12 Marzo, 2015

Circolare 5 marzo 2015, n. 9/E, dell’Agenzia delle entrate

 

INDICE:

 

1. premessa.

 

2. la natura dell’istituto e i presupposti della sua applicabilità; 2.1 Il reddito prodotto all’estero e la lettura “a specchio” dell’articolo 23 del TUIR; 2.2 Il concorso del reddito estero alla formazione del reddito complessivo del residente; 2.3 Le imposte estere che danno diritto al credito; 2.4 Definitività delle imposte pagate all’estero.

 

3. la determinazione del credito d’imposta; 3.1 Il meccanismo di calcolo; 3.2 I singoli elementi del rapporto; 3.3 Il periodo d’imposta per il quale spetta e deve essere richiesta la detrazione; 3.3.1 Il limite dell’imposta netta dovuta e la disposizione dell’articolo 11, comma 4, del TUIR; 3.3.2 La riliquidazione della detrazione spettante nei casi di pagamenti frazionati delle imposte estere o di rimborso delle imposte estere; 3.4 Omessa dichiarazione redditi prodotti all’estero – Art. 165, comma 8, del TUIR.

 

4. la limitazione della detrazione per singolo stato (per country limitation).

 

5. parziale concorso del reddito estero alla formazione del reddito complessivo e misura del credito; 5.1 Utili distribuiti da entità estere trasparenti.

 

6. la riliquidazione delle imposte estere a seguito dell’accertamento di un maggior reddito.

 

7. le disposizioni specifiche per le imprese; 7.1 Il periodo d’imposta in cui può essere operata la detrazione per le imprese con stabile organizzazione all’estero; 7.2 Riporto delle eccedenze: ambito soggettivo e oggettivo; 7.3 Le modalità di calcolo delle eccedenze e il riporto all’indietro (carry back) e in avanti (carry forward); 7.3.1 Il calcolo delle eccedenze quando il numeratore del rapporto (RE/RCN) di cui al primo comma dell’art. 165 del TUIR è pari a zero o assume valore negativo; 7.3.2 Il calcolo delle eccedenze quando il denominatore del rapporto (RE/RCN) di cui al primo comma dell’art. 165 del TUIR è pari a zero o assume valore negativo ed il reddito estero è positivo; 7.3.3 Il calcolo delle eccedenze nell’ipotesi in cui le imposte estere si rendono definitive, in tutto o in parte, in periodi d’imposta successivi a quello di appartenenza del reddito; 7.3.4 Calcolo delle eccedenze nell’ipotesi in cui il reddito estero è prodotto in periodi d’imposta diversi; 7.3.5 Calcolo eccedenze in ipotesi di produzione di redditi in più Stati e collegamento con il principio della per country limitation.

 

8. il credito d’imposta e le stabili organizzazioni; 8.1 Il riconoscimento del credito alle stabili organizzazioni in Italia di imprese estere; 8.2 Il riconoscimento del credito alle stabili organizzazioni all’estero di imprese italiane nei casi in cui non vi sia coincidenza tra la fonte del reddito e la fonte delle imposte; 8.3 Stabile organizzazione all’estero con periodo d’imposta non coincidente con quello di casa madre italiana.

 

 

 

«1. premessa

 

 

 

La doppia imposizione internazionale è generata dal sovrapporsi di pretese impositive, tra loro concorrenti, di più Stati che radicano le rispettive potestà tributarie sulla base di criteri non coordinati tra loro.

 

Tale conflitto tipicamente si verifica tra Stato della fonte e Stato della residenza, laddove il primo applichi il principio di territorialità e il secondo adotti un approccio di tassazione del reddito mondiale (il cosiddetto “worldwide principle”).

 

I rimedi alla doppia imposizione che vengono comunemente adottati dagli Stati consistono nel metodo dell’esenzione e in quello del credito d’imposta.

 

Entrambi sono previsti come alternativi nel Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, all’articolo 23, lettere A e B, che concede agli Stati la libera scelta del metodo con cui sanare la doppia imposizione.

 

L’ordinamento fiscale italiano ha adottato il credito d’imposta (c.d. “foreign tax credit”) sui redditi prodotti all’estero dai propri residenti, già disciplinato dall’articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito, in breve, “TUIR”).

 

Attualmente, il sistema del credito per le imposte estere è regolato dall’articolo 165 del TUIR, inserito dal decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344 (di seguito “decreto”), nel Titolo III, Capo II, dedicato alle “Disposizioni relative ai redditi prodotti all’estero ed ai rapporti internazionali”, applicabile a tutti i soggetti IRPEF e IRES.

 

Fino alla riforma del sistema fiscale italiano operata con legge 7 aprile 2003, n. 80 (“Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale”), la disciplina del credito per le imposte pagate all’estero presentava diversi problemi applicativi, quali la mancanza di una nozione di “reddito prodotto all’estero”, la perdita del credito non utilizzato, l’assenza di una specifica disciplina dedicata alle ipotesi di concorrenza parziale del reddito estero al reddito complessivo.

 

L’intervento normativo operato dalla legge n. 80/2003 ha anche reso coerente il sistema del credito d’imposta con gli istituti introdotti con la riforma del 2004.

 

In particolare, a differenza della previgente disciplina, l’attuale formulazione dell’articolo 165 del TUIR contiene:

 

• una diversa modalità di calcolo della quota d’imposta italiana riferita al reddito estero, assumendo al denominatore il reddito complessivo “al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”;

 

• una definizione di “reddito prodotto all’estero”, mediante il richiamo alla lettura “a specchio” dell’articolo 23 del TUIR;

 

• il meccanismo del riporto in avanti e indietro delle eccedenze di imposta sia italiana che estera (applicabile ai titolari di reddito d’impresa), per non lasciare inutilizzato l’eventuale credito non fruito in un determinato periodo d’imposta;

 

• la riduzione del credito in misura proporzionale nei casi di parziale concorrenza del reddito estero all’imponibile del residente;

 

• il riferimento agli istituti del consolidato e della trasparenza fiscale.

 

Con la presente circolare si forniscono chiarimenti e nozioni operative sul funzionamento del sistema del credito per le imposte pagate all’estero, che consente al contribuente di ovviare alla doppia imposizione internazionale.

 

A tal fine, sarà illustrato l’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo dell’articolo 165 del TUIR, con particolare riferimento alla nozione di reddito estero, alla natura e alla definitività dell’imposta estera. 

 

Ci si soffermerà, quindi, sulle procedure di calcolo della detrazione spettante, sui limiti di detraibilità e sugli adempimenti che il contribuente deve porre in essere in sede di dichiarazione, tenuto conto anche dei casi in cui si verifichi uno sfasamento temporale tra il concorso del reddito estero alla formazione del reddito complessivo e la definitività dell’imposta estera.

 

Ulteriori chiarimenti e dettagli operativi verranno forniti sulla regola della per country limitation, già prevista nel previgente articolo 15 del TUIR, secondo cui nel caso di redditi prodotti in più Stati esteri la detrazione deve essere effettuata separatamente per ciascuno Stato.

 

Saranno, inoltre, trattate le ipotesi in cui si verifica il parziale concorso del reddito estero al reddito complessivo che, ai sensi del comma 10 dell’articolo 165 del TUIR, determina la riduzione dell’imposta estera detraibile in misura corrispondente.

 

Si forniranno, poi, chiarimenti sulle conseguenze di una riliquidazione delle imposte estere determinata dall’accertamento di un maggior reddito. 

 

Particolare attenzione verrà dedicata ai commi 5 e 6 dell’articolo 165 del TUIR (rivolti alle imprese che producono redditi esteri), che sono diretti a mitigare eventuali effetti distorsivi derivanti dai disallineamenti tra la norma domestica e quella dello Stato della fonte. Per i redditi d’impresa prodotti all’estero mediante stabili organizzazioni, il comma 5 consente, infatti, di calcolare la detrazione dall’imposta del periodo di competenza anche se il pagamento a titolo definitivo avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al primo periodo d’imposta successivo. 

 

Il successivo comma 6, invece, introduce il meccanismo del riporto indietro e in avanti (in seguito, rispettivamente definiti anche “carry back” e “carry forward”), consentendo ai residenti che producono reddito d’impresa all’estero la possibilità di riportare avanti e indietro, per sedici esercizi complessivi, il foreign tax credit che, per incapienza dell’imposta italiana, non può essere riconosciuto nel periodo di “appartenenza” del reddito estero. 

 

Infine, una trattazione a parte sarà riservata alla fruizione del credito per imposte estere da parte delle stabili organizzazioni.

 

 

 

 

 

 

 

2. la natura dell’istituto e i presupposti della sua applicabilità

 

 

 

 

 

L’istituto del credito di imposta costituisce un rimedio contro la doppia imposizione giuridica che viene a crearsi in presenza di redditi transnazionali assoggettati a tassazione, in capo al medesimo soggetto, sia nel Paese in cui il reddito è prodotto, sia nel Paese di residenza. L’ordinamento italiano ha optato per il sistema del credito d’imposta in coerenza con il principio generale di tassazione dei residenti per tutti i redditi posseduti, ovunque prodotti.

 

Tale sistema – a differenza del diverso metodo dell’esenzione, che consolida sempre le imposte del Paese in cui il reddito è prodotto – rende definitivo il livello di imposizione più elevato (quello del Paese della fonte o quello del Paese di residenza). 

 

Con tale metodo, infatti, quando l’imposta estera, rispetto a quella dovuta in Italia (Paese di residenza del contribuente) è:

 

• inferiore, occorre versare all’Erario italiano la differenza;

 

• superiore, non si dà luogo a “restituzione” dell’eccedenza, in quanto il credito – come meglio si chiarirà – compete solo fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa al reddito estero.

 

Le asimmetrie tra imposta estera e italiana sono influenzate, oltre che dal diverso gioco delle aliquote, anche dalle differenze nei criteri di imputazione a periodo o di quantificazione dell’ammontare del reddito estero che viene assoggettato a imposizione nello Stato della fonte e in Italia secondo le rispettive norme interne.

 

L’articolo 165, comma 1, del TUIR detta le condizioni di applicabilità del credito, prevedendo che “se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta”.

 

In particolare, le tre condizioni richieste dalla disposizione in commento sono:

 

• la produzione di un reddito all’estero;

 

• il concorso di quel reddito estero alla formazione del reddito complessivo del residente;

 

• il pagamento di imposte estere a titolo definitivo.

 

 

 

2.1 Il reddito prodotto all’estero e la lettura “a specchio” dell’articolo 23 del TUIR. Ai sensi del comma 2 dell’articolo 165 del TUIR, “i redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’articolo 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”. 

 

L’ordinamento accoglie, pertanto, il cosiddetto criterio della lettura “a specchio”, secondo cui i redditi si considerano prodotti all’estero sulla base dei medesimi criteri di collegamento enunciati dall’articolo 23 del TUIR per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato.

 

La definizione interna di “reddito prodotto all’estero” si rende applicabile solo nei casi in cui non sia in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e lo Stato della fonte del reddito. 

 

Infatti, i suddetti criteri di collegamento non operano in presenza di una Convenzione che contenga una disposizione analoga a quella di cui all’articolo 23B del Modello OCSE, che elimina la doppia imposizione con il metodo del credito, consentendo al contribuente di detrarre dall’imposta sul reddito dovuta nello Stato di residenza le imposte pagate all’estero sui redditi ivi prodotti.

 

In applicazione della norma convenzionale, pertanto, il diritto al credito viene riconosciuto in riferimento a qualsiasi elemento di reddito che lo Stato della fonte ha assoggettato ad imposizione conformemente alla specifica Convenzione applicabile. 

 

In mancanza di una Convenzione, invece, occorre fare riferimento all’articolo 23 del TUIR secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti, un reddito è da considerare come prodotto nel territorio dello Stato, quando sia possibile stabilirne il collegamento con una fonte produttiva situata in Italia, sulla base di precisi parametri che il legislatore interno ha tipizzato. Reciprocamente, ai sensi del comma 2 dell’articolo 165 del TUIR, un reddito si considera prodotto all’estero (ai fini dell’attribuzione del foreign tax credit ai residenti) soltanto nelle ipotesi esattamente speculari a quelle previste dai commi 1 e 2 dell’articolo 23 del TUIR, a prescindere dai criteri di collegamento adottati dallo Stato della fonte. 

 

Si prendono in considerazione di seguito alcune criticità che possono sorgere per effetto della nozione di “reddito prodotto all’estero” basata sulla lettura “a specchio” dell’articolo 23 del TUIR(1), in assenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni.

 

Merita, in primo luogo, soffermarsi sul caso di singoli elementi di reddito (interessi, dividendi, royalties) conseguiti all’estero da società ed enti commerciali residenti. 

 

Come è noto, per i soggetti IRES di cui all’articolo 73, lettere a) e b), del TUIR tutti i redditi, da qualsiasi fonte provenienti, sono considerati componenti del reddito d’impresa.

 

In base alla lettura a specchio della lettera e) del comma 1 dell’articolo 23 del TUIR, i redditi d’impresa sono da considerare come prodotti all’estero solo se derivanti da attività esercitate oltre frontiera mediante stabili organizzazioni.

 

Posto che, per il disposto dell’articolo 165, comma 1, del TUIR, il credito per le imposte estere è riconosciuto solo in presenza di un “reddito prodotto all’estero”, il problema che si pone è quello di considerare tale il reddito di un’impresa residente derivante da un’attività esercitata al di fuori dello Stato in assenza di stabile organizzazione. 

 

Sul punto, si rileva che il medesimo articolo 23 del TUIR assoggetta a tassazione in Italia – anche in capo a imprese non residenti – singoli elementi di reddito, sulla base di specifici criteri di collegamento. 

 

Analogamente, si ritiene che tali redditi di fonte estera debbano essere considerati autonomamente – sulla base della lettura a specchio dell’articolo 23 del TUIR – anche in capo a imprese residenti, senza dare rilievo, ai fini del riconoscimento del credito di imposta, alla circostanza che essi concorrono in Italia alla formazione dell’unitario reddito d’impresa. 

 

Infatti, mentre per le imprese residenti vige il c.d. “fattore unificante della commercialità”, nel caso di imprese, società ed enti non residenti privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato, trova applicazione il principio del trattamento isolato dei redditi sancito dall’articolo 152, comma 2, del TUIR. Tale ultima norma prevede che il reddito complessivo delle società ed enti di ogni tipo non residenti, privi di stabile organizzazione, si determini – secondo le disposizioni del Titolo I – dalla sommatoria delle diverse categorie reddituali ivi indicate. Ne consegue che gli elementi reddituali delle imprese estere, prive di stabile organizzazione, non si trasformano in redditi d’impresa, venendo, al contrario, assoggettati a imposizione in base alla loro distinta qualificazione oggettiva (i.e. alle regole proprie della categoria reddituale di appartenenza di cui al Titolo I del TUIR).

 

Simmetricamente, si ritiene che il principio del trattamento isolato possa valere anche per i singoli elementi reddituali prodotti all’estero dalle imprese residenti, in assenza di una stabile organizzazione. Ciò consente di considerare i suddetti elementi “prodotti all’estero” secondo criteri speculari a quelli per essi previsti dall’articolo 23 del TUIR, con il conseguente riconoscimento del credito per le imposte ivi pagate.

 

La qualificazione del reddito estero, come elemento dell’unitaria categoria del reddito d’impresa, continua invece a esplicare pienamente i suoi effetti ai diversi fini della classificazione interna e della formazione del complessivo reddito imponibile in Italia, nonché ai fini dell’applicazione del comma 6 dell’articolo 165 del TUIR (disciplinante il meccanismo del riporto, avanti e indietro nel tempo, delle eccedenze dell’imposta assolta all’estero rispetto alla quota di imposta italiana relativa al medesimo reddito estero).

 

Un’altra questione, parimenti rilevante, si pone quando un’impresa residente produce in un Paese estero redditi che non sono riconducibili a una delle singole categorie previste dall’articolo 23 del TUIR, quali ad esempio i redditi di natura commerciale che – in assenza di una stabile organizzazione secondo la definizione introdotta dall’articolo 162 del TUIR – non sono qualificabili come redditi d’impresa. Ai sensi dell’articolo 23 del TUIR, i redditi di tale natura realizzati da un non residente non sono collegabili ad una fonte produttiva nel territorio dello Stato e, pertanto, essi non possono, specularmente, essere considerati come prodotti all’estero dall’impresa residente, ai fini del riconoscimento a suo favore del credito per le eventuali imposte pagate oltre confine.

 

La situazione può presentarsi sia quando lo Stato estero, nella propria legislazione interna, adotta una definizione di stabile organizzazione diversa da quella adottata dal legislatore italiano (ad esempio, un cantiere che dura un solo mese), sia quando lo Stato estero assoggetta a imposizione i redditi commerciali prodotti nel proprio territorio anche in assenza di una struttura definibile come stabile organizzazione.

 

Come già evidenziato, il problema si presenta solo in mancanza di una Convenzione contro le doppie imposizioni con lo Stato della fonte, in quanto in tal caso, occorre fare riferimento ai criteri indicati dall’articolo 23 del TUIR al fine di stabilire se, in base alla lettura speculare dei medesimi, il reddito possa considerarsi prodotto all’estero. 

 

In particolare, il reddito derivante da prestazioni commerciali effettuate in un altro Stato in assenza di una stabile organizzazione non si considera prodotto all’estero, con la conseguenza che le imposte ivi pagate non risultano essere detraibili.

