18 Ottobre, 2012

In tema di determinazione del valore di avviamento di un compendio aziendale i criteri all’uopo fissati dall’art. 2 del D.P.R. 31 luglio 1996, n. 460, hanno la funzione di fornire indicazioni minime cui l’Amministrazione finanziaria deve attenersi nella procedura transattiva che conduce ad un accertamento con adesione, di talché, se a tali criteri un qualche rilievo indiziario può essere attribuito, esso è nel senso che il valore effettivo non è inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione, con la conseguenza che l’Amministrazione non è tenuta a spiegare i motivi per cui ritenga incongrui e non applichi i criteri in questione, ma deve solo fornire gli elementi indiziari sufficienti a giustificare il suo assunto.

 

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Merone, rel. Sambito), 27 marzo 2012, ord. n. 4931, ric. Agenzia delle entrate c. Innospec Limited]

 

(Omissis). Ritenuto che, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la relazione, con cui si è esposto:

“1. Con sentenza n. 41/13/10, depositata il 4 marzo 2010, la CTRdella Lombardia ha confermato la sentenza della CTP di Milano, con cui era stata annullata la rettifica del valore dichiarato nell’atto di cessione del compendio aziendale, da potere [parte, N.d.r.] della Octel Italia S.r.l. in favore della Innospec Limited Filiale Italiana. I giudici d’appello hanno, in particolare, ritenuto, in relazione al valore dell’avviamento, che l’Ufficio non aveva applicato “il criterio indicato dal D.P.R. n. 460/1996 (già ritenuto applicabile da questa Commissione in precedenti analoghi casi) unico criterio basato su una normativa precludendosi così la possibilità di assolvere al proprio onere probatorio”.

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza in base ad un motivo.

Gli intimati resistono con controricorso.

 

2. Con il proposto ricorso, la ricorrente, lamentando violazione dell’art. 51 del D.P.R. n. 131 del 1986, inrelazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., deduce che l’assunto della CTR, sopra riportato, contrasta col contrario orientamento di questa Corte (Cass. n. 613 del 2006[1]) secondo cui non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di adottare i parametri stabiliti dal D.P.R. n. 460 del 1996, purché si dia conto di quelli adottati, in modo da porre il contribuente in grado di esercitare un’efficace difesa.

 

3. Il motivo appare manifestamente fondato: in relazione alla determinazione del valore di avviamento del bene ceduto, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’orientamento espresso da questa Corte (Cass. n. 16705 del 2007[2]; cfr. n. 3505 del 2006[3]), dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo cui i criteri fissati all’uopo dall’art. 2 del D.P.R. n. 460 del 1996, hanno la funzione di fornire indicazioni minime cui l’Amministrazione finanziaria deve attenersi nella procedura transattiva che conduce ad un accertamento con adesione. “Pertanto, se ai detti criteri un qualche rilievo indiziario può essere attribuito, esso è nel senso che il valore effettivo non è inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione con la conseguenza che l’Amministrazione non è tenuta a spiegare i motivi per cui ritiene incongrui nella specie i criteri in questione, ma deve solo fornire gli elementi indiziari sufficienti a giustificare il suo assunto”.

 

4. Inconclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata alle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, e la sola controricorrente ha depositato memoria;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, dovendo evidenziarsi, in relazione agli argomenti svolti in memoria, che la sentenza si fonda sull’unica ratio decidendi censurata col ricorso, relativa all’onere probatorio incombente sull’Ufficio, non costituendo autonoma ratio l’inciso, secondo cui “nulla impediva ai primi giudici di tenere conto sulla questione dell’avviamento delle valutazioni, sia pure di parte ma attendibili se logiche e fondate, prodotte dai ricorrenti”, esposto ad abundantiam in riferimento ai poteri di valutazione dei giudici di primo grado;

ritenuto che il ricorso va accolto, e la sentenza va cassata con rinvio alla CTR della Lombardia, che si atterrà al principio di diritto suddetto e provvederà, anche, a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M. –La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia.

 

II

Imposta di registro – Azienda – Cessione di azienda – Avviamento – Determinazione del valore di avviamento sulla base dei criteri di cui al D.P.R. n. 460/1996 – Inadeguatezza e inattendibilità – Fattori gestionali, amministrativi, soggettivi e di mercato – Devono essere tenuti in conto per la determinazione dell’avviamento.

