22 Settembre, 2015

SOMMARIO: 1. Premessa 2. Il dato positivo di riferimento. Orientamento generale della giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Ratio della previsione e termine per l’adempimento 3. Le recenti pronunce della Corte di Cassazione sull’ambito di operatività dell’onere di cui all’art. 53, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992 4. Rilevanza dell’onere ex art. 53, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, rispetto alla diverse modalità di notificazione dell’appello tributario a mezzo del servizio postale 5. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Finalmente!

Questo è quanto a coloro che quotidianamente frequentano le aule in cui si amministra la giustizia tributaria verrà spontaneo esclamare prendendo atto dell’importante novità introdotta nel processo tributario dal decreto “semplificazioni fiscali”.

L’art. 36 del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (1), ha infatti disposto la soppressione del tanto discusso secondo periodo del secondo comma dell’art. 53 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, norma che prevedeva che, laddove l’atto di impugnazione della sentenza tributaria di primo grado non fosse stato notificato a mezzo di ufficiale giudiziario,l’appellante doveva«a pena d’inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata» (2).

Con tale intervento – che, secondo quanto si legge nella relazione illustrativa (di seguito, per brevità, relazione) alla norma dell’articolo 36 del D.Lgs. n. 175/2014, «risulta in linea con l’esigenza governativa di adottare misure di semplificazione “orientate a prevedere: … l’eliminazione di adempimenti, fasi procedimentali e pareri non necessari o di scarsa utilità”» – viene dunque eliminata una disposizione che aveva suscitato non poche perplessità, in considerazione delle irreversibili conseguenze (l’inammissibilità dell’impugnazione) che si ripercuotevano sull’appellante che avesse omesso di adempiere all’onere, del tutto estraneo alla dinamica del secondo grado del giudizio tributario e privo di una significativa ratio che ne giustificasse la gravità della sanzione collegata, del deposito di copia dell’appello non notificato tramite ufficiale giudiziario presso la segreteria del giudice a quo.

Con il presente commento si intende sia offrire una ricognizione della giurisprudenza della Corte Costituzionale e di legittimità sull’abrogata disposizione, in considerazione del fatto che, nonostante il venir meno dell’adempimento in parola, occorrerà gestire tanto i giudizi pendenti nei quali il soppresso comma 2 dell’art. 53 in parola costituisce oggetto di contenzioso tanto quelli per i quali, transitoriamente, l’onere ancora è previsto; sia, sotto questo secondo aspetto, verificare quale efficacia temporale debba riconoscersi alla nuova disciplina.

2. Il dato positivo di riferimento. Orientamenti della giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Ratio dell’abrogata previsione e termine per l’adempimento

In base all’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992, alle impugnazioni delle sentenze delle Commissioni tributarie «si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto».

Una delle regole specifiche del giudizio d’appello fiscale era quella, oggi eliminata – introdotta con l’art. 3-bis, settimo comma, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, inserito, in sede di conversione, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (in vigore dal 3 dicembre 2005), dopo il primo periodo (3) del secondo comma dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992 (4) che in più occasioni ha superato indenne il vaglio di conformità alla Costituzione (in particolare, agli artt. 2, 3 e 24).

In tutti i casi in cui la norma è stata portata all’attenzione dei Giudici della Consulta, infatti, a partire dalla sentenza n. 321 del 4 dicembre 2009, è stata riconosciuta la ragionevolezza dell’onere in questione, considerato dal Giudice delle leggi l’unico strumento effettivamente idoneo ad assicurare la tempestiva informazione della segreteria della Commissione tributaria provinciale circa l’impugnazione della sentenza, così da evitare (o, comunque, decisamente riducendo) il rischio del rilascio di copia esecutiva di una sentenza di primo grado sull’erroneo presupposto della sua definitività.

Ciò in quanto – secondo il rilievo dalla Consulta nella citata sentenza n. 321 del 2009 – l’incombenza gravante sulla segreteria della Commissione tributaria regionale in base al terzo comma (5) del medesimo art. 53, intervenendo soltanto “dopo” la costituzione in giudizio dell’appellante, non consentirebbe alla segreteria del primo giudice di avere tempestiva notizia della proposizione dell’appello, anche in considerazione «del tempo necessario a che la richiesta pervenga alla segreteria della Commissione tributaria provinciale».

