14 Giugno, 2013

sommario: 1.premessa – 2.il regime impositivo degli scambi intracomunitari di beni – le caratteristiche del regime transitorio – 3.la direttiva2010/45/ue – 4. il momento di effettuazione delle operazioni intracomunitarie; 4.1.Il quadro normativo previgente; 4.2.La nuova regola generale per gli scambi comunitari. Uniformità del momento di effettuazione; 4.3.Differimento e anticipazione del momento di effettuazione dell’operazione – 5.esigibilità dell’imposta e fatturazione degli scambi intracomunitari di beni; 5.1.La nuova disciplina sulla fatturazione; 5.2.Regolarizzazione e registrazione delle operazioni comunitarie.

 

1.premessa

 

Le novità normative introdotte, nel comparto impositivo del tributo sul valore aggiunto, dal decreto cosiddetto “Salva Infrazioni” [1], e poi incorporate nella “legge di stabilità 2013” [2], assumono un significato particolarmente incisivo in relazione alle modifiche ispirate dalla sincronizzazione degli adempimenti in tutti gli Stati membri dell’Unione europea in recepimento delle disposizioni contenute nella Direttiva 2010/45/UE [3]. Le disposizioni in vigore dal 1° gennaio 2013 riguardano diversi profili di armonizzazione della disciplina giuridica dell’IVA e incidono, tra l’altro, sulla territorialità delle regole di fatturazione, sul contenuto, sui termini e sulle modalità di emissione della fattura, con l’obiettivo di approssimare i comportamenti dei soggetti passivi degli Stati membri dell’Unione europea a un modello unitario di rappresentazione contabile delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA.

Inoltre sono state riscritte le regole in tema di rilevanza temporale delle operazioni comunitarie, unificando anche per le cessioni di beni la natura giuridica della transazione suddivisa, sino al 31 dicembre 2012, per quanto attiene al momento rilevante ai fini della individuazione del fatto generatore dell’IVA e quindi all’ingenerarsi del presupposto di imposta, rispettivamente in due distinte manifestazioni: la cessione intracomunitaria, per il cedente, e l’acquisizione comunitaria, per il cessionario. Tale regime comunitario, definito “transitorio” perché basato sul principio della tassazione nel Paese di destinazione del bene [4], pare destinato a consolidarsi e a diventare, nei fatti e nella sua attuale struttura, un regime “tendenzialmente definitivo” [5]. Peraltro, in un contesto in cui il sistema di tassazione è legato al Paese di destinazione dei beni assume rilevanza centrale una sostanziale uniformità, ancor prima dell’aliquota e della ripartizione territoriale del presupposto impositivo, l’individuazione del momento stesso di insorgenza dell’operazione in termini della sua rilevanza impositiva. Invero, a una dinamica di movimentazione fisica internazionale, e quindi inter-statuale, del bene si collega la rilevanza del momento impositivo nel sistema dell’IVA. Questa prospettiva conferisce, quindi, ancora maggiore interesse al tema delle modifiche che la legge n. 228/2012 ha apportato alla disciplina degli scambi intracomunitari di beni nel sistema italiano in attuazione dei precetti comunitari.

 

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2.il regime impositivo degli scambi intracomunitari di beni – le caratteristiche del regime transitorio

 

Come noto la realizzazione di un unico ed unitario mercato tra gli Stati membri dell’Unione europea costituisce lo strumento principale, sotto il profilo economico-giuridico, per consentire la piena e completa attuazione all’interno dell’Unione dei principi di «libera circolazione delle merci delle persone, dei servizi e dei capitali» [6]. La soppressione, agli effetti dell’IVA, delle frontiere tra gli Stati membri dal 1° gennaio1993 ha comportato la configurazione di una nuova entità territoriale: il “territorio comunitario” che, sempre ai fini dell’IVA, si presenta nella sua unitarietà nei rapporti con i paesi non facenti parte dell’Unione europea.

Si è resa, quindi, necessaria l’adozione di un nuovo regime di tassazione ai fini IVA delle operazioni intracomunitarie non più fondato sulle nozioni di importazione e di esportazione ma su una nuova qualificazione di operazione transnazionale eppure non internazionale, quanto meno sotto il profilo della rilevanza doganale. In tale ottica, ciò che rileva in primo luogo è che il bene scambiato a livello comunitario subisce una tassazione a livello comunitario, come se fosse una cessione interna (nel senso di interna al territorio comunitario) e non una esportazione, ma nel contesto territoriale in cui viene immesso in consumo. In secondo luogo, vi è anche la necessità di identificare il luogo in cui la tassazione avviene, in ragione del fatto che la fuoriuscita da un Paese non costituisce, nell’ottica del mercato interno, uno schema che esaurisce le dinamiche impositive dell’operazione intracomunitaria [7].

Il regime definitivo prevede la tassazione dell’IVA nel Paese di origine, ma fino a quando non sarà raggiunto un sufficiente grado di allineamento tra le legislazioni nazionali dei vari Paesi, gli scambi intracomunitari saranno regolati da un regime c.d. transitorio [8]. L’unitarietà territoriale, nel mondo dell’IVA, ha condotto a una inevitabile scissione giuridica delle operazioni: gli scambi hanno, quindi, dato luogo alle figure degli “acquisti intracomunitari” e delle “cessioni intracomunitarie” [9].

Il nuovo regime “transitorio” [10] di applicazione dell’IVA sulle operazioni intracomunitarie, previsto dalle direttive CEE n. 91/680 del 16 dicembre 1991 e n. 92/111 del 1° dicembre 1992 [11] e oggi dalla Direttiva 2006/7112 del 28 novembre 2006, si fonda sul principio di tassazione a destinazione, ossia nello Stato membro di arrivo dei beni [12], garantendo la parità di trattamento tra i prodotti nazionali e quelli provenienti da altri Paesi dell’area comunitaria e il rispetto del principio di attribuzione del tributo al Paese dove ha luogo il consumo ed avviene la detrazione [13].

La concezione complessiva del regime transitorio degli scambi intracomunitari si basa su due nozioni fondanti il meccanismo stesso di applicazione del tributo: la qualificazione dell’operazione imponibile, cioè, rilevante ai fini IVA, e il luogo di tassazione di detta operazione.

Quindi, la detassazione dell’operazione, nell’ipotesi di operazione comunitaria, è in senso comunitariamente inteso “relativa”. In altri termini, il sistema comunitario non rinunzia alla tassazione che, “semplicemente”, viene spostata da un territorio ad un altro [14] con un travaso di allocazione della potestà impositiva correlato al paese di immissione al consumo del bene.

In virtù della Direttiva 91/680/Cee del 16 dicembre 1991, gli scambi tra gli Stati membri dell’Unione europea sono considerati transazioni interne, sottoposte ad una peculiare normativa transitoria, in attesa del passaggio al regime definitivo, che sarebbe dovuto avvenire a partire dal 1° gennaio 1997 [15].

La tassazione nel Paese di origine «si fonda sul principio secondo il quale i produttori assolvono le varie imposte nel paese in cui ha luogo il processo produttivo, indipendentemente dalla loro destinazione o dal mercato di consumo cui sono destinati». Ciò presuppone sia una sostanziale uniformità della disciplina dell’IVA e delle aliquote, sia un meccanismo di ripartizione del tributo, che garantisca l’affluenza del relativo gettito nello Stato dove si verifica il consumo finale del bene.

Ai fini dell’applicazione del destination principle, le operazioni economiche intracomunitarie sono considerate distintamente come cessioni intracomunitarie e acquisti intracomunitari tra soggetti passivi di diversi Stati membri e, conseguentemente, assoggettati alla diversa disciplina giuridica vigente in ciascuno di questi Paesi [16]. L’operazione, quindi, diventa imponibile nello Stato membro di destinazione [17] del bene secondo le regole (aliquote, esenzioni, e così via) prescritte dall’ordinamento nazionale applicabile alla medesima tipologia di operazioni [18].

La disciplina degli scambi comunitari di beni [19], non potendo ignorare la realtà della pluralità statuale, si adegua tenendo conto delle entrate e delle uscite rispetto agli ambiti nazionali, come nel caso delle importazioni e delle esportazioni in senso proprio [20].

Ogni acquisto intracomunitario tassato nello Stato membro di destinazione comporta una cessione esente nello Stato membro di partenza, al fine di evitare una doppia tassazione e la violazione del principio della neutralità dell’IVA [21]. Tuttavia, è necessario che si verifichino due condizioni: il cessionario (oltre che, naturalmente, il cedente) abbia un numero di identificazione Iva; i beni oggetto della transazione lascino il territorio nazionale del cedente, cioè siano trasportati fisicamente da un Stato membro ad un altro [22].

Più in particolare, nel caso dell’acquirente “non soggetto passivo” il luogo di tassazione è rappresentato, in linea di principio, (fatta eccezione per i regimi particolari di tassazione nel Paese di destinazione), dal luogo d’origine fiscale delle operazioni. Viceversa, nel caso di acquirente che sia soggetto passivo, il luogo di tassazione è dato dal territorio di destinazione fiscale del bene nel caso delle operazioni intracomunitarie [23].

Nel caso di transazioni intercorse tra soggetti passivi il nuovo presupposto dell’IVA è rappresentato dall’acquisto intracomunitario, effettuato nello Stato membro di destinazione e individuando nel cessionario il soggetto debitore del tributo.

I criteri su cui si basano le nozioni di cessioni di beni, effettuate da un soggetto passivo in quanto tale, e di attività economiche, che definiscono le operazioni imponibili ai sensi della normativa comunitaria hanno un carattere obiettivo e si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle attività stesse, purché quest’ultime siano di per sé soggette ad IVA [24].

In via speculare, le “cessioni intracomunitarie” si qualificano come operazioni detassate, ma rilevanti sotto il profilo territoriale, in quanto operazioni nazionali. Le stesse, non rivestendo natura a sé stante ma rappresentandosi quali speculari, eppur scisse – sotto il profilo giuridico-contabile – transazioni devono essere coordinate sotto il profilo territoriale con le regole previste per le operazioni effettuate in ambito nazionale e ivi territorialmente allocate [25].

Peraltro, l’abolizione delle frontiere tra i Paesi dell’area comunitaria se, da un lato, ha contribuito allo sviluppo esponenziale degli scambi all’interno dell’Unione europea, grazie alla riduzione degli obblighi amministrativi posti a carico degli operatori economici coinvolti nelle transazioni, dall’altro lato, ha determinato la necessità di individuare un presidio informativo di controllo che consentisse di contrastare fenomeni in violazione alla legge, nel rispetto dei principi di libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali [26]. Tra l’altro l’esigenza di contemperare diverse fattispecie particolari ha condotto all’elaborazione di molteplici deroghe e a una disciplina particolarmente articolata, stratificata e farraginosa [27]. Si tratta, pertanto, di uno scenario normativo disarticolato e intrinsecamente non armonico in relazione al quale il legislatore comunitario è intervenuto in diverse occasioni per tentare di ricomporre le maggiori discrasie normative ed agevolare anche gli scambi comunitari.

