15 Maggio, 2018

IMPOSTA DI SBARCO:
LA CORTE COSTITUZIONALE NON SI PRONUNCIA SULLE QUESTIONI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE SOLLEVATE SUL NUOVO TRIBUTO

“Much ado about nothing”, molto chiasso per nulla, è il titolo di una nota tragedia di William Shakespeare che si attaglia perfettamente a questa sentenza, inutile per almeno due motivi.
Il primo motivo della inutilità della sentenza in atti sta nel fatto che la Corte delle leggi è stata chiamata a pronunciarsi su una norma già morta, in quanto non più operante e sostituita in toto da successive disposizioni normative (1); la Corte Costituzionale ne era consapevole, ma ha dovuto mantenere fede ad una regola consolidata: tempus regit actum, per cui la valutazione della legittimità del provvedimento portato al vaglio costituzionale va comunque condotta «con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione» (2), a nulla influendo e rilevando l’eventuale jus superveniens sulla questione da esaminare.
Per il secondo motivo di inutilità dell’annotata sentenza è opportuno premettere in sintesi l’origine della vertenza e i suoi complessi sviluppi: l’originaria normativa chiamata in causa, il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, nulla prevedeva per la nuova imposta di sbarco, nel quadro dell’ordinamento del federalismo fiscale municipale; il decreto in parola ha – com’è noto – delineato le due imposte municipali propria e secondaria e ha reintrodotto, all’art. 4, l’imposta di soggiorno, già istituita nel 1910 e soppressa nel 1989 per non recare … disturbo ai campionati mondiali di calcio tenutisi a Roma nel 1990. L’imposta di sbarco venne invece istituita dopo un anno, addirittura in sede di conversione in legge del D.L. 2 marzo 2012, n. 16: nella legge di conversione 26 aprile 2012, n. 44, fu inserito un nuovo comma 2-bis all’art. 4, che integrava il D.Lgs. n. 23/2011 con la seguente disposizione: «3-bis. I comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, in alternativa all’imposta di soggiorno di cui al comma 1 del presente articolo, un’imposta di sbarco, da applicare fino ad un massimo di euro 1,50, da riscuotere, unitamente al prezzo del biglietto, da parte delle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea. La compagnia di navigazione è responsabile del pagamento dell’imposta, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione e degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile d’imposta si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e successive modificazioni. Per tutto quanto non previsto dalle disposizioni del presente articolo si applica l’articolo 1, commi da 158 a 170, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L’imposta non è dovuta dai soggetti residenti nel comune, dai lavoratori, dagli studenti pendolari, nonché dai componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l’imposta municipale propria e che sono parificati ai residenti. I comuni possono prevedere nel regolamento modalità applicative del tributo, nonché eventuali esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo. Il gettito del tributo è destinato a finanziare interventi in materia di turismo e interventi di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali».
Come si può rilevare direttamente dal testo della sentenza annotata, due Comuni legittimati all’istituzione del nuovo tributo, estesero – nel loro regolamento attuativo – la tassazione a qualsiasi vettore e non ai soli soggetti trasportati da mezzi di navigazione marittima di linea, ritenendo evidentemente ingiusta la limitazione soggettiva prevista dalla legge.
I regolamenti comunali in questione vennero impugnati dinanzi al TAR della Campania dal competente Ministero, il quale – legge alla mano – accolse il ricorso governativo (3); in sede di appello al Consiglio di Stato, i giudici aditi assunsero una posizione inedita: respinsero l’appello dei due Comuni, sempre in linea di legittimità formale, ma fecero seguire alle sentenze due motivate ordinanze (4), con le quali facevano proprie, sulla base, prescritta dalla legge, della loro rilevata «rilevanza e non manifestamente infondatezza», le questioni di contrasto della normativa statale con i principi costituzionali sanciti dagli artt. 3 e 53 Cost., sollevate ab initio dai due enti locali.