Imposta di registro – Azienda – Cessione di azienda – Avviamento – Determinazione del valore di avviamento sulla base dei criteri di cui al D.P.R. n. 460/1996 – Inadeguatezza e inattendibilità – Mancata considerazione di fattori gestionali, amministrativi, soggettivi e di mercato – Indeterminatezza del procedimento seguito dall’Ufficio – Illegittimità dell’accertamento – Consegue.

 

Nell’attività di verifica della congruità del valore dell’avviamento nei trasferimenti d’azienda, gli Uffici finanziari applicano spesso metodi di riscontro basati su formule rigide e stereotipate che talvolta portano a risultati poco corrispondenti alla realtà societaria analizzata e il sistema più utilizzato è quello della capitalizzazione del reddito economico, ovvero il sistema prevista dalla circolare n. 10/93/13876 del 5 aprile 1993, avallato dal D.P.R. 31 luglio 1996, n. 460, in base al quale l’avviamento può essere determinato come valore minimo, assumendo il reddito medio dell’ultimo triennio come base di calcolo e moltiplicando tale valore per un coefficiente fisso pari a tre, con eventuali adeguamenti di tale coefficiente al rialzo o al ribasso, qualora ad esempio l’attività non sia iniziata entro i tre periodi precedenti a quello del trasferimento; è evidente che delle semplici stime basate su un calcolo matematico non prendono in considerazione numerosi aspetti concernenti l’attività economica ceduta tra i quali rientrano anche i fattori gestionali e amministrativi ed elementi soggettivi che difficilmente potranno essere valutati con rigidi automatismi, né tengono conto dei mutamenti del mercato e, di conseguenza, “sovrastimano” il valore dell’avviamento in un contesto aziendale in cui è prevedibile, invece, un forte rallentamento dell’attività economica, di talché le analisi dell’Agenzia delle entrate risultano particolarmente lontana dalla realtà aziendale.

Nel caso di cessione di ramo d’azienda il cui reddito dichiarato non sia facilmente determinabile se non in presenza di separate contabilità, l’incertezza dei valori di partenza e la conseguente indeterminatezza del procedimento seguito nell’accertamento di un maggior valore rendono invalido l’operato dell’Ufficio e non consentono una diversa valutazione da parte dell’organo giudicante adito con il ricorso di parte.

 

[Commissione trib. regionale della Lombardia, sez. XV (Pres. Marletta, rel. Crespi), 30 gennaio 2012, sent. n. 16]

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOMOTIVI DELLA DECISIONETrattasi di appello interposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio … avverso la sentenza n. 207/02/10 emessa dalla CTP di Milano e notificata in data 13 maggio 2010, sentenza che ha accolto il ricorso proposto dalla società … e … srl avverso avviso di rettifica e liquidazione, ai fini dell’imposta di registro, dell’atto di compravendita di ramo d’azienda registrato a … in data 3/10/2007. Il valore della lite è di Euro 31.510,00. L’Ufficio, sulla scorta della documentazione prodotta dalla contribuente a seguito di questionario, provvedeva a rettificare, invariati gli altri dati dichiarati, il valore dell’avviamento portandolo da Euro 1 milione dichiarato a Euro 1.525.180,00.

Lamenta l’Ufficio che i primi giudici non hanno ritenuto corretto il metodo utilizzato per la rideterminazione del valore dell’avviamento in quanto non ha tenuto conto dei costi “indiretti” e nello specifico non ha tenuto conto di altre ragioni che avrebbero determinato le parti a quantificare l’avviamento così come dichiarato.

Secondo l’Ufficio, procedendo nel senso voluto dal contribuente e avallato dal primo giudice, ovvero aggiungendo, oltre ai costi diretti già indicati dall’Ufficio, anche i costi gestionali e amministrativi si giungerebbe assurdamente ad un valore di avviamento pari a un quarto di quello dichiarato. A questo punto non si comprende come lo stesso contribuente abbia determinato questo valore fissandolo in un milione di Euro. Né è accettabile appiattire la decisione su quanto deciso dalle parti in sede contrattuale, altrimenti non sarebbe mai possibile rettificare questo valore.