 

3.la direttiva2010/45/ue

 

Le modifiche alla normativa IVA – ad opera dell’art. 1, commi 324-335, della legge n. 228/2012 – introdotte per le operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio2013 inattuazione della Direttiva 2010/45/UE hanno interessato, tra l’altro, anche le compravendite comunitarie di beni, e soprattutto i relativi adempimenti e modalità di assolvimento dell’IVA.

Nel solco delle finalità di innovazione e armonizzazione in precedenza accennate si pone, invero, la Direttiva2010/45/UE [28] con cui si è inteso dare completamento alle norme introdotte dalla Direttiva 2001/115/CE del 20 dicembre 2001, c.d. “prima” direttiva sulla fatturazione, nel processo di tendenziale armonizzazione delle regole di fatturazione, ai fini dell’IVA, delle operazioni poste in essere nel mercato interno. Il processo di armonizzazione previsto dalla Direttiva 2010/45/UE è supportato dalle regole territoriali di applicazione che, seppur non consentano un allineamento definitivo in materia, raggiungibile solamente attraverso l’emanazione di un Regolamento comunitario, alimentano la sincronia per l’applicazione concreta e uniforme della normativa nazionale di recepimento.

Come noto, invero, il regime transitorio dell’IVA, introdotto a partire dal 1° gennaio 1993 è rimasto ed è tuttora in vigore, seppure con le modifiche intervenute nell’impianto normativo dell’imposta, specie riguardo alle regole della territorialità [29]. La portata delle disposizioni riformulate dalla Direttiva n. 2010/45/UE del 13 luglio 2010, quantomeno in relazione al tema di analisi qui affrontato, è stata in particolare delineata dalla Proposta di modifica formulata dalla Commissione europea [30].

Il corpus normativo introdotto conla Direttiva 2010/45 invero, pur mantenendo la suddivisione originaria della materia rispetto agli acquisti intracomunitari di beni, delinea una qualificazione unitaria e tendenzialmente uniforme, sotto il profilo temporale, delle operazioni intracomunitarie. Ciò al fine di perseguire gli obiettivi di semplificazione, certezza del diritto e uniformazione dei comportamenti contabili, indicati dalla proposta della Commissione europea come punto di contatto di un sistema comunitario quantomeno semplificato per gli operatori e di più agevole controllo per gli Stati circa la corretta applicazione degli obblighi impositivi. Inoltre, siffatta unificazione temporale, si pone in contraltare rispetto a un sistema – quale, per l’appunto, quello di tassazione nel paese di destinazione del bene – che non prescinde, in ragione della dicotomia permanente nelle legislazioni statuali coinvolte, dalla suddivisione tra cessione ed acquisizione comunitaria.

La necessità, individuata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia [31], di abolire ogni distinzione fra operazioni nazionali ed intracomunitarie nasce dall’esigenza di garantire anche in materia di IVA un mercato unico funzionante alle stesse condizioni e allo stesso modo di un mercato nazionale. Esso deve inderogabilmente offrire agli operatori la possibilità di operare in tutti gli Stati membri, in modo che il nuovo sistema comune dell’IVA possa assicurare che nessuna attività sia più difficile da esercitare in uno Stato membro invece che in un altro e che qualsiasi acquisto possa essere effettuato alle stesse condizioni in qualsiasi parte della Comunità. Parallelamente, un’operazione che coinvolga più Stati membri non deve creare maggiori obblighi rispetto a quelli derivanti dalle operazioni effettuate all’interno di un solo Stato membro.

L’eliminazione, per quanto possibile della distinzione – quantomeno sotto il profilo delle formalità contabili di gestione e di adempimento – fra operazioni nazionali ed operazioni intracomunitarie deve, quindi, permettere agli operatori di ridurre soltanto a due i regimi fiscali oggi applicabili: le transazioni che coinvolgono un Paese terzo e quelle effettuate all’interno dell’Unione europea. In tal modo, può essere ottenuta una semplificazione a vantaggio sia degli operatori sia dei consumatori e delle Amministrazioni fiscali, semplificazione assolutamente coerente con le indicazioni del Consiglio europeo afferenti alle condizioni essenziali per il passaggio ad un sistema definitivo.

L’ulteriore revisione del sistema operativo dell’IVA si rende, quindi, necessaria in quanto il trattamento differenziato delle operazioni nazionali e intracomunitarie rappresenta un ostacolo al funzionamento del mercato unico, reso ancora più gravoso dal perdurare delle numerose opzioni e deroghe concesse agli Stati membri [32].

Con l’intento, quindi, di ricomporre a unità il momento in cui sorge il fatto generatore ai fini dell’IVA in uno scambio intracomunitario si è inteso dare un concreto supporto a una armonia sintomatica del momento in cui taluni adempimenti, invero permanentemente imprescindibili in un contesto plurilegislativo interstatuale, devono essere posti in essere; con ciò favorendo, dalla fase attuativa del tributo, la sua armonizzazione strutturale [33]. Si tratta, pertanto, di una decisa spinta verso una stabilizzazione di un sistema che, soprattutto nel recente passato, ha alimentato ulteriori complessità in ragione della propria precarietà [34].

L’obiettivo, sia che venga mantenuto il principio di tassazione all’origine, sia che esso venga superato, introducendo una generalizzata tassazione a destinazione, impone un controllo contabile che l’odierna frammentazione delle regole di fatturazione, poste su base nazionale, non può garantire.

Da ciò discende la necessità di «introdurre un insieme più semplificato e armonizzato di norme moderne», senza «perdere di vista la questione della frode IVA» [35].La Commissione si è posta come scopo quello di introdurre un insieme moderno di norme armonizzate che semplifichino gli obblighi in materia di fatturazione applicabili alle imprese, pur dotando le autorità fiscali di mezzi efficaci per assicurare il pagamento dell’imposta e il puntuale, ma anche uniforme, assolvimento degli obblighi strutturali.

 

4.il momento di effettuazione delle operazioni intracomunitarie

 

4.1.Il quadro normativo previgente

 

Come noto le cessioni e gli acquisti intracomunitari di beni sono “normali” operazioni rilevanti ai fini IVA, per le quali si applicano, in considerazione della loro particolare natura “intracomunitaria” deroghe specifiche al principio della territorialità stabilito in linea generale dagli artt. da 7 a 7-septies del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 [36].

La tassazione “a destino” che caratterizza gli scambi intracomunitari esige l’individuazione del luogo in cui i beni, di provenienza intracomunitaria, si considerano acquistati. Sul punto, va tenuto presente l’obiettivo sotteso al regime IVA delle operazioni intracomunitarie, fondato come detto, sulla tassazione nel Paese di destinazione. Il criterio di ripartizione della potestà impositiva tra il paese di origine e quello di destinazione è invero stabilito in funzione del luogo di consumo finale dei beni oggetto della operazione intracomunitaria. Di conseguenza, come negli scambi non comunitari di beni, non è assoggettata ad imposta nello stato membro di origine la cessione di beni [37] il cui acquisto nello Stato membro di destinazione concretizza il presupposto dell’acquisto intracomunitario.

La dualità dell’operazione intracomunitaria – cessione e acquisto – da cui far discendere, al momento del suo verificarsi, una determinata multiforme conseguenza giuridica, rappresenta uno dei punti di incertezza giuridica maggiore del regime intracomunitario dell’IVA. Ad esempio, tale difforme qualifica può portare a diversa considerazione dell’operazione nello Stato membro di partenza rispetto a quello di arrivo del bene [38], ovvero ancora a situazioni di duplicazione di tassazione [39].

Al fine di contribuire a dare maggiore chiarezza circa i presupposti fondanti il fatto generatore – nonostante la scissione giuridica in due distinte transazioni rispettivamente di vendita e di acquisto a seconda dell’angolazione territoriale di disamina – è stato unificato il parametro che definisce, sul piano temporale, la nascita dell’acquisto intracomunitario ossia il momento in cui l’operazione si considera, ai fini IVA, effettuata.

Il momento di effettuazione di una operazione, come noto, è fondamentale in quanto da esso dipende il momento di decorrenza degli obblighi disposti dalla normativa in materia di imposta sul valore aggiunto [40]. Inoltre è tale momento a rilevare ai fini dell’individuazione della disciplina in concreto applicabile all’operazione oltre che la sequenza degli adempimenti di carattere formale ad essa connessi. L’individuazione del momento di effettuazione dell’operazione è, quindi, necessario anche per determinare il momento entro il quale la fattura deve essere emessa da parte del cedente. L’unificazione, quantomeno sul piano giuridico, di tale momento, per le operazioni intracomunitarie incide quindi sulla rilevazione del momento a partire dal quale assume rilevanza impositiva l’operazione intracomunitaria e dal quale discendono gli obblighi contabili di adempimento prescritti dalla normativa.

L’art. 39 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427), ha codificato specifici criteri per determinare il momento di effettuazione degli acquisti intracomunitari. Nella formulazione vigente fino al 31 dicembre 2012 il momento di effettuazione degli acquisti intracomunitari consisteva con il momento di consegna dei beni nel territorio dello Stato. Naturalmente, in correlazione a tale principio, la regola di territorialità impositiva [41] stabiliva (e dispone tutt’ora) che il luogo dell’acquisto intracomunitario è quello in cui i beni si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente [42].

Nulla invece era specificato circa il momento di effettuazione della cessione intracomunitaria [43]. Si realizzava, pertanto, una scissione – o meglio una dicotomia sotto il profilo dei criteri di qualificazione giuridica – tra cessioni e acquisti [44].

In assenza di specifiche norme volte a definire il momento di effettuazione per le cessioni intracomunitarie [45], risultavano pertanto applicabili le regole dettate, in via generale, dall’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui le cessioni di beni si considerano effettuate, in via di principio, al momento della consegna o spedizione del bene oggetto di compravendita.

