2 Dicembre, 2016

SOMMARIO: 1. Premessa – A. INVESTIMENTI DALLA SVIZZERA IN ITALIA; 1. Consolidato fiscale (art. 6 del D.Lgs. n. 147/2015 trasfuso nell’art. 117 del TUIR); 2. Il trasferimento della residenza in Italia (art. 12 del D.Lgs. n. 147/2015, trasfuso nell’art. 166-bis del TUIR); 3. La stabile organizzazione in Italia (art. 7 del D.Lgs. n. 147/2015, trasfuso negli artt. 151, 152 e 153 del TUIR) – B. INVESTIMENTI DELLE IMPRESE ITALIANE EFFETTUATI VERSO LA SVIZZERA; 1. Costi di “black list” (art. 5 del D.Lgs. n. 147/2015 in combinazione con l’art. 1, comma 142, lett. a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 – legge di Stabilità 2016); 2. Dividendi provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata (art. 3 del D.Lgs. n. 147/2015 in combinazione con l’art. 1, comma 142, della legge n. 208/2015, trasfuso negli artt. 47 e 89 del TUIR); 3. La nuova disciplina delle CFC c.d. ordinaria (art. 8 del D.Lgs. n. 147/2015 in combinazione con la legge n. 208/2015, trasfuso nell’art. 167 del TUIR); 4. Exit Tax (art. 11 del D.Lgs. n. 147/2015, trasfuso nell’art. 166 del TUIR); 5. Branch Exemption (art. 14 del D.Lgs. n. 147/2015, trasfuso nell’art. 168-ter del TUIR).

1. Premessa

Come è noto, il 23 febbraio 2015 è stato firmato a Milano un Protocollo di modifica alla Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e la Svizzera con l’introduzione dello standard OCSE dello scambio di informazioni (su richiesta) (1).
Tale Accordo (di seguito “Accordo 23 febbraio 2015”) non è ancora entrato in vigore per cui, in questo momento e ai fini che qui interessano, la Svizzera è considerata un Paese con il quale non esiste ancora un “effettivo scambio di informazioni” come richiesto dalle norme italiane quando, per una certa disciplina, è rilevante tale criterio. L’eliminazione delle black list di cui al D.M. 21 novembre 2001 e D.M. 23 gennaio 2002 – nelle quali la Svizzera figurava per certi tipi di società – e la nuova definizione di “regime fiscale privilegiato” contenuta nell’art. 167, quarto comma (2), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, richiedono quindi, dal punto di vista italiano, una nuova analisi della situazione fiscale in Svizzera delle società ivi residenti sia per quanto riguarda il flusso degli investimenti dalla Svizzera verso l’Italia sia per gli investimenti dall’Italia verso la Svizzera. Mentre nel primo caso può essere rilevante il criterio dello scambio di informazioni (per poter accedere in Italia a certi regimi fiscali), nel secondo caso è, in genere, più rilevante il criterio del regime fiscale “normale” o “privilegiato” in Svizzera ai fini del trattamento fiscale dei redditi in Italia (disciplina CFC, dividendi, plusvalenze su partecipazioni, branch exemption etc.).
Accanto all’Accordo del 23 febbraio 2015 è stato raggiuto anche un accordo politico (la cosiddetta “Road map”) per la negoziazione di una serie di altre questioni, tra le quali anche la revisione dell’attuale Convenzione contro la doppia imposizione. Anche su questo punto non c’è stato finora alcuno sviluppo legislativo per cui in questo momento vale in toto ancora la “vecchia” Convenzione del 1976 (3) (e la ratifica dell’Accordo del 23 febbraio 2015 comporterà solo una modifica dello scambio di informazioni).
Bisogna considerare anche che in Svizzera è in atto un processo di riforme fiscali per le imprese (la c.d. Riforma Fiscale III) per quanto riguarda la tassazione cantonale e municipale. Con tale Riforma vengono eleminati – su pressione dell’Unione europea – proprio quelle agevolazioni che risultavano nel passato decisive per qualificare la società svizzera, ai fini italiani, come una società black list (esenzione dell’imposta cantonale e municipale).
Siccome tali agevolazioni, nell’ambito della riforma citata, saranno sostituite con altre (per esempio patent box, deducibilità di interessi figurativi etc.) occorrerà verificare se, a riforma compiuta, tale situazione permetterà di superare, dal punto di vista italiano, il test di un regime fiscale privilegiato.
Tornando alla nuova situazione creatasi in Italia dopo l’abolizione delle predette black list e l’introduzione di nuovi criteri per l’individuazione degli Stati a fiscalità privilegiata, non è molto agevole il coordinamento tra le varie norme sui diversi regimi fiscali in Italia e le norme sull’identificazione dei regimi fiscali all’estero che sono rilevanti ai fini italiani. Limitando, in questa sede, l’analisi ai rapporti italo-svizzeri, le conclusioni dovrebbero essere le seguenti:
– innanzitutto bisogna tener conto della seguente precisazione contenuta nel comma 143 dell’art. 1 della legge n. 208/2015 che recita: «Quando leggi, regolamenti, decreti o altre norme o provvedimenti fanno riferimento agli Stati o territori di cui al decreto e al provvedimento emanati ai sensi dell’articolo 167, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, il riferimento si intende agli Stati o territori individuati in base ai criteri di cui all’articolo 167, comma 4, del citato testo unico, come da ultimo modificato dal comma 142 del presente articolo»;
– se la norma italiana si riferisce a Stati UE/SEE, la Svizzera, ovviamente, non rientra in tale categorie di Stati (per esempio. art. 117, comma 2-bis, del TUIR per il consolidato tra società sorelle italiane; art. 166, comma 2-quater, del TUIR per il differimento dell’imposizione in caso di trasferimento sede dall’Italia all’estero);
– se la norma italiana si riferisce al “regime fiscale privilegiato” – ormai definito unicamente dal nuovo quarto comma dell’art. 167 del TUIR («I regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia») – la Svizzera può rientrare in tale categoria: per esempio art. 47, quarto comma, e art. 89, terzo comma, per il regime fiscale in Italia dei dividendi provenienti dalla Svizzera; art. 68, commi 4 e 4-bis e art. 87, primo comma, lett. c), per le plusvalenze su partecipazioni in società svizzere; art. 167, primo comma per il regime delle CFC (cosiddetto regime CFC ordinario); art. 168-ter, terzo comma per la branch exemption;
– nei confronti della Svizzera trovano applicazione anche le norme sulla CFC (precedentemente indicata dalla dottrina come CFC white list) di cui al comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR, che si basa sulla tassazione effettiva (non nominale) in presenza di “passive income”.
Tra l’Italia e la Svizzera è latente da anni (almeno dal 2007, anno in cui fu pubblicata la risoluzione n. 93/E) (4) un’altra questione fiscale importante; quella dell’applicazione, da parte dell’Italia come Stato della fonte, della disciplina di cui all’art. 15 dell’Accordo UE-Svizzera del 26 ottobre 2004, entrato in vigore il 1° luglio 2005 (5).
Come noto, l’art. 15 di detto Accordo stabilisce misure equivalenti a quelle contenute nella direttiva 23 luglio 1990, n. 90/435 (Madre/figlia) e 3 giugno 2003, n. 2003/49/CE (interessi e royalties). La non tassazione dei dividendi e delle royalties e interessi nello Stato della fonte è subordinata, tra le altre condizioni, a quella che la società Madre (Svizzera, nel nostro caso, per i dividendi in uscita dall’Italia) sia «assoggettata all’imposta diretta sugli utili delle società senza beneficiare di esenzione». Mentre la Svizzera già con la circolare del 15 luglio 2005 ha fornito un’interpretazione del concetto “senza beneficiare di esenzione” (nel senso che per esempio gli “statuti fiscali cantonali” accordati alle società holding e società miste non pregiudicano l’applicazione di tale Accordo), la citata risoluzione n. 93/2007 ha negato a tali società – basandosi su un rapporto della Commissione europea del 13 febbraio 2007 che considerava tali agevolazioni in contrasto con l’Accordo tra Comunità economica europea e la Confederazione Svizzera del 22 luglio 1972 – l’esenzione dalla ritenuta in Italia sui dividendi a loro distribuiti.
La risoluzione precisa che «le società elvetiche che vogliono beneficiare del particolare regime madre-figlia … non devono godere – in applicazione di disposizioni di legge o anche per effetto di provvedimenti amministrativi – di particolari regimi agevolati consistenti nell’esenzione dei redditi da uno dei tre livelli di tassazione diretta (federale, cantonale, municipale)».
Se “politicamente” tale posizione dell’Italia era comprensibile – da una parte nei confronti delle società svizzere non soggette alle imposte cantonali e municipali si applicavano tutte le misure fiscali “punitive” possibili (CFC, costi di black list, etc.) mentre dall’altra era difficile allora concedere a tali società il massimo beneficio che l’Italia può concedere a soggetti non residenti sui dividendi (ritenuta zero) –, dal punto di vista giuridico l’interpretazione dell’Agenzia, proprio per i dividendi per i quali l’Accordo prevede una misura equivalente al regime Madre-figlia europea, presenta notevoli punti di criticità e comunque tale problema doveva essere risolto bilateralmente con la Svizzera. Questa norma dell’Accordo, infatti, è molto importante perché la tassazione dei dividendi in Italia come Stato della fonte, in base alla Convenzione Italo-Svizzera – alla quale l’Accordo derogherebbe – è molto alta (15% a prescindere dalla percentuale di partecipazione).
Seguendo la distinzione fatta dall’Assonime nella Nota Tecnica n. 9/2015 fra misure che riguardano specificamente gli investimenti che dall’estero (nel nostro caso dalla Svizzera) vengono effettuati in Italia e le misure inerenti agli investimenti delle imprese italiane effettuati verso l’estero (nel nostro caso verso la Svizzera) qui di seguito vengono descritte prima l’essenza della disciplina introdotta dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, come eventualmente integrata dalla legge n. 208/2015, per evidenziare poi la sua applicazione nei rapporti tra l’Italia e la Svizzera e viceversa.

