12 Dicembre, 2019

La Suprema Corte ribadisce un principio ormai sedimentato nel tempo che confluisce da decenni da una sentenza all’altra: se il fisco intende far valere una pretesa fiscale – il cui presupposto sia sorto prima della dichiarazione di fallimento – nei confronti della procedura concorsuale, al fine di insinuarsi al passivo, ha l’onere di notificare l’atto impositivo al curatore fallimentare. Qualora, poi, intenda agire nei confronti del fallito tornato in bonis, l’Amministrazione finanziario ha l’onere di notificare l’atto impositvo anche al fallito: «La mancata notifica dell’atto impositivo al contribuente fallito» – prosegue la sentenza massimata – «ha conseguenze quindi non per il processo ma per l’efficacia della pretesa tributaria nei confronti del medesimo contribuente».
Con la conseguenza che «è nullo l’atto esattivo emesso nei confronti del fallito tornato in bonis, cui, tuttavia, non sia stato notificato l’avviso di accertamento (cfr. Cass. nn. 4235/06, 6937/02, 14987/00, 3667/97, 7561/95)» (1).
Fin qui tutto ineccepibile e chiaro.
Il fatto è che la Corte di Cassazione richiama un altro principio: «l’impugnazione del fallito resti condizionata al verificarsi dell’inerzia del curatore, qualora quest’ultimo si sia disinteressato del rapporto tributario».
La questione della subordinazione della legittimazione del fallito ad impugnare un avviso di accertamento all’inerzia del curatore è un controsenso che la stessa sentenza rende evidente.
La Suprema Corte afferma che l’avviso di accertamento va notificato anche al fallito «il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi della definitività dell’atto impositivo».
Poniamo il caso che l’Agenzia delle entrate notifichi l’accertamento sia al curatore che al fallito. Il curatore impugna, e quindi non rimane inerte. Non rimanendo inerte il fallito non può impugnare. Ma siccome l’accertamento è stato notificato anche al fallito, che non lo impugna perché non è legittimato stante la non inerzia del curatore, l’accertamento diviene definitivo nei confronti del fallito. Si arriva in tal modo al risultato che si voleva evitare.
A questo punto, però, la Suprema Corte scova un rimedio all’impasse che ha contribuito a provocare, affermando infatti che solo il curatore può «far valere il difetto di capacità processuale del fallito» escludendo «che lo stesso possa essere rilevato d’ufficio o su eccezione della controparte» (2).
Il che significa, a ben vedere, un’incondizionata legittimazione a impugnare del fallito.
Ora, quando il fallito impugna un avviso di accertamento che gli è stato notificato ha come controparte solo l’Agenzia delle entrate.
Il curatore, cioè il solo soggetto che potrebbe eccepire la carenza di legittimazione del fallito, in giudizio non c’è e non si riesce a vedere – stante la natura impugnatoria del processo tributario – come possa intervenire nel processo tra l’Agenzia delle entrate e il fallito.
E anche se si trovasse uno stratagemma processuale per consentire al curatore di intervenire nel processo tra fallito e Agenzia delle entrate, nessun curatore se ne avvarrebbe: l’impugnazione di un atto fiscale da parte del fallito non nuoce sicuramente alla massa. Per cui il curatore non avrebbe alcun interesse a eccepire la carenza di legittimazione a impugnare del fallito.
Insomma, dopo un percorso tortuoso, si arriva al risultato che il fallito può sempre impugnare l’avviso di accertamento che gli è stato notificato. Il che sembrerebbe subito ovvio (chiunque venga raggiunto da un avviso di accertamento lo dovrebbe potere legittimamente e incondizionatamente impugnare, o no?) ma – come ricordava Ennio Flaiano – «In Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco».