Conclude per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese.

Si costituisce e resiste controparte, la quale insiste per il rigetto dell’appello con vittoria di spese.

Precisa che l’Ufficio, superando ogni norma di legge, pretende che il contribuente dimostri in modo matematico come è stato determinato il valore di avviamento, quando, invece tale valore deriva dalla volontà contrattuale delle parti che tengono conto anche di fattori diversi da quelli indicati dall’Ufficio e che sostanzialmente attengono agli interessi economici e agli sviluppi dì mercato che intendono raggiungere le parti.

L’onere di dimostrare il maggior valore del bene trasferito è posto a carico dell’ufficio accertatore che deve utilizzare un metodo corretto e non, come nel caso in esame il MOL che tiene conto solo dei dati reddituali. Se l’Ufficio avesse adottato un criterio corretto non avrebbe potuto far altro che verificare la congruità del valore attribuito dalla contribuente all’avviamento.

La trattazione della controversia avveniva come da separato processo verbale in atti.

OSSERVA.

L’appello dell’ufficio non merita accoglimento.

L’avviamento, oggi, è considerato una “qualità” dell’azienda, sul quale incidono numerosi fattori, dalla clientela all’organizzazione aziendale, dall’ubicazione all’abilità gestoria dell’imprenditore, ecc. …

L’avviamento viene definito come la capacità dell’azienda di conseguire redditi nel tempo, la sua attitudine ad ottenere utili.

La differenza tra un’azienda di nuova costituzione e un’azienda avviata è proprio quella che l’azienda avviata produce risultati economici in conseguenza dell’organizzazione dei fattori della produzione nell’azienda stessa. È una specifica qualità dell’impresa “avviata”. L’azienda bene avviata, dunque, fa leva su un aggregato di condizioni immateriali favorevoli che le danno maggiore attitudine a raggiungere i propri obiettivi ed a produrre utili.

Di conseguenza, chi acquista un’azienda funzionante riconosce al cedente un valore di avviamento, volendo evitare i rischi di insuccesso e i costi di impianto. L’avviamento comprende, quindi, una serie di fattori (immateriali) che rendono possibile, per l’imprenditore, il raggiungimento nel futuro di extra profitti. Fattori classificati in soggettivi e oggettivi. I fattori SOGGETTIVI o PERSONALI sono strettamente inerenti alla personalità dell’imprenditore, al suo apporto/impulso lavorativo, alle sue qualità commerciali, alla sua capacità di gestione aziendale. Proprio perché doti “personali” dell’imprenditore sono fattori non trasferibili, in tal caso è forse più appropriato parlare di qualità dell’imprenditore idonee ad incidere sull’avviamento.

I fattori OGGETTIVI o REALI, invece, sono intrinseci all’organizzazione aziendale ed alle circostanze/congiunture del mercato e consistono in:

– organizzazione sperimentata ed efficiente;

– apparato produttivo ottimale;

– struttura manageriale;

– validità del settore ricerca e sviluppo;

– personale selezionato e qualificato;

– medio-alto livello di tecnologia;

– buona localizzazione;

– qualità dei macchinari;

– vasta gamma di prodotti offerti;

– livello della rete di vendita;

– buona conoscenza del mercato e del settore;

– posizionamento e prezzo dei prodotti offerti;

– composizione qualitativa e quantitativa del portafoglio clienti;

– efficiente sistema di approvvigionamento delle materie prime o delle merci;

– rapporti proficui con fornitori;

– buona organizzazione delle vendite;

– fedeltà dei consumatori;

– fiducia presso finanziatori e garanti;

– notorietà;

– prestigio presso terzi;

– buon nome goduto;

– buona tradizione;

– possesso di brevetti e marchi, autorizzazioni, concessioni e licenze per l’esercizio dell’attività.

La capacità reddituale riferibile alla piccola e anche media azienda è, il più delle volte, maggiormente legata all’avviamento “soggettivo”, con conseguente difficoltà ad “oggettivizzare” un avviamento di tipo soggettivo. Dal punto di vista della quantificazione spesso viene associato all’avviamento soggettivo un “peso” diverso rispetto a quello oggettivo, che è indubbiamente e meno problematico da trasferire.