A. INVESTIMENTI DALLA SVIZZERA IN ITALIA

1. Consolidato fiscale (art. 6 del D.Lgs. n. 147/2015 trasfuso nell’art. 117 del TUIR)

a) Essenza della disciplina
A parte l’eliminazione dell’obbligo di inclusione nel patrimonio della stabile organizzazione delle partecipazioni nelle società consolidate (se la società estera, residente in Paesi con Trattato, partecipa al consolidato per il tramite della stabile organizzazione in Italia), la novità più rilevante riguarda le società estere residenti in Stati appartenenti all’Unione europea oppure in uno Stato aderente all’Accordo SEE con il quale l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni.
La novità, introdotta a seguito delle sentenze della Corte di Giustizia UE, consiste nell’ammettere al regime del consolidato fiscale nazionale anche le società “sorelle” italiane con una controllante residente nei Paesi suddetti (mediante la designazione di una delle sorelle controllate a esercitare l’opzione in qualità di consolidante). Anche le stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle predette società estere possono figurare come società controllate ai fini dell’accesso al regime del consolidato.

b) Società controllanti residenti in Svizzera
Siccome la Svizzera non fa parte né della UE né dello SEE, la novità più importante – consolidamento tra società sorelle in Italia – non può trovare applicazione se la società controllante è residente in Svizzera.
Stando all’interpretazione contenuta nella circolare n. 53/E del 20/12/2004 (6) circa il significato «di essere residenti in Paesi con i quali è in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione» [art. 117, secondo comma, lett. a)], la società svizzera non può neanche optare per il consolidato nazionale per il tramite della propria stabile organizzazione in Italia. La citata circolare precisava, infatti, «che la residenza in uno Stato estero con cui sia in vigore esclusivamente un trattato contro le doppie imposizioni non sia idonea ad integrare il requisito in esame, se non è anche previsto un accordo che consenta lo scambio di informazioni con lo Stato italiano».
L’entrata in vigore dell’Accordo del 23 febbraio 2015 risolverà quindi quest’ultimo problema, ma rimarrà preclusa l’applicazione del consolidato fiscale a società consorelle italiane controllate dalla società svizzera, di cui all’art. 117, comma 2-bis.