[-protetto-]

Anche ulteriori censure di illegittimità costituzionale della soppressa norma sono state ritenute non fondate da parte dei Giudici della Consulta (6).

In particolare, nella citata sentenza n. 17/2011, si legge che l’onere di cui al secondo comma dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992 persegue «il duplice obiettivo, da un lato, di non gravare la segreteria del giudice di appello di compiti informativi necessariamente intempestivi (perché successivi alla costituzione in giudizio dell’appellante) ed organizzativamente onerosi e, dall’altro, di assicurare la tempestività e la completezza della comunicazione dell’interposta impugnazione, imponendo allo stesso appellante, che abbia proposto appello senza avvalersi dell’ufficiale giudiziario, di effettuare tale comunicazione».

In relazione all’asserita violazione dell’art. 24 Cost., la citata sentenza n. 17/2011 precisava altresì che «la parte può eseguire [l’adempimento in parola, n.d.a.] senza andare incontro a particolari difficoltà e, dunque, certamente non tale da rendere estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa (ordinanza n. 43 del 2010)» e che la prevista sanzione d’inammissibilità si giustifica in quanto costituisce «l’unico deterrente per indurre l’appellante a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell’appello stesso».

Sulla stessa linea ermeneutica la Suprema Corte ha ritenuto che la disposizione oggi abrogata non comportasse dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza e del diritto di difesa, osservando che laddove avesse optato per la notificazione in forma privata, anziché affidarsi all’ufficiale giudiziario, l’appellante avrebbe assunto «dei meri oneri relativi ad adempimenti concernenti atti nella sua sfera di disponibilità, in alcun modo per il medesimo ostativi all’accesso alla tutela giurisdizionale garantita ex art. 24 Cost.» (7); rilevandosi altresì che i dubbi di legittimità costituzionale sono stati reiteratamente fugati dalla Consulta «facendo leva sulla discrezionalità del legislatore e sulla ragionevolezza della norma, rispondente all’esigenza, certamente meritevole di tutela, diretta ad impedire, o almeno a ridurre, il rischio del rilascio di erronee attestazioni di passaggio in giudicato delle sentenze delle Commissioni tributarie provinciali» (8).

Sempre il giudice di nomofilachia, raffrontando la disciplina delle impugnazioni del codice di rito civile con quella fissata dal decreto sul contenzioso tributario, ha altresì rilevato che la diversa regolamentazione della proposizione dell’appello nel processo fiscale «trae origine dalla peculiare facoltà di notificare direttamente l’appello tributario», prevista dal combinato disposto degli artt. 53, 20, primo e secondo comma, e 16, del D.Lgs. n. 546/1992, «che non ha corrispondenza nel processo civile ordinario. Il che – com’è evidente – giustifica la specificità della disciplina dettata per il processo tributario» (9).

Quanto al termine – inspiegabilmente, a fronte della severissima sanzione prevista per il suo mancato adempimento, non esplicitato nel testo dell’abrogata norma – entro il quale l’onere di cui si discute doveva essere assolto, la Corte Costituzionale (dapprima nella sentenza n. 321/2009, e in seguito nelle successive pronunce innanzi richiamate) ha chiarito che il momento ultimo per effettuare il deposito (10) di copia dell’appello in Commissione tributaria provinciale doveva essere identificato, in via interpretativa, nel termine di trenta giorni dalla proposizione dell’impugnazione stabilito anche per la costituzione in giudizio dell’appellante.

La medesima impostazione è stata condivisa dalla Suprema Corte con orientamento consolidato (11).

3. Le recenti pronunce della Corte di Cassazione sull’ambito di operatività dell’onere di cui all’art. 53, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992

In alcuni recenti arresti la Suprema Corte ha meglio definito l’ambito di operatività del soppresso onere di cui al secondo comma dell’art. 53 in parola, precisando in modo più puntuale (ed invero drasticamente riducendone la portata, quasi ad anticipare il colpo di spugna operato con la novella del decreto legislativo di novembre 2014) quali, tra le varie possibili, fossero le modalità di notifica dell’atto di gravame al cui utilizzo conseguiva a carico dell’appellante, pena l’inammissibilità dell’impugnazione stessa, l’incombente del deposito di copia dell’atto di appello presso la segreteria del giudice che aveva emesso la pronuncia impugnata.

