i Supremi Giudici propongono, invece, una chiusura piuttosto rigida rispetto alla possibilità di impugnare il diniego di autotutela relativo alla richiesta di annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo, a causa dell’intervenuto giudicato formatosi sulla sentenza di primo grado non appellata, in conseguenza sia della discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria nell’esercizio del potere di autotutela, sia dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento divenuto definitivo. Non è, infatti, chiaro se il giudicato che si era formato avesse natura sostanziale o si trattasse di giudicato in rito ed è proprio da ciò che lo studioso deduce un inasprirsi della tesi.
Più recentemente [19], la Corte amplia, invece, i margini di tutela per gli atti definitivi affermando che, «a fronte della definitività dell’atto, occorre far valere l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto stesso», per poter proporre impugnazione del diniego di autotutela e che, pertanto, l’impugnazione dell’eventuale relativo diniego è proponibile, ma solo per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e mai per contestare la fondatezza della pretesa tributaria, in ragione della discrezionalità di tale potere.
Nel caso all’esame della Corte di Lecco, non v’è dubbio che la questione riguardi un’ipotesi di inimpugnabilità dell’atto derivante da decorrenza del termine decadenziale. Sulla base del dato normativo e dottrinario, in tal caso sarebbe esperibile l’esercizio di autotutela tributaria e, quindi, proponibile l’impugnabilità del relativo diniego.
Vi è, poi, da aggiungere che la tematica dev’essere letta all’interno della più ampia questione degli atti impugnabili.
Il diniego di autotutela, sia se formulato in modo espresso che scaturente da facta concludentia, ha sicuramente una dimensione compiuta in quanto, in entrambe le ipotesi, è frutto di una scelta consapevole dell’Amministrazione finanziaria. Nel caso in esame, come più volte ribadito, si tratta di un diniego espresso.
Il contribuente, nella propria memoria difensiva, ricorda che, con la circolare n. 98/E/1996, citata, di commento al testo originario del D.Lgs. n. 546/1992, lo stesso Ministero delle Finanze aveva chiarito che la formulazione tecnica della norma mirava a conferire al “diniego” o al “rigetto espresso” dell’Amministrazione il “valore di provvedimento negativo autonomamente impugnabile”, venendo così ad attribuire a tale specifico atto e comportamento un significato tipico.
Anche se volessimo andare oltre questi elementi preliminari, ci sembra criticabile non consentire o limitare l’ingresso di un’impugnazione del diniego di autotutela alla luce dei riferimenti normativi, dottrinari e giurisprudenziali individuati quando, negli ultimi tempi, la Cortedi Cassazione stessa è giunta a sostenere il riconoscimento dell’impugnabilità di un qualsiasi atto, proveniente dall’Amministrazione finanziaria, che presenti una compiuta e chiara pretesa tributaria e che, tuttavia, non sia rivestito dell’autoritatività di uno degli atti contenuti nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, com’è accaduto con la sentenza n. 7344/2012, citata[20], per le comunicazioni di irregolarità ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973.
Nella predetta sentenza si afferma in modo chiaro che il contribuente ha la possibilità di impugnare provvedimenti che vengono qualificati come atti diversi da quelli espressamente indicati nel predetto art. 19, purché idonei a portare a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, e vi si conclude, peraltro, che si deve riconoscere l’impugnabilità innanzi alle Commissioni tributarie di tutti gli atti dell’Amministrazione Finanziaria che abbiano un collegamento con un rapporto giuridico tributario in quanto idonei ad incidere sul medesimo, in quanto si deve ritenere possibile una interpretazione non solo estensiva ed anche analogica della categoria degli atti impugnabili previsti dall’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992.
Innanzi a un contesto che va facendosi sempre più ampio, ci sembra, pertanto, riduttivo limitare l’impugnazione del diniego di autotutela a tutti gli atti definitivi – senza diversificare la natura della definitività e, quindi, non distinguendo le ipotesi derivanti da decadenza del termine impugnatorio ovvero da maturato giudicato e, all’interno di queste, tra giudicato sostanziale e giudicato in rito.