Il citato art. 39 del D.L. n. 331/1993, nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dalla legge n. 228/2012, prevedeva che gli acquisti intracomunitari si considerassero effettuati anzitutto nel momento della consegna dei beni nel territorio dello Stato al cessionario o a terzi per suo conto. Oppure, in caso di trasporto con mezzi del cessionario, nel momento di arrivo nel luogo di destinazione nel territorio stesso. Se l’acquisto intracomunitario avesse avuto effetti giuridici traslativi o costitutivi differiti rispetto al momento ordinario di effettuazione dell’operazione (fondato, come detto, sulla consegna fisica dei beni nel territorio dello Stato) l’acquisto si sarebbe considerato effettuato all’atto della produzione giuridica degli effetti traslativi differiti. In tale ipotesi vi era comunque un limite temporale massimo, un anno dalla consegna dei beni, oltre il quale l’operazione avrebbe acquisito comunque rilevanza impositiva ai fini dell’IVA nel territorio dello Stato, scollegandosi quindi dalla indagine circa la produzione degli effetti traslativi sospesi o differiti.

In ogni caso, a prescindere da tali ipotesi il ricevimento (anticipato) della fattura o il pagamento del corrispettivo effettuato anteriormente alla consegna o al verificarsi degli effetti traslativi differiti faceva acquisire rilevanza impositiva alla data di ricevimento della fattura o alla data di pagamento del corrispettivo, limitatamente all’importo fatturato o pagato [46].

Quindi, il momento impositivo era, in linea di principio, correlato alla movimentazione interstatuale di beni, criterio difforme rispetto a quelli dettati per le operazioni interne. Tale criterio era derogabile in base ad altre fattispecie che, al contrario, acquisivano portata tipica rilevante nel caso delle operazioni interne.

 

4.2.La nuova regola generale per gli scambi comunitari. Uniformità del momento di effettuazione

 

Il nuovo art. 39, comma 1, del D.L. n. 331/1993 [47], supera la distinzione, vigente fino al termine del 2012, tra cessioni intracomunitarie (rilevanti nel momento di inizio del trasporto e quindi all’atto della movimentazione fisica del bene), da un lato, e acquisti intracomunitari (rilevanti nel momento di consegna dei beni in Italia o, in caso di trasporto con mezzi del cessionario, nel momento di arrivo in Italia), dall’altro [48].

Il nuovo testo dell’art. 39 del D.L. n. 331/1993, come sostituito dal comma 326 dell’art. 1 della legge n. 228/2012, stabilisce al comma 1 che «le cessioni intracomunitarie e gli acquisti intracomunitari si considerano effettuati all’atto dell’inizio del trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi per suo conto, dal territorio dello Stato o dal territorio dello Stato membro di provenienza».

È stato, quindi, adottato quale criterio di effettuazione dell’acquisto intracomunitario, il momento di partenza dei beni dal Paese di origine (anziché quello di arrivo nel Paese di destinazione). Lo stesso criterio è stato espressamente previsto anche per le cessioni intracomunitarie (che però, come detto, erano disciplinate in tal senso per effetto del richiamo alle norme generali dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972).

Si può cogliere, in realtà, un disallineamento tra la norma interna e la norma comunitaria in merito alla individuazione del momento di effettuazione dell’operazione intracomunitaria. La Direttiva2006/112/CE definisce specificamente il momento impositivo solo degli acquisti intracomunitari (cfr. artt. 68 e 69 della Direttiva) e non anche delle cessioni intracomunitarie [49] la cui rilevanza temporale è rinviata alle regole ordinarie, cioè, agli artt. 63 e segg. della medesima Direttiva.

Secondo la nuova formulazione contenuta nell’ordinamento italiano, non rileva più, quindi, al fine di determinare il momento di effettuazione dell’operazione, la consegna dei beni nel territorio dello Stato o il momento di arrivo nel luogo di destinazione, sempre nel territorio stesso, per quanto riguarda gli acquisti intracomunitari. In relazione alle operazioni poste in essere dal 1° gennaio 2013 il momento in cui avrà inizio il trasporto o la spedizione al cessionario sarà il momento rilevante per stabilire l’avvenuta effettuazione dell’operazione ai fini dell’IVA.

La nuova adisposizione non fa più alcun riferimento nemmeno al soggetto che effettua il trasporto, essendo indifferente se lo stesso sarà curato dal cedente o per suo conto ovvero dal cessionario o per suo conto. Analoga osservazione può farsi per le cessioni intracomunitarie che trovano ora una propria disciplina sempre con riferimento al momento di effettuazione dell’operazione, agganciata anch’essa al momento iniziale della movimentazione fisica del bene.

Da tale disamina sussiste, quindi, una unificazione del momento impositivo (in termini di emersione della rilevanza giuridica della transazione comunitaria) con riferimento al momento di partenza del bene, sia per le cessioni intracomunitarie che per le acquisizioni intracomunitarie. Di conseguenza l’operazione diviene rilevante quando il bene è in partenza dal luogo di origine, sia nel caso di cessione dal territorio nazionale a destinazione di un altro Stato membro, sia, viceversa, nel caso di beni provenienti da un altro Stato membro e destinati ad essere introdotti in Italia.

 

4.3.Differimento e anticipazione del momento di effettuazione dell’operazione

 

L’art. 39 del D.L. n. 331/1993 contempla deroghe al momento di effettuazione dell’operazione, che in buona parte si pongono in continuità rispetto a quanto in precedenza previsto, fatta eccezione per la sopravvenuta irrilevanza del pagamento di acconti ai fini della manifestazione del fatto generatore.

Con riguardo al differimento del momento di effettuazione dell’operazione, anzitutto, l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 39 del D.L. n. 331/1993 [50] è rimasto sostanzialmente invariato, salvo adesso l’espresso riferimento alle cessioni intracomunitarie. È perciò stabilito che se gli effetti traslativi o costitutivi si producono posteriormente alla consegna del bene, l’acquisto o la cessione si considerano effettuati nel momento in cui si producono tali effetti e, comunque, non oltre un anno dalla consegna. Si tratta, ad esempio, delle fattispecie contrattuali con clausole sospensive che conducono al trasferimento della proprietà (o di diritti reali) solo una volta avverata la condizione pattuita tra le parti negli accordi contrattuali. Vi è da dire che tale regime sospensivo, fino al termine di un anno dalla consegna del bene, può creare discrasie – alla luce della uniformazione temporale del momento di effettuazione dell’operazione sia dal lato attivo (cessione) sia dal lato passivo (acquisto) – rispetto ad altri regimi nazionali eventualmente non armonizzati rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria [51], previsione che anche l’art. 39 del D.L. n. 331/1993 non pare recepire in maniera puntuale.

Inoltre, il secondo comma dell’art. 39 del D.L. n. 331/1993 dispone che se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati al primo comma sia emessa fattura, l’operazione intracomunitaria si considera effettuata limitatamente all’importo fatturato, «alla data della fattura». Tale disposizione resta, sostanzialmente, quasi immutata rispetto a quella previgente [52]. Tuttavia, la precedente formulazione circa gli effetti anticipatori della fatturazione contemplava, quale riferimento, come momento di effettuazione dell’acquisto intracomunitario «la data di ricezione della fattura», laddove l’attuale formulazione attiene alla data della fattura. Tale norma contiene, inoltre, un’altra – sostanziale – novità rispetto alla formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2012. Ci si riferisce in particolare alla parte in cui non risulta dare più rilevanza, sempre in relazione alla determinazione del momento di effettuazione dell’operazione intracomunitaria, all’eventuale pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo, prima del manifestarsi di uno degli altri eventi ordinariamente previsti quale fenomenologicamente determinati il sussistere del fatto generatore dell’IVA.

La norma, quindi, in relazione all’elemento anticipatorio della rilevanza ai fini dell’IVA, attribuisce cittadinanza giuridica esclusivamente alla fattura, tralasciando in toto la rilevanza dell’eventuale anticipato pagamento, ancorché parziale, del corrispettivo. Pertanto, rispetto al 31 dicembre 2012, il pagamento di acconti relativi a scambi intracomunitari di beni non incide più ex se sul momento di effettuazione dell’operazione ai fini IVA in quanto non vi è più l’obbligo, a fronte di acconti incassati o pagati, in relazione ad una cessione o ad un acquisto intracomunitario di beni, di emissione della fattura.

Un’altra novità è rappresentata dall’autonomo momento di effettuazione dell’operazione in caso di scambi comunitari c.d. “continuativi”. L’art. 39, comma 3, del D.L. n. 331/1993, è intervenuto, con portata innovativa rispetto alla normativa vigente al 31 dicembre 2012, contemplando un unitario momento di effettuazione dell’operazione in caso di cessioni e di acquisti intracomunitari di tipo continuativo [53].

Secondo la nuova norma [54], le cessioni e gli acquisti intracomunitari effettuati in modo continuativo, nell’arco di un periodo di tempo superiore ad un mese si considerano effettuati al termine di ciascun mese. Questa disposizione non si applica tuttavia alle c.d “vendite a distanza[55] né alle cessioni con installazione, montaggio ed assemblaggio da parte del fornitore o per suo conto, nel territorio dello Stato membro [56]. La ratio di tale esclusione, in linea con la disciplina comunitaria sul punto, risiede presumibilmente nella circostanza che la normativa italiana (ossia l’art. 41 del D.L. n. 331/1993) dichiara impropriamente tali operazioni quali cessioni intracomunitarie, laddove nel sistema comunitario le suddette operazioni non sono in realtà cessioni intracomunitarie, bensì cessioni territoriali “locali” e quindi interne nel paese di destinazione.

La norma nazionale pare riprendere il principio contemplato, a livello comunitario, dall’art. 64, paragrafo 2, della Direttiva 2006/112, come modificato – per l’appunto – dall’art. 1 della Direttiva 2010/45. L’art. 64, paragrafo 2, primo comma, disciplina le “cessioni continuative” di beni nell’ambito di una transazione intracomunitaria «su un periodo superiore ad un mese di calendario», ovvero del trasferimento di beni dal territorio di uno Stato membro ad un altro, per esigenze dell’operatore (cioè, il trasferimento “assimilato” di beni), disponendo che la rilevanza dell’operazione sia fissata alla scadenza di ogni mese di calendario, sino al termine della cessione continuativa.

La definizione di “cessione continuativa” comprende non solo le ipotesi tipiche di cessioni di beni in base a contratto di somministrazione (come nel caso dell’energia elettrica o del gas) ma ogni altra situazione nella quale le parti abbiano inteso concludere un contratto che preveda il trasferimento ripetitivo di beni, in assenza di un’obbligazione finale di risultato, come, ad esempio, nel caso degli abbonamenti a riviste e a periodici [57].