Tale è, storicamente, il casus belli, ma, nel frattempo, il quadro normativo era cambiato (come accade spesso in materia tributaria): con l’art. 2, comma 19, del D.L. 31 ottobre 2013, n. 26 – non convertito in legge (5) – ai passeggeri trasportati da compagnie di linea furono aggiunti quelli a bordo di imbarcazioni che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti marittimi verso l’isola. Ancora una integrazione di rilievo: l’art. 33, primo comma, della legge 28 dicembre 2015, n. 221, sostituendo ancora una volta il comma 3-bis dell’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2011 (6), trasformò l’imposta in questione in “contributo di sbarco” ed estese la sua applicabilità anche ai passeggeri che sbarcano sull’isola utilizzando vettori aeronavali che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l’isola.
Dunque, a distanza di tre anni dalla “nascita” del nuovo tributo, il legislatore è intervenuto in materia, ampliando la platea dei suoi soggetti passivi e rettificando la natura del prelievo da “imposta” a “contributo”; due interventi di rilievo, che hanno tolto forza ai dubbi di costituzionalità sorti sulla formulazione originale della nuova imposizione.
Logica e centrata è stata – a nostro avviso – la modifica della qualificazione giuridica di un prelievo direttamente collegato ad una fattispecie specifica, qual è lo sbarco nell’isola, fatto generatore di un maggiore costo dei servizi pubblici resi dal Comune di destinazione della massa turistica rispetto agli oneri economici normalmente derivabili dalla popolazione residente; il “contributo”, peraltro, avendo presupposti e finalità diversi da forme impositive generali e indivisibili (7), sfugge – per costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale (8) – al rapporto fra l’entità (generalmente fissa) del prelievo e la capacità contributiva dei soggetti ad esso, quale forma di concorso ad una spesa specifica.
Le ultime considerazioni conducono a questo punto a valutare la rilevanza di tutte quelle forme di accesso al turismo nelle nostre belle isole minori che, in effetti, restano escluse dalla contribuzione in rassegna, pur essendo le più “ricche”: ci riferiamo agli sbarchi dagli yacht, dai motoscafi e “gommoni”, da voli aerei privati, etc.; è indubbio, di primo acchito, un giudizio di palese iniquità, di paradosso, di questi esoneri, tanto più pensando che essi non saranno compensati dall’applicazione dell’imposta di soggiorno negli alberghi e nelle altre strutture ricettive, in quanto non più riscuotibile per l’alternativa, disposta dalla legge, con il contributo di sbarco.
Perplessità legittime, che debbono essere però confrontate con situazioni di fatto atte a condurre a conclusioni diverse. È politically no correct, ma reale la constatazione che i guasti più rilevanti all’ambiente e alla pulizia dei luoghi pubblici, nelle località turistiche, sia imputabile all’afflusso turistico di “massa”, al turismo, cioè, del “mordi (il panino) e fuggi” rispetto a ogni altra forma di turismo: i cassonetti della spazzatura e i cestini di rifiuti debordanti di lattine e bottiglie, di cibo residuo, etc., sulle strade e sui marciapiedi sono una realtà diffusa, che deriva inevitabilmente dalla presenza di persone aggiuntive a quella dei residenti.
Il noto (e abusato) principio comunitario “chi inquina, paga”, in questa evenienza, è chiaro e giusto e il “nostro” contributo di sbarco rappresenta nella sostanza l’applicazione di tale principio, quale forma integrativa della tassa applicata dal Comune sui rifiuti solidi dei residenti o di chi comunque detiene locali ed aree scoperte nel territorio comunale; questa è almeno la nostra convinta deduzione.
Se così è, la normativa attualmente in vigore, più volte rimaneggiata, sul contributo in esame ci appare adeguata e non lesiva dei canoni costituzionali invocati; la stessa Corte Costituzionale, con la sua ritrosia a pronunciarsi ed il finale rinvio ad altre vie e soluzioni, sembra dello stesso avviso.
Ma va, infine, ricordata un’altra fondamentale regola (cui fa cenno anche la sentenza annotata), che ogni legislatore, nazionale o locale, deve osservare: ogni forma impositiva deve tenere in debito conto non soltanto dell’entità dell’introito (lordo) ritraibile ma anche del costo da sostenere per l’accertamento e la riscossione di tale introito nonché della facilità delle procedure relative, non solo per l’ente impositore, ma anche per il contribuente; si facciano bene i conti e le conclusioni sagge e coerenti dovrebbero condurre alla conferma della situazione in atto.