 

Limitatamente ai predetti casi, le imposte estere che difettano del presupposto applicativo dell’articolo 165 del TUIR possono essere considerate componenti negativi deducibili ai fini della determinazione del reddito complessivo in quanto costi inerenti l’attività d’impresa, conformemente alle indicazioni della risalente risoluzione 12 marzo 1979, n. 9/416[1]

 

È solo il caso di evidenziare che diversa, invece, è l’ipotesi in cui l’imposta pagata nello Stato estero, accreditabile ai sensi dell’articolo 165 del TUIR, non risulti completamente detraibile per effetto del peculiare meccanismo applicativo previsto dalla disciplina in esame. Al riguardo, nel ribadire che l’istituto del credito d’imposta costituisce l’unico rimedio accolto dal nostro ordinamento contro la doppia imposizione internazionale e che il recupero delle imposte pagate all’estero avviene mediante il meccanismo della detrazione stabilito nell’articolo 165 del TUIR, si fa presente che una eventuale eccedenza di imposta estera rimasta a carico del contribuente non può essere dedotta né è altrimenti recuperabile in Italia.

 

In ultimo, è necessario precisare quale rilevanza abbiano – ai fini del riconoscimento del credito d’imposta in mancanza di Convenzione – alcune particolari ipotesi che l’articolo 23 del TUIR esclude da tassazione in Italia. Si tratta di specifiche fattispecie che, pur essendo riconducibili a categorie di reddito (redditi di capitale o redditi diversi) considerate imponibili in capo a soggetti non residenti, costituiscono una deroga al principio di territorialità. Al riguardo, si evidenziano:

 

1. gli “interessi e gli altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali”, che, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 1, lettera b), del citato articolo 23 del TUIR, non costituiscono redditi prodotti nel territorio nazionale se percepiti da non residenti, nonostante siano corrisposti da soggetti residenti o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti;

 

2. i redditi diversi di cui ai numeri da 1 a 3 della lettera f), comma 1, dell’articolo 23 del TUIR, che non sono da considerare come “prodotti” nel territorio dello Stato se percepiti da non residenti. Si tratta delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate in società residenti negoziate in mercati regolamentati; delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso ovvero da rimborso di titoli non rappresentativi di merci e di certificati di massa negoziati in mercati regolamentati, nonché da cessione o da prelievo di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti; dei redditi di cui alle lettere c-quater) e c-quinquies) dell’articolo 67 del TUIR, derivanti da contratti conclusi, anche attraverso l’intervento di intermediari, in mercati regolamentati.

 

L’esclusione dall’ambito applicativo dell’articolo 23 del TUIR dei predetti redditi, determinata da scelte di opportunità operate dal legislatore, non modifica, tuttavia, il collegamento oggettivo tra la fonte produttiva dei medesimi e il territorio dello Stato.

 

Si ritiene, pertanto, che tale esclusione non pregiudichi il diritto al credito per le imposte estere pagate da soggetti residenti in relazione ad analoghe tipologie reddituali che siano state assoggettate a tassazione nel Paese della fonte, in conformità a parametri di collegamento coerenti con quelli affermati dall’articolo 23 del TUIR.

 

 

 

2.2 Il concorso del reddito estero alla formazione del reddito complessivo del residente. Per beneficiare del credito d’imposta previsto dall’articolo 165 del TUIR è necessario che i redditi prodotti all’estero concorrano alla formazione del reddito complessivo del soggetto residente. L’istituto non è quindi applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi ai sensi dell’articolo 18 del TUIR. 

Sulla base di tale disposizione, infatti, i redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti e percepiti direttamente all’estero senza l’intervento di un

sostituto d’imposta sono soggetti, a cura del contribuente, in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi, ad imposizione sostitutiva nella stessa misura delle ritenute a titolo d’imposta che sarebbero applicate se tali redditi fossero corrisposti da sostituti d’imposta o intermediari italiani. 

In relazione a tali redditi, la norma dispone, inoltre, che “il contribuente ha facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva ed in tal caso compete il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero”. 

Tuttavia, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 4, comma 2, del d.lgs. n. 239 del 1996, non possono comunque usufruire dell’imposizione ordinaria le persone fisiche, le società semplici e i soggetti equiparati, gli enti pubblici e privati, inclusi i trust, residenti in Italia che non hanno quale oggetto principale l’esercizio di attività commerciali, nonché i soggetti esenti da IRES, in relazione agli interessi, ai premi e agli altri frutti derivanti da obbligazioni e titoli similari esteri per i quali il contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, è tenuto obbligatoriamente ad autoliquidare l’imposta sostitutiva ivi prevista.

Inoltre, in applicazione dell’articolo 27, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (in breve, “D.P.R. n. 600/1973”), non possono usufruire dell’imposizione ordinaria neanche gli utili di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo, del TUIR, relativi a partecipazioni non qualificate in soggetti esteri, nonché i proventi derivanti da contratti di associazione in partecipazione e cointeressenza di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b) del TUIR stipulati con soggetti esteri e caratterizzati da apporti diversi da opere e servizi e di natura “non qualificata”.

Mentre, per esplicita disposizione dell’articolo 26-ter del D.P.R. n. 600/1973, i redditi di cui all’articolo 44, comma 1, del TUIR, lettere g-quater) (i redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione) e g-quinquies) (i redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche di cui alla lettera h-bis) del comma 1 dell’articolo 50 del TUIR erogate in forma periodica e delle rendite vitalizie aventi funzione previdenziale), percepiti direttamente dall’estero, possono usufruire in sede di dichiarazione dei redditi dell’imposizione sostitutiva o, in alternativa, dell’imposizione ordinaria.

In relazione al requisito del concorso del reddito estero al reddito complessivo, si ricorda che il comma 10 dell’articolo 165 del TUIR stabilisce che “nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”. 

Per la trattazione della concorrenza parziale del reddito estero al reddito complessivo, si rinvia al paragrafo 5.

 

2.3 Le imposte estere che danno diritto al credito. Il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero è organicamente inserito nella disciplina delle imposte sui redditi ed è condizionato dalla presenza di redditi esteri nel reddito complessivo. Ciò implica che l’operatività dell’istituto è limitata ai tributi stranieri che si sostanziano in un’imposta sul reddito o, quanto meno, in tributi con natura similare. 

Non sempre è agevole stabilire se il tributo estero rientri tra quelli accreditabili ai fini dell’articolo 165 del TUIR. In via di principio, si ritiene che la verifica sulla natura del tributo estero vada effettuata alla stregua dei principi e delle nozioni evincibili dal nostro ordinamento tributario, per cui si ritiene accreditabile la prestazione patrimoniale dovuta ex lege e il cui presupposto consista nel possesso di un reddito.

In linea di massima, si è esonerati da tale indagine se, ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dall’Italia, il tributo rientra nell’oggetto del trattato. Infatti, le Convenzioni ispirate al Modello OCSE elencano i tributi rientranti nell’ambito del trattato nel momento della sua stipula. Come precisa il Commentario al Modello di Convenzione OCSE, nella versione modificata da ultimo nel 2010, “In linea di principio … si tratterà di una lista completa delle imposte considerate dalla Convenzione e prelevate in ciascuno Stato alla data della firma”.

Onde evitare una nuova negoziazione della Convenzione ogni volta che si verifica una modifica normativa nell’ordinamento tributario di uno degli Stati contraenti, il paragrafo 4 dell’articolo 2 del Modello OCSE prevede l’applicazione del trattato anche alle imposte di natura identica o analoga istituite dopo la sua firma, in aggiunta o in sostituzione delle imposte esistenti, e l’obbligo per le autorità fiscali degli Stati contraenti di comunicarsi le modifiche apportate alle loro rispettive legislazioni fiscali.

Al riguardo, può sorgere il dubbio che i tributi subentrati a quelli contenuti nell’elenco originario abbiano natura e caratteri diversi da quelli sostituiti. In questo e in altri casi in cui sorga un’obiettiva incertezza sulla assimilabilità di particolari tributi a quelli originariamente indicati in una determinata Convenzione, il contribuente può presentare istanza di interpello ordinario ai sensi della Legge 27 luglio 2000, n. 212, recante “Disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente”. 

Analogamente, il contribuente potrà presentare un’istanza d’interpello nel caso in cui non sia stata stipulata una Convenzione contro le doppie imposizioni con lo Stato della fonte e sussistano obbiettive condizioni d’incertezza sull’ambito applicativo dell’articolo 165 del TUIR, causate dalla natura del tributo estero.

 

2.4 Definitività delle imposte pagate all’estero. Nell’articolo 165 del TUIR resta sostanzialmente immutato il criterio generale già previsto nel previgente articolo 15 del TUIR, secondo cui la detrazione è consentita quando le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo.

Come già affermato nella circolare del 12 giugno 2002, n. 50[1], la definitività dell’imposta pagata all’estero coincide con la sua “irripetibilità”, ossia con la circostanza che essa non è più suscettibile di modificazione a favore del contribuente. Al contrario, rimane irrilevante il fatto che l’imposta possa essere modificata in peius a sfavore del contribuente, come nel caso in cui la stessa si riferisca a redditi ancora assoggettabili ad accertamento da parte delle Amministrazioni fiscali degli Stati esteri. Come già era stato affermato con circolare 8 febbraio 1980, n. 3[2], la correlazione esistente tra imposta pagata in via definitiva e il relativo reddito non esclude che l’imposta possa essere considerata “definitiva” anche qualora il reddito sia ancora suscettibile di verifica nello Stato estero in cui viene prodotto.

Non possono, invece, considerarsi definitive le imposte pagate in acconto o in via provvisoria e quelle per le quali è prevista, sin dal momento del pagamento, la possibilità di rimborso totale o parziale, anche mediante “compensazione” con altre imposte dovute nello Stato estero.

Per quanto riguarda le imposte suscettibili di parziale rimborso, queste possono essere comunque detratte, al netto del rimborso spettante, sempre che si possa considerare certo il relativo ammontare alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia.

Si chiarisce, inoltre, che le imposte estere devono considerarsi “pagate a titolo definitivo” nel periodo d’imposta in cui le stesse sono state versate al Fisco estero, a nulla rilevando il periodo d’imposta in cui il beneficiario del reddito estero è venuto in possesso della relativa certificazione. La certificazione, infatti, ha valenza meramente probatoria e, pertanto, non determina la definitività del pagamento del tributo. Sarà, quindi, premura del contribuente munirsi tempestivamente della documentazione idonea a dimostrare il pagamento dell’imposta nello Stato estero. 

Al riguardo, si ritiene che, ai fini della verifica della detrazione spettante, il contribuente è tenuto a conservare i seguenti documenti:

• un prospetto recante l’indicazione, separatamente Stato per Stato, dell’ammontare dei redditi prodotti all’estero, l’ammontare delle imposte pagate in via definitiva in relazione ai medesimi, la misura del credito spettante, determinato sulla base della formula di cui al primo comma dell’articolo 165 del TUIR ( RE/RCN x Imposta Italiana, di cui si dirà al successivo par. 3.1);

• la copia della dichiarazione dei redditi presentata nel Paese estero, qualora sia ivi previsto tale adempimento;

• la ricevuta di versamento delle imposte pagate nel Paese estero;

• l’eventuale certificazione rilasciata dal soggetto che ha corrisposto i redditi di fonte estera;

• l’eventuale richiesta di rimborso, qualora non inserita nella dichiarazione dei redditi.

Un’ulteriore condizione di non detraibilità si ha nel caso di imposte eventualmente corrisposte in via provvisoria in pendenza di un procedimento contenzioso estero. In tale caso specifico, il requisito della definitività delle imposte estere si realizza nel periodo d’imposta in cui si conclude in via definitiva il contenzioso. 

Nel caso in cui un soggetto residente in Italia produca reddito in uno Stato con cui è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni, è possibile computare il credito per le imposte pagate all’estero nel limite della ritenuta convenzionale. Se lo Stato estero ha applicato una ritenuta più alta di quella convenzionale, la differenza, non accreditabile in Italia, potrà essere oggetto di rimborso nello Stato estero, secondo le modalità ivi previste.

Per completezza, si ricorda che in alcune Convenzioni stipulate dall’Italia, ad esempio quelle con l’Argentina e il Brasile, viene riconosciuto eccezionalmente un credito d’imposta figurativo (c.d. matching credit), a fronte di imposte non effettivamente pagate. Si tratta di una misura finalizzata a consentire il mantenimento degli incentivi fiscali concessi da tali Paesi per attrarre gli investimenti stranieri e di evitare il completo trasferimento dell’onere impositivo su tali redditi dal Paese della fonte al Paese della residenza, tenuto conto che quest’ultimo, non dovendo concedere credito, preleverebbe interamente le imposte, cui ha rinunciato lo Stato della fonte. 

La detrazione del credito d’imposta figurativo avviene con le medesime modalità previste per il credito d’imposta ordinario.

La richiesta del credito figurativo deve essere presentata in sede di liquidazione dell’IRES o dell’IRPEF dovuta, indicando in dichiarazione i redditi prodotti all’estero, le imposte che si sarebbero dovute pagare in regime ordinario ovvero l’aliquota stabilita nella Convenzione contro le doppie imposizioni rilevante nel caso di specie e l’ammontare del reddito complessivo dichiarato nell’esercizio a cui le imposte estere si riferiscono.

Ai fini della determinazione della detrazione spettante, la quota d’imposta italiana relativa al reddito prodotto all’estero deve essere confrontata con le imposte estere figurative secondo l’aliquota prevista dalla specifica Convenzione, ovvero con quelle che si sarebbero dovute pagare in assenza delle agevolazioni previste nello Stato estero.

Conformemente a quanto previsto dall’articolo 165, comma 1, del TUIR, il credito spettante coincide con il minor valore tra l’imposta estera figurativa e la quota d’imposta italiana riferita al reddito estero.

 

3. la determinazione del credito d’imposta

 

3.1 Il meccanismo di calcolo. Il comma 1 dell’articolo 165 del TUIR prevede la regola generale per il calcolo del foreign tax credit, stabilendo che le imposte estere pagate a titolo definitivo sono detraibili dall’imposta netta dovuta, nei limiti della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi esteri e il reddito complessivo, al netto delle perdite dei precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione.

Quanto sopra può essere reso con la seguente formula:

 

RE x imposta italiana

               RCN 

 

dove RE è il reddito estero e RCN è il reddito complessivo al netto delle perdite dei pregressi periodi d’imposta.

Le disposizioni contenute nell’articolo 165 del TUIR subordinano il riconoscimento del credito a particolari limiti e condizioni.

In primo luogo, si ricorda che l’accreditamento delle imposte estere non può essere superiore alla quota d’imposta italiana (di seguito, anche “LIMITE 1”), corrispondente al rapporto sopra indicato, da assumere – in ogni caso – nei limiti dell’imposta netta (nel prosieguo, anche “LIMITE 2”) dovuta per il periodo d’imposta in cui il reddito estero ha concorso al complessivo reddito imponibile.

Occorre, inoltre, evidenziare che il rapporto in esame, tra il reddito estero (RE) e il reddito complessivo al netto delle perdite di esercizi precedenti (RCN), può risultare superiore ad “1” quando le perdite, coeve e/o pregresse, sono così elevate da assorbire interamente il reddito di fonte italiana e parte di quello estero. In tal caso, come conferma anche la Relazione al decreto legislativo n. 344 del 2003, e come già chiarito nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione, il rapporto si considera pari a “1”, non potendo l’imposta relativa al reddito estero essere riconosciuta in misura superiore all’imposta effettivamente dovuta, poiché, altrimenti, si determinerebbe un finanziamento delle imposte estere. 

Si ipotizzi, al riguardo, la seguente situazione di un soggetto IRES:

 

Esempio n. 1 – Contribuente con reddito di fonte estera di ammontare superiore al reddito complessivo netto

 

Reddito di fonte estera (RE)

 

100

 

Reddito di fonte italiana

 

200

 

Perdite pregresse

 

250

 

Reddito complessivo netto (RCN)

 

50

 

Ires (aliquota del 27,5%)

 

13,75

 

Imposta estera (aliquota del 30%)

 

30

 

 

 

In tal caso, applicando, senza correttivo, la formula già vista, avremmo:

 

100(RE) = 2 x 13,75 (imposta italiana)=27,5 

50 (RCN)

 

Il rapporto RE/RCN, che nell’esempio è uguale a “2”, dovrà intendersi acquisito in misura tale da non superare l’unità e l’imposta estera sarà detraibile solo nei limiti di quella italiana, che nell’esempio è pari a 13,75.

Peraltro, qualora si tratti di reddito d’impresa prodotto all’estero, resta ferma la possibilità di recuperare l’imposta estera eccedente la quota d’imposta italiana – nei limiti dell’imposta netta dovuta di periodo – con il meccanismo del riporto delle eccedenze, di cui al comma 6 dell’articolo 165 del TUIR, come sarà di seguito illustrato.

 

3.2 I singoli elementi del rapporto. Ai fini dell’individuazione dell’imposta estera detraibile, è opportuno analizzare separatamente gli elementi della formula di cui al comma 1 dell’articolo 165 del TUIR e la relazione esistente tra la quota d’imposta italiana e l’imposta netta dovuta.

Il numeratore del rapporto (RE) di cui al comma 1 è rappresentato dal reddito estero che ha concorso a formare il reddito complessivo in Italia.

Con riferimento al numeratore del rapporto è sorto il dubbio se il reddito estero, diverso da quelli d’impresa e di lavoro autonomo, vada computato al lordo o al netto dei costi sostenuti per la sua produzione. Al riguardo si chiarisce che il reddito estero, così come rideterminato in base alle disposizioni fiscali italiane, deve essere assunto al “lordo” dei costi sostenuti per la sua produzione, in ragione delle obiettive difficoltà nella determinazione e nel controllo dei costi effettivamente imputabili a singoli elementi reddituali.