L’avviamento, come valore economico, assume quindi particolare importanza tutte le volte che è necessario stimare il valore di un’azienda o di un suo ramo, particolarmente in occasione del trasferimento, ma anche in occasione di altre operazioni, ordinarie o straordinarie che ne postulano la valorizzazione.

Data le caratteristiche dell’avviamento è particolarmente difficoltoso risalire a un metodo affidabile di calcolo in relazione al suo valore: questo, infatti, è un insieme di caratteristiche ed elementi organizzativi che devono essere valutati complessivamente. Per la dottrina, la valutazione dell’avviamento:

– non può essere oggetto di un sistema di determinazione fondato su rigidi criteri di calcolo applicabili a tutte le realtà aziendali;

– la stima va effettuata di volta in volta valorizzando le peculiarità che caratterizzano l’attitudine prospettica di quell’azienda a produrre utili.

Evidenziamo, a tal proposito, che sul piano pratico qualora gli uffici procedano alla verifica della congruità del valore dell’avviamento nei trasferimenti d’azienda, applicano spesso metodi di riscontro basati su formule rigide e stereotipate che, talvolta, portano a risultati poco corrispondenti alla realtà societaria analizzata. Il sistema più utilizzato è quello della capitalizzazione del reddito economico, ovvero il sistema previsto dalla circolare n. 10/93/13876 del 5 aprile 1993, e avallato dal D.P.R. n. 460 del 1996. Secondo quanto previsto da tale sistema l’avviamento può essere determinato come valore minimo, assumendo il reddito medio dell’ultimo triennio come base di calcolo, e moltiplicando tale valore per un coefficiente fisso pari a3. Inalcuni casi, però, il coefficiente in questione può essere oggetto di adeguamenti al rialzo o al ribasso, qualora ad esempio, l’attività non è iniziata entro i 3 periodi precedenti a quello del trasferimento.

Questo metodo, seppure siano stati realizzati per accelerare e semplificare le procedure di accertamento per cessioni attività commerciali rischiano di risultare eccessivamente schematiche e rigide. Come detto, infatti, una semplice stima basata su un calcolo matematico – seppure tale criterio sia rispondente alle necessità di analisi dell’Agenzia – non prende in considerazione numerosi aspetti concernenti l’attività economica ceduta: le analisi dell’Agenzia, quindi, risultano talvolta particolarmente lontane dalla realtà aziendale. Si pensi, ad esempio al caso in cui innovazioni di prodotto o l’emersione di prodotti sostitutivi abbiano particolarmente danneggiato l’azienda che, invece, nel triennio precedente presenta un risultato economico particolarmente positivo: in tal caso le stime dell’avviamento effettuate dall’Agenzia non tengono conto dei mutamenti del mercato e, di conseguenza, “sovrastimano” il valore dell’avviamento in un contesto aziendale in cui viene previsto, invece, un forte rallentamento dell’attività economica.

Quanto sopra è proprio successo nel caso che ci occupa, ovvero un rigidismo poco aderente alla realtà da parte dell’ufficio nel calcolare il valore dell’avviamento che non tiene conto di tutti fattori sopra riportati, tra i quali, si sottolinea, rientrano anche i fattori gestionali e amministrativi e elementi soggettivi che difficilmente potranno essere valutati con rigidi automatismi.

Si deve, oltretutto osservare che nel caso di specie, appare francamente impraticabile una determinazione certa del valore dell’avviamento, trattandosi di cessione di ramo d’azienda il cui reddito dichiarato non è facilmente determinabile se non in presenza di separate contabilità. L’incertezza dei valori di partenza e la conseguente indeterminatezza del procedimento seguito nell’accertamento di un maggior valore rendono invalido l’operato dell’Ufficio e non consentono una diversa valutazione da parte dell’organo giudicante.

Trattandosi di materia complessa e con orientamenti giurisprudenziali oscillanti si ritiene giustificata la compensazione delle spese di lite.

 

P.Q.M. –La Commissione respinge l’appello dell’ufficio. Spese compensate.