2. Il trasferimento della residenza in Italia (art. 12 del D.Lgs. n. 147/2015, trasfuso nell’art. 166-bis del TUIR)

a) Essenza della nuova disciplina
La nuova disciplina dell’art. 166-bis del TUIR introduce per la prima volta una disciplina sui valori fiscali “di entrata” in caso di trasferimento della residenza dall’estero all’Italia di imprese commerciali.
Il nuovo articolo 166-bis del TUIR prevede, come principio, la valorizzazione dei beni al valore normale di cui all’art. 9 del medesimo decreto, distinguendo però tra soggetti provenienti da Stati inclusi nella “white list” (di cui al D.M. 4 settembre 1996, aggiornato con cadenza semestrale) e soggetti provenienti da Stati diversi. A questi fini non è rilevante la provenienza da Stati UE/SEE e altri Stati, ma l’unico criterio discriminante è lo scambio di informazioni.
Se, quindi, la residenza viene trasferita all’Italia da uno dei paesi elencati nella c.d. white list, la valorizzazione dei beni del soggetto avviene, ai fini italiani, al valore normale di cui all’art. 9 del TUIR a prescindere dal fatto se all’estero sia stata prelevata o no un’exit tax o sia stata sospesa la exit tax. Con l’acquisizione della residenza da parte del soggetto imprenditore i suoi beni non solo entrano (generalmente) per la prima volta nella giurisdizione fiscale italiana ma nello stesso tempo entrano per la prima volta nel regime del reddito d’impresa in Italia (laddove i valori fiscalmente riconosciuti assumono un’importanza fondamentale). Anche se la norma non lo dice esplicitamente è da ritenere che l’assunzione del valore normale non valga per quei beni (stabili organizzazioni, ma anche beni isolati, però effettivamente connessi alla stabile organizzazione, come potrebbe essere un immobile italiano o una partecipazione in una società italiana) che erano già soggetti al regime del reddito d’impresa in Italia (7). Secondo il testo letterale della norma l’applicazione del valore normale sembra essere limitata ai casi di ingresso nel regime fiscale italiano per effetto dell’acquisizione della residenza e non per effetto di altre operazioni. L’Assonime (nella nota n. 9/2015) giustamente auspicava che «si dovrebbe puntualizzare che la disciplina in esame si applica anche quando l’ingresso in Italia si verifichi non già a seguito di un trasferimento di residenza, ma come conseguenza di un’aggregazione con una società già residente in Italia. Ciò in coerenza con l’estensione alle operazioni straordinarie della disciplina della c.d. exit tax già prevista dello schema di decreto in esame».
Per i trasferimenti sede da Stati che non rientrano nell’elenco di cui al D.M. 4 settembre 1996 (cioè che non consentono un adeguato scambio di informazioni) rimane come criterio generale quello del valore normale, ma esso non può essere applicato automaticamente dal contribuente. Solo in caso di un accordo con l’Amministrazione finanziaria nell’ambito di un ruling internazionale può essere applicato tale valore. Altrimenti la valorizzazione d’ingresso viene fatta, per le attività, in misura pari al minore tra il costo d’acquisto, il valore di bilancio e il valore normale e per le passività, in misura pari al maggiore tra questi.

b) Trasferimento della residenza dalla Svizzera all’Italia

Una società svizzera che trasferisce la sua residenza in Italia non può usufruire automaticamente del principio del valore normale per i beni che entrano per la prima volta nel regime del reddito d’impresa in Italia perché la Svizzera non fa parte dei Paesi elencati nella white list. In caso di acquisizione della residenza il valore normale può trovare applicazione solo per effetto di un accordo con l’Amministrazione finanziaria nell’ambito di un ruling internazionale. Altrimenti il valore da applicare sarà, per le attività, il minore tra il costo d’acquisto, il valore di bilancio e il valore normale e per le passività, il maggiore tra questi.
Dopo la ratifica dell’Accordo del 23 febbraio 2015 la Svizzera dovrebbe entrare nella white list, e quindi le società svizzere con l’acquisizione della residenza in Italia potranno beneficiare anch’esse della valorizzazione al valore normale dei beni appartenenti ad esse. Si può ritenere che ciò sia possibile anche se la Svizzera non avrà ancora completato la c.d. Riforma fiscale III, con la quale verranno aboliti gli attuali privilegi cantonali o comunali, perché la white list si riferisce unicamente alla scambio di informazioni.

3. La stabile organizzazione in Italia (art. 7 del D.Lgs. n. 147/2015, trasfuso negli artt. 151, 152 e 153 del TUIR)

a) Essenza della disciplina
Le novità in tema di stabile organizzazione introdotte dall’art. 7 del D.Lgs. n. 147/2015 sono sostanzialmente le seguenti (con la riformulazione degli artt. 151 e 152 del TUIR):
– eliminazione della c.d. forza attrattiva della stabile organizzazione;
– determinazione del reddito imponibile sulla base di un apposito rendiconto economico e patrimoniale;
– in aderenza al rapporto OCSE sull’attribuzione dei profitti tra stabile organizzazione e casa madre, codificazione della stabile organizzazione come “separate entity” in base al c.d. “Authorized OECD-Approach” (“AOA”) ai fini dell’attribuzione ad essa del reddito. La stabile organizzazione viene quindi trattata come un’entità separata ed indipendente dalla casa madre, svolgente le medesime attività in condizioni identiche o similari, tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati e quindi considerando anche un fondo di dotazione da determinarsi in conformità ai criteri definiti in sede OCSE.