Tuttavia tale modalità di computo se, da una parte, garantisce la simmetria tra l’ammontare del reddito estero assoggettato al tributo estero e il reddito estero preso a riferimento per la determinazione del credito d’imposta, dall’altra, in ragione della diversa composizione del numeratore (reddito estero al lordo dei costi) rispetto al denominatore del rapporto (reddito complessivo al netto dei costi di produzione), potrebbe essere strumentalizzata mediante operazioni finalizzate a un’indebita “monetizzazione” del credito d’imposta.

Pertanto, tali operazioni potranno essere oggetto di sindacato elusivo, in applicazione dell’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, ferma restando l’applicazione delle ulteriori norme specificamente previste dall’ordinamento al fine di contrastare eventuali fenomeni di abuso (quali, ad esempio, l’articolo 2, comma 3, del d.lgs. n. 461/1997).

Di contro, il reddito d’impresa prodotto all’estero mediante stabile organizzazione e il reddito di lavoro autonomo saranno assunti al netto dei costi sostenuti per la loro produzione, così come rideterminati con riferimento alla normativa fiscale italiana.

Quanto al denominatore del rapporto (RCN), il reddito complessivo è assunto “al netto” delle perdite dei precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione, e non più “al lordo” come nella previgente disciplina, secondo cui l’imposta italiana veniva determinata in modo virtuale e assunta per un ammontare pari non a quello effettivo, bensì a quello che sarebbe stato dovuto in relazione al reddito complessivo aumentato delle perdite pregresse.

Con riferimento all’attuale disciplina, invece, la Relazione illustrativa al decreto legislativo n. 344 del 2003 evidenzia che “l’imposta italiana va considerata per il suo ammontare effettivo senza dover procedere, come per il passato, alla ricostruzione virtuale della medesima al fine di evitare l’effetto derivante dal riporto delle perdite pregresse”. 

 

3.3. Il periodo d’imposta per il quale spetta e deve essere richiesta la detrazione. Il comma 4 dell’articolo 165 del TUIR stabilisce la regola generale secondo cui la detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo cui “appartiene” il reddito prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della sua presentazione. Pertanto, se il reddito estero ha concorso alla formazione del reddito complessivo del soggetto residente nel periodo d’imposta 2014, la detrazione spetta dall’imposta dovuta per il 2014, sempre che il pagamento a titolo definitivo dell’imposta estera si verifichi prima della presentazione della relativa dichiarazione dei redditi. 

Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui il contribuente presenti la dichiarazione tardivamente, purché entro i novanta giorni successivi alla scadenza dell’ordinario termine. Ciò in quanto, ai sensi dell’articolo 2, comma 7, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, la dichiarazione presentata con ritardo non superiore ai novanta giorni dalla scadenza dell’ordinario termine di presentazione si considera valida, salva la sanzione applicabile per il ritardo.

In questa evenienza, la detrazione potrà essere operata in tale sede, a condizione che l’imposta estera sia stata già pagata a titolo definitivo. Resta inteso che qualora il pagamento a titolo definitivo delle imposte estere avvenga in un periodo precedente a quello in cui il reddito prodotto all’estero concorre alla formazione del reddito complessivo del residente, la detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo di appartenenza in Italia di tale reddito estero.

Nel caso in cui, invece, il suddetto pagamento si verifichi successivamente alla presentazione della dichiarazione relativa al periodo in cui il reddito estero ha concorso a formare l’imponibile in Italia, occorrerà procedere, ai sensi del comma 7 dell’articolo 165 del TUIR, a una nuova liquidazione dell’imposta dovuta per tale periodo. In tal caso, il credito spettante dovrà essere richiesto in detrazione nella prima dichiarazione utile rispetto al momento in cui si renderà definitiva l’imposizione all’estero, fermo restando che la quota d’imposta italiana e l’imposta netta dovuta, rilevanti ai fini del computo della detrazione, saranno quelle relative al periodo d’imposta in cui il reddito estero ha concorso alla formazione del reddito complessivo.

 

Esempio n. 2 – Definitività dell’imposta estera in un periodo successivo a quello in cui il reddito estero ha concorso a formare il reddito complessivo

 

Periodo d’imposta N :

 

Reddito di fonte estera Stato A(RE)

 

100

 

Reddito di fonte italiana

 

200

 

Reddito complessivo netto (RCN)

 

300

 

Imposta netta dovuta in Italia

 

82,5

 

Imposta estera pagata a titolo definitivo 

 

0

 

 

 

Periodo d’imposta N + 2:

 

Reddito di fonte estera Stato A(RE)

 

0

 

Reddito di fonte italiana

 

200

 

Reddito complessivo netto (RCN)

 

200

 

Imposta netta dovuta in Italia

 

55

 

Imposta estera pagata a titolo definitivo sul RE che ha concorso nel periodo N 

 

20

 

 

 

Nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo N +2, nel corso del quale è stata pagata a titolo definitivo un’imposta estera pari a 20, relativa al reddito di 100 che ha concorso alla formazione dell’imponibile nel periodo d’imposta N, potrà essere richiesto il credito per le imposte pagate nello Stato A, sulla base dei dati del periodo N, di appartenenza del reddito:

Limite credito d’imposta calcolato in riferimento ai dati del periodo N:

 

– Quota d’imposta italiana relativa al reddito estero = 100 x 82,5 = 27,5

300

– Detrazione spettante = 20 (20 < 27,5)

 

La detrazione spettante potrà essere operata dall’imposta, pari a 55, dovuta nel periodo N + 2. 

Viene così stabilita una stretta connessione tra il periodo d’imposta in cui il reddito estero concorre all’imponibile (il periodo d’imposta “cui appartiene il reddito”) e quello per il quale spetta la detrazione, che è, pertanto, ammessa anche nei casi in cui l’imposta estera è stata pagata in via definitiva in un periodo d’imposta anteriore o successivo a quello in cui il relativo reddito è stato assoggettato a tassazione in Italia.

Quanto alla nozione di “appartenenza” di un reddito a un determinato periodo di imposta, si ritiene che debba essere intesa nel senso che a ciascuna categoria reddituale o singolo elemento di reddito si applicano le relative regole d’imputazione temporale previste dal testo unico delle imposte sui redditi. E così – ad esempio – i redditi di lavoro autonomo o di capitale o le royalties, percepite da un soggetto residente al di fuori dell’esercizio di impresa “appartengono” al periodo in cui devono essere assoggettati a tassazione secondo il criterio di cassa. Diversamente, il reddito d’impresa prodotto all’estero tramite una stabile organizzazione appartiene al periodo in cui, secondo il principio di competenza, concorrerà all’imponibile al pari dei singoli elementi di reddito (interessi o royalties) conseguiti nell’esercizio di impresa da un soggetto residente, anche senza stabile organizzazione. Fanno eccezione i dividendi che concorrono a formare il reddito d’impresa nel periodo in cui sono percepiti, ai sensi degli articoli 59 e 89 del TUIR.

3.3.1 Il limite dell’imposta netta dovuta e la disposizione dell’articolo 11, comma 4, del TUIR. Come precisato, in virtù del primo comma dell’articolo 165 del TUIR, l’imposta netta dovuta nel periodo di appartenenza del reddito estero costituisce il limite massimo entro cui può essere concesso il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero. Tale disposizione non è contraddetta, né derogata dall’articolo 11, comma 4, del TUIR, che testualmente prevede che “dall’imposta netta si detrae l’ammontare dei crediti di imposta spettanti al contribuente a norma dell’art. 165. Se l’ammontare dei crediti di imposta è superiore a quello dell’imposta netta il contribuente ha diritto, a sua scelta, di computare l’eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo d’imposta successivo o di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione dei redditi”. La disposizione, che si coordina con quella dell’articolo 22, comma 1, lettera a) del TUIR, lascia, infatti, impregiudicate le modalità di determinazione del credito previste dall’articolo 165 del TUIR. 

Con il citato articolo 11 del TUIR, il legislatore ha inteso regolare l’ipotesi in cui l’imposta netta del periodo in cui il tributo estero diviene definitivo e, quindi, scomputabile, sia inferiore a quella del periodo in cui il reddito estero ha concorso alla formazione del reddito e che rileva ai fini della determinazione dell’imposta estera detraibile. In tal caso, potrebbe accadere che il credito o i crediti d’imposta per i redditi prodotti all’estero maturati nel periodo di produzione del reddito non siano integralmente assorbiti dall’imposta netta del periodo in cui il tributo estero è detraibile. A tale fine, il legislatore ha previsto la possibilità per il contribuente di scegliere tra il computo dell’eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo successivo e la richiesta di rimborso, da effettuare in sede di dichiarazione dei redditi. Inoltre, tale differenza potrà essere utilizzata in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241.

 

3.3.2 La riliquidazione della detrazione spettante nei casi di pagamenti frazionati delle imposte estere o di rimborso delle imposte estere. Talvolta le imposte estere su un medesimo reddito vengono pagate a titolo definitivo in maniera frazionata e si rende pertanto necessario effettuare – ogni volta – una nuova liquidazione, tenendo sempre conto degli elementi reddituali e della quota di imposta italiana relativa al reddito estero del periodo in cui lo stesso ha concorso a formare l’imponibile. 

Mentre la quota di imposta italiana riferita al reddito estero rimane un parametro di riferimento cristallizzato ai fini dell’individuazione della detrazione massima di competenza, le imposte estere pagate in maniera frazionata, invece, devono essere sommate mano a mano che diventano definitive, così da tener conto di tutte quelle già portate in detrazione fino all’anno cui si riferisce la dichiarazione. 

In altri termini, il credito per le imposte estere che, in ragione del frazionamento, si sono rese definitive in periodi successivi a quello in cui il reddito estero ha concorso all’imponibile, dovrà essere calcolato al netto di quanto già fruito nelle precedenti dichiarazioni e tenendo conto che la detrazione complessiva non potrà eccedere l’imposta netta dovuta nel periodo nel quale il reddito estero ha concorso all’imponibile. 

Il credito verrà, dunque, calcolato e utilizzato nella dichiarazione entro la cui data di presentazione saranno diventate definitive, di volta in volta, le imposte estere.

 

Esempio n. 3 – Pagamento a titolo definitivo delle imposte estere frazionato in più periodi

 

Periodo d’imposta N :

 

Reddito di fonte estera Stato A(RE)

 

100

 

Reddito di fonte italiana

 

200

 

Reddito complessivo netto (RCN)

 

300

 

Imposta lorda = Imposta netta dovuta in Italia

 

82,50

 

Imposta estera pagata a titolo definitivo

 

15

 

 

 

Quota d’imposta italiana relativa al reddito estero = 100 x 82,50 = 27,50

300

Detrazione spettante = 15 (15 < 27,50)

Nel periodo d’imposta N il credito d’imposta detraibile sarà pari a 15.

 

Periodo d’imposta N + 1:

 

Reddito di fonte estera Stato A(RE)

 

0

 

Reddito di fonte italiana

 

50

 

Reddito complessivo netto (RCN)

 

50

 

Imposta netta dovuta in Italia

 

13,75

 

Imposta estera pagata a titolo definitivo sul RE di 100 che ha concorso nel periodo N

 

 

20

Imposta estera complessiva su RE periodo N

 

35

 

 

 

Quota d’imposta italiana relativa al reddito estero che ha concorso all’imponibile

dell’esercizio N = 100 x 82,50 = 27,50

                 300

Detrazione spettante complessiva = 27,50 (27,5<35) che trova capienza nell’imposta netta del periodo N.

 

Nel periodo d’imposta N+1 il credito d’imposta detraibile dall’imposta netta di 13,75 sarà pari a 12,50, ossia pari alla differenza tra il credito d’imposta complessivamente detraibile (27,50) e il credito d’imposta già detratto nel periodo N (15).

Una nuova liquidazione del credito d’imposta ai sensi del comma 7 è necessaria anche nel caso in cui l’imposta estera, pur pagata a titolo definitivo in un certo periodo d’imposta e per la quale sia stato già detratto il credito d’imposta, sia oggetto di rimborso, per le ragioni più svariate, da parte dell’Amministrazione finanziaria estera. In tal caso, nel periodo d’imposta nel quale si è ottenuto il rimborso, occorrerà ricalcolare il credito d’imposta in misura corrispondente all’importo di imposte estere effettivamente pagate. 

Si dovrà procedere ad una nuova liquidazione del credito d’imposta, ad esempio, qualora si eserciti il diritto al c.d. “carry back delle perdite” nello Stato della fonte, con imputazione delle perdite correnti della stabile organizzazione agli utili pregressi della medesima. Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità prevista da alcuni ordinamenti giuridici di riportare le perdite all’indietro, al fine della loro compensazione con gli utili – già tassati – degli esercizi precedenti. L’applicazione di tale istituto comporta, in sostanza, che le imposte precedentemente pagate siano riconosciute dallo Stato estero, in tutto o in parte, a credito. Essendosi ridotto uno degli elementi su cui si è basata, negli anni precedenti, la determinazione del foreign tax credit, sorge la pretesa dell’Erario a rideterminare la detrazione d’imposta e le eccedenze effettivamente spettanti in Italia.

Nei casi esposti, il contribuente è tenuto alla presentazione di una dichiarazione integrativa a sfavore relativa al periodo d’imposta N, ai sensi del comma 8 dell’articolo 2 del D.P.R. n. 322 del 1998, e al versamento della maggiore imposta dovuta. In tale dichiarazione, deve essere rideterminato il credito d’imposta per redditi prodotti all’estero sulla base del diverso ammontare di imposta estera effettivamente pagata e, quindi, al netto di quella oggetto di restituzione nel Paese estero.  

 

3.4 Omessa dichiarazione redditi prodotti all’estero – Art. 165, comma 8, del TUIR. Il comma 8 dell’articolo 165 del TUIR nega il diritto alla detrazione delle imposte pagate all’estero in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero.

In base a tale disposizione, il contribuente non può fruire del credito di cui all’articolo 165 del TUIR qualora la dichiarazione relativa all’annualità oggetto di controllo sia omessa (o debba essere considerata tale) o il reddito estero non sia stato dichiarato. 

Con specifico riferimento alle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione, si rammenta che ai sensi dell’articolo 2, comma 7, ultimo periodo, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, si considerano omesse le dichiarazioni presentate con un ritardo superiore a novanta giorni. Pertanto, come già precisato al par. 3.3, al contribuente spetta il credito di imposta in caso di presentazione tardiva della dichiarazione se tale presentazione avviene entro i novanta giorni successivi al termine ordinario.

Diversamente, il comma 8 dell’articolo 165 del TUIR preclude la detrazione delle imposte pagate all’estero nel caso di dichiarazioni presentate con un ritardo superiore a novanta giorni, dal momento che queste ultime sono da ritenersi omesse, benché costituiscano titolo per la riscossione degli imponibili in esse indicati.

Per quanto riguarda, invece, le ipotesi di omessa indicazione nella dichiarazione presentata in Italia dei redditi prodotti all’estero, è opportuno chiarire, in via preliminare, che tale fattispecie si verifica nel caso in cui nella predetta dichiarazione non risulti indicato un reddito estero derivante dalla medesima fonte produttiva e appartenente alla medesima categoria reddituale. Ciò significa che il comma 8 dell’articolo 165 del TUIR non è applicabile ad un soggetto residente che, ad esempio, abbia parzialmente dichiarato il reddito di impresa prodotto da una propria stabile organizzazione all’estero.

Inoltre, la disposizione in commento deve essere coordinata con l’articolo 2, comma 8, del citato D.P.R. 322 del 1998 che prevede la possibilità per il contribuente di integrare la dichiarazione dei redditi per correggere errori od omissioni, mediante una successiva dichiarazione da presentare, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta al quale si riferisce la dichiarazione, non oltre i termini stabiliti per l’accertamento.

Tale possibilità, quindi, consente al contribuente di dichiarare un reddito estero non indicato nella dichiarazione originaria e di sanare, in tal modo, la violazione commessa. 

In questo caso, il reddito oggetto di integrazione deve ritenersi, comunque, dichiarato e conseguentemente al contribuente spetta la detrazione delle imposte pagate all’estero. 

Al riguardo, peraltro, occorre considerare che la formulazione del citato comma 8 dell’articolo 2 del D.P.R. 322 del 1998, come modificata dall’articolo 1, comma 637, lettera a), della legge 23 dicembre 2014, n. 19 (c.d. legge di stabilità 2015), prevede che, in caso di presentazione di dichiarazione integrativa a sfavore, resta ferma l’applicazione dell’articolo 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, recante la disciplina del ravvedimento.

Tale istituto, anch’esso oggetto di una recente revisione, consente ai contribuenti di beneficiare della riduzione delle sanzioni, graduata in funzione della tempestività della correzione degli errori o delle omissioni. La legge di stabilità 2015, in particolare, ha ampliato il limite temporale in base al quale il ravvedimento operoso è applicabile ed ha eliminato le preclusioni di accesso all’istituto derivanti dalla conoscenza di controlli fiscali in corso (articolo 1, comma 637, lettera b), legge 23 dicembre 2014, n. 19). 

Per effetto delle menzionate modifiche normative, in vigore dall’1 gennaio 2015, il contribuente che presenta una dichiarazione integrativa a sfavore può avvalersi del ravvedimento anche se è già decorso il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale la violazione è stata commessa e senza che vi siano preclusioni connesse ad eventuali attività di controllo in fase di svolgimento.

L’attuale quadro normativo ha, dunque, potenziato gli effetti premiali derivanti dalla regolarizzazione spontanea della posizione dei contribuenti, correggendo errori ed omissioni che hanno determinato un minore reddito imponibile, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante. 