 

Una formula sciocca e abrogata ancora affascina

agenzie e giudici nella determinazione dell’avviamento

 

1. La lettura delle due sentenze, quella della Commissione regionale di Milano del gennaio 2012 e quella della Suprema Corte del marzo successivo, ma anche di quella precedente della Commissione regionale di Milano del marzo 2010, richiamata e cassata dalla Corte, fa nascere nell’interprete dubbi e sbigottimento.

I dubbi derivano dal fatto che, non avendo accesso agli atti di causa e non essendo chiara l’esposizione del “fatto” in tutte e tre le sentenze, la valutazione e la conseguente annotazione delle parti motive delle pronunce potrebbero essere falsate. Occorre quindi, innanzi tutto, cercare di ricostruire il “fatto” o più esattamente i fatti, le argomentazioni e le domande esposte dalle parti – entro i cui limiti il giudice deve fondare la propria decisione (art. 7, primo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) – al fine di disporre di un quadro istruttorio sufficientemente chiaro per commentare le suddette sentenze.

Infatti il contenuto della sentenza e i principi di diritto in essa affermati sono influenzati, spesso fortemente, dal caso di specie, la cui qualificazione costituisce la premessa logica della decisione (1). La corretta interpretazione e applicazione di una sentenza, pertanto, presuppone l’esame del fatto sottoposto al vaglio del giudice; inoltre non si può scindere il contenuto di una sentenza, assumendo a elemento di giudizio un’affermazione del giudice separata dalle altre.

 

2. Nel caso esaminato dalla Commissione regionale lombarda del 2012 si evince che l’Agenzia delle entrate, appellante, aveva accertato un maggiore valore del ramo di azienda ceduto sulla base del margine operativo lordo (MOL), ovvero in base alla differenza fra ricavi e costi della produzione, mentre il contribuente resistente aveva eccepito che occorreva portare in riduzione dal MOL i costi amministrativi, ma soprattutto tenere conto che il valore dell’avviamento del ramo del ramo d’azienda ceduto dipendeva dalle qualità personali dell’imprenditore nonché da molteplici fattori “oggettivi e reali”, intrinseci all’organizzazione aziendale e alla congiuntura del mercato; di tali fattori la Commissione regionale dà un’elencazione assai articolata. Gli stessi giudici di appello, dopo avere ricordato che, con riferimento al valore dell’avviamento, il «sistema più utilizzato è quello della capitalizzazione del reddito economico, ovvero il sistema previsto dalla circolare n. 10/93/13876 del 5 aprile 1993, e avallato dal D.P.R. n. 460 del 1996, secondo [il quale] … l’avviamento può essere determinato come valore minimo, assumendo il reddito medio dell’ultimo triennio … e moltiplicando tale valore per un coefficiente fisso pari a 3», criticano tale sistema in quanto non tiene conto, ad esempio – et juste, ma non si sa se questo riguardi il caso in esame – di mutamenti del mercato intervenuti dopo il triennio considerato.

Nelle conclusioni la Commissioneregionale, con l’annotata sentenza, respinge l’appello dell’Agenzia delle entrate in quanto la determinazione dell’avviamento, nel caso di cessione di ramo d’azienda e in mancanza di separata contabilità, non è certa e il procedimento seguito nell’avviso di accertamento appare indeterminato. Sembra che i giudici meneghini abbiano emesso un non liquet, ma forse, con motivazione che non è facile interpretare, hanno respinto l’appello dell’Agenzia delle entrate non avendo essa assolto l’onere di provare, anche facendo eventualmente ricorso a presunzioni qualificate, il maggior valore del ramo d’azienda oggetto di compravendita, di cui l’avviamento è un elemento.

 

3. La Cassazione, con l’annotata sentenza del marzo 2012, esamina il ricorso dell’Agenzia delle entrate avverso un’altra sentenza della Commissione regionale milanese, sezione diversa da quella oggetto della presente nota, la quale aveva respinto l’appello erariale; l’Amministrazione finanziaria non aveva assolto l’onere della prova poiché – secondo i giudici meneghini – non aveva applicato il criterio indicato dal D.P.R. 31 luglio 1996, n. 460, che, come essi affermano, oltre a essere stato da loro condiviso in altri casi, è «l’unico criterio basato su una normativa».