In caso di acquisti intracomunitari continuativi, fino al 31 dicembre 2012 ciascuna operazione di acquisto intracomunitario, a prescindere dalla circostanza della sua qualificazione come acquisizione “continuativa” comunitaria, si considera effettuata al momento dell’arrivo della merce a destinazione. Dal 1° gennaio 2013 siffatta operazione sarebbe – in attuazione della regola generale – rilevante al momento di inizio del trasporto o spedizione. Senonché, per effetto della citata deroga, le operazioni intracomunitarie continuative non risultano ancorate alla movimentazione fisica del bene (variata, come detto, dal momento terminale a quello iniziale del trasporto nel caso degli acquisti intracomunitari) bensì allo scadere del mese solare. Pertanto, il termine del mese solare diviene, a prescindere dal collegamento con la movimentazione fisica del bene, il momento di effettuazione dell’operazione, a decorrere dal quale, quindi, sorgono gli obblighi di adempimenti contabili dal punto di vista dell’IVA ivi inclusa, naturalmente, l’esigibilità dell’imposta.

 

5.esigibilità dell’imposta e fatturazione degli scambi intracomunitari di beni

 

5.1.La nuova disciplina sulla fatturazione

 

Alcune considerazioni meritano di essere effettuate anche in relazione al momento temporale in cui viene a sussistere la manifestazione di esigibilità del tributo. Come in precedenza illustrato, il momento di effettuazione dell’operazione intracomunitaria è stato ricondotto ad un’unità sia per gli acquisti sia per le cessioni. Il momento di effettuazione dell’operazione, anche per gli scambi intracomunitari, è da intendersi nel senso di momento in cui una operazione si considera effettuata e, quindi, acquista rilevanza giuridica, producendo obblighi formali e sostanziali. In altri termini individua il punto originatore, il dies a quo, per attribuzione della rilevanza giuridica dell’operazione intracomunitaria al fine degli adempimenti di assolvimento del tributo che ne discendono.

Considerazioni specifiche si pongono, invece, in relazione alle norme afferenti ai termini di fatturazione e all’esigibilità dell’imposta, da intendersi – in contrapposizione rispetto al momento di effettuazione dell’operazione – nel dato temporale in cui si manifesta il diritto in base al quale l’erario può pretendere dal debitore il pagamento dell’imposta [58] ossia, ancorché in termini non propriamente precisi, il dies ad quem per l’assolvimento dell’IVA da parte del debitore dell’imposta.

In tale scenario non si ravvisa un cambiamento sostanziale per il cedente nazionale. È diversa, invece, dal punto di vista sostanziale la situazione per l’acquirente nazionale.

Fino al 31 dicembre 2012 l’acquirente doveva fare riferimento al momento di arrivo dei beni; dal 1° gennaio 2013 deve conoscere e rispettare la data di partenza, essendo ad essa che occorre rivolgersi per determinare la rilevanza dell’operazione. In tale contesto, secondo la correlazione giuridica che aggancia il momento di effettuazione e l’esigibilità del tributo, sarebbe naturale correlare gli obblighi di integrazione della fattura del cedente comunitario rispetto al momento impositivo, come si verifica per le cessioni intracomunitarie. Tuttavia, mentre per le cessioni intracomunitarie il termine di fatturazione è legato al momento di effettuazione dell’operazione, per gli acquisti intracomunitari si è seguita una impostazione differente.

La vigente formulazione dell’art. 46, comma 2, del D.L. n. 331/1993, prevede, per l’emissione della fattura relativa alla cessione intracomunitaria, precisi termini decorrenti rispetto al momento di effettuazione della cessione. La norma in vigore fino alla fine del 2012 non contemplava un proprio termine per l’emissione della fattura, con riferimento alle cessioni intracomunitarie. Di conseguenza, era applicabile la regola generale con riferimento alla data di spedizione in linea con quanto previsto dall’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972. In altri termini la regola generale, che contemplava la contestualità della fatturazione, trovava una sua deroga nel caso di fatturazione differita, applicabile per le cessioni di beni nazionali e per quelle comunitarie. Quindi, al pari delle cessioni interne, era consentita la possibilità per il cedente comunitario di emettere la fattura entro il giorno 15 del mese successivo a quello della consegna o spedizione, ai sensi dell’art. 21, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, qualora tale cessione fosse risultante da documento di trasporto ovvero da altro documento idoneo a identificare i soggetti tra i quali è effettuata l’operazione.

La nuova formulazione del citato art. 46, comma 2, del D.L. n. 331/1993, ora prevede che la fattura relativa alla cessione intracomunitaria debba essere emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, in linea con la normativa comunitaria [59].

In passato, quindi, sull’assunto che le condizioni documentali lo consentissero, era comunque prevista la facoltà di emissione della fattura c.d. differita per le cessioni intracomunitarie, come per le cessioni interne.  Tuttavia, siffatto termine di fatturazione non trovava fondamento in una norma ad hoc di diretta derivazione comunitaria. A seguito della Direttiva 2010/45/UE e del suo recepimento nel corpus normativo nazionale, viene quindi introdotto uno specifico termine “dilatorio” per la fatturazione della cessione di matrice comunitaria, ossia non più collegato alle disposizioni nazionali afferenti alla fatturazione differita.

In relazione agli acquisti comunitari lo scenario è diverso.

Come noto l’assolvimento dell’imposta relativa all’acquisto intracomunitario avviene mediante applicazione del meccanismo di inversione contabile [60]. L’art. 46, comma 1, del D.L. n. 331/1993, non contempla alcuna previsione in merito al termine di integrazione della fattura del fornitore per gli acquisti intracomunitari. Questa carenza legislativa è in parte colmata dal successivo art. 47, comma 1, del D.L. n. 331/1993. La nuova formulazione di quest’ultima norma prescrive l’annotazione del documento emesso dal fornitore comunitario «previa integrazione a norma dell’articolo 46, comma 1 (…) entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricezione della fattura, e con riferimento al mese precedente».

L’effetto della disposizione è, dunque, di scollare l’obbligo di integrazione dal momento impositivo proprio dell’operazione, cioè, l’inizio del trasporto a partire dallo Stato membro di origine. L’obbligo contabile viene, invece, collegato all’arrivo della fattura, con un evidente richiamo al doppio termine di esistenza del fatto generatore, previsto nella norma previgente rispettivamente per le cessioni e per gli acquisti.

Quindi, da un lato, vi è un nuovo momento di effettuazione dell’acquisto intracomunitario, ancorato a un dato fenomenologico – l’inizio del trasporto o della spedizione – che potrebbe non essere tempestivamente noto all’acquirente. Dall’altro lato, le modalità di assolvimento del tributo, in quanto fondate sull’integrazione di un documento contabile proveniente dal fornitore – e ben distinte dalle ipotesi di vero e proprio self-billing in cui l’obbligo di fatturazione dell’operazione è in toto traslato sul cessionario – non possono prescindere dalla rilevanza dell’intervenuta sussistenza del possesso del documento, quale presupposto stesso per individuare il momento in cui l’erario può pretendere dal debitore l’assolvimento del tributo e quindi esigere l’IVA.

Ciò impone, nella sostanza, una duplicazione nell’indagine e nell’attenzione posta a carico dell’acquirente italiano. Da un lato, occorrerà far riferimento al momento di arrivo del documento “fattura” emesso dal fornitore comunitario; dall’altro lato, si imporrà una verifica circa l’avvenuta effettuazione dell’operazione, ossia l’inizio del trasporto o della spedizione, anche al fine di poter monitorare l’intempestività eventuale della fatturazione o l’omessa fatturazione del fornitore, da cui far scattare in capo al cessionario italiano gli obblighi (autonomi ab origine) di assolvimento del tributo.

La criticità di siffatto approccio si aggiunge all’apparente contrasto con la normativa comunitaria.

La Direttiva, infatti, prevede che l’emissione della fattura per le cessioni intracomunitarie [61] e l’esigibilità dell’imposta per gli acquisti intracomunitari siano al più tardi [62] al quindicesimo giorno del mese successivo a quello in cui si verifica il “fatto generatore” del tributo.

In altri termini, in base alla normativa comunitaria, l’applicazione dell’IVA nello Stato di destinazione a cura dell’acquirente è dovuta entro il quindicesimo giorno del mese successivo a quello in cui il bene è stato spedito e non a quello di ricevimento della fattura. Fermo restando che se la fattura sia stata emessa in precedenza, allora l’esigibilità è geneticamente correlata, per il cessionario, al materiale ricevimento della stessa, diversamente (cioè a dire in mancanza di fatturazione) allo spirare del quindicesimo giorno del mese successivo alla effettuazione dell’operazione l’IVA deve essere assolta in Italia.

Tuttavia, a parere di chi scrive, tale disallineamento della normativa nazionale rispetto a quella comunitaria, ancorché non possa definirsi di mera apparenza, potrebbe trovare un fondamento in relazione a diversi profili di traslazione nazionale degli obblighi di adempimento contabile sanciti dalla Direttiva comunitaria.  Anzitutto, sotto un profilo giuridico-comunitario: l’assolvimento del tributo nel territorio dello Stato non può prescindere dall’emissione del documento “fattura” del fornitore in quanto, proprio in ragione della normativa comunitaria, l’assolvimento del debito di imposta presuppone, e impone, l’emissione della fattura da parte del cedente. In altri termini, l’esigibilità del tributo, nell’ottica impositiva dello Stato di “destinazione” del bene, in quanto collegata alla fatturazione dell’operazione a cura del cedente, non potrebbe che discendere – nella fenomenologia della fissazione di un termine ad quem per l’adempimento dell’obbligo tributario – da tale adempimento. Di conseguenza il correlare, nell’ottica beninteso dello Stato di destinazione, l’esigibilità del tributo per chi acquista al momento di effettuazione dell’operazione (uniforme per entrambi cedente e cessionario) condurrebbe a una irrilevanza, sotto il profilo giuridico, dell’obbligo (e del momento) di fatturazione in capo al fornitore e, più in generale, porrebbe potenziali criticità di attuazione del prelievo attraverso il sistema stesso di inversione contabile [63] che sarebbe sostanzialmente svuotato di portata applicativa propria di carattere generale [64].

L’obbligo di emissione della fattura, invero, discende dalla necessità non solo fiscale, di rappresentare in un documento gli estremi dell’operazione economica effettuata tra due soggetti [65]. Il ruolo del documento “fattura” (a prescindere dalla sua denominazione formale) assume poi particolare importanza nell’ambito delle operazioni transnazionali non solo ai fini di identificazione della natura dell’operazione e delle parti coinvolte ma anche sotto il profilo della rilevanza territoriale dell’operazione e, per l’effetto, dello Stato coinvolto e titolato a percepire il tributo [66].

Sotto altro profilo, più afferente alla ripartizione territoriale della potestà normativa e impositiva degli Stati membri, invero, il legislatore nazionale non può naturalmente contemplare la certezza impositiva ad un obbligo di fatturazione che ricade sul cedente laddove stabilito in altro Stato membro cui la normativa comunitaria attribuisce autonomo obbligo di fatturazione in loco.