Avv. Fausta Brighenti

(1) Cfr. Cass., sez. trib., 18 dicembre 2008, n. 29642, in Boll. Trib., 2009, 388.
(2) Tra le tante cfr. Cass., sez. trib., 9 marzo 2011, n. 5571; e Cass., sez. trib., 30 aprile 2014, n. 9434; entrambe in Boll. Trib. On-line.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Avviso di accertamento – Fallimento – Notificazione dell’atto impositivo al solo curatore fallimentare – Impugnazione da parte del curatore – Il contribuente fallito non è parte necessaria del relativo procedimento giudiziale – Estensione della rappresentanza processuale del curatore a tutti i rapporti compresi nel fallimento – Rispetto dell’integrità del contraddittorio – Consegue.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Avviso di accertamento – Fallimento – Presupposto d’imposta verificatosi prima della dichiarazione di fallimento del contribuente – Notificazione dell’atto impositivo al solo curatore fallimentare – Efficacia nei confronti del contribuente fallito – Esclusione – Definitività dell’accertamento – Non si verifica – Effetti dell’accertamento nei confronti del contribuente fallito – Decorrono solo dal momento in cui sia eseguita nei suoi confronti la notifica del relativo avviso.

Nel caso di notifica dell’atto impositivo al solo curatore fallimentare il contribuente non è parte necessaria del processo e la rappresentanza processuale del curatore, in un’ipotesi del genere, si estende a tutte le controversie relative ai rapporti compresi nel fallimento, così che, essendo egli libero di agire nell’interesse di ciascun soggetto rappresentato e dunque anche del medesimo contribuente, l’integrità del contraddittorio viene ad essere garantita dall’unicità del curatore; resta tuttavia fermo che l’accertamento tributario, ove inerente a crediti fiscali i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, deve essere notificato non solo al curatore, in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso fallimentare mediante ammissione al passivo, ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi della definitività dell’atto impositivo, con la conseguenza che, ancorché l’impugnazione del fallito resti condizionata al verificarsi dell’inerzia del curatore, qualora quest’ultimo si sia disinteressato del rapporto tributario, l’accertamento operato dall’Ufficio finanziario non può che decorrere, per il fallito, dal momento in cui sia eseguita nei suoi confronti la notifica del relativo avviso, ed egli sia così posto nell’effettiva condizione di difendersi, il che comporta la non definitività di un avviso di accertamento non notificato all’amministratore di una società fallita, ma al solo curatore, di talché la mancata notifica dell’atto impositivo al contribuente fallito ha conseguenze non per il processo ma per l’efficacia della pretesa tributaria nei confronti del medesimo contribuente.
[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Bielli, rel. Scoditti), 18 marzo 2016, sent. n. 5392, ric. Agenzia delle entrate c. Fall. Distribuzione Organizzata Meridionale s.r.l.]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con due avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 1998 e 1999 si accertarono a carico di D.O.M. s.r.l. maggiori redditi d’impresa, con determinazione di maggiori tributi IRPEG, IVA e IRAP, sulla base di due p.v.c. aventi ad oggetto maggiori ricavi non contabilizzati afferenti le movimentazioni bancarie e costi indeducibili in quanto non documentati. Con due distinti ricorsi il curatore fallimentare impugnò gli atti impositivi, deducendo insufficiente motivazione ed in subordine l’infondatezza nel merito, non essendo il curatore nelle condizioni di poter giustificare gli accreditamenti ed i prelevamenti. Sulla base di maggiori redditi accertati per l’anno 1999, venne poi emesso nei confronti di R.C., nella qualità di socia al 10,35% della suddetta società a ristretta base azionaria, avviso di accertamento per maggior reddito da capitale, in relazione agli utili distribuiti extra-bilancio. Anche R.C. impugnò l’atto impositivo. La CTP accolse, con due identiche sentenze, i ricorsi proposti dal curatore e con altra sentenza rigettò il ricorso proposto dalla socia. Proposero appello sia l’Ufficio che la socia e la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, riuniti i tre appelli, rigettò gli appelli proposti dall’Ufficio e accolse quello proposto dalla R., annullando l’avviso di accertamento emesso nei confronti di costei, sulla base della seguente motivazione.