b) Imprese svizzere con stabile organizzazione in Italia
Tutte le novità introdotte dall’art. 7 citato, quindi dalla legge nazionale, valgono nei confronti di tutti i soggetti non residenti aventi una stabile organizzazione in Italia. Il problema nasce però in merito all’applicazione di tali nuove regole alle Convenzioni che non solo non contengono ancora il riformato art. 7 sugli utili d’impresa del Trattato Modello OCSE ma la cui stipula risalga anche a tempi precedenti al 2008 (anno in cui fu presentato il primo Rapporto OCSE sull’attribuzione degli utili ad una stabile organizzazione).
Con la Svizzera abbiamo, difatti, a che fare con una Convenzione che risale al 1976, alla quale è difficile, anzi impossibile, applicare la nuova disciplina in tema di determinazione dell’utile di una stabile organizzazione sulla base di una semplice interpretazione del testo contenuto nella Convenzione (anche adottando il massimo grado della c.d. interpretazione dinamica di una Convenzione). A livello internazionale non esiste un consenso unanime su come applicare il nuovo “functionally separate entity approch” – che dovrebbe comunque coinvolgere entrambi gli Stati, quello della casa madre e quello della stabile organizzazione altrimenti si rischia una doppia imposizione – alle Convenzioni già in vigore e non contenenti la nuova versione dell’art. 7 del Trattato Modello. L’Italia, come Stato in cui si trova la stabile organizzazione, applicherà la nuova disciplina codificata nell’art. 152 del TUIR. Ma se con ciò il soggetto residente nell’altro Stato (Svizzera nel nostro caso) subisce un trattamento fiscale in Italia peggiore di quello che risulterebbe dall’applicazione dell’esistente Convenzione italo-svizzera, il contribuente potrebbe validamente invocare l’eccezione che la Convenzione deroga alla legge interna. Con la Svizzera esiste, quindi, esattamente questo problema (perché ormai è una delle Convenzioni più vecchie stipulate dall’Italia) per cui sarebbe auspicabile non solo una rapida rinegoziazione del trattato ma anche una presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria italiana sull’applicazione dei nuovi principi nei confronti di Paesi, quali la Svizzera, con una Convenzione stipulata 40 anni fa!
Questa situazione, insieme a quella che discende dalle norme dell’art. 10, 11 e 12 del Trattato Italia-Svizzera in base alle quali la semplice presenza di una stabile organizzazione in Italia permette all’Italia, non di imputarli alla stabile organizzazione, ma di tassare i dividendi, le royalties e gli interessi secondo la legge interna anche se questi redditi o il cespite generatore degli stessi non siano in alcun modo connessi alla stabile organizzazione, rende particolarmente critici i rapporti fiscali italo-svizzeri per le imprese svizzere con stabile organizzazione in Italia.

B. INVESTIMENTI DELLE IMPRESE ITALIANE EFFETTUATI VERSO LA SVIZZERA

1. Costi di “black list” (art. 5 del D.Lgs. n. 147/2015 in combinazione con l’art. 1, comma 142, lett. a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 – legge di Stabilità 2016)

a) Essenza della nuova disciplina
L’essenza della novità è che tale disciplina non esiste più a partire dall’1° gennaio 2016. La norma che prevedeva l’indeducibilità (art. 110, commi 10 – 12-bis, del TUIR), salva la prova delle esimenti, dei costi derivanti da transazioni con soggetti residenti in Paesi black list (di cui al D.M. 23 gennaio 2002) è stata, dopo una profonda rivisitazione della stessa già ad opera dell’art. 5 D.Lgs. n. 147/2015, abrogata tout court dalla legge n. 208/2015 (comma 142). Di conseguenza per tali costi valgono le regole normali sulla deducibilità nella determinazione del reddito d’impresa della società italiana acquirente di tali beni e servizi.

b) Imprese fornitrici residenti in Svizzera
Anche se la vecchia disciplina limitativa si applicava solo nei confronti di certe società svizzere e tale disciplina poteva considerarsi, in alcuni casi, in contrasto con il Trattato contro le doppie imposizioni tra l’Italia e la Svizzera, essa creava a volte seri problemi nei rapporti commerciali tra l’Italia e la Svizzera. L’abolizione della stessa da parte del legislatore italiano ha, quindi, anticipato i tempi verso l’instaurazione di normali rapporti commerciali, almeno sotto questo aspetto, tra l’Italia e la Svizzera (che altrimenti era da aspettarsi solo con la ratifica dell’Accordo del 23 febbraio 2015).

2. Dividendi provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata (art. 3 del D.Lgs. n. 147/2015 in combinazione con l’art. 1, comma 142, della legge n. 208/2015, trasfuso negli artt. 47 e 89 del TUIR)

a) Essenza della disciplina
A parte le novità in merito all’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata – non più in base ad una lista predeterminata ma in base alla nuova definizione da applicare caso per caso (livello di tassazione nominale inferiore al 50% di quello applicabile in Italia) – le novità sostanziali sul trattamento fiscale in Italia dei dividendi provenienti da Stati a fiscalità privilegiata possono essere cosi riassunte:
– l’art. 3 del D.Lgs. n. 147/2015 mantiene il regime di piena imposizione dei dividendi provenienti da paesi con fiscalità privilegiata (salvo che gli utili siano già stati tassati per trasparenza in base alla disciplina CFC) con la novità che, in presenza della esimente di cui alla lettera a) del quinto comma dell’art. 167 del TUIR, viene concesso un credito d’imposta indiretto sui dividendi per l’imposta pagata a livello della società estera. L’attività commerciale – che “blocca” l’imputazione del reddito – non viene quindi considerata sufficiente per applicare al dividendo distribuito il regime normale di esenzione ma viene concesso almeno il recupero dell’imposta pagata dalla società estera;
– interessante è la nuova formulazione di utili “provenienti” nel caso di una partecipazione indiretta in una società estera a regime fiscale privilegiato: tale partecipazione dà luogo a un dividendo “infetto” solo se la società estera intermedia (fiscalmente “buona”) che detiene la partecipazione nella società a fiscalità privilegiata, è controllata dal soggetto italiano. Nel caso di una partecipazione diretta nella società estera a fiscalità privilegiata invece la piena tassazione del dividendo vale per qualsiasi percentuale di partecipazione (che non fa scattare l’imputazione del reddito). Le novità introdotte per i dividendi valgono anche per le plusvalenze su partecipazioni in società con fiscalità privilegiata.