Pertanto, il riconoscimento del credito d’imposta estero in ipotesi di una dichiarazione integrativa a sfavore appare coerente anche alla luce dei recenti interventi normativi volti ad agevolare l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari da parte del contribuente.

 

 

 

4. la limitazione della detrazione per singolo stato (per country limitation)

 

Nel caso di redditi prodotti in più Stati esteri, il legislatore fiscale italiano ha adottato il metodo per country limitation prevedendo, al comma 3 dell’articolo 165 del TUIR, che la detrazione debba essere effettuata separatamente per ciascuno Stato.

Ne deriva che la proporzione tra reddito estero RE e reddito complessivo RCN, al netto delle perdite dei pregressi periodi d’imposta ammesse in diminuzione, dovrà essere operata come nell’esempio che segue: 

 

Esempio n. 4 – Soggetto IRES che produce redditi in due Stati esteri

 

Reddito Stato A 

 

100

 

Reddito Stato B

 

200

 

Reddito di fonte italiana

 

300

 

Perdite pregresse

 

0

 

Reddito complessivo

 

600

 

Imposta pagata in A

 

25

 

Imposta pagata in B

 

75

 

Imposta italiana netta dovuta

 

165

 

 

 

Quota d’imposta italiana relativa al reddito Stato A = 100 x 165 = 27,50

600

 

Quota d’imposta italiana relativa al reddito Stato B = 200 x 165 = 55

600

 

Nell’esempio, l’imposta pagata in A, pari a 25, sarà interamente detraibile perché inferiore all’importo massimo di 27,50, ossia alla quota di imposta italiana riferibile al reddito prodotto nello Stato estero. Per le stesse ragioni, l’imposta pagata in B, pari a 75, sarà detraibile solo fino a 55. Nell’esempio prospettato, la somma delle imposte detraibili, pari a 80 (25+55), risulta comunque non superiore all’imposta netta effettivamente dovuta in Italia (165).

Nell’esempio, inoltre, residua un’eccedenza di imposta estera pagata nello Stato B pari a 20, che sarà trattata come chiarito nel paragrafo 7 dedicato alle disposizioni specifiche per le imprese.

 

Esempio n. 5 – Soggetto IRES con redditi positivi e negativi in due Stati

 

Reddito Stato estero A 

 

200

 

Reddito Stato estero B

 

–200

 

Reddito di fonte italiana

 

200

 

Reddito complessivo

 

200

 

Imposta pagata in A

 

50

 

Imposta pagata in B

 

0

 

Imposta italiana netta dovuta = imposta lorda

 

55

 

 

 

Quota d’imposta italiana relativa al reddito Stato A = 200 x 55 =55

200

Quota d’imposta italiana relativa al reddito Stato B = 0 

 

Nell’esempio n. 5, l’imposta pagata in A, pari a 50, sarà interamente detraibile perché inferiore alla quota d’imposta italiana riferibile al reddito estero di 55. La somma delle imposte detraibili, pari a 50, risulta comunque non superiore all’imposta effettivamente dovuta in Italia (55).

Ai sensi dei commi 1 e 3 dell’articolo 165 del TUIR, la detrazione per singolo Stato deve essere calcolata in base al rapporto tra il reddito estero di ciascuno Stato e il reddito complessivo netto. In altri termini, il denominatore tiene conto sia dei redditi che delle perdite conseguiti in Italia e all’estero.

In particolare, il “consolidamento” dei risultati negativi delle stabili organizzazioni all’estero in capo all’impresa italiana si traduce nella riduzione del reddito complessivo netto, ossia del denominatore del rapporto, il cui risultato assumerà, pertanto, un valore più elevato. Ciò consente di valorizzare al massimo la quota d’imposta italiana attribuibile al reddito estero in conformità al principio – espressamente sancito nell’articolo 136, comma 3, del TUIR con riferimento al calcolo del credito d’imposta nell’ambito del consolidato mondiale – di concorso prioritario del reddito estero alla formazione dell’imponibile. È quanto appare evidente nell’ultimo esempio proposto, laddove l’intera imposta dovuta in Italia risulta prioritariamente (e, nel caso specifico, totalmente) attribuita al reddito estero dello Stato A. Infatti, la perdita dello Stato B azzera il reddito di fonte italiana, anziché ridurre proporzionalmente anche quello dello Stato A, come, invece, avverrebbe nel caso in cui al denominatore del rapporto fossero computabili i soli redditi positivi (reddito Stato estero A 200 + reddito di fonte italiana 200), e non il reddito complessivo, ossia la somma algebrica di tutti i redditi e le perdite conseguiti sia in Italia che all’estero (reddito Stato estero A 200 + reddito di fonte italiana 200- reddito Stato estero B 200).

Al riguardo, occorre ribadire che il totale dei crediti d’imposta, separatamente calcolati per ciascuno Stato, non può comunque superare l’ammontare dell’imposta netta dovuta in Italia, in ragione del richiamato principio secondo cui deve essere escluso il finanziamento delle imposte estere. Pertanto, dopo avere effettuato, Paese per Paese, il calcolo delle detrazioni in astratto consentite, è necessario verificarne la capienza nell’imposta netta di periodo ed eventualmente procedere alla loro riduzione. 

Si veda, a tal proposito, l’esempio che segue, riguardante un professionista che realizza una perdita di lavoro autonomo in Italia:

 

Esempio n. 6 – Soggetto IRPEF (professionista con perdita lavoro autonomo in Italia)

 

Luogo di produzione del reddito

 

Reddito

 

Imposte

estere

Imposta

italiana

Quota d’imposta italiana relativa al reddito estero

 

Stato A

 

1.000

 

400

 

 

1000/1000 x 300 = 300

 

Stato B

 

500

 

50

 

 

500/1000 x 300 = 150

 

Italia

 

–500

 

     

RCN

 

1.000

 

 

300

 

 

 

* Imposta netta dovuta = imposta lorda

 

Nell’esempio, il contribuente soggetto IRPEF, nel rispetto del LIMITE 1 di cui al paragrafo 3.1, potrebbe in astratto fruire di una detrazione per le imposte pagate nello Stato A pari a 300 (ossia l’importo minore tra la quota d’imposta italiana relativa al reddito estero e le imposte pagate nello Stato A) e di una detrazione per le imposte pagate nello Stato B pari a 50 (ossia l’importo minore tra la quota d’imposta italiana relativa al reddito estero e le imposte pagate nello Stato B).

In tal caso, tuttavia, l’ammontare totale delle detrazioni in astratto fruibili (350) è superiore all’imposta netta dovuta (300), che costituisce il LIMITE 2 di cui al paragrafo 3.1, entro cui esse possono essere riconosciute. Le detrazioni effettivamente spettanti dovranno, pertanto, essere ridotte a 300, mentre la restante eccedenza di 50 andrà perduta.

Specifiche disposizioni sono previste nel caso di soggetti titolari di reddito d’impresa, come sarà meglio chiarito nel paragrafo 7.3.5.

 

5. PARZIALE CONCORSO DEL REDDITO ESTERO ALLA FORMAZIONE DEL REDDITO COMPLESSIVO E MISURA DEL CREDITO

 

Il comma 10 dell’articolo 165 del TUIR stabilisce che quando il reddito estero concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo, l’imposta estera detraibile deve essere ridotta in misura corrispondente.

La norma è coerente con il sistema sull’imposizione dei redditi: nei limiti in cui opera la parziale esclusione del reddito estero dall’imponibile, alla mancata tassazione corrisponde simmetricamente il mancato riconoscimento del credito di imposta per i redditi prodotti all’estero.

In proposito, è opportuno chiarire che la riduzione dell’imposta estera detraibile, nei limiti della quota imponibile del reddito estero, non riguarda le ipotesi in cui – per effetto di differenti modalità di determinazione del reddito nei vari ordinamenti – l’ammontare del reddito estero assoggettato a tassazione in Italia non corrisponda al quantum tassato nello Stato estero. Ciò si verifica, ad esempio, per il reddito delle stabili organizzazioni all’estero o per il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero diverso da quello determinato ai sensi dell’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR, essendo diverse le regole di determinazione vigenti nei vari Paesi. 

È noto, infatti, che il reddito estero deve essere assunto nell’ammontare determinato secondo le regole interne relative alle varie categorie, con l’unica eccezione dei redditi dei terreni e dei fabbricati situati al di fuori del territorio italiano che, invece, rilevano – ai sensi dell’articolo 70, comma 2, del TUIR – secondo la valutazione effettuata nello Stato estero. 

Pertanto, la disciplina del comma 10 si rende applicabile solo laddove il reddito estero – come determinato secondo le regole interne – sia totalmente o parzialmente escluso dalla formazione dell’imponibile. 

Il parziale concorso del reddito estero alla formazione del reddito imponibile si verifica, ad esempio, nel caso di dividendi di fonte estera. Gli articoli 89 e 47 del TUIR prevedono una parziale esclusione dei dividendi percepiti da residenti, che sono assoggettati a imposta nei limiti del 5 per cento e del 49,72 per cento, a seconda che il percettore sia rispettivamente un soggetto IRES o una persona fisica titolare di partecipazioni qualificate. Le imposte pagate all’estero in via definitiva su tali redditi devono essere assunte, ai fini del calcolo del credito spettante, in misura pari al 5 o al 49,72 per cento del loro ammontare, ossia nella stessa percentuale nella quale i dividendi concorrono – avuto riguardo alla natura del socio – alla formazione del reddito.

Il comma 10 in commento si rende ugualmente applicabile nel caso di redditi derivanti da attività di lavoro subordinato prestata all’estero in via continuativa di cui al citato articolo 51, comma 8-bis, del TUIR, determinati in base alle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

L’articolo 36, comma 30, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, infatti, ha introdotto una norma di interpretazione autentica secondo la quale in caso di reddito calcolato convenzionalmente in misura ridotta in base alle disposizioni dell’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR, il prestatore di lavoro all’estero fruisce, per le imposte ivi pagate, di un credito d’imposta non pieno, ma proporzionale al reddito determinato ai sensi del predetto articolo 51, comma 8-bis, del TUIR.

In tal caso, l’imposta estera deve essere rimodulata sulla base del rapporto tra la retribuzione convenzionale ed il reddito di lavoro dipendente che sarebbe stato tassabile in via ordinaria – e non in misura convenzionale – in Italia. 

Siffatta interpretazione trova conferma, oltre che nella ratio della norma, nel dato letterale dell’articolo 165, comma 10, del TUIR che trova applicazione “nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo”.

Come già chiarito nella risoluzione 8 luglio 2013, n. 48[1], la disposizione prevede espressamente un confronto tra “reddito prodotto all’estero” e “reddito complessivo” e tale operazione di confronto non può che svolgersi tra valori omogenei. Pertanto, il termine “reddito” deve essere inteso in senso tecnico, ossia come risultato dell’operazione che dal compenso percepito giunge, sulla base delle regole di determinazione previste dall’ordinamento italiano, a definire la base imponibile. Di conseguenza, per individuare l’ammontare del “reddito prodotto all’estero” dovranno applicarsi, trattandosi nel caso in esame di lavoro dipendente, le disposizioni contenute nell’articolo 51 del TUIR, ad esclusione del comma 8-bis. Questa impostazione consente di utilizzare un valore coerente con il “reddito complessivo” che ai sensi dell’articolo 8 del TUIR “si determina sommando i redditi di ogni categoria che concorrono a formarlo”. 

La relazione illustrativa all’articolo 36, comma 30, del citato decreto legge n. 223 del 2006 offre un conforto in tal senso ove si afferma che “con l’interpretazione autentica proposta, si chiarisce che in caso di reddito calcolato convenzionalmente in misura ridotta – secondo le disposizioni dell’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR – il prestatore di lavoro all’estero fruisce, per le imposte pagate all’estero, di un credito d’imposta non pieno, ma proporzionale al reddito determinato ai sensi del predetto articolo 51, comma 8-bis”. Conseguentemente, il “credito d’imposta pieno” di cui avrebbe fruito il reddito in caso di tassazione analitica deve essere ridotto nella misura in cui effettivamente è assoggettato ad imposizione in capo al dipendente residente. 

Infine, si precisa che l’imposta estera che risulta non detraibile in applicazione del comma 10 dell’articolo 165 del TUIR non è deducibile, né altrimenti recuperabile in Italia. 

 

5.1 Utili distribuiti da entità estere trasparenti. Particolari problemi sorgono in relazione agli utili che un soggetto residente ritrae dalla partecipazione ad una entità estera trasparente.

Più precisamente, l’ipotesi in esame è quella della partecipazione da parte di un soggetto residente a una società estera di persone o di capitali che, per legge o per opzione, sia tassata per trasparenza. 

Nell’ordinamento interno la società in questione non è considerata trasparente in quanto viene ricompresa tra i soggetti IRES (articolo 73, comma 1, lettera d), del TUIR) con la conseguenza che il reddito che il residente italiano ritrae dalla partecipazione in detta società assume rilevanza, ai fini fiscali, solo al momento della distribuzione. Tale reddito viene tassato in Italia come reddito di capitale oppure concorre alla formazione del reddito d’impresa se percepito da un soggetto IRES o da un soggetto IRPEF in regime di impresa. In ogni caso la tassazione avviene in ossequio al principio di cassa.

Si verifica pertanto uno sfasamento temporale tra il momento in cui il reddito viene imputato e tassato in capo al socio italiano dell’entità trasparente nello Stato estero e il momento – successivo – in cui, a seguito dell’effettiva distribuzione, il reddito viene tassato nel nostro Paese.

Nel caso in esame, gli utili prodotti dalla entità estera trasparente sono pienamente tassati all’estero in capo al socio (di solito, con aliquota progressiva in ipotesi di persona fisica) e, una volta distribuiti a quest’ultimo, sono ulteriormente tassabili in Italia come dividendi.

Tuttavia, occorre considerare che il regime fiscale dei dividendi, ordinariamente, presuppone che i medesimi siano costituiti da utili che hanno già subito un’imposizione in capo alla società estera che li ha realizzati e che, pertanto, rappresentano una grandezza netta (vale a dire, al netto delle imposte pagate all’estero). 

Al contrario, gli utili distribuiti da entità estere trasparenti costituiscono una grandezza lorda, perché, in questo caso, il soggetto che distribuisce non ha pagato alcuna imposta sull’utile prodotto, in quanto tale utile è tassato direttamente in capo al socio.

Posto che nel nostro ordinamento gli utili derivanti dalla partecipazioni in enti esteri opachi e trasparenti sono entrambi qualificati come dividendi, la diversa quantificazione dei medesimi rischia di penalizzare la seconda tipologia di partecipazioni.

Per questo motivo, coerentemente con il disposto dell’articolo 73, comma 1, lettera d), del TUIR, che stabilisce, ai fini del trattamento fiscale interno, una finzione di “opacità” per le entità estere trasparenti, si ritiene che gli utili che queste ultime distribuiscono ai soci residenti debbano essere quantificati con modalità analoghe a quelle dei dividendi distribuiti da una società estera “realmente” opaca.

Conseguentemente, per effetto della predetta finzione di opacità, le imposte estere pagate dal socio residente sulla quota di utili a lui spettanti sono considerate come imposte pagate dalla società e saranno scomputate, ai fini della tassazione in Italia, dall’ammontare lordo al medesimo distribuito. Tale scomputo comporta che il dividendo tassato in Italia in capo al socio di un’entità estera trasparente sia costituito, al pari dei dividendi derivanti da partecipazioni in entità opache, da una grandezza netta, che tiene conto delle imposte pagate all’estero sugli utili oggetto di distribuzione.

In altri termini, se la società estera distribuisce l’utile dell’anno N, il dividendo rilevante fiscalmente in Italia in capo al socio è da quantificare al netto delle imposte pagate, in via definitiva, sul reddito che gli è stato imputato per trasparenza nella medesima annualità (anno N).

Qualora non venga distribuito tutto il risultato dell’esercizio ed il dividendo rappresenti solo una quota dell’utile, le imposte devono essere ridotte, naturalmente, in proporzione all’utile effettivamente distribuito.

La soluzione di qualificare come dividendo, ai fini fiscali, la quota di utile al netto delle imposte pagate all’estero dal socio implica la necessità che quest’ultimo dimostri quale sia l’annualità di formazione dell’utile percepito. In mancanza di un adeguato supporto documentale, si ritengono distribuiti al socio italiano, in via prioritaria, gli utili più recenti. 

Nell’ipotesi di ritenuta effettuata da un intermediario italiano che interviene nella riscossione del dividendo, il sostituto deve richiedere la documentazione attestante l’annualità di formazione dell’utile percepito e l’effettivo pagamento delle relative imposte estere.

 

6. la riliquidazione delle imposte estere a seguito dell’accertamento di un maggior reddito

 

Il comma 7 dell’articolo 165 del TUIR disciplina l’ipotesi in cui si debba procedere a una nuova liquidazione dell’imposta dovuta per il periodo nel quale il reddito estero ha concorso a formare l’imponibile, a seguito dell’accertamento – nel Paese della fonte – di un maggior reddito estero. La norma distingue l’ipotesi in cui, in Italia, sia o meno scaduto il termine per l’accertamento. 