Al riguardo, va preliminarmente ricordato che l’art. 16 del D.Lgs. n. 546/1992, dopo aver previsto al secondo comma che le notificazioni «sono fatte secondo le norme degli articoli 137 e seguenti del codice diprocedura civile, salvo quanto disposto dall’art. 17» (12), nel successivo terzo comma disciplina due modalità “semplificate” di notifica, stabilendo che questa può essere eseguita «anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico (13) senza busta (14) raccomandato con avviso di ricevimento» (c.d. notifica postale “diretta”, in quanto effettuata, appunto “direttamente”, ossia senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario o di altro agente notificatore), ovvero, nei confronti dell’ufficio o dell’ente impositore, anche «mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia».

Infine, in base al quarto comma del medesimo art. 16, l’ufficio finanziario e l’ente locale «provvedono alle notificazioni anche a mezzo del messo comunale o di messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria, con l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 2».

Ciò precisato, il Collegio di nomofilachia ha di recente rilevato che gli effetti del mancato adempimento del particolare onere di cui all’art. 53 in parola «gravano sulla parte solo quando questa provveda direttamente alla notifica a mezzo del servizio postale, mentre ove si avvalga di un altro soggetto notificatore … il mancato rispetto dell’art. 123 [delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, n.d.a.] non produce effetti sulla posizione processuale della parte» (15).

Specificamente le citate pronunce, confermando il principio già espresso dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione 24 marzo 2011, n. 6811 (16), hanno ribadito la regola secondo la quale l’onere di dare immediato avviso scritto alla cancelleria/segreteria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata grava «su chiunque provveda alla notifica» dell’impugnazione.

In senso analogo, la Suprema Corte ha osservato che un adempimento analogo a quello che, in base all’art. 123 disp. att. c.p.c., incombe sull’ufficiale giudiziario che notifica un’impugnazione «è posto a carico del messo notificatore [nel caso di specie, si trattava del messo comunale di cui lo stesso Comune si era avvalso per la notificazione dell’appello tributario, n.d.a.], attesa la sua equiparazione all’ufficiale giudiziario, a tutti gli effetti» (17); mentre, in altra recente occasione, i Supremi Giudici hanno ritenuto di estendere la medesima regola al messo notificatore speciale dell’Ufficio finanziario (18).

Le richiamate pronunce della Suprema Corte – decisamente orientate nel senso che l’onere di provvedere al tempestivo deposito dell’appello presso la segreteria del giudice a quo fosse configurabile soltanto nel caso di notificazione dell’appello eseguita in via “diretta” a mezzo del servizio postale – possono costituire utile argomento difensivo, tanto per le parti private, quanto per gli Uffici finanziari (in caso di notifica del gravame a mezzo messo comunale o speciale) – per neutralizzare eventuali pronunce che, con riguardo ai contenziosi pendenti in cui l’onere del deposito in parola non sia stato adempiuto, abbiano affermato l’inammissibilità dell’appello con riguardo ad ipotesi diverse da quelle specificamente individuate dalla Corte di Cassazione.

All’ipotesi di notificazione postale “diretta”, ai medesimi fini, dovrebbe peraltro ragionevolmente equipararsi quella in cui la notificazione dell’appello sia stata eseguita – soltanto dalla parte privata, trattandosi di modalità non prevista a favore del soggetto impositore – mediante “consegna diretta” (al front-office, ufficio protocollo/ricezione corrispondenza, etc.) all’ufficio o all’ente locale, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 546/1992: anche in questo caso, quindi, l’appellante, per evitare la “tagliola” dell’inammissibilità, in aggiunta agli altri incombenti di rito, vigente la norma attualmente soppressa, avrebbe dovuto anche depositare tempestivamente presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale copia dell’appello consegnato a controparte.

Di contro laddove, ratione temporis, la notificazione dell’impugnazione sia stata effettuata con modalità diverse (ad esempio, tramite ufficiale giudiziario, messo comunale, messo autorizzato), secondo la citata giurisprudenza non sarebbe stato necessario il tempestivo deposito di copia dell’appello presso la segreteria del giudice a quo, gravando sul soggetto che abbia materialmente curato la notificazione, l’onere di informativa di cui all’art. 123 disp. att. c.p.c.