In altri termini, siffatta apparente discrasia discende direttamente dalla dualità dell’operazione intracomunitaria, certificata a livello normativo comunitario, che rimane una cessione per lo Stato membro del cedente e un acquisto per lo Stato membro del cessionario. Tale dicotomia si è detto essere necessaria, e inevitabile, in ragione delle autonome potestà legislative e impositive degli Stati membri, con la conseguenza che il criterio di effettuazione dell’operazione, da cui derivare il termine di esigibilità del tributo, si correla direttamente (e solamente) agli acquisti intracomunitari, capovolgendo, in tale ottica, lo scenario applicativo rispetto alle cessioni nazionali ordinarie.

Vi è infine un profilo materiale-fattuale.

La correlazione del momento di esigibilità del tributo per l’acquirente al termine di fatturazione (ancorché con applicazione della detassazione) per il fornitore, potrebbe condurre, in un contesto internazionale connotato dalla movimentazione fisica dei beni, situazioni di coincidenza temporale tra il termine ultimo di fatturazione per il cedente (ossia il quindicesimo giorno del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione) con il termine ultimo per l’assolvimento del tributo da parte del cessionario. Ciò condurrebbe, quale fisiologica conseguenza, a situazioni di pur sempre inevitabile inadempimento da parte del cessionario (che, in ipotesi ricevesse la fattura cui applicare il reverse charge il giorno dopo la emissione – effettuata l’ultimo giorno utile – della fattura da parte del cedente) contrapposte a un comunque tempestivo adempimento, nel rispetto dei canoni comunitari, dell’obbligo di fatturazione da parte del cedente [67] in ragione della connotazione della fattura quale documento recettizio [68]. Potrebbe invero accadere che alla scadenza del quindicesimo giorno del mese successivo all’effettuazione dell’operazione sia – ancora tempestivamente – emessa fattura da parte del cedente e assolta dal cessionario l’imposta, senza poter attendere la fattura del proprio fornitore. In siffatti casi, pertanto, la discrasia applicativa del tributo discenderebbe direttamente dalla previsione comunitaria, il cui presupposto di uniformità armonizzata degli adempimenti contabili per l’attuazione del modello impositivo si tradurrebbe in una ineludibile asimmetria applicativa negli Stati membri coinvolti.

 

5.2.Regolarizzazione e registrazione delle operazioni comunitarie

 

Il riferimento contabile che impone l’art. 47, comma 1, del D.L. n. 331/1993, ossia una esigibilità del tributo non correlata ex se al momento di effettuazione dell’operazione, è in parte rettificato dalla disciplina sulla regolarizzazione degli acquisti intracomunitari [69]. La procedura di regolarizzazione consiste nell’emissione di una autofattura nel caso in cui l’acquirente intracomunitario non abbia tempestivamente ricevuto, entro un termine prefissato dal legislatore, la fattura dal cedente comunitario [70].

L’art. 46, comma 5, del D.L. n. 331/1993, trattando dell’obbligo di autofatturazione, per il cessionario nazionale, di acquisti non fatturati dal cedente estero, pone il termine del quindicesimo giorno del terzo
mese successivo a quello in cui è sorto il momento impositivo, ossia dalla data di spedizione del bene, sempre che la fattura non sia arrivata entro il secondo mese successivo, anche in questo caso a partire dalla data di spedizione del bene. Quindi, la ordinaria esigibilità dell’imposta è correlata, in virtù del meccanismo tipico di assolvimento del tributo comunitario, al momento di tempestiva ricezione della fattura estera (anche per certi versi, al fine di non far discendere il momento di esigibilità da dati meramente fattuali collegati a un fenomeno, l’inizio del trasporto, di cui l’acquirente potrebbe non esserne stato necessariamente a tempestiva conoscenza).

La regolarizzazione dell’operazione, invece, torna ad essere correlata a un dato fattuale, ossia il momento di effettuazione dell’operazione, seppure a fronte di una dilatazione temporale idonea a consentire la più ampia verificabilità, da parte dell’acquirente italiano, del mese in cui ha avuto inizio la spedizione del bene dallo Stato membro di provenienza. Termine dilatato, che appare essere più che sufficiente per ritenere che il cedente non abbia emesso la fattura con la conseguenza che sia lecito obbligare il cessionario nazionale all’emissione della fattura sostitutiva, entro il quindicesimo giorno del mese ancora successivo, cioè del terzo mese a partire dalla spedizione.

Anche in relazione alla disciplina sulla annotazione delle fatture nei registri e alla liquidazione dell’imposta a debito paiono sussistere disallineamenti tra la norma interna e quella comunitaria [71].

Con le modifiche apportate dalla legge n. 228/2012 sono stati mutati i termini di registrazione. Le fatture relative agli acquisti intracomunitari, infatti, dopo essere state integrate devono essere annotate nel registro delle fatture emesse, di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 633/1972 entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricevimento, ancorché sempre con riferimento al mese precedente, secondo l’ordine di numerazione e con l’indicazione anche del corrispettivo espresso in valuta estera [72].

Per quanto concerne, invece, la registrazione delle medesime fatture nel registro degli acquisti, di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 633/1972, la nuova norma non fissa più alcun termine, ma si limita a stabilire che «ai fini del diritto alla detrazione dell’imposta, le fatture sono annotate distintamente nel registro di cui all’art. 25 del presente decreto». È stata sostituita, così la previgente norma che imponeva una registrazione sempre entro il mese di ricevimento o, al più tardi, entro 15 giorni dal ricevimento.

In assenza, pertanto, di un termine per la registrazione nei registri IVA acquisti, si applica la disposizione generale, secondo cui le fatture d’acquisto devono essere registrate anteriormente alla liquidazione periodica o alla dichiarazione annuale nella quale è esercitato il diritto alla detrazione.

L’eliminazione del termine per la registrazione specificamente previsto in precedenza per gli acquisti intracomunitari porta ad un allineamento, anche sotto il profilo della coerenza sistematica, alle condizioni contabili poste, in linea ordinaria, all’esercizio del diritto alla detrazione.

Le fatture di cessione intracomunitaria devono, invece, essere registrate entro il termine di emissione, ossia entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, ma con riferimento a quest’ultimo, in linea con i termini generali di registrazione delle fatture.

L’annotazione dovrà comunque avvenire con riferimento al mese di effettuazione dell’operazione. Anche in relazione a tale caso si amplia il termine entro cui eseguire la registrazione ma non subisce modifiche il periodo a cui fare riferimento.

L’allineamento, anche per gli adempimenti contabili, della disciplina prescritta per le operazioni interne rispetto a quella per le operazioni intracomunitarie si pone nel solco della tendenziale unificazione normativa volta a eliminare, per quanto più possibile, la distinzione tra operazioni nazionali e operazioni comunitarie quantomeno dal punto di vista applicativo.

Le modifiche normative apportate, a livello comunitario prima, e a livello nazionale poi evidenziano un generale e tendenziale obiettivo di armonizzazione che non sempre, tuttavia, conduce a una sostanziale semplificazione degli adempimenti e certezza delle regole, in relazione soprattutto all’individuazione del momento impositivo, applicabili.

Se è pur vero che talune distonie, proprie del sistema basato sul principio di tassazione nel paese di “destinazione” appaiono in sostanza ineludibili, la disciplina sugli adempimenti contabili potrebbe essere ulteriormente armonizzata (e semplificata) con regole ancora più delineate e semmai ancora più impositive (anche sotto forma di disciplina regolamentare comunitaria) nei singoli ordinamenti nazionali.

Accertata, al momento, l’impossibilità di eliminare in radice i disallineamenti normativi, imprescindibilmente discendenti dalla commistione tra il principio di tassazione a “destino” degli scambi intracomunitari con l’autonomia impositiva – e legislativa – degli Stati coinvolti, il segnale di uniformità del momento di effettuazione dell’operazione intracomunitaria assume rilevanza non solo formale ma anche sostanziale. Ciò nell’ottica della sincronia delle regole transnazionali afferenti al meccanismo applicativo dell’IVA e dell’allineamento degli obblighi contabili rispetto alla rilevanza giuridica della disciplina di circolazione dei beni nel territorio comunitario.

 Avv. Alberto Alfredo Ferrario

 

[1] D.L. 11 dicembre 2012, n. 216 (non convertito in legge).

[2] Legge 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, commi 325 ss.

[3] Direttiva 2010/45/UE del Consiglio del 13 luglio 2010 «recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda le norme in materia di fatturazione».

[4] Cfr. l’art. 404 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006.

[5] Come si legge, infatti, nella Comunicazione COM (2011) 851 della Commissione europea del 6 dicembre 2011, il principio della tassazione all’origine «rimane politicamente irrealizzabile», sicché lo stesso «Parlamento europeo – finora convinto sostenitore del principio dell’origine – ha riconosciuto questa situazione di stallo e ha invitato a orientarsi verso il principio della destinazione». In tale scenario, «la Commissione è pertanto giunta alla conclusione che non esistono più motivazioni valide per mantenere questo obiettivo e proporrà di abbandonarlo. Mantenere questo impegno senza realizzare alcun progresso politico in tal senso minerebbe infatti la credibilità del processo decisionale europeo».

[6] Art. 8 del Trattato istitutivo della CEE del 25 marzo 1957.

[7] La sua detassazione non è quindi completa e generale ma strutturalmente collegata al territorio ai fini dell’immissione in consumo.

[8] Cfr. p. centore, La territorialità delle cessioni di beni, in Corr. trib., 2002, 1375 ss.; p. maspes, Gli scambi intracomunitari, in aa.vv., L’imposta sul valore aggiunto, in Giur. sist. dir. trib., diretta da f. tesauro, Torino, 2001, 906; m. giontella, L’iva intracomunitaria, in Riv. dir. trib., 1993, I, 5 ss.; a. comelli, La disciplina di attuazione in Italia delle direttive comunitarie attinenti al regime transitorio dell’Iva sugli scambi intracomunitari, in Dir. prat. trib., 1994, I, 1698; e a. casertano – m. spera, L’IVA nei rapporti intracomunitari, in Quaderni di rass. trib., 1993, 47.

[9] Cfr. sul punto g.l. cecchini, L’iva nell’ordinamento comunitario, Padova, 1993, 9 ss. e 222 ss.

[10] Cfr. p. centore, Il regime transitorio della VI direttiva Iva tra passato, presente e futuro, in L’Iva, 2001, 31 ss.