Orbene la Suprema Cortericonosce ai criteri portati dal citato decreto solo valore indiziario, nel senso che «il valore effettivo non è inferiore a quello a cui si perviene mediante la loro applicazione» e richiama in proposito due proprie sentenze, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria non sarebbe onerata di «spiegare i motivi per cui ritiene incongrui i criteri in questione» (quelli applicati dal contribuente?). Concludendola Corte accoglie l’appello dell’Agenzia delle entrate cassando con rinvio la sentenza della Commissione regionale; il nuovo giudice dovrà tenere presente che l’Agenzia delle entrate può fare ricorso ad altri criteri purché li indichi in guisa da consentire l’enunciazione del diritto di difesa da parte del contribuente.

 

4. Esposti i motivi delle sentenze, sia pur con i dubbi di avere bene interpretato fatti e argomentazioni, occorre ora spiegare lo sbigottimento.

Il citato D.P.R. n. 460/1996, all’art. 2, stabiliva che l’avviamento di un’azienda dovesse essere valutato sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o dichiarati ai fini delle imposte sul reddito negli ultimi tre periodi d’imposta, moltiplicata per tre (in particolari circostanze il coefficiente tre poteva essere ridotto a due) (2). La formula indicata dal decreto imponeva, quindi, di calcolare il reddito medio degli ultimi tre anni, di dividerlo per i ricavi medi degli ultimi tre anni, di moltiplicare il quoziente, così ottenuto, per la media dei ricavi degli ultimi tre anni e di moltiplicare, infine, il prodotto per 3 (o in alcuni casi per 2). Poiché i ricavi medi, che sono al divisore quando sono rapportati ai redditi medi, si elidono con gli stessi ricavi medi allorché il quoziente, ottenuto dal citato rapporto, è con essi moltiplicato, così come la moltiplicazione per tre di una media semplice di tre valori (redditi imponibili) si riduce, per elisione del 3 che sta al divisore della frazione, a una semplice sommatoria, la formula legislativa si riduceva al calcolo dell’avviamento in misura pari alla somma degli ultimi tre redditi imponibili (3) ed era quindi mistificatoria.

Orbene non esiste alcuna regola scientifica o di esperienza che consenta di affermare che l’avviamento è la somma degli ultimi tre redditi imponibili (riducibile al massimo di un terzo qualunque cosa succeda tra la chiusura dell’ultimo esercizio e la cessione d’azienda). Oltretutto il decreto legislativo, unitamente alla relativa legge delega, è stato abrogato quindici anni fa, dopo meno di un anno dalla sua entrata in vigore, dall’art. 17, primo comma, lett. b), del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218. Né ha senso affermare che la norma abrogata può essere di ausilio e mantiene la sua validità, in quanto «ha espresso per la prima volta a livello normativo un metodo non empirico» (4). Può forse sostenersi che un criterio di valutazione (5) possa mantenere la sua validità anche dopo che la legge non faccia più ad esso riferimento, ma mai che un criterio “scriteriato” possa ancora applicarsi dopo che la legge lo ha abrogato!

Ed ecco il motivo dello sbigottimento a cui ho accennato all’inizio di questa nota. Dopo quindici anni dalla sua abrogazione alcuni giudici, pur nella loro autorevolezza, non hanno scoperto che la formula c.d. “legislativa” (recte ex-legislativa) è solo apparentemente ammantata di scientificità, ma in realtà è “sciocca e grossolana” (6). La stessa Commissione regionale, con la pronuncia qui annotata, afferma che l’avviamento può essere determinato come valore minimo assumendo il «reddito medio dell’ultimo triennio» come base di calcolo e «moltiplicando tale valore per un coefficiente fisso pari a 3», non avvedendosi che, nella determinazione della media di tre valori, si divide la loro somma per tre e quindi non ha senso moltiplicare poi il quoziente per tre, giacché l’elisione dello stesso numero, posto prima quale divisore e poi quale moltiplicatore, porta alla semplice sommatoria dei valori che si voleva mediare. Uguale sbigottimento suscitano i giudici di Palazzo dei Marescialli quando affermano che la formula, ovvero la sommatoria (come si è visto) degli ultimi tre redditi annuali, rappresenta un valore non inferiore a quello effettivo, e la sua applicazione solleva (almeno in parte) l’Agenzia delle entrate dall’onere della prova, per non parlare del giudice che, se fedele è stata la riproduzione del suo pensiero, ha dato torto a quell’Agenzia, che, mosca bianca, aveva effettuato la rettifica senza applicare la censurata formuletta.