In via preliminare, occorre stabilire se il maggior reddito estero assume rilievo anche per l’ordinamento italiano. Qualora, infatti, in Italia il reddito prodotto all’estero non venga rettificato, la situazione in esame risulta riconducibile a quella – precedentemente illustrata – in cui è necessario semplicemente procedere al riconoscimento delle ulteriori imposte estere pagate in un periodo d’imposta successivo a quello di appartenenza del reddito. Tale situazione può scaturire, in particolare, dalla non coincidenza, nel Paese della fonte e in Italia, delle regole di determinazione di un medesimo reddito. L’esempio più evidente è costituito dalla diversità dei criteri che disciplinano il reddito d’impresa, tale che il reddito di una stabile organizzazione assoggettato a tassazione nel Paese di localizzazione difficilmente corrisponde a quello che concorre alla formazione della base imponibile della casa-madre. Pertanto, se il maggior reddito accertato all’estero deriva dalla rettifica di componenti negativi o positivi effettuata in base a regole che non trovano corrispondenza nella disciplina italiana del reddito di impresa, si procederà solo ad una nuova liquidazione della detrazione spettante, senza alcuna rettifica del reddito originariamente dichiarato. In tal caso, si rinvia ai chiarimenti già illustrati al paragrafo 3.3.2.

Qualora, invece, la rettifica del reddito estero assuma rilievo anche in Italia, sulla base dei criteri di determinazione propri di ciascuna categoria reddituale (ad esempio, nel caso di una rettifica derivante dal disconoscimento di costi per operazioni inesistenti o dalla rilevazione di componenti positivi o singoli elementi di redditi occultati), il comma 7 prevede che si debba tenere conto del maggior reddito accertato, oltre che delle maggiori imposte estere. 

In tal caso, è necessario distinguere le ipotesi in cui in Italia sia o meno scaduto il termine per l’accertamento.

In pendenza dei termini per l’accertamento, l’imponibile e la relativa imposta devono essere rettificati. Ciò può avvenire per effetto dell’attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria o su iniziativa dello stesso contribuente. A tale fine, quest’ultimo è tenuto a presentare spontaneamente una dichiarazione dei redditi ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 “utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre i termini stabiliti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”, avvalendosi – se ne ricorrono i presupposti – del ravvedimento di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

In definitiva, la dichiarazione del maggior reddito estero comporta anche una nuova liquidazione della detrazione spettante a titolo di foreign tax credit, che tiene conto delle maggiori imposte estere sostenute a seguito della rettifica operata nello Stato della fonte.

Nel periodo d’imposta N, un soggetto residente in Italia – ad esempio una persona fisica con stabile organizzazione all’estero – presenta i seguenti dati:

 

Esempio n. 8 – Soggetto IRPEF con stabile organizzazione all’estero

 

Periodo di imposta N

 

Reddito estero

 

10.000

 

Redditi di fonte italiana

 

40.000

 

Reddito complessivo netto

 

50.000

 

Irpef

 

15.320

 

Imposta estera (aliquota del 30%)

 

3.000

 

Quota imposta italiana

 

      3.064*

 

Detrazione spettante

 

3.000

 

 

 

*3064= (10.000/50.000) x 15.320

 

Si supponga che nel periodo d’imposta N+2, l’Amministrazione fiscale estera accerti un maggior reddito estero per 6.000, tassato con aliquota progressiva

del 34 per cento, con una maggiore imposta di 2.040, pagata in via definitiva. 

 

Nel periodo di imposta N+2 il contribuente riliquida il periodo di imposta N e presenta una dichiarazione integrativa nella quale ridetermina il credito per le imposta estere come segue:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Periodo di imposta N + 2

 

 

 

Reddito estero del periodo N (somma di quello dichiarato e accertato) 

 

 

16.000

Reddito di fonte italiana

 

40.000

 

Reddito complessivo netto

 

56.000

 

Maggiore Irpef

 

2.310

 

Totale Irpef

 

17.630

 

Maggiore imposta estera

(aliquota progressiva 34%)

 

2.040

Imposta estera complessiva

 

5.040

 

Quota imposta italiana

 

      5.037*

 

Detrazione totale spettante (5.037<5.040)

 

5.037

 

Maggiore detrazione spettante (5037-3000)

 

2.037

 

 

 

 

 

 

*5.037= (16.000/56.000) x 17.630

 

 

 

Il maggiore reddito estero portato in dichiarazione determina una maggiore imposta da pagare in Italia.

 

Pertanto, la detrazione spettante, pari a 5.037 (in luogo di quella precedentemente liquidata pari a 3.000), è scomputata dall’imposta italiana dovuta sul maggior reddito estero, liquidata nella dichiarazione presentata ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del D.P.R. n. 322 del 1998 a seguito dell’iniziativa dello stesso contribuente.

 

In assenza di iniziativa da parte del contribuente, la rettifica della dichiarazione, conseguente al maggiore reddito estero, potrà avvenire ad opera dell’Amministrazione finanziaria mediante gli ordinari mezzi di accertamento e, in particolare, ricorrendone i presupposti, potrà essere effettuata ai sensi dell’articolo 41-bis del D.P.R. n. 600/1973. In tale sede potrà essere calcolata la maggiore detrazione spettante a titolo di credito per le imposte pagate all’estero, dietro presentazione di adeguata documentazione. 

 

Infine, qualora invece sia scaduto, in Italia, il termine per l’accertamento, l’ultimo periodo del comma 7 dell’articolo 165 del TUIR stabilisce che “la detrazione è limitata alla quota dell’imposta estera proporzionale all’ammontare del reddito prodotto all’estero acquisito a tassazione in Italia”. In altre parole, la maggiore imposta estera potrà rilevare solo proporzionalmente al reddito già a suo tempo sottoposto a tassazione, non essendo possibile tenere conto del maggior reddito percepito (in quanto non più accertabile).

 

Sulla base dei dati dell’esempio precedente ed ipotizzando che la rettifica nello Stato della fonte sia effettuata nell’esercizio N+5 (quindi, dopo la scadenza dei termini stabiliti in Italia per l’accertamento), la maggiore imposta pagata all’estero potrà essere riconosciuta solo parzialmente, come di seguito si espone:

 

 

 

Periodo d’imposta N +5

 

 

 

Reddito estero del periodo N (RED)

Maggior reddito estero accertato del periodo N + 5

Totale reddito estero accertato (REA)

10.000

6.000

16.000

Redditi di fonte italiana

 

40.000

 

Reddito complessivo netto

 

50.000

 

Totale Irpef

 

15.320

 

Maggiore imposta estera

(aliquota progressiva 34%)

 

2.040

Imposta estera complessiva (IEC)

 

5.040

 

Quota imposta italiana

 

      3.064

 

Totale imposte estere da riconoscere ai fini della nuova liquidazione (Y)

 

 

3.150

Detrazione totale spettante (3.064<3.150)

 

3.064

 

Maggiore detrazione da riconoscere (5037-3000)

 

64*

 

 

 

 

 

 

*64= Limite dell’imposta netta riferita all’esercizio N (3.064) – Detrazione già fruita nell’esercizio N (3.000)

 

 

 

Il totale delle imposte estere che possono essere riconosciute ai fini del foreign tax credit (Y) sarà infatti determinato come segue:

 

 

 

REA (16.000): IEC (5.040) = RED (10.000): Y

 

Y = RED /REA x IEC 

 

Y = 10.000/16.000 x 5.040= 3.150

 

 

 

L’ulteriore detrazione spettante di 64, rispetto a quella 3.000 già fruita nell’esercizio N, potrà essere richiesta nella dichiarazione entro il cui termine di presentazione è avvenuto il pagamento a titolo definitivo delle maggiori imposte estere. Anche a tale riguardo, si rinvia ai chiarimenti già illustrati nel par. 3.3.2.

 

Resta inteso che, come previsto dall’articolo 165, comma 8, del TUIR la detrazione non spetta nell’ipotesi in cui sia stata omessa la dichiarazione o non sia stato dichiarato il reddito prodotto all’estero. Al riguardo, si precisa che il reddito estero che sia stato accertato nel Paese di produzione si considera non dichiarato, con conseguente indetraibilità della relativa imposta, qualora in dichiarazione non risulti indicato un reddito derivante dalla medesima fonte produttiva e appartenente alla medesima categoria. 

 

 

 

7. le disposizioni specifiche per le imprese

 

 

 

I commi 5 e 6 dell’articolo 165 del TUIR hanno introdotto delle importanti novità riservate alle imprese che producono redditi esteri, con la finalità di rendere più agevole e tempestiva la fruibilità del credito per le imposte pagate oltre frontiera. 

 

Per i redditi d’impresa prodotti all’estero mediante stabili organizzazioni e dalle controllate in regime di consolidato mondiale, il comma 5 prevede la facoltà di calcolare la detrazione dall’imposta del periodo di competenza, anche se il pagamento a titolo definitivo avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al primo periodo d’imposta successivo. Inoltre, il successivo comma 6 prevede “per il reddito d’impresa prodotto, da imprese residenti, nello stesso paese estero” la possibilità di computare a credito l’imposta estera pagata a titolo definitivo che eccede la quota d’imposta italiana relativa al medesimo reddito, fino a concorrenza dell’opposta eccedenza dell’imposta italiana rispetto a quella estera sullo stesso reddito, eventualmente verificatasi negli otto esercizi precedenti. La residua eccedenza può essere memorizzata per il riporto a nuovo negli esercizi successivi, fino all’ottavo. La disposizione comporta che il foreign tax credit che, per incapienza dell’imposta italiana, non può essere riconosciuto nel periodo di “appartenenza” del reddito estero, possa essere fruito in un arco temporale più ampio al verificarsi della opposta situazione di insufficienza delle imposte estere rispetto a quella italiana relativa al reddito prodotto nel medesimo Paese estero.

 

Prima di illustrare in dettaglio la portata e l’ambito applicativo delle suddette disposizioni, si ritiene utile formulare alcune considerazioni preliminari sulle complesse problematiche connesse alla operatività estera delle imprese, che il legislatore ha preso in considerazione introducendo gli istituti in argomento. 

 

Il problema delle eccedenze – dell’imposta estera rispetto alla quota di imposta italiana o della quota d’imposta italiana su quella estera – si presenta in termini del tutto particolari per le imprese, in quanto tali eccedenze derivano non solo dalle maggiori o minori aliquote estere, ma soprattutto dalle differenti regole di determinazione della base imponibile.

 

In definitiva, per effetto delle circostanze attinenti alla specifica fiscalità delle imprese, accade normalmente che il reddito conseguito dalla stabile organizzazione all’estero, determinato secondo le disposizioni normative dello Stato di localizzazione, sia di ammontare diverso dal corrispondente reddito da sottoporre a tassazione in Italia.

 

Con il riporto delle eccedenze il legislatore ha inteso favorire la soluzione del problema, a condizione che le differenti regole di determinazione delle basi imponibili siano destinate a riconciliarsi negli esercizi di operatività dell’istituto. 

 

La memorizzazione delle eccedenze, ad esempio, opera nell’ipotesi estrema in cui, in un determinato esercizio, il risultato della stabile organizzazione dell’impresa residente si traduca in una perdita nello Stato della fonte e assuma invece valore positivo per l’ordinamento interno. 

 

Analogamente, le imposte estere sostenute nel periodo di appartenenza del reddito (o quelle sostenute successivamente in relazione a tale reddito) non perdono rilevanza qualora il suddetto reddito (assoggettato a tassazione nello Stato estero) assuma in Italia valore negativo o pari a zero, purché si tratti di un valore fiscalmente significativo di una attività estera che continua ad essere esercitata. In tal caso, infatti, il risultato domestico può derivare dalla contrapposizione dei costi e dei ricavi di una stabile organizzazione, ovvero dalla compensazione tra i singoli elementi di reddito (royalties, interessi ecc.) e la perdita conseguiti dalla stessa nel medesimo Paese.

 

Inoltre, potrebbe accadere che redditi isolati (quali, ad esempio, interessi attivi e royalties) siano assoggettati a tassazione, nello Stato della fonte, sul loro ammontare lordo, mentre, nello Stato di residenza, concorrono a formare il reddito di impresa al netto dei costi sostenuti per la loro produzione. Tale circostanza può comportare che le singole componenti di reddito tassate oltre frontiera siano di ammontare superiore al reddito complessivo netto, determinando, di conseguenza, la formazione (per incapienza della relativa quota di imposta italiana) di eccedenze positive di imposta estera, che l’articolo 165 del TUIR consente di memorizzare.

 

Con riguardo alla decorrenza delle disposizioni del comma 6 dell’articolo 165 del TUIR, si rammenta che le stesse sono entrate in vigore il 1° gennaio 2004, rendendo, pertanto, possibile la memorizzazione delle eccedenze per i redditi d’impresa prodotti a decorrere da tale data. 

 

 

 

7.1 Il periodo d’imposta in cui può essere operata la detrazione per le imprese con stabile organizzazione all’estero. Il comma 5 dell’articolo 165 del TUIR ha introdotto una disposizione speciale per i redditi d’impresa prodotti all’estero mediante stabili organizzazioni o da società aderenti al consolidato mondiale. La norma prevede che la detrazione del foreign tax credit possa essere operata dall’imposta del periodo di competenza anche se il pagamento a titolo definitivo avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al primo periodo d’imposta successivo. L’esercizio di tale facoltà è condizionato all’indicazione, nella dichiarazione dei redditi, delle imposte estere detratte per le quali non è ancora avvenuto il pagamento a titolo definitivo. 

 

Si tratta di una disposizione finalizzata ad assicurare il rispetto della connessione tra l’esercizio in cui il reddito estero concorre all’imponibile, con contabilizzazione in bilancio delle relative imposte, e l’esercizio per il quale spetta la detrazione. Secondo il dato testuale del comma 5, la disposizione in esame introduce una facoltà e non un obbligo per il contribuente.

 

Tale facoltà può essere esercitata da tutte le imprese residenti (comprese quindi le società che hanno esercitato l’opzione per il consolidato nazionale) che producono all’estero redditi d’impresa mediante stabile organizzazione, nonché dal soggetto consolidante in riferimento ai redditi prodotti dalle controllate non residenti comprese nel perimetro del consolidato mondiale. In alternativa, il contribuente può attendere il pagamento definitivo delle imposte estere ed operare la detrazione nella dichiarazione entro il cui termine di presentazione è avvenuto tale pagamento, secondo le indicazioni in precedenza fornite.

 

L’opzione in commento tiene conto della circostanza che, normalmente, i termini di riscossione delle imposte sono previsti in via normativa e può esistere quindi una ragionevole aspettativa che il pagamento possa avvenire entro la data richiesta. In proposito si precisa che, qualora non si concretizzi la summenzionata condizione, grava sul contribuente il rischio del disconoscimento del credito. 

 

Al riguardo, occorre precisare che, a differenza di quanto chiarito a commento del comma 4 dell’articolo 165 del TUIR, il termine previsto dal comma 5 è il termine di scadenza stabilito per la presentazione della dichiarazione relativa al primo periodo d’imposta successivo a quello di competenza. Ad esempio, per i soggetti con l’esercizio coincidente con l’anno solare, l’ultima data utile per i redditi prodotti nel 2014 è il 30 settembre 2016, anche nel caso in cui la dichiarazione dei redditi venga presentata successivamente, con ritardo non superiore ai 90 giorni. Ciò si desume dal tenore letterale della disposizione contenuta nel comma 5 che richiede che il pagamento si verifichi entro il “termine di presentazione della dichiarazione” e non, invece, “prima della presentazione” della dichiarazione, come previsto nel precedente comma 4.

 

Si pone, inoltre, il problema delle conseguenze derivanti dal mancato pagamento delle imposte estere entro il termine indicato, non disciplinate in modo espresso dalla disposizione in commento. La norma subordina la legittimità della detrazione del credito per competenza alla condizione che il pagamento definitivo delle imposte estere avvenga nei termini previsti. Il mancato verificarsi di tale evento comporta il venir meno retroattivamente degli effetti dell’opzione e rende indebita la detrazione operata. A seguito di controllo formale della dichiarazione, l’imposta indebitamente detratta è, pertanto, iscritta a ruolo ai sensi dell’articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973, così come la sanzione per omesso versamento di cui all’articolo 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 e gli interessi, calcolati a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento fino alla data di consegna al concessionario del ruolo. 

 

Inoltre, il contribuente può avvalersi della facoltà prevista dall’articolo 2, comma 8, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, in base al quale la dichiarazione dei redditi può essere integrata per correggere errori od omissioni mediante una successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini di decadenza dell’azione di accertamento e, quindi, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la prima dichiarazione. In tal caso, il contribuente, ricorrendone i presupposti, può avvalersi del ravvedimento operoso disciplinato dall’articolo 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, beneficiando della riduzione delle sanzioni.

 

 

 

7.2 Riporto delle eccedenze: ambito soggettivo e oggettivo. Come specificato nell’articolo 165, comma 6, del TUIR, il meccanismo del riporto è riservato unicamente al “reddito di impresa prodotto, da imprese residenti, nello stesso paese estero”.

 

Da un punto di vista soggettivo, il riporto delle eccedenze è utilizzabile dai soggetti residenti titolari di reddito di impresa, mentre dal punto di vista oggettivo la norma è riferibile al “reddito di impresa prodotto … nello stesso paese estero”. A tale riguardo, è necessario chiarire se la norma si applichi solo nel caso in cui le “imprese residenti” producano nello Stato estero un reddito oggettivamente qualificabile come d’impresa, ossia derivante da una attività esercitata tramite una stabile organizzazione, oppure se essa si estenda anche alle ipotesi in cui le suddette imprese vi conseguano redditi “isolati” – quali ad esempio interessi attivi, royalties ecc. – che all’estero sono tassati come componenti separate, ma che concorrono, in Italia, alla formazione dell’unitario reddito d’impresa.