[11] Le disposizioni che regolano il regime transitorio dell’IVA negli scambi intracomunitari sono state recepite in Italia con il D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427). Sul punto, ved. a. comelli, Iva comunitaria e Iva nazionale, Padova, 2000, 779 ss.

[12] p. filippi, L’imposta sul valore aggiunto nei rapporti internazionali, in Dir. trib. internaz., a cura di v. uckmar, Padova, 2005, 997 s.

[13] Osserva e. de mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2011, 393, che il regime di applicazione dell’IVA alle operazioni intracomunitarie: «… si basa sul principio dell’imposizione dell’operazione nello Stato membro di destinazione, secondo le aliquote e alle condizioni previste all’interno di tale Stato. Qui il presupposto dell’imposta, che va ad aggiungersi agli altri presupposti previsti dalla legge, è costituito dall’acquisto intracomunitario di beni, intendendosi come tale l’acquisizione a titolo oneroso, effettuata nell’esercizio di imprese, arti o professioni, della proprietà di beni o di altro diritto reale di godimento sugli stessi, trasportati nel territorio dello stato da altro Stato membro dal cedente, nella qualità di soggetto passivo d’imposta, ovvero dall’acquirente o da terzi per suo conto”.

[14] La detassazione relativa delle operazioni intracomunitarie opera, a livello binario, in relazione alla qualifica dell’acquirente (soggetto passivo o non soggetto passivo), fatti salvi i regimi di tassazione “speciale”, quali le vendite con consegna a domicilio, le cessioni di mezzi di trasporto, le cessioni ad operatori non ammessi alla detrazione dell’imposta nei modi ordinari; nonché in relazione al territorio, di origine o partenza del bene ceduto rispetto a quello di destinazione.

[15] Come già in precedenza illustrato in realtà, la normativa transitoria risulta ancora in vigore a causa delle difficoltà (non soltanto tecniche) che esistono nel passaggio al suddetto regime definitivo, incentrato sul principio della tassazione nel Paese di origine. Osserva g. gaffuri, Diritto tributario. Parte generale e parte speciale, Milano, 2009, 593: «Peraltro il mantenimento delle singole entità statali – la cui soppressione è per ora un obiettivo tanto lontano da essere evanescente – impone scelte normative compromissorie, di carattere temporaneo (ma prevedibilmente durature), per l’esigenza di risolvere la concorrenza e gli antagonismi degli Stati che restano i soggetti attivi dell’obbligazione tributaria, qualora le relazioni economiche superino i confini nazionali, svolgendosi peraltro all’interno del territorio comunitario».

[16] Cfr. p. boria, I tributi nell’economia italiana, Torino, 2009, 697, il quale precisa che: «L’effettuazione di un acquisto intracomunitario assume pertanto, nell’ambito del regime transitorio dell’Iva, il connotato di un autonomo presupposto dell’imposta (che si pone accanto a quelli già noti della cessione di beni, prestazione di servizi ed importazione)».

[17] È in questo profilo la sostanziale divergenza giuridico-strutturale tra gli scambi intracomunitari e le operazioni extracomunitarie. Nel caso delle esportazioni, o delle importazioni invero l’ordinamento nazionale si limita a prescrivere l’assoggettamento all’IVA delle importazioni e la detassazione (o comunque l’intassabilità delle esportazioni) non curandosi (né tantomeno dovendosi curare) della sorte fiscale che il bene scambiato subisce al di là del confine comunitario. Cfr. p. boria, I tributi nell’economia italiana, cit., 705-706, il quale nel trattare della cessione intracomunitaria osserva «Detta operazione intracomunitaria è assimilata (in base all’art. 41, d.l. 331/1993) a una cessione all’esportazione: si tratta, dunque, di un’operazione rientrante nel campo di applicazione dell’Iva, in quanto relativa a beni esistenti nel territorio dello Stato, ma non imponibile nel territorio dello Stato in quanto, per il principio dell’applicazione dell’imposta nel paese di destinazione, è soggetta ad imposta nello Stato cui è destinata».

[18] Differenza sostanziale, tuttavia, è nel noto differente metodo di assolvimento del debito di imposta. Il debitore di imposta, in senso proprio, è il cessionario, acquirente del bene, e non – come invece per le cessioni interne – il venditore. Il cessionario indicherà, mediante applicazione del metodo di inversione contabile (reverse charge) nella fattura ricevuta dal cedente di altro Stato membro, l’imposta, provvedendo ad annotare la stessa fattura sia nel registro degli acquisti sia in quello delle vendite. La duplice annotazione influenza la liquidazione periodica del soggetto passivo cessionario, garantendo la neutralità dello schema applicativo del tributo.

 

[19] Cfr. g. gaffuri, Diritto tributario, cit., 595, sub nota 9, il quale evidenzia che «anche per la normativa che riguarda i rapporti infracomunitari, assumono rilievo solo le cessioni di beni e non le prestazioni di servizi, esattamente come avviene per le importazioni e le esportazioni negli scambi con i paesi terzi».

[20] Cioè a dire come nel caso di movimenti di beni con aree esterne al territorio doganale unitario dell’Unione europea.

[21] Cfr. Corte Giust. UE 6 aprile 2006, causa C-245/04, EMAG Handel Eder, in Boll. Trib. On-line.

[22] Cfr. r. rizzardi, in g. falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, VII ed., 2010, 783: «A tal fine si considera operazione imponibile l’acquisto intracomunitario, ricollegando ad esso l’applicazione dell’iva dello Stato in cui il bene è introdotto (fermo restando che la detraibilità, in linea di principio, dell’imposta su tali acquisti rende neutrale il prelievo per l’acquirente»; nonché a p. 784 «l’attuazione del principio della tassazione nel paese di destinazione, per gli scambi tra soggetti passivi, è completata, sul versante opposto, dalla qualificazione come operazioni non imponibili delle cessioni “in uscita” dall’Italia, a fronte delle quali si ha un acquisto intracomunitario in altro Stato membro».

[23] Per completezza si può evidenziare che il luogo di imposizione fiscale, e quindi la rilevanza territoriale dell’IVA, rappresentato dallo Stato membro di identificazione del soggetto passivo acquirente, si discosta dalla ricostruzione del modello dell’imposta fondato sul principio di tassazione al consumo. In altri termini, la tassazione “a destino” assume un connotato convenzionale la cui giustificazione si manifesta in relazione a questioni di semplificazione applicativa dell’imposta, con particolare riferimento al diritto di detrazione, agevolato nel caso di tassazione nel Paese in cui il cliente è identificato, piuttosto che a motivi di principio fondato sulla qualificazione impositiva della struttura dell’IVA quale imposta sul consumo.

[24] In tal senso cfr. Corte Giust. UE, sez. III, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Axel Kittel e Ricolta Recycling SPRL; Corte Giust. UE, sez. III, 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a.; e Corte Giust. CEE, sez. II, 14 febbraio 1985, causa C-268/83, Rompelman; tutte in Boll. Trib. On-line.

[25] Cfr. r. mencarelli – r.r. scalesse – g. tinelli, Introduzione allo studio giuridico dell’Imposta sul Valore aggiunto, Torino, 2012, 69 ss.: «Le cessioni intracomunitarie sono operazioni speculari agli acquisti intracomunitari: ad ogni vendita non imponibile nel Paese del cedente corrisponde un acquisto assoggettato ad imposta nello Stato del cessionario. Per converso, ad ogni acquisto intracomunitario corrisponde una cessione intracomunitaria. Le regole pertanto, sono contrapposte ma legate tra loro».

[26] A tal fine ed a seguito del regolamento Cee n. 218/1992, le Amministrazioni finanziarie nazionali si sono dotate di un sistema informativo unificato, denominato Vies (Vat Information Exchange System), il cui utilizzo rientra nell’ambito della cooperazione amministrativa e che può essere considerato come uno strumento precipuamente predisposto per la lotta alle frodi.

[27] Per una disamina sulle criticità causali connesse all’elaborazione di tale disciplina, cfr. p. russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 1999, 725, il quale evidenzia due motivi a fondamento di siffatta criticità: «Il primo è ravvisabile in una complessa serie di deroghe, oggettive e soggettive, al regime base di tassazione degli scambi intracomunitari. Basti pensare, ad esempio alla disciplina peculiare concernente specifiche operazioni (cessioni di automezzi nuovi e vendite per corrispondenza) rispetto alle quali si è inteso neutralizzare il rischio di distorsioni imputabili al mutato meccanismo impositivo … Il secondo consiste nella necessità di predisporre una formalizzazione delle operazioni intracomunitarie tale sia da consentire l’adempimento del tributo pur in assenza delle verifiche doganali, sia una ragionevole possibilità di controllo a posteriori da parte degli uffici competenti nonostante la diversa nazionalità del cessionario o del cedente; esigenza che ha condotto ad imporre una complessa serie di adempimenti formali, obbiettivamente tutt’altro che agevoli, specie nella prima fase applicativa delle nuove disposizioni».

 

[28] Direttiva 2010/45/UE del Consiglio del 13 luglio 2010, «recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda le norme in materia di fatturazione».

[29] Tali modifiche sono state apportate conla Direttiva 2008/8/CE, recepita con il D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18.

[30] Proposta COM (2009) 21 del 28 gennaio 2009, al 3° considerando si precisa che: «Occorre semplificare le norme relative all’esigibilità dell’IVA dovuta sulle cessioni intracomunitarie di beni per assicurare l’uniformità delle informazioni trasmesse con gli elenchi riepilogativi e la tempestività dello scambio di informazioni tramite tali elenchi. Occorre sopprimere la deroga prevista all’articolo 67, paragrafo 2, della Direttiva 2006/112/CE, che consente che l’imposta diventi esigibile al momento dell’emissione della fattura; occorre che l’IVA diventi esigibile solo al momento della consegna dei beni. Inoltre, occorre che l’imposta sulle cessioni di beni effettuate in modo continuativo da uno Stato membro ad un altro per un periodo superiore ad un mese di calendario diventi esigibile alla fine di ogni mese di calendario. Occorre modificare in modo analogo le norme relative all’esigibilità dell’IVA sugli acquisti intracomunitari di beni».