A quest’ultima regola devono essere ricondotte anche le ipotesi in cui la notificazione dell’appello sia stata eseguita da un avvocato (munito di procura alle liti a norma dell’art. 83 c.p.c. e dell’autorizzazione del consiglio dell’ordine nel cui albo è iscritto) «a mezzo del servizio postale, secondo le modalità previste dalla legge 20 novembre 1982, n. 890», ai sensi dell’art. 1 della legge 21 gennaio 1994, n. 53.

Proprio in relazione a quest’ultima fattispecie, la citata sentenza n. 6811/2011 ha osservato che, così come nel caso di notifica dell’impugnazione a mezzo di ufficiale giudiziario quest’ultimo è tenuto, ai sensi dell’art. 123 disp. att. c.p.c., a darne immediato avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, «analogo adempimento è posto, a carico dell’avvocato che si avvalga della facoltà di eseguire la notifica ai sensi della L. n. 53 del 1994, dall’art. 9 della medesima legge, che stabilisce appunto che, nei casi in cui il cancelliere deve provvedere all’annotazione suddetta, “il notificante provvede, contestualmente alla notifica, a depositare copia dell’atto notificato presso il cancelliere del giudice che ha pronunciato il provvedimento”».

4. Rilevanza dell’onere ex art. 53, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, rispetto alla diverse modalità di notificazione dell’appello tributario a mezzo del servizio postale

Da quanto esposto emerge in particolare che secondo la Corte di Cassazione, ai fini dell’operatività dell’onere già fissato dall’art. 53, secondo comma, secondo periodo, del D.Lgs. n. 546/1992, e della connessa sanzione di inammissibilità dell’impugnazione, occorre tenere distinte le ipotesi in cui la notificazione dell’appello a mezzo del servizio postale è avvenuta in via “diretta” da quelle in cui invece il medesimo strumento è stato utilizzato per il tramite di un “agente notificatore” (ufficiale giudiziario, messo comunale o autorizzato, avvocato ai sensi della legge n. 53/1994).

Nel caso di notificazione “diretta” – prevista dalla speciale disposizione, peculiare del processo tributario, dell’art. 16, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, ed eseguita mediante spedizione a controparte, tramite raccomandata c.d. “ordinaria” con avviso di ricevimento di colore bianco, del plico contenente l’atto di appello (19) – incombeva sull’appellante l’onere di rendere tempestivamente edotta la Commissione tributaria provinciale della proposizione del gravame (mediante deposito della copia dell’atto stesso presso la segreteria del giudice).

Viceversa, secondo quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, nel caso di utilizzo del servizio postale da parte di uno degli “agenti notificatori” di cui si è detto – fattispecie in cui trovano applicazione le regole fissate dalla legge 20 novembre 1982, n. 890, e la spedizione dell’atto al destinatario avviene in busta chiusa (20) mediante raccomandata c.d. “per atti giudiziari”, con avviso di ricevimento di colore verde – il medesimo onere informativo incombeva sul soggetto che aveva redatto «la relazione di notificazione sull’originale e sulla copia dell’atto, facendo menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale spedisce al destinatario la copia in piego raccomandato con avviso di ricevimento» (cfr. art. 3 della legge n. 890/1982, per l’ufficiale giudiziario e i messi; art. 3 della legge n. 5371994, per l’avvocato).

L’onere in questione doveva essere adempiuto rispettivamente, dall’ufficiale giudiziario o dai messi (21), mediante «avviso scritto al cancelliere [alla segreteria, nel caso di informativa alla Commissione tributaria, n.d.a.] del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata” (ex art. 123 disp. att. c.p.c.), ovvero dall’avvocato mediante deposito presso la cancelleria/segreteria “di copia dell’atto notificato” (art. 9 della legge n. 53/1994).