Dott. Eugenio Righi

(1) Per gli estremi e il contenuto delle leggi sopravvenute in materia vedansi le note 5 e 6.
(2) L’osservanza del principio “tempus regit actum”, assolutamente giusta e corretta per regolare i rapporti pendenti e quelli già perfezionati in base a normative dichiarate incostituzionali, non avrebbe invece prodotto alcun effetto per la questione in rassegna, in quanto la norma portata al vaglio dei giudici costituzionali, di nuovo conio, non aveva ancora trovato applicazione, essendo ciò subordinato all’efficacia del regolamento comunale impugnato.
(3) TAR Campania, sez. di Napoli, 5 novembre 2014, n. 5679, in Boll. Trib. On-line.
(4) Si tratta di Cons. Stato, sez. IV giurisd., 16 settembre 2015, ord. nn. 275 e 276, in G.U., serie spec., Corte Costituzionale n. 49 del 9 dicembre 2015; nonché in Boll. Trib. On-line.
(5) In Boll. Trib., 2013, 1571, con l’aumento della misura unitaria del tributo ad euro 2,50 e la possibilità di incrementare tale misura fino a 5 euro in relazione a determinati periodi di tempo.
(6) Per immediatezza di riscontro si riporta il testo del citato art. 33 della legge n. 221/2015: Art. 33 (Contributo di sbarco nelle isole minori a sostegno degli interventi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti) «1. Al fine di sostenere e finanziare gli interventi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti nonché gli interventi di recupero e salvaguardia ambientale nelle isole minori, il comma 3-bis dell’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, è sostituito dal seguente: 3-bis. I comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, in alternativa all’imposta di soggiorno di cui al comma 1 del presente articolo, un contributo di sbarco, da applicare fino ad un massimo di euro 2,50, ai passeggeri che sbarcano sul territorio dell’isola minore, utilizzando vettori che forniscono collegamenti di linea o vettori aeronavali che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l’isola. Il comune che ha sede giuridica in un’isola minore, e nel cui territorio insistono altre isole minori con centri abitati, destina il gettito del contributo per interventi nelle singole isole minori dell’arcipelago in proporzione agli sbarchi effettuati nelle medesime. Il contributo di sbarco è riscosso, unitamente al prezzo del biglietto, da parte delle compagnie di navigazione e aeree o dei soggetti che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, che sono responsabili del pagamento del contributo, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione e degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale, ovvero con le diverse modalità stabilite dal medesimo regolamento comunale, in relazione alle particolari modalità di accesso alle isole. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento del contributo si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e successive modificazioni. Per tutto quanto non previsto dalle disposizioni del presente articolo si applica l’articolo 1, commi da 158 a 170, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Il contributo di sbarco non è dovuto dai soggetti residenti nel comune, dai lavoratori, dagli studenti pendolari, nonché dai componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l’imposta municipale propria nel medesimo comune e che sono parificati ai residenti. I comuni possono prevedere nel regolamento modalità applicative del contributo nonché eventuali esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo; possono altresì prevedere un aumento del contributo fino ad un massimo di euro 5 in relazione a determinati periodi di tempo. I comuni possono altresì prevedere un contributo fino ad un massimo di euro 5 in relazione all’accesso a zone disciplinate nella loro fruizione per motivi ambientali, in prossimità di fenomeni attivi di origine vulcanica; in tal caso il contributo può essere riscosso dalle locali guide vulcanologiche regolarmente autorizzate o da altri soggetti individuati dall’amministrazione comunale con apposito avviso pubblico. Il gettito del contributo è destinato a finanziare interventi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, gli interventi di recupero e salvaguardia ambientale nonché interventi in materia di turismo, cultura, polizia locale e mobilità nelle isole minori».
(7) Per la nozione di “contributo” e la sua distinzione dalle altre figure di imposizione, ved. per tutti M. INGROSSO, Contributi, in Boll. Trib., 1987, 453.
(8) Così, in via esemplificativa, Corte Cost. 2 aprile 1964, n. 30, in Boll. Trib., 1964, 986; e Corte Cost. 17 aprile 1968, n. 23, in Boll. Trib. On-line.

Tributi locali – Imposta di sbarco – Questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 23/2011, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. – Ius superveniens conducente a una varietà delle soluzioni astrattamente praticabili – Inammissibilità delle questioni – Consegue.

Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto successivamente all’introduzione di tale norma, che prevedeva che i Comuni con sede nelle isole minori potessero istituire con regolamento una imposta di sbarco, in alternativa all’imposta di soggiorno di cui al medesimo articolo, a carico dei soli passeggeri che sbarcano nel territorio comunale da mezzi di navigazione di collegamento marittimo di linea, il legislatore ha dapprima esteso il presupposto d’imposta allo sbarco con «imbarcazioni che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti marittimi verso l’isola» ex art. 2, comma 19, del D.L. 31 ottobre 2013, n. 126 (non convertito in legge), e successivamente ha introdotto, in sostituzione dell’imposta di sbarco, un «contributo di sbarco» da applicare anche all’approdo sul territorio dell’isola minore mediante vettori «aeronavali» che svolgono «servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l’isola» ex art. 33, primo comma, della legge 28 dicembre 2015, n. 221, dimostrando di per sé la varietà delle soluzioni astrattamente praticabili, rispetto alle quali quella invocata dal giudice rimettente si connota di un’ulteriore vis expansiva sotto il profilo dell’imposizione non temperata da concomitanti accorgimenti funzionali alla sua effettività, di talché tale scelta comporterebbe un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte Costituzionale.

[Corte Costituzionale (Pres. Grossi, rel. Carosi), 16 dicembre 2016, sent. n. 281]

RITENUTO IN FATTO – 1. Con due ordinanze del medesimo tenore, indicate in epigrafe, il Consiglio di Stato ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
La disposizione, introdotta nel corpo del d.lgs. n. 23 del 2011 dal decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, prevedeva – nella versione precedente alla sostituzione operata dall’art. 33, comma 1, della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali) – che «I comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, in alternativa all’imposta di soggiorno di cui al comma 1 del presente articolo, un’imposta di sbarco, da applicare fino ad un massimo di euro 1,50, da riscuotere, unitamente al prezzo del biglietto, da parte delle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea. La compagnia di navigazione è responsabile del pagamento dell’imposta, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione e degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile d’imposta si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto. Per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e successive modificazioni. Per tutto quanto non previsto dalle disposizioni del presente articolo si applica l’articolo 1, commi da 158 a 170, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L’imposta non è dovuta dai soggetti residenti nel comune, dai lavoratori, dagli studenti pendolari, nonché dai componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l’imposta municipale propria e che sono parificati ai residenti. I comuni possono prevedere nel regolamento modalità applicative del tributo, nonché eventuali esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo. Il gettito del tributo è destinato a finanziare interventi in materia di turismo e interventi di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali».
Il rimettente riferisce di essere stato adito in sede di appello avverso due sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Campania di accoglimento dell’impugnazione da parte del Ministero dell’economia e delle finanze delle deliberazioni con cui, rispettivamente, i Comuni di Capri ed Anacapri avevano approvato il regolamento istitutivo dell’imposta di sbarco, non limitandola al solo approdo con mezzi di trasporto pubblico di linea, bensì estendendola a quello con qualsiasi vettore, al di là del dettato legislativo.
Ad avviso del rimettente il differente trattamento che la norma censurata riserva a chi adoperi vettori di linea per recarsi sull’isola rispetto a chi viceversa impieghi mezzi diversi non troverebbe ragionevole giustificazione e si porrebbe quindi in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. Infatti, l’arrivo sull’isola attraverso una compagnia di navigazione di linea non esprimerebbe una capacità contributiva maggiore di quella correlata ad un accesso diverso ed anche lo scopo del tributo – ossia, alleviare i Comuni dagli oneri prodotti da coloro che vi sbarchino – non giustificherebbe la discriminazione operata dalla norma, aggravata dalla misura fissa del prelievo, che dunque risulterebbe arbitraria, eccedendo i margini di discrezionalità riconosciuti in materia tributaria al legislatore dalla giurisprudenza costituzionale.
La disposizione sarebbe pertanto costituzionalmente illegittima nella parte in cui, riguardo alle isole minori, prevede la possibilità che i Comuni deliberino di assoggettare all’imposta di sbarco, in alternativa all’imposta di soggiorno, i soli passeggeri che raggiungono l’isola con una delle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea, escludendo coloro che si avvalgano di un diverso vettore.
Dopo aver negato la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, il rimettente sostiene che le questioni siano evidentemente rilevanti, posto che esse investono «direttamente la norma statale che attribuisce al Comune di imporre il tributo di cui si discute».