[31] Cfr. Corte Giust. UE, sez. I, 6 aprile 2006, causa C-245/04, Emag, in Boll. Trib. On-line. Nelle conclusioni dell’Avvocato generale (punti 23-24-25) viene evidenziato come: «Il regime transitorio intende conservare immutata l’attuale suddivisione, tra gli Stati membri, della sovranità in materia fiscale. L’IVA, in quanto imposta al consumo, deve continuare ad essere pagata nello Stato membro in cui avviene il consumo finale. Per garantire tale risultato,la direttiva 91/680 ha introdotto per gli scambi tra gli Stati membri, come nuovo fatto generatore dell’imposta, l’acquisto intracomunitario (art. 28-bis, n. 1, lett. a). In questo caso viene, invero, tassata la ricezione della merce da parte dell’acquirente nello Stato membro d’importazione. Questo fatto generatore dell’imposta ha sostituito la precedente tassazione all’importazione». Per evitare una doppia tassazione le autorità fiscali sono state coordinate in modo tale che: «nel caso di un’operazione interna alla Comunità, una competenza comincia solo là dove termina l’altra». Inoltre «poiché in base al regime transitorio vigente l’acquisto intracomunitario viene tassato nel paese di destinazione della merce, la corrispondente cessione intracomunitaria nel paese d’origine deve essere esentata (art. 28 quater, punto A, lett. a), della sesta direttiva). Pertanto, mentre l’acquisto intracomunitario ha preso il posto della tassazione dell’importazione, l’esenzione della cessione intracomunitaria sostituisce l’esenzione all’atto dell’esportazione».

[32] In altri termini, la scissione dell’operazione intracomunitaria in due distinte operazioni, in qualche modo, pare giustificare anche il ricorso a deroghe di derivazione nazionale il cui impatto sembra essere limitato al mercato interno, proprio in funzione dell’autonomia della frazione di operazione che rientra nell’alveo della potestà legislativa statuale dello Stato membro di origine ovvero di destinazione del bene oggetto di scambio comunitario.

 

[33] Il superamento del regime transitorio degli scambi intracomunitari si pone, altresì, oltre che l’obiettivo di uniformare le regole generali del momento impositivo e delle modalità e termini entro i quali le operazioni devono essere contabilizzate e l’imposta assolta anche il tendenziale obiettivo di semplificazione strutturale delle operazioni intracomunitarie, limitando per quanto più possibile le deroghe e le specificità delle normative nazionali, invero troppo sovente percepite nelle peculiarità attuative e nella conseguente complessità esecutiva di attuazione del tributo.

[34] Tale regime, fondato sul principio di tassazione nel paese di destinazione, appare oramai consolidatosi nel tempo. Finché non si registrerà una volontà politica degli Stati membri di passare al sistema definitivo in base al quale i beni e i servizi siano tassati nel Paese di origine dell’operazione, l’intera operatività del sistema dell’IVA potrà essere incrementata solo attraverso un rispetto e un affinamento delle peculiarità del sistema vigente. Cfr. a. di pietro, Lo stato della fiscalità nell’Unione Europea, Roma, 2003, 10: «Nel settore dell’imposizione indiretta quella sul valore aggiunto è ancora oggi caratterizzata dalla precarietà che riguarda la sua stessa funzione: quella originaria di garanzia di neutrale imposizione sui consumi in un mercato unico con un sistema unico che operi come supporto e non come condizionamento per le libertà economiche del mercato integrato».

[35] Proposta COM (2009) 21 del 28 gennaio 2009, cit.

[36] In quanto “normali” operazioni ai fini IVA gli scambi intracomunitari di beni costituiscono operazioni che debbono integrare nel sistema transitorio degli scambi intracomunitari di beni di cui al D.L. n. 331/1993 i requisiti oggettivo e soggettivo, consistenti rispettivamente nell’onerosità dell’operazione e nell’effetto traslativo o costitutivo della proprietà (cfr. art. 2, comma 1, e art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972) e nella soggettività passiva IVA (di cui agli artt. 4 e 5 del D.P.R. n. 633/1972).

[37] Sotto tale profilo, l’art. 41 del D.L. n. 331/1993 delinea una nozione di cessione intracomunitaria tendenzialmente speculare rispetto a quella di acquisto intracomunitario di cui all’art. 38, commi 1 e 2, del D.L. n. 331/1993. Per la realizzazione di una cessione intracomunitaria devono sussistere, in linea di principio, gli stessi requisiti previsti per la configurabilità di un acquisto intracomunitario: sia il cedente sia l’acquirente devono essere soggetti passivi d’imposta (ovvero l’acquirente deve comunque essere un soggetto tenuto ad applicare l’imposta sugli acquisti intracomunitari effettuati; inoltre l’operazione deve comportare il trasferimento o la costituzione della proprietà o di altro diritto reale su beni mobili e deve essere posta in essere a titolo oneroso. Inoltre, i beni ceduti devono essere effettivamente spediti o trasportati in altro Stato membro.

[38] Sulle differenze di qualificazione delle operazioni cfr. Corte giust. UE, sez. III, 22 dicembre 2010, causa C-277/09, RBS Deutschland Holdings, in Boll. Trib. On-line.

[39] Cfr. Corte Giust., sez. grande, 7 dicembre 2010, causa C-285/09, “R”, in Boll. Trib. On-line. Cfr. l’art. 16, par. 1, del Reg. UE 15 marzo 2011, n. 282, di rifusione dell’art. 21, par. 1, del Reg. CE 17 ottobre 2005, n. 1777, secondo cui lo «… Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni nel quale è effettuato un acquisto intracomunitario di beni (…) esercita il proprio potere impositivo indipendentemente dal trattamento IVA applicato all’operazione nello Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni».

[40] Vi è da rilevare che nell’individuare il momento di effettuazione delle operazioni, l’art. 39 del D.L. n. 331/1993 distingue il caso i cui i beni sono trasportati dal cedente da quello in cui i beni siano trasportati dal cessionario. Nel primo caso gli acquisti intracomunitari si considerano effettuati al momento della consegna nel territorio dello Stato all’acquirente (o a terzi per suo conto). Nel secondo caso, ossia laddove il trasporto dei beni avvenga a cura del cessionario, si considereranno effettuati al momento di arrivo a destinazione nel territorio stesso. Cfr. sul punto p. maspes, Commentario breve alle leggi tributarie, tomo IV, a cura di g. marongiu, Padova, 2011, 670.

 

[41] Cfr. art. 40del D.L. n. 331/1993. Ma è in particolare nella disposizione comunitaria che si ricavano maggiormente i limiti del legame che unisce il luogo fisico del bene con il luogo giuridico dell’operatore, ossia il collegamento tra luogo di provenienza e/o destinazione del bene e luogo di identificazione degli operatori. Invero, l’art. 40 della Direttiva 2006/112/CE contempla una regola territoriale secondo cui «è considerato luogo di un acquisto intracomunitario di beni il luogo in cui i beni si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente». Il successivo art. 41 della medesima direttiva introduce una deroga di collegamento territoriale non più fisico ma giuridico, in riferimento allo status, ossia alla identificazione ai fini del tributo, del soggetto acquirente. La suddivisione giuridica dell’operazione intracomunitaria in due distinte operazioni determina che l’art. 40 del D.L. n. 331/1993 sia riservato esclusivamente agli acquisti intracomunitari; mentre per le cessioni intracomunitarie trova applicazione la regola generale di territorialità contemplata, per le cessioni di beni, dall’art. 7-bis del D.P.R. n. 633/1972. Cfr. sul punto Corte Giust. UE causa C-245/04 del 2006, Emag, punto 40, cit.: «(…) l’interpretazione delle disposizioni rilevanti della VI Direttiva, secondo la quale l’unico movimento intracomunitario di beni è imputato ad una sola delle due cessioni successive, consente di raggiungere in modo semplice l’obiettivo perseguito dal regime transitorio di cui al Titolo XVI-bis di tale Direttiva, vale a dire il trasferimento del gettito fiscale allo Stato membro in cui avviene il consumo finale dei beni ceduti. Tale trasferimento è infatti garantito, in occasione dell’unica operazione che dà luogo ad un movimento intracomunitario di beni, dall’applicazione combinata degli artt. 28-quater, parte A, lettera a), comma 1 (esenzione, da parte dello Stato membro di partenza, della cessione che dà luogo alla spedizione o al trasporto intracomunitario), 17, n. 3, lettera b), come modificato dall’art. 28-septies, punto 1 (detrazione o rimborso, da parte dello Stato membro di partenza, dell’Iva dovuta o pagata a monte in tale Stato membro), e 28-bis, n. 1, lettera a), comma 1 (tassazione da parte dello Stato membro di destinazione dell’acquisto intracomunitario), della VI Direttiva. Tale meccanismo assicura una chiara delimitazione dei poteri impositivi degli Stati membri interessati».

[42] Cfr. Corte Giust. UE, sez. III, 22 aprile 2010, cause riunite C-536/08 e C-539/08, Staatssecretaris van Financiën, in Boll. Trib. On-line. Gli acquisti intracomunitari, come noto, sono effettuati nel territorio dello Stato se si verificano due condizioni. Anzitutto, gli acquisti devono avere ad oggetto beni originari di altro Stato membro o ivi immessi in libera pratica. Inoltre, tali beni devono essere spediti o trasportati dal territorio di altro stato membro nel territorio dello Stato.

[43] L’Amministrazione finanziaria ha precisato, nella circ. 23 febbraio 1994, n. 13/E, in Boll. Trib., 1994, 377, che: «In ordine all’effettuazione delle cessioni intracomunitarie, il decreto legge nulla prevede al riguardo, per cui rimane operante la disposizione di rinvio alle norme del D.P.R. n. 633 del 1972 operata dall’art. 56 del decreto-legge. Pertanto si rendono applicabili le disposizioni contenute nell’art. 6 del citato D.P.R. n. 633 del1972, in base al quale, com’è noto, il momento di effettuazione per i beni mobili materiali si considera verificato, in linea generale, all’atto della loro consegna o spedizione». Secondo l’art. 68 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, l’acquisto intracomunitario di beni è considerato effettuato nel momento in cui è considerata effettuata la cessione di beni analoghi nel territorio dello Stato membro.

[44] Cfr. amplius p. centore, Iva europea, Milano, 2006, 327.

[45] Una disciplina precipua sul momento di effettuazione della cessione intracomunitaria non si evince neppure nella norma che disciplina la nozione stessa e il catalogo dei presupposti perché sussista una cessione intracomunitaria (ossia l’art. 41 del D.L. n. 331/1993).

[46] Era evidente il disallineamento della previsione che attribuiva rilevanza al momento di arrivo dei beni (nel territorio dello Stato), anziché – come per le cessioni – al momento della partenza (dal territorio dello Stato membro di origine), mentre le previsioni seguenti, tralasciando i profili comunitari, risultavano conformi alla disciplina delle operazioni interne.

[47] La rubrica dell’art. 39 del D.L. n. 331/1993 è stata significativamente modificata da «effettuazione dell’acquisto intracomunitario» in «effettuazione delle cessioni e degli acquisti intracomunitari».