5. Efficacia temporale della novella normativa

Il quadro giurisprudenziale – costituzionale e di legittimità e, giocoforza, anche delle Commissioni tributarie – sul soppresso secondo periodo del secondo comma dell’art. 53 in commento è caratterizzato da un orientamento decisamente rigoroso e consolidato nel senso che il puntuale rispetto della norma doveva essere sempre assicurato nei casi di notificazione “diretta”, attraverso il tempestivo assolvimento dell’onere informativo, potendo tra l’altro il relativo inadempimento essere rilevato anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (da ultimo, in questi termini, Cass. 9 maggio 2014, n. 10085; e Cass. n. 10988/2014, cit.).

L’art. 36 del decreto “semplificazioni fiscali” cambia ora la disciplina dell’appello tributario, eliminando la fastidiosa (e insidiosa) regola che, per quasi un decennio, ha costituito un’inaccettabile “tagliola” per le sorti di numerose impugnazioni.

Al riguardo, nella relazione all’art. 36 de quo, si legge che l’esigenza sottostante alla norma soppressa – volta a fare conoscere alla segreteria della Commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza, richiesta di rilasciarne copia in forma esecutiva, l’intervenuta presentazione dell’appello – «è adeguatamente assicurata dal disposto dell’articolo 53, comma 3, del D.Lgs. 546/1992» (ovvero dall’onere posto a carico della segreteria della Commissione tributaria regionale di trasmettere alla segreteria della Commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo «subito dopo il deposito del ricorso in appello») (22), precisandosi che «Inoltre, il sistema informativo unitario di cui dispongono le commissioni tributarie consente, tramite una semplice interrogazione, di sapere se è stato depositato l’appello».

Quanto all’efficacia temporale della novella, in mancanza di specifica disposizione transitoria, deve ritenersi valevole il principio generale secondo cui la norma processuale sopravvenuta trova immediata applicazione anche con riguardo a processi già pendenti, avendo la Cassazione anche da ultimo ribadito «la tesi tradizionale che “nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore”» (23).

In considerazione della ratio della neointrodotta disposizione – come detto in premessa, trattasi di una misura finalizzata alla semplificazione del sistema fiscale attraverso tra l’altro «l’eliminazione di adempimenti, fasi procedimentali e pareri non necessari o di scarsa utilità» – e della conseguente opportunità di rendere operative il prima possibile le semplificazioni, si può quindi ragionevolmente ritenere che la novella trova applicazione con riguardo a tutti gli appelli tributari il cui iter di notificazione ha avuto inizio a partire dal 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014.

Di contro, per gli appelli il cui procedimento notificatorio è stato iniziato prima di tale data, l’adempimento deve ancora essere assicurato (anche quando il perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario si è verificato dal 13 dicembre 2014 in poi): ciò in quanto, in base al principio tempus regit actum, la validità dell’atto processuale va verificata «applicando la legge che vigeva al tempo in cui l’atto è stato compiuto» (24).

A maggior ragione, per gli stessi motivi, va depositata in Commissione provinciale la copia dell’appello la cui notifica si è perfezionata prima del 13 dicembre 2014 quando alla stessa data non è ancora scaduto il termine per la costituzione in giudizio davanti alla Commissione tributaria regionale.

6. Eventuale rilevanza della novella rispetto agli appelli pendenti soggetti al regime abrogato

Fermo quanto precede, si ritiene – pur consapevoli del fatto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la retroattività della legge processuale è «un effetto che può essere previsto dal legislatore con norme transitorie, ma che non può essere liberamente ritenuto dall’interprete» (25) e che gli atti compiuti anteriormente ad una nuova legge processuale «sono regolati, secondo il fondamentale principo tempus regit actum, dalla legge sotto il cui imperio furono posti in essere (Corte cost. n. 115/90)» (26) – che nei contenziosi in appello già promossi e nei quali è stato omesso l’adempimento di cui al previgente testo dell’art. 53, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, la novità normativa di novembre 2014 possa eventualmente invocarsi (27), seppure come argomento interpretativo estremo per scongiurare la sanzione di inammissibilità, quale soluzione costituzionalmente orientata estensibile anche a contenziosi pregressi ma ancora pendenti alla data di entrata in vigore della novella.