2. Con due atti di identico tenore è intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la non fondatezza delle questioni.
Dopo aver ricostruito i connotati distintivi dell’imposta e le ragioni di fondo che ne avrebbero determinato l’introduzione, vale a dire il sovradimensionamento dei servizi resi dai Comuni interessati da consistenti flussi turistici giornalieri rispetto alla necessità della sola popolazione residente, il Presidente del Consiglio dei ministri contesta l’asserita arbitrarietà della previsione normativa. La limitazione dell’imposizione ai soli sbarchi realizzati attraverso compagnie di navigazione marittima di linea – responsabili del pagamento dell’imposta e chiamate alla rivalsa preventiva nei confronti del soggetto passivo, a riscuotere il tributo unitamente al pagamento del prezzo del biglietto, a presentare apposita dichiarazione ai Comuni, ad assolvere agli ulteriori adempimenti ed a rispondere delle eventuali violazioni – soddisferebbe l’esigenza di garantire certezza dell’obbligazione tributaria ed al contempo rapidità di riscossione e facilità di controllo, individuando un centro d’imputazione agevolmente identificabile in ragione delle caratteristiche di sistematicità, frequenza e consistenza dei collegamenti operati da tali operatori. L’estensione del tributo anche allo sbarco realizzato tramite ogni altro vettore sarebbe inidonea a soddisfare in maniera adeguata le medesime esigenze e rischierebbe di rendere antieconomica l’imposizione, d’importo piuttosto esiguo, rispetto alla necessità ed ai costi di riscossione e controllo che il Comune dovrebbe altrimenti sostenere. Di qui la ragionevolezza della norma denunciata, la quale sfuggirebbe alla censura anche sotto il profilo del difetto di progressività, atteso che quest’ultima, da un lato, non sarebbe esclusa dalla previsione del prelievo solo nel limite massimo e, dall’altro, andrebbe valutata in riferimento all’ordinamento tributario nel suo complesso e non alla singola imposta.

3. Depositando due atti di identico tenore si sono costituiti i Comuni di Capri ed Anacapri, appellanti nei giudizi a quibus, propugnando la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del d.lgs. n. 23 del 2011 per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.
A sostegno della richiesta le parti costituite sottolineano l’irragionevolezza della discriminazione disposta dalla norma in merito ai mezzi di trasporto attraverso cui realizzare lo sbarco rilevante a fini impositivi, che manderebbe esenti dal tributo quasi un terzo dei passeggeri che raggiungono l’isola di Capri. Ciò non in base al presupposto impositivo indice di capacità contributiva, che sarebbe identica se non maggiore in capo ai soggetti che non si avvalgono di vettori di linea, ma in base alla natura del responsabile che ha l’obbligo di riscuotere il tributo. Inoltre, poiché la ragione del tributo andrebbe identificata nel maggior onere che deriva alle piccole isole dallo sbarco dei turisti sul loro territorio, sarebbe irrilevante il tipo di trasporto che l’ha permesso.

4. Con due memorie di identico contenuto, depositate in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri sollecita la restituzione degli atti al Consiglio di Stato affinché rivaluti la rilevanza delle questioni alla stregua dello ius superveniens rappresentato dall’art. 33, comma 1, della legge n. 221 del 2015, che ha sostituito l’originaria imposta di sbarco con il «contributo di sbarco», il cui presupposto è stato esteso all’approdo a mezzo di «vettori aeronavali che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l’isola», restringendo significativamente i casi esclusi da imposizione in preteso contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.

CONSIDERATO IN DIRITTO – 1. Con due ordinanze del medesimo tenore, indicate in epigrafe, il Consiglio di Stato ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
La disposizione – nella versione precedente alla sostituzione operata dall’art. 33, comma 1, della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali), applicabile ratione temporis – prevedeva che i Comuni con sede nelle isole minori o nel cui territorio insistono isole minori potessero istituire con regolamento, in alternativa all’imposta di soggiorno di cui al medesimo articolo, un’imposta di sbarco, fino ad un massimo di euro 1,50, da riscuotere unitamente al prezzo del biglietto da parte delle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea, responsabili del pagamento dell’imposta con diritto di rivalsa sui soggetti passivi.
Il rimettente – adito in appello avverso due sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Campania di accoglimento dell’impugnazione da parte del Ministero dell’economia e delle finanze delle deliberazioni con cui i Comuni di Capri ed Anacapri avevano approvato il regolamento istitutivo dell’imposta di sbarco, estendendola all’approdo con qualsiasi vettore, al di là del dettato legislativo – sostiene che il differente trattamento riservato a chi adoperi vettori di linea rispetto a chi viceversa impieghi mezzi diversi non troverebbe ragionevole giustificazione, in quanto nel primo caso l’arrivo sull’isola non esprimerebbe una capacità contributiva maggiore di quella correlata ad un accesso differente. Anche lo scopo del tributo – ossia, alleviare i Comuni dagli oneri prodotti da coloro che vi sbarchino – non giustificherebbe la discriminazione operata dalla norma, che dunque risulterebbe arbitraria, eccedendo i margini di discrezionalità riconosciuti in materia al legislatore.
La disposizione sarebbe pertanto costituzionalmente illegittima nella parte in cui, riguardo alle isole minori, prevede la possibilità che i Comuni deliberino di assoggettare all’imposta di sbarco i soli passeggeri che raggiungono l’isola con una delle compagnie di navigazione di linea, escludendo coloro che si avvalgano di un altro vettore.