 

Il problema si pone perché – come detto – la lettura “a specchio” dell’articolo 23 del TUIR comporta che il reddito prodotto all’estero si consideri reddito d’impresa soltanto in presenza di una stabile organizzazione. 

 

Sul punto si rileva, tuttavia, che l’originaria versione del ripetuto comma 6 dell’articolo 165 del TUIR, contenuta nello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 settembre 2003, faceva riferimento al “reddito d’impresa prodotto nello stesso paese estero mediante una o più stabili organizzazioni”. L’attuale formulazione è stata adottata dopo che la VI commissione Finanze della Camera, con il parere 26 novembre 2003, n. 281 (punto 25, lettera a), aveva invitato il legislatore delegato ad estendere l’applicazione della disciplina del riporto non solo ai redditi d’impresa conseguiti tramite stabile organizzazione, ma “anche agli altri redditi di fonte estera che rientrino fra i redditi d’impresa (ad esempio le royalties)”. 

 

Si ritiene che la definitiva formulazione del comma 6, nella quale manca il riferimento alla produzione del reddito “mediante una o più stabili organizzazioni” sia riconducibile alla precisa volontà del legislatore di dare attuazione al principio enunciato nel citato parere. La norma trova, quindi, applicazione nelle ipotesi in cui l’impresa residente produca in uno stesso Paese estero singole componenti di reddito, purché esse concorrano, nel territorio nazionale, alla formazione del reddito di impresa, anche in caso di reddito prodotto da società di persone residenti o da società di capitali che hanno optato per il regime di trasparenza fiscale di cui agli articoli 115 e 116 del TUIR, imputabile ai soci, ai fini dell’applicazione della imposta personale. 

 

Si precisa, al riguardo, che la memorizzazione delle eccedenze è possibile anche per le persone fisiche e gli enti non commerciali privi di stabili organizzazioni all’estero, purché gli eventuali redditi isolati prodotti oltre frontiera (ad esempio royalty) derivino da attività o da beni (marchi brevetti ecc.) relativi all’impresa da essi esercitata in Italia e non da beni riconducibili al patrimonio privato, personale o istituzionale. 

 

In ultimo, si ritiene che la norma, nel consentire il riporto delle eccedenze di imposte estere rispetto “alla quota d’imposta italiana relativa al medesimo reddito estero”, non richieda la loro separata rilevazione con riferimento ai singoli elementi di reddito, non connessi ad una stabile organizzazione, che una impresa può produrre in uno stesso Stato. Non sono ipotizzabili, in altri termini, distinti basket delle eccedenze relative alle royalties, agli interessi attivi o al reddito della stabile organizzazione eventualmente prodotti da un’impresa nel medesimo Paese. 

 

 

 

7.3 Le modalità di calcolo delle eccedenze e il riporto all’indietro (carry back) e in avanti (carry forward). Per quanto attiene alla pratica applicazione dell’istituto, il comma 6 prevede la rilevazione di due opposte eccedenze:

 

a) dell’imposta estera pagata a titolo definitivo che eccede la quota di imposta italiana relativa al reddito prodotto nel medesimo Paese (indicata, negli esempi, come “Ecc IE”, che confluisce nel relativo basket);

 

b) della quota d’imposta italiana che eccede le imposte estere pagate su tale reddito Paese (indicata, negli esempi, come “Ecc II”, che confluisce nel relativo basket).

 

L’istituto consente quindi la compensazione delle due eccedenze, attuata con il riporto all’indietro o in avanti, in un arco temporale che copre complessivamente sedici esercizi. 

 

Ogniqualvolta risulti un’eccedenza delle imposte estere pagate a titolo definitivo rispetto alla quota di imposta italiana relativa al medesimo reddito prodotto in uno Stato (inteso come flusso complessivo delle varie componenti), è possibile – a regime – verificare la capienza del canestro (di seguito, “basket”) in cui sono state precedentemente memorizzate le eventuali eccedenze di segno opposto, ossia le eccedenze dell’imposta italiana rispetto a quella estera, sorte negli otto esercizi precedenti, con riferimento al reddito prodotto nel medesimo Stato. 

 

Pertanto, la predetta eccedenza dell’imposta estera, quale risulta dal basket “eccedenza imposta estera” (Ecc IE), può essere computata a credito fino a concorrenza dell’ammontare complessivo del basket “eccedenza imposta italiana” (Ecc II). In particolare, essa può essere utilizzata in riduzione dell’imposta di periodo in cui viene verificata l’esistenza di tale capienza. Anche in tal caso, il sistema non consente il finanziamento delle imposte estere, bensì comporta la riliquidazione, a favore del contribuente, delle imposte italiane precedentemente versate. 

 

La residua eccedenza di imposta estera (o il suo intero ammontare se nel precedente periodo di osservazione non si erano formate eccedenze di imposta italiana) può essere riportata a nuovo fino all’ottavo esercizio successivo e potrà essere utilizzata come credito al verificarsi – nel medesimo Paese estero – dell’opposta eccedenza della quota di imposta italiana. Alla scadenza dell’ultimo periodo in cui è consentito il riporto, l’eventuale residuo di eccedenze di imposte estere sarà azzerato e non potrà essere portato in diminuzione dal reddito imponibile del soggetto residente, né altrimenti recuperato in Italia. 

 

Si propone il seguente esempio di riporto in avanti e di riporto all’indietro, ipotizzando che i redditi siano stati prodotti da una stabile organizzazione nello Stato A di una società di capitali residente e che le imposte estere siano sempre state effettivamente pagate a titolo definitivo entro il termine previsto dal comma 5 dell’articolo 165 del TUIR. Si ipotizza inoltre che, per effetto delle diverse regole di determinazione, il reddito della stabile organizzazione sia di ammontare diverso in Italia rispetto a quello del Paese della fonte.

 

 

 

Esempio n. 9 – Riporto in avanti e all’indietro delle eccedenze 

 

 

 

 

 

 

 

 

es. n

es. n + 1

es. n + 2

es. n + 3

es. n + 4

RE Stato A

 

90

 

90

 

30

 

350

 

450

 

RE rideterminato in Italia

 

Red. in Italia

 

1000

 

50

 

50

 

1000

 

500

 

Red. complessivo

 

1100

 

150

 

100

 

1300

 

1000

 

Imp. E 30%

 

27

 

27

 

9

 

105

 

135

 

Imp. I totale 27,5%

 

302,5

 

41,25

 

27,50

 

357,5

 

275

 

Quota II relativa al RE

 

100/1100 x

302,5=27,5

100/150 x

41,25=27,5

50/100 x

27,5=13,75

300/1300 x

357,5=82,5

500/1000 x

275=137,5

A) Ecc. II formata nell’esercizio

 

27,5 – 27 =

0,5

27,5 – 27 =

0,5

13,75 – 9 = 4,75

 

137,5 – 135 = 2,5

B) Ecc. IE formata nell’esercizio

 

     

105 – 82,5 =

22,5

 
A) Ecc. II utilizzata

 

     

5,75

2,5

B) Ecc. IE utilizzata

 

     

5,75

2,5

A) Totale Ecc. II non utilizzata

 

0,5

0,5+0,5=

1*

1+4,75=

5,75

5,75 – 5,75 =

0

2,5 – 2.5 =

0

B) Totale Ecc. IE non utilizzata

 

   

16,75 (22,50 – 5,75)

16,75-

2,5=14,25

Imp. dovuta in Italia

 

302,5 – 27=

275,5

41,25 – 27=

14,25

27,5 – 9 =

18,5

357,5 – (82,5 + 5,75) =

269,25

275 – (135 +

2,5)= 137,5

100

 

100

 

50

 

300

 

500

 

 

Nell’esempio illustrato si ipotizza che la quota d’imposta italiana relativa al reddito estero non ecceda l’imposta netta di periodo, ossia che venga rispettato il LIMITE 2 di cui al paragrafo 3.1.

Tuttavia, qualora si verifichi tale eventualità che, come già chiarito, riduce l’ammontare del credito spettante, la differenza potrà essere computata in aumento della eccedenza delle imposte estere. 

Con riferimento al precedente esempio, se nel periodo N+3, a fronte di una quota di imposta lorda pari a 82,5, risultasse dovuta un’imposta netta di 70, l’eccedenza dell’imposta estera sarebbe pari a 35 (105-70), anziché a 22,5.

Generalmente, la rilevazione delle eccedenze richiede che entrambi gli elementi del rapporto (numeratore e denominatore) di cui al primo comma dell’articolo 165 del TUIR assumano valore positivo. Occorre infatti che sussista un reddito prodotto all’estero da indicare al numeratore del rapporto e che il denominatore evidenzi un reddito complessivo maggiore di zero, cui corrisponda un’imposta italiana dovuta, una quota della quale sia da considerare relativa al reddito estero. 

Si verificano, tuttavia, delle situazioni in cui la rilevazione delle eccedenze è possibile pur in assenza di un reddito estero assoggettato a tassazione in Italia (numeratore =<0) o in assenza di un’imposta italiana dovuta (denominatore =<0).

 

7.3.1 Il calcolo delle eccedenze quando il numeratore del rapporto (RE/RCN) di cui al primo comma dell’art. 165 del TUIR è pari a zero o assume valore negativo(3). Si esamina di seguito il caso in cui l’impresa abbia prodotto all’estero redditi ivi assoggettati a tassazione, ma tali redditi assumano in Italia valore pari a zero o negativo. 

Come ricordato, i diversi criteri di determinazione del reddito d’impresa possono comportare che il reddito di una stabile organizzazione assuma valore positivo per lo Stato della fonte (ove, quindi, sono prelevate le relative imposte) e valore negativo o pari a zero per lo Stato di residenza.

 Può, inoltre, verificarsi che nel medesimo Stato un’impresa produca singoli redditi (royalties, interessi …), assoggettati a tassazione, e una perdita derivante dalla stabile organizzazione, sicché il reddito netto prodotto in tale Stato risulta complessivamente pari a zero o negativo. 

In questa ipotesi, in cui è necessario tenere conto che l’impresa ha effettivamente prodotto redditi esteri, si ritiene possibile memorizzare le intere imposte assolte all’estero nel basket delle eccedenze di imposta estera sulla quota d’imposta italiana, in coerenza con le finalità proprie dell’istituto in commento. 

Si illustra, di seguito, un esempio in cui il numeratore (RE) del rapporto assume valore pari a zero.

 

Esempio n. 10 – Esercizio N – Numeratore del rapporto pari a zero

 

 

esercizio n

 

esercizio n + 1

 

RE (SO) Stato A

 

1000

 

0

 

RE rideterminato in Italia

 

0

 

1000

 

Reddito in Italia

 

2000

 

2000

 

Reddito complessivo

 

2000

 

3000

 

Imposta E 30%

 

300

 

0

 

Imposta I totale 27,5%

 

550

 

825

 

Quota di imposta italiana relativa al RE

 

0/2.000 x 550 = 0

 

1000/3000 x 825 = 275

 

Credito d’imposta spettante

 

0<300 ® 0

 

275>0 ® 0

 

A) Ecc. II

formata nell’esercizio

 

275 – 0 = 275

 

B) Ecc. IE

formata nell’esercizio

300 – 0 = 300

 

 
A) Ecc. II utilizzata

 

0

 

275

 

B) Ecc. IE utilizzata

 

0

 

275

 

A) Totale Ecc. II

non utilizzata

 

275 – 275 = 0

 

B) Totale Ecc. IE

non utilizzata

300

 

300 – 275 = 25

 

Imposta dovuta in Italia

 

550 – 0 = 550

 

825 – 275 = 550

 

 

 

Nell’esercizio N+1 l’imposta italiana è ridotta di 275 e si conserva una residua eccedenza di imposta estera di 25(4).

In ipotesi di numeratore (RE) del rapporto con valore negativo, valga il seguente esempio: 

 

Esempio n. 11 – Esercizio N – Numeratore del rapporto negativo

 

 

esercizio n

 

esercizio

n + 1

esercizio n + 2

 

RE (SO) Stato A

 

1000

 

-100

 

100

 

RE rideterminato in Italia

 

-100

 

1000

 

100

 

Reddito in Italia

 

2000

 

2000

 

2000

 

Reddito complessivo

 

1900

 

3000

 

2100

 

Imposta E 30%

 

300

 

0

 

05

 

Imposta I totale 27,5%

 

522,5

 

825

 

577,5

 

Credito d’imposta spettante

 

0

(-100/1900 x 522,5 = -27,5)

1000/3000 x 825=0 (<275)

 

100/2100 x

577,5=0 (<27,5)

A) Ecc. II formata nell’esercizio

 

– 27,5

 

275

 

27,5

 

B) Ecc. IE formata nell’esercizio

 

300 – 0 = 300

 

0

 

0

 

A) Ecc. II

utilizzata

 

247,5

(275-27,5)

27,5

 

B) Ecc. IE

utilizzata

 

247,5

 

27,5

 

A) Totale Ecc. II non utilizzata

 

– 27,5

 

0

 

0

 

B) Totale Ecc. IE non utilizzata

 

300

 

52,5

 

25

(52,5 – 27,5)

Imp. dovuta

in Italia

522,5

 

825 – 247,5

= 577,5

577,5 – 27,5 = 550

 

 

Nell’esercizio N + 1 dell’esempio n. 11, l’eccedenza di imposta italiana (275) deve, prioritariamente, essere sommata algebricamente alla eccedenza di imposta italiana di segno negativo (-27,5) generatasi nel precedente esercizio. Il residuo ammontare (247,5) può essere compensato con l’eccedenza di imposta estera dell’esercizio precedente. Conseguentemente, l’imposta dovuta dell’esercizio N+1 si riduce a 577,5 (825 – 247,5) e rimane memorizzata un’eccedenza di imposta estera di 52,5 (300 – 247,5).

Nell’esercizio N+2, risulta possibile compensare parte della residua eccedenza di imposta estera memorizzata (pari a 52,5) del precedente periodo con l’opposta eccedenza di imposta italiana di 27,5. Di conseguenza l’imposta dovuta si riduce a 550 e potrà essere memorizzata un’eccedenza di imposta estera residuale pari a 25 (52,5 – 27,5).

È evidente, da quanto sopra illustrato, l’utilità del riporto, soprattutto per ridurre gli svantaggi derivanti alle imprese dal ricalcolo del reddito della stabile organizzazione secondo i criteri interni, che può determinare differenze rilevanti di basi imponibili (o addirittura perdite in luogo di redditi), derivanti spesso da mere questioni di timing. È coerente, quindi, con la funzione dell’istituto consentire la memorizzazione delle imposte estere sostenute su un reddito regolarmente assoggettato a tassazione nel Paese della fonte, anche quando tale reddito assuma valore negativo in Italia. 

Nel caso di reddito estero (RE) negativo, ai fini del calcolo del rapporto di cui al comma 1 dell’articolo 165 del TUIR, si possono verificare tre differenti situazioni:

1. Denominatore del rapporto positivo (RCN >0): in tal caso la perdita estera riduce di pari importo il reddito imponibile e di conseguenza la relativa imposta dovuta in Italia. Pertanto, il rapporto va eseguito, prendendo il valore assoluto dei singoli elementi, come nell’esempio n. 11 (esercizio N), utilizzando la formula del comma 1 dell’articolo 165 del TUIR, e si memorizzerà l’eccedenza d’imposta italiana di segno negativo (il rapporto potrà assumere valore superiore a 1);

2. Denominatore pari a zero o negativo (RCN<0), inferiore (in valore assoluto) alla perdita estera: in tal caso la perdita estera non riduce di pari importo il reddito imponibile. Pertanto, occorrerà calcolare la quota d’imposta italiana risparmiata per effetto del concorso della perdita estera, pari all’imposta dovuta sulla differenza tra il numeratore e il denominatore. Nel caso, ad esempio, di perdita estera pari a -100 e reddito complessivo al netto delle perdite pari a -50, dovrà essere memorizzata un’eccedenza d’imposta italiana di segno negativo pari a -13,75;

3. Denominatore negativo (RCN<0), uguale o superiore (in valore assoluto) alla perdita estera: in tal caso la perdita estera non ha generato un immediato risparmio d’imposta e, pertanto, non dovrà essere evidenziata alcuna eccedenza d’imposta italiana di segno negativo. La perdita rileverà negli esercizi successivi con la determinazione del credito spettante.

 

7.3.2 Il calcolo delle eccedenze quando il denominatore del rapporto (RE/RCN) di cui al primo comma dell’art. 165 del TUIR è pari a zero o assume valore negativo ed il reddito estero è positivo. Una diversa ipotesi da quelle prima esaminate si verifica quando, pur in presenza di redditi esteri positivi, il denominatore del rapporto di cui al comma 1 dell’articolo 165 del TUIR sia pari a zero o minore di zero. Occorre al riguardo esaminare distintamente il caso in cui l’impresa abbia realizzato perdite coeve della gestione italiana dal caso in cui, invece, influiscano sul denominatore perdite pregresse computate a riporto.

Al riguardo, si ritiene che il comma 6 dell’articolo 165 del TUIR consenta di memorizzare le eccedenze di imposta estera che si formano nei periodi di imposta in cui – pur non essendosi generato in Italia un reddito complessivo positivo – il concorso del reddito estero ha azzerato le perdite domestiche che, pertanto, non sono più disponibili per il riporto. In particolare, potrà essere memorizzata in ciascuno di tali esercizi un’eccedenza d’imposta estera sulla quota d’imposta italiana, pari alla differenza tra le imposte estere pagate in via definitiva e la quota di imposta italiana pari a zero. 

Diversa potrebbe essere la soluzione nel caso in cui l’impresa consegua un reddito estero, a fronte di un risultato pari a zero della gestione italiana e disponga di perdite pregresse riportabili. In tal caso, l’impresa ha la possibilità di scegliere tra due diverse opzioni.