Ciò anche in relazione alla costante giurisprudenza per la quale, in relazione alle norme procedurali, va privilegiata una lettura che, nell’interesse generale, faccia salva la funzione di garanzia loro propria «limitando al massimo le cause d’invalidità o d’inammissibilità» (28); considerato, altresì che «dalla giurisprudenza di questa Corte … e della Corte Europea dei diritti dell’uomo … si trae il monito ad ancorare le sanzioni processuali al canone di proporzionalità ed a far prevalere le interpretazioni dirette a consentire al processo di giungere al suo sbocco naturale» (29).

Principi questi riaffermati anche nella recentissima pronuncia n. 24461 del 17 novembre 2014 (30), in cui si legge che «Le previsioni di inammissibilità, proprio per il loro rigore sanzionatorio devono essere interpretate in senso restrittivo, limitandone cioè l’operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo (extrema ratio) è davvero giustificato; ciò anche tenendo presente l’insegnamento fornito dalla Corte costituzionale, con particolare riguardo al processo tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della “tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità(sentenze C. Cost. nn. 189 del 2000 e 520 del 2002)».

Non è poi da escludere la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma abrogata, il cui eventuale accoglimento produrrebbe effetti ex tunc, di cui beneficerebbero tutti i rapporti non esauriti.

7. Considerazioni conclusive

La soppressione del secondo periodo del secondo comma dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992 va salutata con favore, perché espunge dall’ordinamento una previsione che, nonostante il salvataggio più volte operato a suo favore dalla Consulta, strideva in modo palese con gli approdi ermeneutici del Giudice delle leggi e della Corte di legittimità che, da ultimo sempre più di frequente, hanno ristretto entro limiti progressivamente più angusti l’ambito di operatività della sanzione processuale dell’inammissibilità.

La regola di diritto vivente secondo cui l’inammissibilità deve costituire extrema ratio veniva infatti platealmente smentita dalla persistenza nell’ambito del giudizio tributario dalla norma che ora il legislatore ha finalmente rimosso.

Nella tormentata vicenda che ha portato alla nascita, alla sofferta sopravvivenza e poi all’eutanasia dell’incombente in parola, ciò che maggiormente stupisce è la palpabile incoerenza di fondo del sistema normativo.

Non può infatti sfuggire la circostanza che le ragioni addotte a suo tempo dalla Corte Costituzionale per giustificare la necessità della permanenza in vita della norma coincidono con quelle che hanno indotto invece il legislatore a valutare positivamente l’opportunità della sua eliminazione.

Se nella citata sentenza della Consulta n. 321/2009, infatti, si legge che l’incombenza gravante sulla segreteria della Commissione tributaria regionale in base al comma 3 dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992, intervenendo soltanto “dopo” la costituzione in giudizio dell’appellante, non consentirebbe alla segreteria del primo giudice di avere tempestiva notizia della proposizione dell’appello, oggi lo stesso art. 53, comma 3, viene riconosciuto nella Relazione come strumento in grado di assicurare adeguatamente al giudice provinciale la conoscenza dell’intervenuta presentazione dell’appello.

Verosimilmente, un approccio più meditato nella ricerca di una soluzione ad un problema comunque realistico (la possibilità del rilascio di una copia esecutiva di una sentenza sull’erroneo presupposto della sua definitività, per mancata tempestiva conoscenza da parte della segreteria della Commissione tributaria provinciale della pendenza di un gravame) avrebbe evitato il protrarsi per quasi un decennio di una situazione di ingiustificato vulnus al diritto di difesa costituzionalmente sancito.

Dott. Massimo Cancedda

(1) L’entrata in vigore, in base alla regola generale non derogata da diversa disposizione, è fissata al 13 dicembre (15 giorni dopo la pubblicazione, secondo quanto stabilito dagli artt. 10 e segg. delle “Preleggi” – ai sensi del quale «Le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto» – e 73 Cost., per il quale «Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso»).

(2) L’adempimento in questione si aggiungeva a quello (derivante dal richiamo stabilito dall’art. 53 alla previsione di cui al precedente art. 22, primo comma) concernente il deposito, sempre a pena di inammissibilità, del ricorso in appello nella segreteria della Commissione tributaria regionale adita entro trenta giorni dalla proposizione dell’impugnazione.

(3) Il primo periodo del secondo comma dell’art. 53 in commento prevede che il ricorso in appello è proposto «nelle forme di cui all’art. 20, commi 1 e 2, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e deve essere depositato a norma dell’art. 22, commi 1, 2 e 3».