 

5. Cosa potrebbero fare allora le Agenzie delle entrate? In applicazione del sempre valido art. 51 del D.Lgs. 26 aprile 1986, n. 131, dovrebbero determinare il valore venale in comune commercio di un’azienda e del suo avviamento «attraverso l’esame dei bilanci oppure la richiesta di notizie e documenti, fatta con la notifica degli appositi questionari», come in passato era stato loro indicato (7). Sulla base delle notizie acquisite non dovrebbe essere troppo difficile per l’Amministrazione finanziaria applicare uno dei tanti criteri di valutazione dell’azienda o dell’avviamento che la dottrina economico-contabile e la prassi sono andate elaborando con sufficiente approssimazione negli ultimi cinquant’anni; è compito certo più complesso rispetto alla formuletta applicabile “a tavolino”, ma l’adempimento tributario è un obbligo serio per i contribuenti e un onere altrettanto serio per l’Amministrazione.

 

Dott. Giuseppe Verna

 

(1) Cass., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21492, inGiust. civ., 2006, I, 1226.

(2) Tale formula era stata già oggetto di critica da parte di Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XXII, 9 luglio 1998, n. 111, inBoll. Trib. On-line, che ne aveva espressamente respinto l’applicazione affermando che «il volume d’affari non può essere l’unico parametro su cui basare la valutazione; risulta infatti necessario comparare tale valore ai costi e alle altre componenti della gestione», per arrivare quindi a determinare il reddito netto, e per reddito netto deve intendersi al netto delle imposte; una serrata critica ai criteri automatici è contenuta anche in Comm. trib. prov. di Ravenna, sez. II, 16 luglio 2002, n. 70, ivi.

(3) Denominati r1, r2 e r3 i redditi d’impresa (o redditi imponibili) degli ultimi tre esercizi antecedenti quello in cui si è verificato il trasferimento e denominati R1, R2 e R3 i ricavi iscritti in bilancio nei medesimi tre esercizi, la formula di cui all’art. 2, quarto comma, del D.P.R. 31 luglio 1996, n. 460, può essere così rappresentata:

 

 

 

Quindi, ridotto di 1/3 se è applicato il moltiplicatore fisso 2 anziché 3. Pertanto la formula della norma determina l’avviamento in misura pari alla somma degli ultimi tre redditi imponibili oppure in misura pari ai due terzi degli ultimi tre redditi imponibili.

(4) Cfr. Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XIII, 9 marzo 2006, n. 8, inBoll. Trib., 2006, 1060.

(5) Come potrebbe essere, per esempio, quello avente per oggetto un’azienda, consistente nella capitalizzazione a un adeguato tasso di attualizzazione di redditi medi prospettici, ottenuti normalizzando i redditi storici, per un certo numero di anni.

(6) Per la critica alla formula e alla sua applicazione si rinvia a g. verna, Una formula sciocca ed abrogata per la tassazione dell’avviamento nelle cessioni d’azienda, in Boll. Trib., 2006, 1061, in nota a Comm. trib. reg. della Lombardia 9 marzo 2006, n. 8; id., Sul persistente malvezzo di determinare l’avviamento ricorrendo ad una formula sciocca ed abrogata, ivi, 2007, 1329, in nota a Comm. trib. prov. di Macerata 15 novembre 2006, n. 125; id., Un ulteriore salvataggio della formula abrogata della somma di tre redditi imponibili per la valutazione delle aziende: ma fino a quando?, ivi, 2008,520, in nota a Cass., sez. trib., 21 gennaio 2008, n. 1170.

(7) Circ. Ispett. comp. tasse e imp. indir. sugli affari 5 aprile 1993, n. 10/93/13876.

 


[1] Cass. 13 gennaio 2006, n.613, in Boll. Trib., 2006, 884.

 

[2] Cass. 27 luglio 2007, n.16705, in Boll. Trib. On-line.

 

[3] Cass. 17 febbraio 2006, n.3505, in Boll. Trib. On-line.