Sembra che non si voglia tener conto del fatto che la sola prospettabilità di una lesione ingiusta della sfera giuridico-patrimoniale del contribuente costituirebbe elemento integrativo di una situazione tutelabile innanzi all’autorità giudiziaria competente in quanto, a ben vedere, essa determinerebbe una lesione del principio di capacità contributiva idonea a configurarsi come interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione Finanziaria alla rimozione dell’atto stesso.
Bisogna, inoltre, ricordare il pensiero della dottrina prevalente [21], rafforzato, peraltro, da quella parte della giurisprudenza [22] che, addirittura, riconosce al contribuente la possibilità di ottenere, in presenza di diniego di autotutela avverso un atto illegittimo o infondato, il risarcimento del danno da parte dell’Amministrazione finanziaria, innanzi alla giurisdizione ordinaria. Sembra, quindi, abbastanza anomalo limitare la tutela del contribuente, relativamente all’impugnazione dell’atto di diniego di autotutela, ad alcune precise condizioni, in sede di giurisdizione tributaria e, di contro, riconoscergli la possibilità di adire l’autorità giudiziaria ordinaria per ottenere il risarcimento del danno purché l’atto illegittimo e/o infondato sia lesivo della sua sfera giuridico-patrimoniale.
Ciò che si deve conclusivamente sottolineare è che il dibattito sembra quanto mai vivo e aperto.
La sentenza in commento manifesta l’evidente difficoltà a individuare un punto fermo in tema di autotutela dell’Amministrazione finanziaria.
I profili critici rilevati testimoniano come non si sia giunti a orientamenti incontroversi né sulla natura del potere degli Uffici né sulla possibilità di ottenere tutela su un diniego espresso o tacito al relativo esercizio.
Le motivazioni delle risultanze interpretative “altalenanti” sono chiare e attengono ai particolari soggetti dei rapporti in contestazione.
Non ci troviamo, infatti, in presenza di situazioni giuridiche facenti capo a due parti in posizione paritaria, come avviene nella buona parte delle questioni riguardanti le problematiche di diritto civile, ma siamo davanti a questioni che vedono contrapposti il contribuente – soggetto privato – e l’Amministrazione finanziaria – soggetto pubblico – con riguardo alle obbligazioni di diritto tributario.
Questa circostanza chiarisce la rigidità dei termini e la difficoltà a trovare un punto d’incontro.
Nondimeno, il quadro normativo, dottrinario e giurisprudenziale attuale è fortemente influenzato dalla volontà dell’Amministrazione finanziaria di invertire il tradizionale atteggiamento volto solamente a reperire gettito senza tenere conto dell’effettiva condizione del contribuente, che non può essere sottoposto a un’imposizione che non sia giusta ed equa.
Basti pensare all’aumento delle direttive di abbandono delle controversie in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, provenienti dagli organi centrali dell’Agenzia delle entrate e rivolte agli Uffici territoriali [23] – scelta che, come pregevolmente [24] rilevato, non risolve il problema del tutto, ma che viene salutata come estremamente opportuna – e all’introduzione di istituti come il reclamo e la mediazione che prospettano, peraltro, una dimensione ancora più rilevante dell’autotutela tributaria [25].
E, quindi, ci aspetteremmo anche dagli organi di giustizia tributaria pronunce in linea con questo orientamento. L’intervento della Corte di Lecco appare, invece, estremamente riduttivo e limitativo della tutela del contribuente rispetto all’operato dell’Amministrazione finanziaria.
Appare, pertanto, strano che i giudici lombardi, alla luce dei principi costituzionali che stanno alla base del potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria a stento, riconoscano al contribuente una situazione giuridica degna di tutela innanzi all’autorità giudiziaria. Con riferimento a questo aspetto, infatti, è la stessa Corte di Cassazione, negli ultimi anni, a ribadire il tema della responsabilità dell’Amministrazione e del risarcimento del danno se un atto del quale si è chiesto l’annullamento senza ottenerlo ha prodotto danni alla sfera giuridico-patrimoniale del contribuente. Non si comprende, pertanto, come si trovi difficoltà a riconoscere una posizione soggettiva tutelabile innanzi alle Commissioni tributarie, le quali, dell’atto impositivo, sono giudici naturali.