(4) Secondo quanto rilevato dall’Agenzia delle entrate nella circ. 13 marzo 2006, n. 10/E (in Boll. Trib., 2006, 486), la disposizione de qua era chiamata a svolgere nel processo tributario la stessa funzione che, nel processo ordinario, è demandata all’art. 123 delle disp. att. c.p.c. Detta norma stabilisce che l’ufficiale giudiziario che ha notificato un atto d’impugnazione «deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha emesso la sentenza impugnata»; il cancelliere, a sua volta, «deve fare annotazione dell’impugnazione sull’originale della sentenza».

(5) Ai sensi del terzo comma dell’art. 53 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, «subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della commissione tributaria regionale chiede alla segreteria della commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo, che deve contenere copia autentica della sentenza».

(6) Specificamente Corte Cost. 11 febbraio 2010, ord. n. 43, in Boll. Trib. On-line; Corte Cost. 20 gennaio 2011, n. 17, in Boll. Trib., 2011, 812, con nota di V. Azzoni, Costituzionalmente legittimo l’obbligo di depositare copia dell’appello presso la segreteria del giudice di primo grado; e Corte Cost. 15 aprile 2011, ord. n. 141, in Boll. Trib. On-line.

(7) Cfr. Cass., sez. trib., 6 aprile 2010, ord. n. 8209, in Boll. Trib. On-line.

(8) Così Cass., sez. VI, 19 maggio 2014, n. 10988, in Boll. Trib. On-line.

(9) Così Cass., sez. trib., 23 marzo 2012, n. 4679, in Boll. Trib. On-line.

(10) Sul punto si ricorda che secondo Cass., sez. trib., 10 novembre 2011, ord. n. 23499, in Boll. Trib. On-line, quello da assolvere, ai sensi delsecondo comma dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992, è «l’onere ineludibile di “depositare” [la copia del gravame, n.d.a.] presso il giudice di primo grado e non quello di “spedire”, poiché la possibilità di “spedire” riguarda solo la trasmissione al giudice d’appello», così apparentemente escludendosi – sul presupposto che si tratterebbe di una modalità non sempre idonea ad assicurare il tempestivo ricevimento dell’atto – la possibilità di procedere, agli stessi fini, alla spedizione di copia dell’impugnazione alla Commissione tributaria provinciale a mezzo del servizio postale. A parere di chi scrive, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, anche il mezzo postale dovrebbe essere considerato idoneo ad assolvere la funzione per la quale l’onere di cui si discute era stato introdotto. Ciò, quantomeno, nelle ipotesi in cui il plico contenente la copia dell’appello sia pervenuto alla segreteria del giudice a quo entro il termine per la costituzione in giudizio dell’appellante. Non si vede infatti per quali ragioni dovrebbe escludersi “in assoluto” l’utilizzo del servizio postale quando esso sia stato in grado di assicurare il medesimo risultato che si sarebbe ottenuto con la consegna diretta dell’atto di gravame presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale.

(11) Tra le più recenti ved. Cass., sez. trib., 17 gennaio 2013, n. 1089; Cass., sez. VI, 13 marzo 2013, n. 6393; Cass., sez. trib., 12 aprile 2013, ord. n. 8963; Cass., sez. trib., 4 settembre 2013, n. 20253; Cass., sez. trib., 28 febbraio 2014, nn. 4817, 4818 e 4819; e Cass., sez. VI, 6 giugno 2014, n. 12861; tutte in Boll. Trib. On-line.

(12) L’art. 17 del D.Lgs. n. 546/1992 detta alcune regole particolari in relazione al “luogo” in cui le comunicazioni e le notificazioni riguardanti il processo tributario devono essere eseguite.

(13) Nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, sul plico «non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto».