 

[48] Secondo la giurisprudenza comunitaria, il principio di destinazione, che caratterizza l’imposizione degli scambi intracomunitari di beni, non è subordinato al rispetto di un limite temporale tra la data di inizio e quella di conclusione del trasporto. In particolare, la natura intracomunitaria dell’operazione, che giustifica la detassazione nel Paese di origine in ragione dalla tassazione nel Paese di destinazione, non viene meno nell’ipotesi di utilizzo temporaneo del bene nel Paese di partenza o in altro Paese diverso da quello in cui esso giungerà finalmente: cfr. Corte Giust. UE, sez. II, 18 novembre 2010, causa C-84/09, X, punti 26-38, in Boll. Trib. On-line. I giudici comunitari, escludendo che il trasporto debba concludersi nel Paese di destinazione entro un determinato periodo di tempo affinché la cessione possa essere esentata da imposta, hanno inteso tutelare il divieto di doppia imposizione, che risulterebbe violato allorché il Paese di destinazione esiga (legittimamente) l’imposta sull’acquisto intracomunitario indipendentemente dal trattamento applicato nel Paese di origine.

[49] L’art. 68 della Direttiva 2006/112/CE prevede che: «il fatto generatore dell’imposta si verifica al momento dell’effettuazione dell’acquisto intracomunitario di beni. L’acquisto intracomunitario di beni è considerato effettuato nel momento in cui è considerata effettuata la cessione di beni analoghi nel territorio dello Stato membro». L’art. 69 della Direttiva 2006/112/CE prevede a sua volta che «nei casi di acquisti intracomunitari di beni, l’IVA diventa esigibile al momento dell’emissione della fattura o alla scadenza del termine di cui all’articolo 222, primo comma, se nessuna fattura è stata emessa entro tale data».

[50] Ai sensi dell’art. 39 del D.L. n. 331/1993: «Tuttavia se gli effetti traslativi o costitutivi si producono in un momento successivo alla consegna, le operazioni si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna. Parimenti nel caso di beni trasferiti in dipendenza di contratti estimatori e simili, l’operazione si considera effettuata all’atto della loro rivendita a terzi o del prelievo da parte del ricevente ovvero, se i beni non sono restituiti anteriormente, alla scadenza del termine pattuito dalle  parti e in ogni caso dopo il decorso di un anno dal ricevimento. Le disposizioni di cui al secondo e al terzo periodo operano a condizione che siano osservati gli adempimenti di cui all’articolo 50, comma 5».

[51] Cfr. art. 17, par. 2, della Direttiva 2006/112.

[52] Sotto tale profilo, con la nuova disposizione, il momento di effettuazione dell’operazione, ove sia riferito alla fatturazione anticipata rispetto all’inizio della movimentazione fisica del bene, è anticipato rispetto al previgente, potendo essere sempre antecedente o, al limite, contestuale la data della fattura rispetto a quella di ricezione della stessa, da parte del cessionario.

 

[53] La normativa italiana vigente al 31 dicembre 2012 contemplava una espressa disciplina per il caso dei servizi intracomunitari di tipo continuativo (art. 6, comma 6, del D.P.R. n. 633/1972).

[54] Il comma 3 dell’art. 39 del D.L. n. 331/1993 così dispone: «3. Le cessioni ed i trasferimenti di beni, di cui all’articolo 41, comma 1, lettera a), e comma 2, lettere b) e c), e gli acquisti intracomunitari di cui all’articolo 38, commi 2 e 3, se effettuati in modo continuativo nell’arco di un periodo superiore ad un mese solare, si considerano effettuati al termine di ciascun mese».

[55] Cfr. art. 41, comma 1, lett. b), del D.L. n. 331/1993, ossia le vendite in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, spediti e trasportati dal cedente o per suo conto.

[56] Cfr. art. 41, comma 1, lett. c), del D.L. n. 331/1993.

[57] L’art. 64., par. 2, comma 1, è completato dal successivo comma 3, prevedendo la facoltà degli Stati membri di individuare ulteriori ipotesi di cessioni continuative, diverse da quelle indicate nel primo comma (e nel secondo comma, relativo ai servizi), per le quali venga fissato il termine di rilevanza ai fini dell’imposta almeno alla scadenza di un anno.

[58] Sull’individuazione del momento impositivo nell’IVA, cfr. m.c. fregni, Il momento impositivo, in aa.vv., L’imposta sul valore aggiunto. Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da f. tesauro, Torino, 2001, 223 ss.; p. russo, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009, 320 ss.; e f. tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, Torino, 2008, 264 ss.

 

[59] L’art. 222 della Direttiva 2006/112/CE, come sostituito dalla Direttiva 2010/45/UE, stabilisce che, per le cessioni intracomunitarie rese a soggetti passivi stabiliti in altri Stati membri, la fattura è emessa entro il giorno quindi del mese successivo a quello in cui si è verificato il fatto generatore dell’imposta.

[60] L’integrazione della fattura è un procedimento che, a livello di operazioni comunitarie, consiste nell’indicare i dati richiesti dall’art. 46 del D.L. n. 331/1993, ossia in sostanza l’imponibile e l’IVA, direttamente sulla stessa fattura ricevuta dal fornitore comunitario. È quindi la fattura del fornitore comunitario che assume rilevanza come documento valido ai fini IVA. Tale procedimento si concretizza per il tramite di un procedimento di assolvimento dell’imposta in luogo del fornitore che contempla l’integrazione della fattura, con indicazione dell’aliquota di imposta e la applicazione della medesima. In base a tale disciplina, il committente soggetto passivo stabilito in Italia deve dunque integrare la fattura del fornitore estero e annotarla nei registri di cui agli artt. 23 e 25 del D.P.R. n. 633/1972 entro il mese di ricevimento della fattura stessa, ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese. Tale procedimento, peraltro, non riguarda solo, come noto, le operazioni intracomunitarie ma concerne anche talune tipologie di operazioni interne espressamente contemplate dalla legge.

[61] Cfr. art. 222, comma 1, della Direttiva 2006/112: «per le cessioni di beni effettuate alle condizioni previste dall’articolo 138 o per le prestazioni di servizi per le quali l’imposta è dovuta dal destinatario dei beni o dei servizi a norma dell’articolo 196, la fattura è emessa entro il quindicesimo giorno del mese successivo a quello in cui si è verificato il fatto generatore dell’imposta».

[62] Cfr. art. 69: «nei casi di acquisti intracomunitari di beni, l’IVA diventa esigibile al momento dell’emissione della fattura o alla scadenza del termine di cui all’articolo 222, primo comma, se nessuna fattura è stata emessa entro tale data».

 

[63] Invero, la possibilità di intervenire su di un documento emesso dal cedente, senza che ci sia l’obbligo di effettuare un’autofattura, risponde a una duplice esigenza. Anzitutto, il cessionario non è obbligato a sua volta ad emettere e a conservare un documento ulteriore. Inoltre, le Amministrazioni fiscali dei singoli Stati membri, anche grazie all’esistenza di un singolo documento – la fattura del cedente comunitario – sono in grado di effettuare con maggiore efficacia eventuali controlli incrociati.

[64] Cfr. r. mencarelli – r.r. scalesse – g. tinelli, Introduzione allo studio giuridico dell’Imposta sul Valore aggiunto, cit., 112: «L’obbligo di fatturazione, infatti, è funzionale, oltre che alle ordinarie esigenze di documentazione e controllo, alla creazione del titolo che legittima il cedente o il prestatore ad esercitare la rivalsa e l’acquirente o il committente ad operare la detrazione dell’imposta addebitatagli in fattura».

[65] Nel sistema dei rapporti obbligatori disciplinati dalla normativa IVA la fattura assume una duplice rilevanza sia sotto il profilo di adempimento formale sia dal punto di vista dell’adempimento sostanziale e dei controlli fiscali. Cfr. e. de mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2011, 400: «La fattura sembrerebbe avere dunque un’efficacia accertativa dell’operazione sotto due profili: a) essa fissa l’avverarsi e il contenuto dell’operazione; b) l’imposta è dovuta per l’ammontare indicato corrispondente alle indicazioni della fattura, anche se questa è posta in essere per operazioni inesistenti ovvero se nella fattura i corrispettivi sono indicati in misura superiore a quello effettivo».

[66] Cfr. r. portale, Imposta sul valore aggiunto, Milano, 2012, 843: «L’obbligo di fatturazione, infatti, è funzionale, oltre che alle ordinarie esigenze di documentazione e controllo, alla creazione del titolo che legittima il cedente o prestatore ad esercitare la rivalsa e l’acquirente o committente ad operare la detrazione dell’imposta addebitata in fattura».

[67] In altri termini, parrebbe inevitabile dovere prevedere e riconoscere un décalage temporale tra il termine di fatturazione per il cedente e il termine di integrazione della fattura da parte del cessionario. Diversamente la norma nazionale potrebbe essere ritenuta in conflitto con il principio comunitario di effettività, non consentendo all’acquirente nazionale di assolvere tempestivamente il debito di imposta cui correlare l’esercizio del proprio diritto alla detrazione.

[68] Osserva p. boria, in Diritto tributario, a cura di a. fantozzi, Torino, 2012, 556: «La fattura costituisce un documento recettizio, e pertanto l’emissione viene perfezionata con la predisposizione di un meccanismo di trasmissione che consenta il raggiungimento nella sfera di conoscibilità della controparte negoziale».

[69] Cfr. art. 46, comma 5, del D.L. n. 331/1993.

[70] Analoga regolarizzazione deve operare anche nel caso in cui la fattura sia stata emessa dal cedente comunitario ma non risulti regolare in quanto con un imponibile inferiore rispetto a quello pattuito tra le parti. Per gli acquisti intracomunitari effettuati fino al 31 dicembre 2012, il cessionario nazionale nell’ipotesi in cui non avesse ricevuto la fattura entro il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, doveva emettere autofattura, in un unico esemplare, entro il mese seguente. Diversamente, nell’ipotesi in cui la fattura avesse esposto un corrispettivo inferiore, il cessionario doveva emettere autofattura integrativa entro il quindicesimo giorno successivo alla registrazione della fattura originaria.

 

[71] Cfr. art. 69 della Direttiva 2006/112/CE.

[72] Si è già accennato del disallineamento di tale disciplina rispetto all’art. 69 della Direttiva 2006/112/CE, come sostituito dalla Direttiva 2010/45/UE secondo il quale, l’IVA relativa all’acquisto intracomunitario diventa esigibile al momento dell’emissione della fattura o alla scadenza del termine previsto per l’emissione della stessa (quindicesimo giorno del mese successivo all’effettuazione dell’operazione), qualora nessuna fattura risulti emessa entro tale termine.