b) Dividendi provenienti dalla Svizzera
Premesso che il Trattato contro le doppie imposizioni non interferisce sulla tassazione in Italia, come Stato di residenza, dei dividendi provenienti dalla Svizzera, la tassazione è disciplinata unicamente dalla legge italiana.
Ai fini della legge italiana la tassazione dei dividendi esteri è regolata dagli artt. 47 e 89 del TUIR che escludono dal regime di esenzione (parziale o quasi totale) i dividendi provenienti da società residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (come definito dall’art. 167, quarto comma). Se il livello nominale della tassazione della Svizzera risulta quindi inferiore al 50% di quello applicabile in Italia, il dividendo in Italia è pienamente tassabile [salva l’esimente di cui alla lett. c) del primo comma dell’art. 87 del TUIR)], oppure pienamente tassabile con il credito d’imposta indiretto in caso dell’esimente di cui alla lett. a) del quinto comma dell’art. 167 del TUIR (attività commerciale).
Lo stesso regime vale per le plusvalenze in caso di cessione di partecipazioni in società svizzere con un regime fiscale privilegiato (art. 68 e art. 87 del TUIR).

3. La nuova disciplina delle CFC c.d. ordinaria (art. 8 del D.Lgs. n. 147/2015 in combinazione con la legge n. 208/2015, trasfuso nell’art. 167 del TUIR)

a) Essenza della disciplina
Come si è già visto per i dividendi, anche per la disciplina CFC c.d. ordinaria (quella del primo comma dell’art. 167 del TUIR) il nuovo criterio di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata è quello indicato dal nuovo quarto comma dell’art. 167 del TUIR, cioè i Paesi con una tassazione nominale inferiore al 50% di quella applicabile in Italia. La disposizione di cui al comma 1 – imputazione del reddito – non si applica però agli Stati UE/SEE con scambio di informazioni, nei confronti dei quali – insieme a tutti gli altri Paesi per i quali non si applica la c.d. CFC ordinaria – continua ad applicarsi la disciplina del comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR, cioè la disciplina CFC in presenza di controllo su una società e al ricorrere delle seguenti due condizioni: carico fiscale effettivo (non nominale) pari a meno della metà del carico impositivo italiano (se la società fosse residente in Italia) e “passive income” per la maggior parte dei proventi.
Le altre novità riguardano l’abolizione dell’art. 168 del TUIR il quale prevedeva, per le società residenti in Paesi black list, la disciplina CFC anche per le società collegate e l’eliminazione dell’obbligo dell’interpello preventivo ai fini del riconoscimento delle esimenti (per l’imputazione del reddito o per la tassazione del dividendo).

b) Partecipazioni italiane in società svizzere
Secondo la nuova norma, nei confronti di una partecipata svizzera (controllata) si applica la disciplina delle CFC (art. 167, primo comma, del TUIR) se la società svizzera ha un regime fiscale privilegiato ai sensi del nuovo quarto comma dell’art. 167 del TUIR: cioè un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia.
Essendo il sistema impositivo svizzero (per le imposte dirette) improntato su tre livelli (federazione, cantone, comune), finché non sarà completata la c.d. Riforma III in Svizzera, occorre verificare come l’eventuale esenzione a livello cantonale e/o comunale per certe società potrà incidere sulla nuova disciplina italiana. Se non si supera il test della tassazione nominale – sarebbero opportuni dei chiarimenti ufficiali sui termini di confronto svizzeri – alla società svizzera si applica il regime CFC di cui al primo comma dell’art. 167 del TUIR (salvo la dimostrazione delle esimenti). Ma nei confronti della Svizzera si applica anche l’altra disciplina delle CFC (quella del comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR) per la quale, insieme all’altro criterio del passive income, vale il criterio del carico fiscale effettivo e non nominale. Può darsi quindi, che la stessa società non sia soggetta al regime CFC ordinario (pur beneficiando delle agevolazioni) perché la tassazione nominale è superiore al 50% di quella italiana mentre può “cadere” sotto il regime delle CFC di cui al comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR, perché la tassazione effettiva è inferiore al 50% di quella italiana (ovviamente deve sussistere anche l’altra condizione della maggior parte dei redditi costituiti da passive income).
In questo contesto la ratifica dell’Accordo del 23 febbraio 2015 non ha alcuna rilevanza perché per la nuova individuazione di Paesi a fiscalità privilegiata lo scambio di informazione non è più un elemento rilevante.

4. Exit Tax (art. 11 del D.Lgs. n. 147/2015, trasfuso nell’art. 166 del TUIR)

a) Essenza della disciplina
Il decreto internalizzazione interviene sulla disciplina dell’exit tax in caso di trasferimento della sede all’estero (con perdita della residenza in Italia) con due importanti precisazioni riguardo:
– all’estensione della sospensione dell’imposta al trasferimento di una stabile organizzazione (o parte di essa, ma sempre costituente un’azienda o ramo d’azienda);
– all’estensione della sospensione dell’imposta anche alle operazioni straordinarie intracomunitarie “in uscita” (fusioni, scissioni).

b) Trasferimento sede dall’Italia alla Svizzera
Essendo il tax deferral limitato al trasferimento di sede e di stabile organizzazione (e alle operazioni intracomunitarie) verso Paesi dell’Unione e dello SEE (con scambio di informazioni) nel caso del trasferimento della sede in Svizzera con perdita della residenza fiscale in Italia, la plusvalenza realizzata non può beneficiare del tax deferral essendo la Svizzera un Paese fuori UE/SEE.
La ratifica dell’Accordo del 23 febbraio 2015 non cambierà niente a tale riguardo.