2. I giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia, avendo ad oggetto la medesima disposizione, censurata in riferimento a parametri e per motivi interamente coincidenti.

3. Preliminarmente deve essere disattesa l’istanza avanzata dal Presidente del Consiglio dei ministri di restituzione degli atti al Consiglio di Stato affinché rivaluti la rilevanza delle questioni sollevate alla stregua dello ius superveniens rappresentato dall’art. 33, comma 1, della legge n. 221 del 2015, che ha sostituito l’originaria imposta di sbarco con il «contributo di sbarco», il cui presupposto è stato esteso all’approdo a mezzo di «vettori aeronavali che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l’isola», con conseguente riduzione dei casi esclusi da imposizione in asserito contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.
Al riguardo si rammenta che «lo ius superveniens non può venire in evidenza nel giudizio di costituzionalità sollevato dai giudici amministrativi poiché, secondo il principio tempus regit actum, la valutazione della legittimità del provvedimento impugnato va condotta “con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione”» (sentenza n. 49 del 2016 (1); nello stesso senso, sentenze n. 30 del 2016 (2) e n. 151 del 2014 (3)).
Pertanto, la sopravvenuta sostituzione normativa non incide sulla rilevanza delle questioni da scrutinare.

4. Tanto premesso, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del d.lgs. n. 23 del 2011 sono inammissibili.
Il rimettente auspica un’addizione che estenda il presupposto d’imposta allo sbarco sulle isole minori realizzato con qualsivoglia vettore, con conseguente ampliamento della platea dei soggetti passivi del tributo al di là dei soli passeggeri che allo scopo si avvalgano delle compagnie di navigazione di linea.
In un ambito – quello tributario – ampiamente permeato dalla discrezionalità del legislatore, l’intervento additivo invocato non costituisce una soluzione costituzionalmente obbligata (ex plurimis, ordinanza n. 119 del 2009 (4)), anche in considerazione della concomitante esigenza di assicurare l’effettività dell’imposizione attraverso strumenti funzionali al controllo ed alla certezza della riscossione.
Al riguardo giova evidenziare come, successivamente all’introduzione della norma censurata, il legislatore abbia dapprima inteso estendere il presupposto d’imposta allo sbarco con «imbarcazioni che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti marittimi verso l’isola» (art. 2, comma 19, del decreto-legge 31 ottobre 2013, n. 126, recante «Misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali ed interventi localizzati nel territorio», non convertito in legge) e successivamente abbia introdotto, in sostituzione dell’imposta di sbarco, un «contributo di sbarco» da applicare anche all’approdo sul territorio dell’isola minore mediante vettori «aeronavali» che svolgono «servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l’isola» (art. 33, comma 1, della legge n. 221 del 2015). In entrambe le occasioni, peraltro, il legislatore ha accompagnato la progressiva estensione del presupposto d’imposta con la prescrizione della riscossione unitamente al pagamento del prezzo del biglietto e la previsione di una fattispecie di solidarietà tributaria, opzioni che viceversa sarebbero estranee all’addizione invocata.
La descritta evoluzione normativa dimostra di per sé la varietà delle soluzioni astrattamente praticabili, rispetto alle quali quella invocata dal rimettente si connota di un’ulteriore vis expansiva sotto il profilo dell’imposizione non temperata da concomitanti accorgimenti funzionali alla sua effettività. Tale scelta comporterebbe un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri di questa Corte, con conseguente inammissibilità delle questioni sollevate.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE – riuniti i giudizi, dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con le ordinanze indicate in epigrafe.

(1) Corte Cost. 9 marzo 2016, n. 49, in Giur. it., 2016, 2233.
(2) Corte Cost. 17 febbraio 2016, n. 30, in Giur. costit., 2016, 176.
(3) Corte Cost. 29 maggio 2014, n. 151, in Giur. costit., 2014, 2431.
(4) Corte Cost. 24 aprile 2009, ord. n. 119, in Giur. costit., 2009, 1123.

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