(14) Al riguardo, per costante giurisprudenza di legittimità, il vizio della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale in busta anziché in plico senza busta «costituisce una mera irregolarità se … il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati, essendo, altrimenti, onere del ricorrente o dell’appellante dare la prova dell’infondatezza della contestazione formulata (Cass. 13666/09; conf. Cass. 7797/08; 915/06; 17702/04)» (così Cass., sez. trib., 11 ottobre 2013, n. 23117, in Boll. Trib. On-line). Inoltre, sempre secondo la Suprema Corte, nel caso di utilizzo non contestato della busta anziché del plico, per la valutazione della tempestività dell’invio effettuato a mezzo posta rileva e fa fede la data di spedizione, costituendo l’impiego della busta una mera irregolarità (Cass., sez. trib., 8 febbraio 2011, n. 3146; Cass., sez. trib., 11 aprile 2011, n. 8172; e Cass., sez. trib., 19 aprile 2013, n. 9576; tutte in Boll. Trib. On-line).

(15) Cass., sez. VI, 2 dicembre 2013, n. 27030; Cass., sez. VI, 26 novembre 2013, n. 26487; e Cass., sez. VI, 31 luglio 2013, n. 18385; tutte in Boll. Trib. On-line.

(16) In Boll. Trib. On-line.

(17) Cfr. Cass. n. 1089/2013, cit.

(18) Cfr. Cass., sez. VI, 28 aprile 2014, n. 9319, in Boll. Trib. On-line, secondo cui, poiché il legislatore del processo tributario ha inteso operare una totale equiparazione della posizione funzionale del messo notificatore e di quella dell’ufficiale giudiziario, anche al messo notificatore si deve applicare il regime previsto dall’art. 123 disp. att. c.p.c. «secondo il quale è onere dell’ufficiale giudiziario (e perciò stesso anche del messo notificatore) dare immediato avviso scritto dell’avvenuta notificazione dell’appello al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata».

(19) Ed altresì, come detto, in caso di “consegna diretta” dell’appello all’ufficio o all’ente locale.

(20) Anche in questo caso, a tutela della riservatezza, sulla busta «non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto» (art. 2 della legge 20 novembre 1982, n. 890).

(21)

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I messi, come detto, ai sensi del combinato disposto del secondo e quarto comma dell’art. 16 del D.Lgs. n. 546/1992, provvedono alle notificazioni degli atti del processo tributario ai sensi degli artt. 137 ss. c.p.c., ovvero secondo le stesse norme cui deve attenersi l’ufficiale giudiziario nell’esecuzione della medesima incombenza.

(22) In questo modo, spiega la relazione, «la commissione tributaria provinciale viene tempestivamente a conoscenza della circostanza che è stato presentato ricorso e che la sentenza non è divenuta definitiva. Viceversa, la mancanza di richiesta del fascicolo assicura la conoscenza da parte della segreteria della commissione tributaria provinciale dell’intervenuto giudicato entro un termine piuttosto breve dopo il decorso del termine di impugnazione».

(23) Cass., sez. III, 26 agosto 2014, n. 18261, in Mass. giust. civ., 2014; ved. anche Cass., sez. III, 19 novembre 2013, n. 25904, in Boll. Trib. On-line.

(24) Cass., sez. III, 15 febbraio 2011, n. 3688, in Giust. civ., 2012, I, 2813.

(25) Cass. n. 3688/2011, cit.

(26) Cass., sez. I, 9 marzo 2012, n. 3742, in Boll. Trib. On-line.

(27) Sia direttamente in appello quando la causa non sia stata ancora posta in decisione; sia nel ricorso per cassazione quando la pronuncia d’appello abbia dichiarato l’inammissibilità del gravame per omissione dell’adempimento in parola.

(28) Cass., sez. trib., 5 luglio 2011, n. 14807, in Boll. Trib. On-line; negli stessi termini, ved. anche Cass., sez. trib., 11 settembre 2013, n. 20787, ivi, ove è stato altresì osservato che il definitivo sacrificio dell’interessa ad agire può essere giustificato, e dunque reso compatibile con il diritto alla difesa giurisdizionale sancito dall’articolo 24 della Costituzione, soltanto nei casi in cui alla sanzione di inammissibilità corrisponda un vizio di sostanza tale da pregiudicare altri interessi di natura sostanziale o processuale ritenuti dalla legge prevalenti.

(29) Così Cass., sez. trib., 20 dicembre 2012, n. 23593, in Boll. Trib. On-line.

(30) Così Cass., sez. VI, 17 novembre 2014, n. 24461, in Boll. Trib. On-line.

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