5. Branch Exemption (art. 14 del D.Lgs. n. 147/2015, trasfuso nell’art. 168-ter del TUIR)

a) Essenza della disciplina
Il decreto internazionalizzazione prevede per la prima volta, nella legge nazionale (quindi non nell’ambito di un trattato come è previsto in qualche Paese estero) l’opzione per l’esenzione del reddito della stabile organizzazione all’estero. Si tratta però di un’opzione irrevocabile e che deve riguardare tutte le stabili organizzazioni (con un “escape clause”: questo obbligo vale per la società e non per il Gruppo).
Interessante è la disciplina dell’applicazione dell’esenzione in caso di stabili organizzazioni in Paesi a fiscalità privilegiata (e anche nei casi in cui si applica la disciplina del comma 8-bis dell’art. 167). In presenza dell’esimente lettera a) o lettera b) del quinto comma dell’art. 167 del TUIR o dell’esimente di cui al comma 8-ter dell’art. 167, l’opzione per l’esenzione vale anche in questo caso, però con i seguenti accorgimenti: in caso di distribuzione del dividendo da parte della casa madre italiana (società di capitali) per la parte che “contiene” tale utile, si applica la piena tassazione del dividendo ai sensi dell’art. 47, quarto comma, e dell’art. 89, terzo comma, del TUIR, con la possibilità però del credito d’imposta indiretto per l’imposta pagata dalla stabile organizzazione [per la sola esimente a)].
Questa “penalizzazione” a livello del dividendo ovviamente non funziona se il titolare italiano della stabile organizzazione in un Paese a fiscalità privilegiata (ma con attività commerciale effettiva) è una società di capitale italiana con soci non residenti nei confronti dei quali non si applica alcuna ritenuta sui dividendi distribuiti e in caso di società di persone o imprese individuali italiane.
Per questi due ultimi casi il Provvedimento (ancora in bozza) dell’Agenzia delle entrate è corso al riparo prevedendo che la piena tassazione, se il titolare della branch estera è una società di persone o un’impresa individuale, avvenga «all’atto del pagamento o del prelevamento degli utili dalla società o dall’impresa individuale» (8).
Mentre la norma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 147/2015, trasfusa nel nuovo art. 168-ter del TUIR, prevede esplicitamente che il cambio dal regime di tassazione ordinaria al regime di esenzione non comporti alcun realizzo di plusvalenze e di minusvalenze (exit tax), il Provvedimento (bozza) prevede invece l’applicazione della exit tax come opzione per il contribuente con l’esclusione, quindi, delle varie “recapture”.

b) Impresa italiana con stabile organizzazione in Svizzera
In principio l’opzione per l’esenzione dell’utile della stabile organizzazione vale anche per la stabile organizzazione localizzata in Svizzera (anche prima dell’entrata in vigore dell’Accordo del 23 febbraio 2015 perché la norma prescinde dallo scambio di informazioni con il Paese dove è localizzata la branch). Poi bisogna verificare il livello nominale di tassazione in Svizzera di detta branch, cioè se è inferiore o superiore al 50% del livello nominale di tassazione in Italia. Nel primo caso siamo in presenza di un regime a fiscalità privilegiata ai sensi del nuovo comma 4 dell’art. 167 e quindi bisogna verificare se esiste l’esimente di cui alle lettere a) o b) dell’art. 167, quinto comma, del TUIR. In caso affermativo la casa madre può (e deve, se ha già esercitato l’opzione per le altre stabili organizzazioni) esercitare l’opzione per l’esenzione della branch svizzera. In caso negativo il reddito della stabile organizzazione svizzera concorre a formare il reddito con le regole della CFC.
Se invece il livello nominale della tassazione è superiore a quello italiano, l’opzione per l’esenzione può (deve) essere esercitata senza ulteriore conseguenza sul dividendo distribuito dalla casa madre italiana.
Ma anche se si supera il test sul livello nominale della tassazione occorre, in presenza di passive income, superare anche l’altro test (di cui al comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR per il quale vale però il carico fiscale effettivo) e se il test non viene superato, l’esenzione spetta solo se ricorrono le condizioni di cui al comma 8-ter (costruzione non artificiosa)*.