Gli avvisi di accertamento sono stati notificati al curatore fallimentare e non anche all’amministratore della società fallita, sicché il rapporto processuale non si è validamente costituito nei confronti di tutte le parti interessate e trattandosi di nullità assoluta può essere rilevata anche d’ufficio. Peraltro, il p.v.c. era stato notificato solo al curatore fallimentare, cioè al soggetto meno abilitato a dare idonea giustificazione dei prelevamenti e versamenti che hanno determinato l’accertamento presuntivo. È “nulla anche la notifica dell’avviso di accertamento nei confronti della R., non essendo stato allegato all’avviso notificatole il p.v.c. a cui per relationem si fa riferimento nella motivazione dell’atto. Tra l’altro, nel merito va appena sottolineato che è contraddittorio accertare maggiori utili di partecipazione al socio di una società nei confronti della quale non sono stati accertati i maggiori ricavi non contabilizzati”.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la curatela fallimentare.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Lamenta la ricorrente che la circostanza dell’omessa notifica dell’avviso anche al legale rappresentante della società non era stata dedotta nel ricorso introduttivo proposto dalla curatela fallimentare ed era stata proposta solo da R.C., sicché la sentenza impugnata è incorsa nel vizio di ultrapetizione.
Il motivo è fondato. Va premesso che il quesito di diritto è conforme al modello normativo delineato dall’art. 366 bis c.p.c. Il giudizio tributario, avente natura impugnatoria, è rigidamente ancorato ai motivi specificatamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado. L’omessa notifica dell’atto impositivo al contribuente non risulta dedotta nel ricorso introduttivo proposto dalla curatela fallimentare. Né trattasi di motivo di nullità rilevabile d’ufficio, secondo quanto affermato nella sentenza impugnata.
Nel caso di notifica dell’atto impositivo al solo curatore fallimentare il contribuente non è parte necessaria del processo. La rappresentanza processuale del curatore, in un’ipotesi del genere, si estende a tutte le controversie relative ai rapporti compresi nel fallimento, così che, essendo egli libero di agire nell’interesse di ciascun soggetto rappresentato e dunque anche del medesimo contribuente, l’integrità del contraddittorio viene ad essere garantita dall’unicità del curatore (Cass. 17 dicembre 2010, n. 25616 (1)). Resta tuttavia fermo che l’accertamento tributario, ove inerente a crediti fiscali i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, deve essere notificato non solo al curatore, in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso fallimentare mediante ammissione al passivo, ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi della definitività dell’atto impositivo (fra le tante, da ultimo, Cass. 30 aprile 2014, n. 9434 (2)). Ne deriva che, ancorché l’impugnazione del fallito resti condizionata al verificarsi dell’inerzia del curatore, qualora quest’ultimo si sia disinteressato del rapporto tributario, l’accertamento operato dall’ufficio non può che decorrere, per il fallito, dal momento in cui sia eseguita nei suoi confronti la notifica del relativo avviso, ed egli sia così posto nell’effettiva condizione di difendersi. Ciò comporta la non definitività di un avviso di accertamento non notificato all’amministratore di una società fallita, ma al solo curatore (Cass. 19 marzo 2007, n. 6476 (3)). La mancata notifica dell’atto impositivo al contribuente fallito ha conseguenze quindi non per il processo ma per l’efficacia della pretesa tributaria nei confronti del medesimo contribuente.
Con il secondo motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che il passaggio motivazionale, secondo cui la notifica dell’atto impositivo a R.C. sarebbe nulla non risultando allegato all’avviso il p.v.c., non corrisponde ad alcun motivo di impugnazione sollevato dalla contribuente, avendo questa dedotto in primo grado che l’accertamento-base nei confronti della società era nullo per difetto di notifica al curatore e difetto di motivazione, e, nel merito, che nessun utile le era stato attribuito.
Il motivo è inammissibile, sotto un duplice profilo. In primo luogo risulta dedotta una nullità della sentenza, per pronuncia su un motivo di impugnazione dell’atto impositivo mai dedotto, nelle forme del vizio di motivazione. In secondo luogo la censura è priva di decisività, in quanto resta non toccata l’ulteriore ratio decidendi secondo cui “nel merito va appena sottolineato che è contraddittorio accertare maggiori utili di partecipazione al socio di una società nei confronti della quale non sono stati accertati i maggiori ricavi non contabilizzati”.
La sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice di merito che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità, relativamente al rapporto processuale con la curatela fallimentare; quanto al rapporto processuale con R.C., nulla per le spese stante la mancata partecipazione di quest’ultima al processo.

P.Q.M. – La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, che provvederà anche sulle spese del giudizio relativamente al rapporto processuale con la curatela fallimentare di D.O.M. s.r.l.

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib. On-line.

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