Se si acquisisce questo principio, la tutela del contribuente, a nostro avviso, non può che essere completa e, quindi, dovrebbe poter essere esperita in tutte le ipotesi di diniego.
Circoscriverla agli atti definitivi senza, quantomeno, distinguere all’interno dei medesimi, le diverse accezioni che, peraltro, ineriscono a una più o meno ampia valutazione di merito della pretesa, – e cioè alla già evidenziata differenza tra giudicato in rito e giudicato sostanziale – può determinare una lesione del principio di capacità contributiva nella misura in cui esso assicura una giusta imposizione.
D’altra parte, come correttamente rilevato [26], l’autotutela ha senso in presenza di un atto definitivo che violi i principi contenuti negli artt. 3 e 53 Cost. per vizi originari o sopravvenuti, in quanto gli atti non definitivi sono, per loro natura, impugnabili per vizi propri.
Non v’è dubbio che la problematica della definitività dell’atto, così come quella dell’interpretazione estensiva del contenuto dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, vadano a incidere sulla questione più ampia che le ricomprende e, cioè, sul non univocamente condiviso mutamento del contenzioso tributario che, dalla tradizionale concezione di processo di annullamento di atti impositivi, sembra migrare verso il giudizio di impugnazione-merito. Abbiamo tuttavia precisato, in altra sede [27], che tale transizione non appare negativa in senso generale, ma che va opportunamente meditata e, quindi, richiederebbe un preciso intervento normativo – come quelli [28] che hanno portato alla novella dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 nel corso degli ultimi anni – o, quantomeno, una pronuncia giurisprudenziale di “alto rango” motivata in modo esaustivo, così da non lasciare spazio a ulteriori dubbi sull’argomento.
Avv. Patrizia Accordino
Università di Messina
[1] Si tratta di Comm. trib. prov. di Lecco, sez. I, 13 agosto 2012, sent. n.121, in questo stesso fascicolo a pag. 443.
[2] Per una panoramica, in tal senso, ci sia consentito rimandare a p. accordino, Diniego di autotutela: il contribuente ha diritto ad essere risarcito ma non ad ottenere giustizia innanzi alle Commissioni tributarie, in Boll. Trib., 2010, 632 ss.
[4] Cass., sez. un., 10 agosto 2005, n. 16776, in Boll. Trib., 2005, 1828; Cass., sez. un., 24 luglio 2007, n. 16293, ivi, 2007, 1810; e Cass., sez. un., 27 marzo 2007, n. 7388, ibidem, 1223, con nota di f. cerioni, Il sindacato sulla legittimità del diniego di autotutela spetta sempre ai giudici tributari.
[5] In Boll. Trib., 2010, 632, con nota di p. accordino, Diniego di autotutela: il contribuente ha diritto ad essere risarcito ma non ad ottenere giustizia innanzi alle Commissioni tributarie, cit.
[6] Cfr. s. la rosa, Autotutela e annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari, in Riv. dir. trib., 1998, I, 1138 ss.; p. russo, Riflessioni e spunti in tema di autotutela nel diritto tributario, in Rass. trib., 1997, 552 ss.; id., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, 224 ss.; e a. giovannini, Il ricorso e gli atti impugnabili, in aa.vv., Il processo tributario, a cura di f. tesauro, Torino, 1998, 386 ss.