Dott. Siegfried Mayr

* Riportiamo il testo della bozza del Provvedimento dell’Agenzia delle entrate (Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti di cui all’articolo 168-ter del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR). Definizione delle relative modalità applicative ai sensi dell’articolo 14, comma 3, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147). «1. Esercizio dell’opzione 1.1 Le imprese residenti nel territorio dello Stato esercitano l’opzione per l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili alle proprie stabili organizzazioni all’estero (c.d. stabili organizzazioni esenti o branch esenti) nella dichiarazione dei redditi. L’opzione decorre dal periodo d’imposta al quale la dichiarazione si riferisce. 1.2 L’opzione va esercitata per tutte le stabili organizzazioni estere dell’impresa residente nel territorio dello Stato (in seguito anche “casa madre italiana” o “impresa”) con effetto dal medesimo periodo d’imposta per il quale è esercitata. L’esercizio dell’opzione in sede di costituzione della prima stabile organizzazione vincola quelle costituite successivamente senza che per ciascuna di esse sia esercitata una nuova opzione. 1.3 Nella dichiarazione dei redditi in cui è esercitata l’opzione vanno indicati il numero di stabili organizzazioni estere e il relativo Stato o territorio di localizzazione. 2. Cessazione dell’opzione L’efficacia dell’opzione viene meno a seguito della chiusura di tutte le branch esenti oltre che nelle ipotesi disciplinate dal paragrafo 8. La successiva costituzione di altre stabili organizzazioni comporta l’esercizio di una nuova opzione, ove l’impresa scelga di continuare con il medesimo regime. 3. Recapture delle perdite fiscali pregresse 3.1 Se nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello in cui ha effetto l’opzione di cui al paragrafo 1, l’impresa ha utilizzato perdite fiscali prodotte dalla sua stabile organizzazione all’estero, i redditi imponibili realizzati dalla medesima branch nei periodi d’imposta successivi sono tassati in capo alla casa madre italiana sino al totale riassorbimento delle medesime perdite (i.e. recapture). 3.2 Ai fini del punto precedente rileva l’ammontare netto delle perdite fiscali conseguite dalla stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello in cui ha effetto l’opzione per la branch exemption e tali perdite si considerano utilizzate quando hanno compensato in tutto o in parte il reddito imponibile della casa madre italiana oppure sono state trasferite all’eventuale consolidato nazionale cui la stessa appartiene. In caso di perdite fiscali pregresse conseguite sia dalla casa madre italiana sia dalla branch esente, quelle di quest’ultima si considerano proporzionalmente utilizzate. 3.3 In caso di adesione dell’impresa al regime di cui agli articoli 117 e seguenti del TUIR (i.e. consolidato nazionale), le perdite fiscali realizzate dalla sua stabile organizzazione estera nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello in cui ha effetto l’opzione per la branch exemption si considerano in ogni caso utilizzate dalla casa madre italiana, che conseguentemente è tenuta ad osservare le disposizioni di cui al punto 3.1. Se a seguito dell’interruzione o del mancato rinnovo dell’opzione per il consolidato nazionale all’impresa sono riattribuite delle perdite fiscali e una parte di tali perdite è stata realizzata dalla sua stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello in cui ha effetto l’opzione per la branch exemption, la casa madre italiana può: • utilizzare l’intero ammontare delle perdite alla stessa riattribuite a condizione che il recapture sia già avvenuto o se ancora in corso, sia portato a conclusione; • sterilizzare per l’intero ammontare le perdite fiscali riattribuite se il recapture non è ancora iniziato. 3.4 Ai fini del riassorbimento del recapture le perdite fiscali nette pregresse compensano per l’intero importo i redditi imponibili futuri della branch esente. Le eventuali perdite fiscali conseguite dalla medesima branch in vigenza dell’opzione non hanno alcuna rilevanza. 3.5 Il recapture va calcolato per singolo Stato o territorio estero. 3.6 In presenza di più stabili organizzazioni, localizzate in diversi Stati o territori esteri, ai fini della determinazione e delle modalità di riassorbimento del recapture, la casa madre italiana calcola sia il recapture totale sia quello per singolo Stato o territorio estero. Il recapture totale determinato per ciascuno dei cinque periodi d’imposta precedenti a quello di effetto dell’opzione rileva ai fini del punto 3.1, mentre quello per singolo Stato o territorio rileva ai fini dello scomputo dalla relativa imposta italiana delle eventuali eccedenze di imposta estera riportabili ai sensi dell’articolo 165, comma 6, del TUIR. Il recapture totale va proporzionalmente imputato agli Stati o territori esteri e quindi alle stabili organizzazioni ivi localizzate che hanno contribuito alla sua formazione. 3.7 L’impresa residente nel territorio dello Stato indica nella dichiarazione dei redditi in cui esercita l’opzione per l’esenzione l’ammontare del recapture totale e di quello per singolo Stato o territorio estero. 3.8 In caso di trasferimento a qualsiasi titolo di una branch esente assistita da recapture a favore di un soggetto appartenente al medesimo gruppo, la disposizione del comma 8 dell’articolo 168-ter del TUIR si applica quando l’avente causa è residente nel territorio dello Stato e in regime di branch exemption. Se il trasferimento comporta il realizzo al valore normale della stabile organizzazione esente, il riassorbimento del recapture avviene in capo al dante causa che lo scomputa dall’eventuale plusvalenza fino a concorrenza della stessa. Al ricorrere delle condizioni, al dante causa è riconosciuto in misura proporzionale il credito di cui all’articolo 179, commi 3 e 5, del TUIR. 3.9 In caso di trasferimento a qualsiasi titolo di una branch esente assistita dal recapture a favore di un soggetto non appartenente al medesimo gruppo, il riassorbimento del recapture residuo avviene in capo all’avente causa quando il trasferimento avviene in neutralità fiscale e l’avente causa è residente nel territorio dello Stato e in regime di esenzione. Diversamente, il riassorbimento dell’eventuale recapture residuo avviene in capo al dante causa sino a concorrenza della plusvalenza conseguita. Al ricorrere delle condizioni, al dante causa è riconosciuto in misura proporzionale il credito di cui all’articolo 179, commi 3 e 5, del TUIR. 4 Recapture degli ammortamenti, svalutazioni e accantonamenti pregressi e trattamento dei beni di cui all’articolo 85 del TUIR 4.1 Se nei cinque periodi d’imposta precedenti a quello di efficacia dell’opzione, l’impresa residente nel territorio dello Stato trasferisce alla stabile organizzazione esente attività o passività, ivi inclusi funzioni e rischi, che hanno prodotto ammortamenti, svalutazioni o accantonamenti dalla stessa eventualmente dedotti, in tutto o in parte, tali importi sono tassati in capo alla casa madre italiana nei cinque periodi d’imposta successivi. 