Può utilizzare, ai sensi dell’articolo 84, comma 1, del TUIR, le perdite pregresse in diminuzione del reddito imponibile dell’esercizio in misura non superiore all’ottanta per cento del medesimo e per l’intero importo che trova capienza nel loro ammontare. 

In alternativa, può avvalersi della facoltà prevista dal predetto comma 1 che, come è noto, prevede che le perdite pregresse possano essere computate in diminuzione del reddito complessivo in misura tale che l’imposta corrispondente al reddito imponibile risulti compensata da eventuali crediti d’imposta, ritenute alla fonte, versamenti in acconto o eccedenze riportate a nuovo. 

Si ritiene che tale possibilità riguardi tutti i crediti di cui il contribuente può beneficiare e, quindi, anche quello previsto dall’articolo 165 del TUIR. 

Di conseguenza, sarà possibile non utilizzare pienamente le perdite pregresse disponibili per l’ulteriore riporto, in modo da far emergere un reddito complessivo al quale corrisponda, al massimo, un’imposta pari a quella estera. 

Il calcolo del denominatore – reddito complessivo che consente il pieno utilizzo delle imposte estere – è effettuato in base alla seguente formula: IE/27,5 x 100. 

Si riporta di seguito un esempio in cui si assume che le perdite siano state generate nei primi tre periodi d’imposta. In tale esempio, le perdite pregresse sono riportate a nuovo in misura tale che l’imposta dell’esercizio sia interamente assorbita dal credito per le imposte pagate all’estero.

 

Esempio n. 12 – Denominatore del rapporto negativo o pari a zero

 

 

es. n

es. n + 1

es. n + 2

es. n + 3

es. n + 4

es. n + 5

RE

 

100

100

100

0

0

0

Reddito in Italia

 

0

0

0

100

100

100

Perdite pregresse

 

300

290,9

281,8

181,8

81,8

0

Reddito complessivo

 

90.9*

90.9*

0

0

18,2

100

Perdite pregresse utilizzate

 

9,1

(100-90,9)

9,1

(100-90,9)

100

100

81,8

0

Imp. E

 

25

25

25

0

0

0

Imp. I totale 27,5%

 

25

25

0

0

5

27,5

Quota II relativa al RE

 

100/90,9(=1)x 25=25

100/90,9(=1)x 25=25

100/0x0=0

 

0

0

0

A) Ecc. II

formata nell’esercizio

0

0

0

0

0

0

B) Ecc. IE

formata nell’esercizio

   

25

 

0

0

A) Ecc. II utilizzata

 

   

0

 

0

0

B) Ecc. IE utilizzata

 

   

0

 

0

0

A) Totale Ecc. II

non utilizzata

0

0

0

 

0

0

B) Totale Ecc. IE

non utilizzata

   

25

25

25

25

Imposta dovuta in Italia

 

25-25=0

25-25=0

0

0

5

27,5

 

 

7.3.3 Il calcolo delle eccedenze nell’ipotesi in cui le imposte estere si rendono definitive, in tutto o in parte, in periodi d’imposta successivi a quello di appartenenza del reddito. Nell’ipotesi in cui l’imposta estera si rende definitiva, in tutto o in parte, in esercizi successivi a quello di appartenenza del reddito estero, è necessario rideterminare il credito spettante, tenendoconto degli elementi reddituali, della quota di imposta italiana e della imposta netta del periodo di appartenenza del reddito, nonché delle imposte estere complessivamente pagate. In proposito, appare opportuno chiarire quale classe di anzianità debba essere attribuita alle variazioni successive e quali siano le conseguenze del pagamento di ulteriori imposte sulle eccedenze originariamente determinate. Tale ultimo problema si presenta, in particolare, per le eccedenze dell’imposta italiana, in quanto quelle di segno opposto sono destinate, eventualmente, soltanto ad aumentare a seguito degli ulteriori tributi prelevati dallo Stato della fonte, ma non a ridursi. 

Per esemplificare il problema si consideri il seguente caso in cui, nell’esercizio N+2, il contribuente paga ulteriori imposte estere in relazione al reddito dell’esercizio N.

 

Esempio n. 13 – Definitività delle imposte estere in periodi successivi 

 

 

esercizio n

 

esercizio

n + 1

esercizio n + 2

 

Quota d’imposta italiana

 

100

 

100

 

100

(esercizio N)

Imp. Estere

 

80

 

120

 

60

(sul reddito esercizio N)

Totale Imposte estere Reddito

Esercizio N

80

 

 

140

 

Credito d’imposta spettante

 

80

 

100 + 20

 

0

(100-80-20)

A) Ecc. II  dell’esercizio

 

20

 

0

 

0

 

B) Ecc. IE  dell’esercizio

 

0

 

20

 

40

 

A) Ecc. II

utilizzata

0

 

20

 

0

 

B) Ecc. IE

utilizzata

0

 

20

 

0

 

A) Totale Ecc. II non utilizzata

 

20

 

0

 

0

 

B) Totale Ecc. IE non utilizzata

 

0

 

0

 

40

 

 

 

* con evidenza dei soli dati relativi all’ulteriore pagamento di imposte estere riferite all’esercizio N 

 

Al riguardo, si ritiene che, in coerenza con il dato testuale del comma 6, debba essere riconosciuta la immediata utilizzabilità delle eccedenze, pro tempore, correttamente calcolate. Pertanto, nel caso rappresentato nell’esempio, il contribuente può, per il periodo d’imposta N+1, utilizzare un credito di 20, derivante dalla compensazione dell’eccedenza di imposta estera che si è formata in tale esercizio N+1 con l’opposta eccedenza di imposta italiana del periodo d’imposta N. Successivamente, nella dichiarazione dei redditi entro il cui termine di presentazione sono stati effettuati ulteriori versamenti di imposte estere (N+2), il contribuente dovrà:

• rideterminare l’eventuale maggior credito spettante secondo le modalità già illustrate, detraendolo dall’imposta netta di periodo e computando l’eventuale differenza in riduzione delle imposte del periodo successivo ovvero in compensazione, tenendo conto – in ogni caso – del limite dell’imposta netta del periodo di appartenenza del reddito.

• ricalcolare le eccedenze. Se le richiamate eccedenze non sono state ancora utilizzate, l’operazione comporterà soltanto l’obbligo di variare nella suddetta dichiarazione i relativi dati. Diversamente, gli importi precedentemente utilizzati dovranno essere scomputati, fino a concorrenza, dall’eventuale maggior credito spettante.

Con riferimento al caso sopra esemplificato, nel periodo d’imposta N+2, il contribuente acquisisce il diritto ad un credito totale, riferito all’anno N, pari a 100 (importo minore tra la quota di imposta italiana e il totale delle imposte estere pagate), rispetto a quello precedentemente determinato in misura pari a 80. Il conseguente maggior credito (pari a 20) deve, tuttavia, essere azzerato, fino a concorrenza dell’importo delle eccedenze di imposta italiana, memorizzato nell’anno N e successivamente già utilizzato nel periodo d’imposta N+1. Di conseguenza, le maggiori imposte versate nell’anno N+2 (pari a 60) alimenteranno – per il residuo importo di 40 – l’eccedenza delle imposte estere, assumendo la classe di anzianità dell’esercizio in cui sono state pagate (N+2). Non spetteranno ulteriori crediti né dovranno essere restituite imposte. 

Infine, si rammenta che le disposizioni del comma 6 dell’articolo 165 del TUIR, applicabili al “reddito d’impresa, prodotto da imprese residenti, nello stesso paese estero”, sono entrate in vigore il 1° gennaio 2004. Conseguentemente, come è stato precisato nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione, la memorizzazione delle eccedenze è stata possibile soltanto per i redditi d’impresa prodotti a decorrere da tale data e non è stata riconosciuta per le imposte estere relative a redditi prodotti prima del 1° gennaio 2004, anche se pagate successivamente.

 

7.3.4 Calcolo delle eccedenze nell’ipotesi in cui il reddito estero è prodotto in periodi d’imposta diversi. Per effetto della riliquidazione effettuata ai sensi del comma 7 dell’articolo 165 del TUIR può verificarsi che, in un medesimo periodo d’imposta, si formino più eccedenze anche di segno opposto: quelle relative a redditi prodotti in tale periodo e quelle sostenute in relazione a redditi prodotti in periodi precedenti. 

Al riguardo, come già anticipato nel precedente paragrafo, si ribadisce che le eccedenze di imposte estere che si formano a seguito della riliquidazione prevista ai sensi del comma 7 assumono, ai fini del riporto, la classe di anzianità del periodo in cui le imposte estere da cui derivano sono state pagate. Esse, quindi, si cumulano con le altre eventuali eccedenze di imposte estere relative al reddito prodotto nel medesimo periodo in un determinato Stato. Qualora, invece, dal reddito di periodo si generi un’eccedenza dell’imposta italiana, quest’ultima è immediatamente compensabile con l’eccedenza di imposta estera sorta nel medesimo periodo, in relazione a redditi precedentemente prodotti. 

 

7.3.5 Calcolo eccedenze in ipotesi di produzione di redditi in più Stati e collegamento con il principio della per country limitation. In applicazione del principio della per country limitation di cui al comma 3 dell’articolo 165 del TUIR, la determinazione delle detrazioni spettanti a titolo di foreign tax credit e delle eventuali eccedenze deve essere effettuata separatamente Stato per Stato. Il numeratore del rapporto previsto dal primo comma dell’articolo 165 del TUIR (RE/RCN) dovrà comprendere solo i redditi complessivamente prodotti in uno stesso Stato. Dopo aver determinato il credito e le eccedenze relative a ciascuno Stato, occorre verificare se il totale dei crediti, separatamente determinati, trovi capienza nell’imposta netta totale italiana. In caso affermativo, il totale dei crediti attribuibili a ciascuno Stato potrà essere portato in detrazione per il suo intero ammontare e occorrerà memorizzare, separatamente per ciascuno Stato estero, le eccedenze derivanti dal confronto tra le imposte pagate a titolo definitivo in ciascuno Stato estero e la quota d’imposta italiana di cui al comma 1 dell’articolo 165 del TUIR.

Può verificarsi, tuttavia, che alcuni risultati delle attività estere e di quelle domestiche siano negativi, con particolari effetti sulla determinazione delle detrazioni spettanti e delle eccedenze. Il denominatore del rapporto, infatti, non esprime la sommatoria dei soli risultati positivi, in quanto è costituito dal reddito complessivo dell’impresa, che tiene conto sia dei redditi che delle perdite verificatesi in Italia e all’estero. Il numeratore, invece, evidenzia, Stato per Stato, il reddito ivi prodotto, che può anche essere uguale o superiore al reddito complessivo. 

Si riporta di seguito una serie di esempi volti a chiarire le modalità di determinazione delle eccedenze nei casi di presenza di risultati negativi in Italia o all’estero.

Nell’esempio 14 si esamina il caso di un soggetto IRES, titolare di redditi in più Stati esteri, che consegue un reddito positivo in Italia e un reddito negativo in uno degli Stati esteri. L’imposta netta dovuta in Italia è maggiore del totale dei crediti attribuibili ai singoli Stati. 

 

Esempio n. 14 Soggetto IRES – Reddito negativo in uno Stato estero e reddito positivo in Italia. Imposta netta maggiore del totale dei crediti attribuibili ai singoli Stati.

 

Luogo di produzione del reddito

 

Reddito

 

Imposte estere 

 

Imposta italiana

 

Quota d’imposta italiana relativa al reddito estero

 

Stato A

 

1.000

 

400

 

 

1.000/1.000 x 275* = 275

 

Stato B

 

-500

 

0

 

 

-500/1.000 x 275* = -137,5

 

Italia

 

500

 

     

RCN

 

1.000

 

 

275

 

 

 

 

* Imposta netta dovuta = imposta lorda

 

Per effetto della determinazione separata del credito e delle eccedenze relativi a ciascuno Stato, si avrà la seguente situazione:

Stato A: Credito attribuibile = 275 (<400); Eccedenza dell’imposta estera = 125

Stato B: Credito attribuibile = 0; Eccedenza dell’imposta italiana= -137,5

In questo caso, il totale dei crediti (275) attribuibili allo Stato A non è superiore all’imposta netta (275) e potrà, pertanto, essere portato in detrazione per il suo intero ammontare. L’impresa memorizzerà un’eccedenza dell’imposta estera di 125 per lo Stato A e un’eccedenza dell’imposta italiana di segno negativo per lo Stato B di -137,5.

L’esempio riportato è un’applicazione del principio del concorso prioritario del reddito estero alla formazione dell’imponibile che deriva dalle caratteristiche degli elementi del rapporto di cui al primo comma dell’articolo 165 del TUIR (RE/RCN). Allo Stato A, infatti, risulta completamente attribuita l’intera imposta italiana (275), nonostante l’impresa abbia registrato risultati positivi anche nelle attività domestiche. Ciò in quanto il numeratore del rapporto accoglie l’intero reddito prodotto nello Stato A, mentre al denominatore il reddito complessivo è influenzato dalla perdita (500) dello Stato B. Tale perdita grava interamente sui redditi dell’attività domestica, anziché ripartirsi proporzionalmente sui redditi positivi esteri e domestici, come si verificherebbe nel caso in cui il denominatore accogliesse soltanto la sommatoria dei redditi positivi (pari, nel caso prospettato, a 1500). Si tratta di un effetto da sempre connaturato al meccanismo applicativo del particolare rapporto, che tuttavia assume ora – con il riporto delle eccedenze – implicazioni ulteriori.

La memorizzazione delle eccedenze di imposta italiana di segno negativo a carico dello Stato in cui sono state prodotte le perdite, come già chiarito in precedenza, è finalizzata ad evitare il finanziamento delle stesse a carico dell’Erario italiano. Diversamente, negli esercizi successivi, si creerebbero eccedenze di imposta italiana spendibili a fronte di eccedenze di imposta estera rilevate per il medesimo Stato negli otto esercizi precedenti o successivi, mentre tali eccedenze devono, invece, essere compensate, fino a concorrenza, con le minori imposte nazionali pagate nel periodo in cui la perdita estera ha abbattuto gli altri redditi dell’impresa, a partire – prioritariamente – da quelli domestici. 

Nell’esempio 15 si esamina il caso di un soggetto IRES, titolare di redditi positivi in due Stati esteri, che consegue una perdita in Italia. L’imposta netta dovuta in Italia è inferiore al totale dei crediti attribuibili ai singoli Stati. 

 

Esempio n. 15 – Soggetto IRES – Redditi positivi nei due Stati esteri e perdite in Italia. Imposta netta minore del totale dei crediti attribuibili ai singoli Stati.

 

Luogo di produzione del reddito

 

Reddito

 

Imposte estere 

 

Imposta italiana

 

Quota d’imposta italiana relativa al reddito estero

 

Stato A

 

1.000

 

400

 

 

1.000/1.000 x 275* = 275

 

Stato B

 

500

 

50

 

 

500/1.000 x 275* = 137,5

 

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Italia

 

-500

 

     

RCN

 

1.000

 

 

275

 

 

 

 

*Imposta netta dovuta = imposta lorda

 

Per effetto della determinazione separata del credito e delle eccedenze relativi a ciascuno Stato, si avrà la seguente situazione:

Stato A: Credito attribuibile= 275 (<400); Eccedenza dell’imposta estera = 125

Stato B: Credito attribuibile = 50 (<137,5); Eccedenza dell’imposta italiana = 87,5

In questo caso, il totale dei crediti (325), attribuibili a ciascuno Stato, è superiore all’imposta netta (275) e deve, quindi, essere ridotto di un importo pari alla differenza (50 = 325-275). In luogo delle opposte eccedenze separatamente calcolabili, assumerà rilievo un’eccedenza globale di 175 di imposte estere, pari alla differenza tra la somma delle imposte estere e l’effettiva imposta netta italiana (400+50-275).

In proposito, si chiarisce che il comma 6 dell’articolo 165 del TUIR va interpretato in modo coerente con il comma 1 dello stesso articolo. Ne consegue che l’eccedenza d’imposta estera deve essere calcolata con riferimento alla “quota d’imposta italiana” che trova capienza nell’imposta netta dovuta. Coerentemente, le istruzioni ai modelli di dichiarazione hanno precisato che l’importo del credito d’imposta, calcolato ai sensi del comma 1 dell’articolo 165 del TUIR, eccedente l’imposta netta, assume rilevanza ai fini della determinazione dell’eccedenza di imposta estera. 

Ciò è in linea con il principio affermato nell’articolo 4, comma 1, lettera l) della legge delega – legge 7 aprile 2003, n. 80 – secondo il quale la disciplina del credito per imposte pagate all’estero di cui al previgente articolo 15 del TUIR doveva essere modificata al fine di prevedere, tra l’altro, il “riporto in avanti ed all’indietro del credito per imposte pagate all’estero inutilizzato per un periodo eventualmente differenziato non inferiore a otto esercizi”. 

