Q. – La società “X” ha ricevuto un avviso di accertamento ai fini IVA 2006 e 2007 che è stato definito con adesione; l’IVA è stata pagata con rateizzazione in parte nel 2012 e, in parte, verrà pagata nel 2013.
L’IVA accertata e definita deriva da operazioni soggettivamente inesistenti.
Infatti l’Agenzia delle entrate ha attestato che l’imposta accertata non scaturisce da un’indebita detrazione da parte della società “X” ma da operazioni riqualificate, in sede di contraddittorio, quali operazioni imponibili con imposta dovuta.
Concretamente le fatture riguardano provvigioni per intermediazioni su beni all’esportazione emesse in origine da un soggetto residente extracee che invece l’Agenzia delle entrate riconduce a un operatore italiano e, per questo motivo, assoggetta ad IVA.
La società “X”, che ha effettivamente pagato i compensi di intermediazione, non aveva alcun interesse e non traeva alcun beneficio dal fatto che le provvigioni fossero fatturate da una società estera piuttosto che da un operatore italiano e fossero assoggettate o meno ad IVA.
Le fatture in discorso, infatti, se emesse da operatore italiano, sarebbero state sin dall’origine non imponibili ai fini IVA ex art. 9 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, essendo tutte relative a provvigioni su beni in esportazione e avendo, inoltre, la società la qualifica di esportatore abituale.
Per quanto riguarda gli aspetti penali, l’Ufficio del giudice per le indagini preliminari ha disposto l’archiviazione come richiesto dalla Procura della Repubblica.
Premesso quanto sopra si chiede se l’IVA 2006 e 2007 pagata dalla società “X” in seguito all’adesione agli avvisi di accertamento possa essere regolarmente detratta negli anni di versamento (2012 e2013, inbase all’anno in cui l’IVA è stata materialmente versata all’erario) in quanto la società “X” è risultata in buona fede ed estranea a qualsiasi atto di frode.
R. – In riferimento al presente quesito, occorre segnalare l’esistenza di due differenti filoni giurisprudenziali che, a tutt’oggi, pervengono a conclusioni diametralmente opposte per quanto concerne la spettanza del diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti in capo al cessionario per il caso di operazioni soggettivamente inesistenti con la presenza di soggetto interposto.
In senso negativo si è espressa recentemente la Cortedi Cassazione la quale, con l’ordinanza 7 novembre 2012, n. 19218 (in Boll. Trib. On-line), ha affermato che, in caso di utilizzo di fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’IVA si perde anche se la merce oggetto dell’operazione sia stata realmente consegnata e i costi effettivamente sostenuti.
Secondo la Suprema Corte, infatti, la provenienza della merce da un soggetto diverso da quello cartolare non è una circostanza indifferente ai fini della detraibilità dell’imposta ovvero, più precisamente, «la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente».
Inoltre, in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, verrebbe meno una delle condizioni determinanti ai fini della detrazione dell’imposta, ovvero l’inerenza dell’operazione all’attività del cessionario prevista espressamente dall’art. 19, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
La citata ordinanza della Suprema Corte afferma infatti che il requisito dell’inerenza «è mancante in relazione all’IVA corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza».
Tuttavia, sul punto, esiste un ulteriore filone giurisprudenziale, altrettanto recente, con il quale viene invece data soluzione positiva al quesito in esame.
La Cortedi Cassazione, infatti, con la sentenza 19 ottobre 2012, n. 18009 (in Boll. Trib. On-line), ha affermato il diritto dell’utilizzatore di detrarre l’IVA assolta solo nel caso in cui venga fornita prova all’Amministrazione finanziaria di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo fosse persona diversa dal fornitore cartolare.
Nel dettaglio, la citata pronuncia afferma che il contribuente conserva il diritto di detrarre l’imposta solo se «provi che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta e, in particolare, se dimostri almeno una di queste due circostanze e cioè di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, non sia stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione».
In sostanza, secondo il ragionamento qui seguito dai giudici di legittimità, in casi siffatti, l’acquirente potrebbe invocare il principio della buona fede, sempre che sia in grado di dimostrare che non poteva conoscere la natura fittizia dell’impresa che ha emesso i documenti fiscali soggettivamente inesistenti.
Infine, occorre segnalare il recente orientamento della Corte di Giustizia UE (21 maggio 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11) in base al quale, in presenza di fatture soggettivamente inesistenti, spetterebbe all’Amministrazione finanziaria dimostrare che il contribuente era a conoscenza della frode posta in essere da terzi; ciò in quanto, essendo il diniego del diritto a detrazione pur sempre un’eccezione all’applicazione di un principio fondamentale, ricade sull’Ufficio impositore l’onere di dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in un’operazione fraudolenta posta in essere dal cedente.
Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che, nel caso qui prospettato, la società X possa vedersi negato, in prima battuta, il diritto alla detrazione dell’IVA pagata in seguito all’accertamento con adesione.
Tuttavia, per tale denegata ipotesi, il contribuente, qualora possa dimostrare effettivamente di avere agito in buona fede (pur in presenza di fatture per provvigioni emesse da soggetto extra UE), potrebbe sollevare la questione in sede giudiziale in ragione del secondo filone giurisprudenziale sopra richiamato (cfr. Cass. n. 18009/2012, cit.) e dell’auspicato allineamento della giurisprudenza nazionale con i principi affermati dalla Corte di Giustizia.