[7] Sul principio di capacità contributiva cfr. e. de mita, Capacità contributiva, in Dig. disc. privat., Sez. comm., IV, Torino, 1987, 454 ss.; g. gaffuri, L’attitudine alla contribuzione, Milano, 1969, passim; e. giardina, Le basi teoriche del principio della capacità contributiva, Milano, 1961, passim; f. maffezzoni, Il principio di capacità contributiva nel diritto italiano, Torino, 1970, passim; i. manzoni, Il principio della capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 1965, passim; f. moschetti, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, passim; id., voce Capacità contributiva, in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, 1 ss.; id., Il principio di capacità contributiva, profili generali, in Trattato di diritto tributario, diretto da a. amatucci, I, Padova, 1993, 189 ss.; f. moschetti – g. lorenzon – r. schiavolin – l. tosi, La capacità contributiva, Padova, 1993, passim.; p. boria, art. 53, in r. bifulco – a. celotto – m. olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, 2 ss.; e. marello, art. 53, in Commentario breve alla Costituzione, diretto da s. bartole – r. bin, Padova, 2008, 541 ss.; e f. batistoni ferrara, Capacità contributiva, in Enc. dir., III Agg. III, Milano, 1999, 345 ss.
[8] Cfr. g. falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2008, 335 ss.; f. tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Torino, 2009, 156; s. muscarà, voce Autotutela, V) Diritto tributario, in Enc. giur., Roma, 2004, vol. IV, 4; k. scarpa, L’autotutela tributaria, in Riv. dir. trib., 2001, I, 462 ss.; p. rossi, Il riesame degli atti di accertamento. Contributo allo studio del potere di annullamento d’ufficio a favore del contribuente, Milano, 2008, 222 ss.; d. stevanato, L’autotutela dell’Amministrazione Finanziaria, Padova, 1996, 83 ss.; r. lupi, La nuova normativa sull’annullamento d’ufficio degli atti impositivi: spunti per una discussione, in Boll. Trib., 1992, 1800; e v. ficari, Il potere di autotutela dell’amministrazione finanziaria nei recenti chiarimenti ministeriali, in Riv. dir. trib., 1994, III, 391 ss.
[10] Ricordiamo sinteticamente che, per un lungo periodo, il riconoscimento, in capo al contribuente, di un interesse legittimo e la prevalenza della tesi sulla tassatività degli atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, aveva spinto a riconoscere, come giurisdizione competente a conoscere sull’eventuale diniego di autotutela dell’Amministrazione finanziaria, quella dei Tribunali amministrativi.
[11] Per il cui commento si rimanda a s. muscarà, La giurisdizione (quasi) esclusiva delle Commissioni tributarie nella ricostruzione sistematica delle SS.UU. della Cassazione, in Riv. dir. trib., 2006, II, 29 ss.
[12] Come già rilevato in altri commenti a sentenze in cui rilevava la questione dell’interpretazione da attribuire all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 (da ultimo cfr. Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7344, in Boll. Trib., 2012, 1547, con nota di p. accordino, Riconosciuta l’autonoma impugnabilità delle cosiddette comunicazioni di irregolarità, alla quale rimandiamo per i riferimenti bibliografici), per un lungo periodo parte della dottrina ha privilegiato un concetto di tassatività estremamente rigido. Solo di recente (a partire dalla prima metà degli anni duemila), anche su stimolo dell’approccio ermeneutico giurisprudenziale prevalente, si allarga il concetto di atti impugnabili per ricomprendere tutti quelli che sono riconducibili, per funzione e natura, alle ipotesi espressamente indicate nell’art. 19 predetto. Sul punto, si veda, per tutti, a. colli vignarelli, Il processo tributario, in aa.vv.. Diritto tributario, Milano, 2010, 245 ss.
[13] Cfr. p. accordino, Diniego di autotutela: il contribuente ha diritto ad essere risarcito ma non ad ottenere giustizia innanzi le Commissioni tributarie, cit., 632 ss.
[14] Si tratta di Cass., sez. trib., 6 febbraio 2009, n. 2870, in Boll. Trib., 2009, 474; Cass., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3698, ibidem, 548; e Cass., sez. trib., 23 aprile 2009, n. 9669, ibidem, 881.