Nell’intenzione del legislatore l’istituto del riporto delle eccedenze è finalizzato a consentire il recupero del credito per imposte pagate all’estero inutilizzato. Un’interpretazione rispettosa della ratio dell’istituto del riporto in commento non può che consentire la riportabilità, a titolo di eccedenza di cui al comma 6 dell’articolo 165 del TUIR, della differenza tra la sommatoria dei crediti d’imposta riferibili ad ogni Stato estero, calcolati con riferimento alla corrispondente imposta lorda italiana, e il credito d’imposta globale che trova capienza nell’imposta italiana netta. Tale interpretazione è coerente, inoltre, con quanto affermato nella relazione governativa al decreto legislativo n. 344 del 2003 a commento del “riporto in avanti” delle eccedenze di imposte estere. Nella citata relazione si chiarisce che l’eccedenza di imposta estera è pari alla differenza di imposta assolta all’estero non utilizzata, poiché eccedente l’imposta “effettivamente scomputabile dall’imposta dovuta sul reddito complessivo in base al rapporto previsto dal comma 1 dell’articolo 165 del TUIR”. La conclusione sopra illustrata deve essere rispettata anche nel caso di redditi prodotti all’estero in più Stati e, quindi, nel caso di applicazione del principio della per country limitation di cui al comma 3 dell’articolo in commento. Di contro, si avrebbe l’effetto di discriminare i contribuenti che producono redditi in più Stati esteri, rispetto a quelli che svolgono la propria attività oltre frontiera limitatamente ad un solo Paese estero. 

In ordine alle modalità di attribuzione del minor credito effettivamente spettante a ciascuno Stato e della conseguente maggiore eccedenza globale di imposte estere si precisa quanto segue.

In assenza di specifiche previsioni normative e in virtù della ratio della norma in commento, anche in base a quanto chiarito nella Relazione governativa al decreto legislativo n. 344 del 2003, si ritiene che non possa essere disconosciuto il metodo convenzionale di riparto che permette l’attribuzione del credito detraibile e dell’eccedenza utilizzabile all’uno o all’altro Stato, in funzione di valutazioni operate dal contribuente. 

Tuttavia, un’allocazione discrezionale delle maggiori eccedenze d’imposta estera tra i vari Stati esteri non può che avvenire nel rispetto del principio della per country limitation di cui al comma 3 dell’articolo 165 del TUIR. Pertanto, il contribuente, nel riallocare in modo discrezionale le maggiori eccedenze di imposta estera, dovrà considerare che a ciascuno Stato non può essere attribuita una detrazione maggiore di quella massima spettante, avendo riguardo alla corrispondente imposta lorda italiana, né un’eccedenza di imposta estera maggiore di quella che trova capienza nell’imposta estera effettivamente pagata. 

Nel caso ipotizzato in precedenza (esempio n. 15), il contribuente potrà:

a. far valere interamente la detrazione per lo Stato B, nei limiti di quella massima attribuibile (50) e ridurre la detrazione spettante per lo Stato A da 275 a 225, memorizzando a suo favore l’intera eccedenza di imposta estera di 175, che trova capienza nell’effettiva imposta estera pagata.

In tal caso la situazione di periodo sarebbe la seguente: 

Stato A: credito spettante= 225 (275-50); eccedenza dell’imposta estera = 175 (400-225);

Stato B: credito spettante = 50; eccedenza dell’imposta estera= 0; eccedenza dell’imposta italiana = 0.

a. in alternativa, ridurre entrambe le detrazioni, anche in modo non proporzionale, e ripartire nella stessa percentuale l’eccedenza globale delle imposte estere, tenendo presente tuttavia i limiti dell’imposta effettivamente pagata e della detrazione massima spettante per ciascun Stato estero. Ad esempio, potrà aversi la seguente ripartizione:

Stato A = credito spettante: 245. Eccedenza d’imposta estera: 155;

Stato B = credito spettante: 30. Eccedenza d’imposta estera: 20

Non è invece possibile far valere interamente la detrazione di 275 per lo Stato A (nei limiti di quella massima attribuibile) e memorizzare l’intera eccedenza di imposta estera di 175 a favore dello Stato B che, invece, ha pagato imposte estere soltanto per 50. 

Nel rispetto dei limiti sopraesposti, il metodo discrezionale di riparto sopraindicato appare quello che meglio consente di soddisfare l’obiettivo perseguito dal legislatore delegato nel prevedere l’istituto del riporto delle eccedenze, rinvenibile nella richiamata relazione illustrativa, ovvero quello di “… evitare gli inconvenienti derivanti dalle differenze che si hanno, in termini di valore assoluto, tra l’imposta estera e la corrispondente imposta italiana dovuta ai più svariati motivi …”. La possibilità di utilizzare liberamente le eccedenze d’imposta estera, nei limiti sopra richiamati, appare inoltre il metodo più idoneo al fine di eliminare la doppia imposizione giuridica, in linea con l’obbligo assunto dallo Stato italiano, nell’ambito delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, di accordare il credito per le imposte pagate negli altri Stati contraenti in conformità alla specifica Convenzione applicabile.

 

8. il credito d’imposta e le stabili organizzazioni

 

8.1 Il riconoscimento del credito alle stabili organizzazioni in Italia di imprese estere. L’articolo 165 del TUIR è applicabile ai soggetti residenti nel territorio dello Stato nel cui reddito complessivo confluiscono anche i redditi di fonte estera.

La necessaria qualifica di soggetto residente porterebbe ad escludere dal campo di applicazione soggettivo tutti i soggetti non residenti e, con essi, anche la stabile organizzazione di un soggetto estero.

Tuttavia, poiché l’art. 165 del TUIR non esclude esplicitamente il credito d’imposta per i soggetti non residenti, l’applicabilità di tale disposizione anche alla stabile organizzazione di un soggetto estero e, quindi, a un soggetto non residente, può essere desunta indirettamente dal combinato disposto dell’articolo 152 del TUIR e dell’articolo 81 del TUIR.

Infatti, poiché anche i redditi di fonte estera concorrono a formare il reddito imponibile in Italia di una stabile organizzazione, a quest’ultima spetta il credito per le imposte pagate all’estero sui redditi ivi prodotti. Ciò, peraltro, vale anche se la stabile organizzazione appartiene a una persona fisica non residente, per effetto del richiamo che l’art. 56, 1° comma, fa alla Sezione I (cioè all’art. 81 precedentemente citato) del Capo II del Titolo II. 

Il riconoscimento del credito per le imposte pagate all’estero alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti risulta coerente con i principi affermati in sede OCSE. 

In particolare, il principio di non discriminazione, sancito dall’articolo 24 del Modello OCSE, stabilisce che l’imposizione di una stabile organizzazione che un’impresa di uno Stato contraente ha in un altro Stato contraente non dovrà essere meno favorevole di quella riconosciuta alle imprese, operanti nel medesimo settore, residenti di tale ultimo Stato.

Il paragrafo 67 del Commentario al menzionato articolo 24, infatti, chiarisce che, in condizioni di reciprocità, se una stabile organizzazione riceve redditi esteri che sono inclusi nei suoi utili imponibili, è corretto concedere alla stessa un credito per le imposte estere prelevate su tali redditi qualora la legislazione interna riconosca tale credito alle imprese residenti. 

Tuttavia, se il Paese della fonte ha prelevato le imposte sulla base di una Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore con il Paese di residenza della casa madre, le imposte estere rilevanti ai fini del foreign tax credit non potranno eccedere quelle che il Paese della fonte avrebbe prelevato qualora fosse stata applicabile la Convenzione con l’Italia nei confronti di un soggetto ivi residente.

Ciò in quanto non si ritiene possibile riconoscere alle stabili organizzazioni situate nel territorio nazionale un credito per imposte estere in misura superiore a quello che sarebbe stato concesso ad un soggetto residente.

Infine, si precisa che l’istituto del riporto delle eccedenze di cui all’articolo 165, comma 6, del TUIR è applicabile anche alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. 

Ciò in considerazione sia del generale riconoscimento alle medesime del credito per le imposte pagate all’estero, sia della circostanza che il riferimento generico alle “imprese residenti”, contenuto nel citato comma 6 dell’articolo 165 appare idoneo ad attrarre nell’ambito di applicazione di quest’ultima disposizione tutti i soggetti, residenti o meno, che siano titolari di reddito di impresa in Italia.

 

8.2 Il riconoscimento del credito alle stabili organizzazioni all’estero di imprese italiane nei casi in cui non vi sia coincidenza tra la fonte del reddito e la fonte delle imposte. Le imprese italiane, che operano per il tramite di una stabile organizzazione situata in un altro Paese, possono essere assoggettate a tassazione in una molteplicità di Paesi terzi in relazione ad elementi di reddito (in particolare, dividendi, interessi e royalties) attribuibili alla predetta stabile. 

Nel caso in cui lo Stato della fonte sia diverso dallo Stato in cui è localizzata la stabile organizzazione dalla quale deriva il reddito estero del soggetto residente, è necessario chiarire se e in che misura il foreign tax credit possa essere riconosciuto.

È il caso, ad esempio, di una banca italiana che concede finanziamenti ad un soggetto residente nello Stato C per il tramite di una propria stabile organizzazione localizzata nello Stato B. Sugli interessi attivi, spettanti alla stabile organizzazione nello Stato B, lo Stato C effettua la ritenuta prevista dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con l’Italia, ossia con il Paese di residenza della sede centrale. A sua volta, lo Stato B fa concorrere alla determinazione del reddito della stabile organizzazione situata nel suo territorio questi medesimi elementi reddituali, in quanto ad essa attribuibili. 

In questi casi, il problema è stabilire se l’Italia, in quanto Paese di residenza della casa madre, sia tenuta o meno a riconoscere un credito anche per le imposte estere prelevate dal Paese C o soltanto per quelle che hanno fonte in B, ossia nel Paese in cui si è insediata e si considera prodotto il reddito della stabile organizzazione.

Tenuto conto della finalità di risolvere la doppia imposizione perseguita tramite l’istituto del credito d’imposta, si ritiene che si debba dare rilevanza alle imposte pagate nello Stato B di localizzazione della stabile organizzazione al lordo dello “sgravio” eventualmente concesso da tale Stato per le imposte prelevate in un terzo Stato C (imposte pagate in B + imposte pagate in C).

Infatti, se lo Stato B ha riconosciuto alla stabile organizzazione una detrazione per le imposte da quest’ultima pagate nello Stato C, il credito da riconoscere al soggetto residente deve tenere conto anche delle imposte che sarebbero state dovute nello Stato B, ma che non sono state pagate per effetto della detrazione, ivi riconosciuta, delle imposte pagate in C.

Il riconoscimento del credito per le imposte pagate dalla stabile organizzazione in un Paese diverso da quello di localizzazione, mediante la “lordizzazione” dell’imposta pagata in tale ultimo Stato, è subordinato alla sussistenza di condizioni di reciprocità.

In altri termini, il credito d’imposta non sarà concesso al lordo delle imposte pagate nello Stato terzo qualora, al verificarsi della situazione speculare di una stabile organizzazione in Italia di un soggetto residente in un altro Stato, tale ultimo Stato non riconoscesse, a sua volta, il credito per le imposte italiane al lordo di quelle pagate in un Paese terzo.

 

8.3 Stabile organizzazione all’estero con periodo d’imposta non coincidente con quello di casa madre italiana. Può verificarsi il caso di imprese residenti in Italia che detengono stabili organizzazioni all’estero con un periodo di imposta non coincidente con il proprio. In particolare, società italiane con esercizio “a cavallo” possono operare attraverso stabili organizzazioni in Stati la cui legislazione prevede la necessaria coincidenza dell’esercizio con l’anno solare.

La mancata coincidenza dei periodi di imposta in Italia e nello Stato estero crea notevoli problemi in ordine alla corretta determinazione delle imposte estere rilevanti ai fini del foreign tax credit.

Il reddito della stabile organizzazione sul quale sono calcolate le imposte dovute nello Stato estero, infatti, viene attribuito a due diversi esercizi della casa madre italiana. Pertanto, una società residente imputa all’esercizio che, in ipotesi, chiude al 30 giugno 2014, il reddito realizzato dalla stabile organizzazione nell’ultimo semestre 2013 e quello del primo semestre 2014, con la conseguenza che il reddito di fonte estera su cui sono calcolate le imposte dovute in Italia non coincide con il reddito su cui sono calcolate le imposte estere. In breve, mentre le imposte estere sono liquidate sul reddito del periodo coincidente con l’anno solare, le imposte liquidate in Italia riguardano il reddito del periodo corrispondente all’esercizio della casa madre (in ipotesi, 1° luglio/30 giugno).

A causa di tale divergenza si rende necessario individuare quale sia la corretta modalità applicativa dell’articolo 165 del TUIR, atteso che tale disposizione richiede, ai fini della spettanza del credito, la coincidenza tra il reddito in relazione al quale sono pagate le imposte estere e quello che concorre alla formazione del reddito imponibile in Italia. 

Di conseguenza, fermo restando l’attribuzione alla casa madre dei risultati di gestione realizzati dalla stabile organizzazione in un orizzonte temporale che nello Stato estero appartiene a due distinti esercizi sociali, occorre determinare il carico fiscale effettivamente gravante sulle singole frazioni dei diversi periodi esteri che sono confluite nel risultato di esercizio della casa madre.

A tal fine, il punto di partenza imprescindibile è rappresentato dall’imposta estera effettivamente versata. Tuttavia, poiché quest’ultima si riferisce al reddito relativo alle operazioni economiche verificatesi nell’intero esercizio cui appartiene la frazione (in ipotesi, il semestre 1° gennaio/30 giugno o quello seguente 1° luglio/31 dicembre) presa in considerazione nella redazione del bilancio (e dell’imponibile) della casa madre, occorre determinare, ai fini dell’applicazione dell’articolo 165 del TUIR, la quota di imposte gravanti sulla singola frazione che ha assunto, di volta in volta, rilevanza. 

Ai fini della predetta operazione, si ritiene che il criterio maggiormente significativo debba essere rinvenuto nella ripartizione delle imposte estere gravanti sul reddito complessivo della stabile organizzazione in proporzione ai ricavi contabilizzati nelle due frazioni del medesimo esercizio che rilevano, a loro volta, temporalmente in due diversi esercizi della casa madre. Ciò in quanto l’utile di esercizio, su cui viene calcolata l’imposta estera, si forma in maniera proporzionale al conseguimento dei ricavi. 

Questa scelta interpretativa consente di rispettare le condizioni fondamentali cui è subordinata la spettanza del credito di imposta, in quanto il reddito che concorre a formare l’imponibile della casa madre è sostanzialmente il medesimo reddito che è stato già tassato all’estero (sebbene in due periodi di imposta differenti) e le imposte estere detraibili sono imposte effettivamente versate, anche se la detraibilità delle stesse dalle imposte italiane avviene, pro quota, nei due esercizi della casa madre in cui confluiscono le due frazioni che compongono il medesimo periodo di imposta estero.

Peraltro, tale soluzione non presenta profili di problematicità sul piano applicativo, in quanto i dati necessari per il calcolo del credito di imposta, come sopra delineati, sono nella disponibilità della casa madre.

Inoltre, l’eventualità che, in sede applicativa, al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’impresa residente, le imposte estere gravanti sulla frazione del periodo di imposta che confluisce nell’imponibile della casa madre siano state liquidate, ma non ancora definitivamente versate, non preclude al contribuente di utilizzare il relativo credito, in considerazione della previsione contenuta nell’articolo 165, comma 5, del TUIR».

 

 

 

(1)  Ai sensi dell’articolo 23 del TUIR, si considerano prodotti nel territorio dello Stato, i redditi fondiari; i redditi di capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti o da stabili organizzazioni nel territorio stesso (con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali); i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato, compresi i redditi assimilati di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 50; i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato; i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni; i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti, con esclusione: 1) delle plusvalenze di cui alla lettera c-bis) del comma 1, dell’articolo 67, derivanti da cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti negoziate in mercati regolamentati, ovunque detenute; 2) delle plusvalenze di cui alla lettera c-ter) del medesimo articolo derivanti da cessione a titolo oneroso ovvero da rimborso di titoli non rappresentativi di merci e di certificati di massa negoziati in mercati regolamentati, nonché’ da cessione o da prelievo di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti; 3) dei redditi di cui alle lettere c-quater) e c-quinquies) del medesimo articolo derivanti da contratti conclusi, anche attraverso l’intervento d’intermediari, in mercati regolamentati; i redditi di cui agli articoli 5, 115 e 116 imputabili a soci, associati o partecipanti non residenti. Si considerano, inoltre, prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti: a) le pensioni, gli assegni ad esse assimilati e le indennità di fine rapporto di cui alle lettere a), c), d), e) del comma 1 dell’articolo 16; i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui alle lettere c), c-bis), f), h), h-bis), i) e l) del comma 1 dell’articolo 47; i compensi per l’uso di opere dell’ingegno, brevetti industriali e marchi d’impresa nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico; i compensi corrisposti ad imprese, società o enti non residenti per prestazioni artistiche o professionali effettuate per loro conto nel territorio dello Stato.

 

(2) Si precisa che, nella dichiarazione dei redditi, le eccedenze saranno distintamente evidenziate, secondo il periodo di formazione per tenere conto della classe di anzianità.

 

(3) Si ricorda che ai fini del calcolo del credito d’imposta, si utilizza la seguente formula: RE/RCN x imposta italiana (dove RE indica il reddito estero e RCN il reddito complessivo).

 

(4) Si crea, cioè, la stessa situazione che si sarebbe presentata se nell’es. N la stabile organizzazione avesse avuto un reddito di 1000 sia all’estero che in Italia e nell’es. N + 1 avesse avuto un reddito zero sia all’estero che in Italia (o viceversa, avesse avuto un reddito pari a zero nell’es. N sia in Italia che all’estero e un reddito di 1000 nell’es. N+ 1 sia in Italia che all’estero).

 

(5) Il reddito è compensato dalla perdita dell’esercizio precedente.



[1] In Boll. Trib., 2013, 1008.

 



[1] In Boll. Trib., 2002, 912.

 

[2] In Boll. Trib., 1980, 446.

 



[1] In Boll. Trib., 1979, 805.