[16] Cfr. r. lupi, Definitività degli atti impositivi: il rigore scompare quando il contribuente è in buona compagnia, in Riv. dir. trib., 1992, 915 ss.; id., La nuova normativa sull’annullamento d’ufficio degli atti impositivi: spunti per una discussione, cit., 1799 ss.; g. tremonti, Imposizione e definitività nel diritto tributario, Milano, 1977, 501 ss.; d. stevanato, Autotutela (dir. trib.), in Enc. dir., Agg. III, Milano, 2000, 295 ss.; a. marcheselli, Autotutela nel diritto tributario, in Dig. discipl. privat., Sez. comm., Agg. IV, Torino, 2008, 28 ss.
[17] Cfr. g. falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 336 ss.; v. ficari, Il potere di autotutela dell’amministrazione finanziaria nei recenti chiarimenti ministeriali, cit., 1715 ss.; e d. stevanato, Autotutela (dir. trib.), cit., 295 ss.
[19] Cfr. Cass., sez. trib., 12 maggio 2010, n. 11457, e Cass., sez. VI, 18 giugno 2012, ord. n. 10020, entrambe in Boll. Trib. On-line.
[20] Cfr. p. accordino,La Sezione tributaria riconosce l’impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità, cit.
[21] Cfr. f. tesauro, Gli atti impugnabili e i limiti della giurisdizione tributaria, cit., 2007, 1 ss.; v. ficari, L’autotutela dell’Amministrazione finanziaria: riflessioni a margine dei recenti «itinerari» della giurisprudenza tributaria, in Rass. trib., 2007, 1715 ss.; c. glendi, Impugnazione del diniego di autotutela e oggetto del processo tributario, in Riv. giur. trib., 2009, 473 ss.; s. muscarà,La Cassazione chiude (apparentemente) le porte alla tutela giurisdizionale in tema di diniego di autotutela, in Boll. Trib., 2009, 501 ss.; id., Le Sezioni Unite scrivono un ulteriore capitolo in tema di impugnabilità del diniego di autotutela, ibidem, 837 ss.; m. basilavecchia, Funzione impositiva e situazioni soggettive, in Diritto tributario e Corte Costituzionale, a cura di c. perrone – l. berliri, Napoli-Roma, 2006, 185 ss.; e g. ingrao, La valutazione del comportamento delle parti nel processo tributario, Milano, 2008, 217 ss.
[22] Primo esempio è rappresentato dalla citata sentenza n. 698/2010, per il cui commento cfr. p. accordino, Diniego di autotutela: il contribuente ha diritto ad essere risarcito ma non ad ottenere giustizia innanzi le Commissioni tributarie, cit.
[23] Cfr. c. dell’oste – g. parente, Il Fisco dà un taglio alle liti inutili, in Il Sole 24 ore del 27 febbraio 2013, 23.
[24] Cfr. a. carinci, Una scelta opportuna, ma restano le disparità, in Il Sole 24 ore del 27 febbraio 2013, 23.
[25] In merito alla mediazione, il Direttore della Direzione centrale affari e contenzioso dell’Agenzia delle entrate, V. BUSA, si esprime affermando che essa «istituzionalizza l’autotutela offrendo possibilità al contribuente di avere entro 90 giorni una risposta scritta e motivata alle sue richieste di annullamento dell’atto. Grazie alla mediazione l’autotutela da discrezionale diventa obbligatoria»; cfr. c. dell’oste – g. parente, Il Fisco dà un taglio alle liti inutili, cit., 23.
[26] Cfr. f. cerioni, Il sindacato sull’esercizio del potere di autotutela non può avere effetti sull’atto impositivo divenuto definitivo, in Riv. giur. trib., 2009, 503 ss.
[27] Rimandiamo ancora a p. accordino,La Sezione tributaria riconosce l’impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità, cit., 1552 ss.
[28] Ci riferiamo alle lett. e-bis) ed e-ter), aggiunte dall’art. 35, comma 26-quinquies, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), e alla lett. f), modificata dall’art. 12, terzo comma, lett. a), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44).