4.2 Se nei cinque periodi d’imposta antecedenti all’esercizio dell’opzione, la casa madre italiana trasferisce alla branch esente beni di cui all’articolo 85 del TUIR, l’utile o la perdita derivante dal loro realizzo è attribuito alla branch in base alle funzioni e ai rischi alla medesima attribuiti. 4.3 In vigenza della branch exemption, il trasferimento di beni, funzioni e rischi dall’impresa residente nel territorio dello Stato ad una sua stabile organizzazione genera plusvalenze o minusvalenze, determinate con i criteri dell’articolo 152 del TUIR. 5 Determinazione del reddito della stabile organizzazione esente. 5.1 Il reddito della stabile organizzazione esente è determinato in base agli utili e alle perdite ad essa riferibili secondo le disposizioni previste dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra lo Stato italiano e lo Stato di localizzazione della stabile organizzazione, ove in vigore. In assenza di Convenzione, l’attribuzione degli utili e delle perdite va effettuata in accordo ai criteri definiti in sede OCSE e quindi considerando la stabile organizzazione come un’entità separata, svolgente le medesime o analoghe attività, in condizioni identiche o similari, tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati. Il fondo di dotazione alla stessa riferibile è determinato in piena conformità ai criteri definiti in sede OCSE, tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati. 5.2 Ai fini del precedente paragrafo, gli utili e le perdite della stabile organizzazione sono determinati secondo le disposizioni in materia di reddito d’impresa previste dal TUIR e sulla base dell’apposito rendiconto economico e patrimoniale, previsto dagli articoli 152 del TUIR e 14 del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600. 5.3 Il reddito della stabile organizzazione esente va separatamente indicato nella dichiarazione dei redditi dell’impresa residente cui appartiene. 5.4 I componenti di reddito attribuibili alla stabile organizzazione esente derivanti dalle transazioni e dalle operazioni intercorse tra detta stabile organizzazione e l’entità o il gruppo cui la medesima appartiene sono determinati ai sensi dell’articolo 110, comma 7 del TUIR. Con riferimento alle stabili organizzazioni esenti, l’impresa residente nel territorio dello Stato che intende rispettare le disposizioni dell’articolo 26 del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122, osserva gli oneri documentali previsti dai paragrafi 3, 4 e 5 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 settembre 2010, a seconda che essa sia rispettivamente una società holding, una società sub-holding o un’impresa controllata appartenente ad un gruppo multinazionale. Se l’impresa residente nel territorio dello Stato non fa parte di un gruppo multinazionale, la documentazione è rappresentata dal solo documento denominato “Documentazione Nazionale”. Ai fini della redazione di tale documento per “operazioni infragruppo” si intendono quelle effettuate tra la casa madre italiana e ciascuna sua stabile organizzazione esente, nonché quelle poste in essere tra dette stabili organizzazioni. 5.5 Con riferimento all’agevolazione prevista dall’articolo 1 del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214, rubricato “Aiuto alla crescita economica (ACE)”, l’opzione per la branch exemption modifica sia l’ammontare di capitale proprio esistente al 31 dicembre 2010, sia eventuali incrementi e decrementi successivi, che vanno sterilizzati delle variazioni subite dal fondo di dotazione della stabile organizzazione esente. In particolare, il capitale proprio dell’impresa esistente al 31 dicembre 2010 va decurtato del fondo di dotazione attribuito figurativamente alla sua branch esente nel caso in cui quest’ultima era già costituita a tale data. Diversamente, il fondo di dotazione attribuito figurativamente alla branch esente influenza solo il patrimonio netto di periodo della casa madre italiana. Gli incrementi e decrementi di detto fondo in ogni caso non rilevano ai fini del calcolo dell’agevolazione in capo alla casa madre italiana. 6 Applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 167 del TUIR 6.1 In caso di esercizio dell’opzione per l’esenzione, alla stabile organizzazione estera di un’impresa residente nel territorio dello Stato si applicano, al ricorrere dei presupposti, le disposizioni previste dall’articolo 167 del TUIR. 6.2 In assenza delle esimenti disciplinate dai commi 5, 5-bis, e 8-ter del citato articolo, il reddito della stabile organizzazione estera è determinato secondo le disposizioni del comma 6 del medesimo articolo e del D.M. 21 novembre 2001, n. 429, ove compatibili. Per le stabili organizzazioni esistenti alla data di esercizio dell’opzione per l’esenzione, i valori fiscali con riferimento ai quali tale reddito va calcolato sono quelli fiscalmente riconosciuti prima dell’ingresso nel regime CFC, determinati secondo le disposizioni fiscali italiane. Per le branch costituite o acquisite successivamente, detti valori fiscali sono determinati ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del citato Decreto Ministeriale. 6.3 Il possesso di una stabile organizzazione alla quale si applicano le disposizioni dell’articolo 167 del TUIR va segnalato dall’impresa residente nel territorio dello Stato nella dichiarazione dei redditi. Tale obbligo non sussiste quando l’impresa ha ottenuto parere favorevole all’interpello presentato ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della Legge 27 luglio 2000, n. 212 nonché quando il reddito della stabile organizzazione estera è tassato ai sensi dell’articolo 167 del TUIR. Si applica la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 8, comma 3-quater, del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. 7 Utili provenienti da branch esenti 7.1 Gli utili e le perdite fiscali provenienti dalle stabili organizzazioni incluse nel perimetro di esenzione non concorrono alla determinazione del reddito imponibile dell’impresa residente nel territorio dello Stato. 7.2 Se l’impresa residente nel territorio dello Stato distribuisce ai propri soci utili provenienti da stabili organizzazioni esenti localizzate in Stati o territori di cui al comma 4 dell’articolo 167 del TUIR, tali utili concorrono a formare il reddito imponibile dei soci secondo le disposizioni degli articoli 47, comma 4, 59 e 89, comma 3, del TUIR, con riconoscimento del credito d’imposta in esse previsto. 7.3 Ai fini del precedente paragrafo, la casa madre italiana deve comunicare ai propri soci la parte dell’utile distribuito proveniente dai predetti Stati o territori, unitamente al relativo credito d’imposta, ove spettante. In assenza di tale specifica indicazione, si considerano distribuiti ai soci, in via prioritaria e fino a concorrenza, gli utili provenienti dalle branch black list esenti. 7.4 Le disposizioni dei paragrafi 7.2 e 7.3 si applicano alle società di persone e agli imprenditori individuali rispettivamente all’atto del pagamento o del prelevamento degli utili dalla società o dall’impresa individuale. In ogni caso, gli utili e le perdite realizzate dalla branch esente, nonché le distribuzioni di utili, influenzano corrispondentemente il costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni ai sensi dell’articolo 68, comma 6, del TUIR. 8 Operazioni straordinarie 8.1 Le operazioni straordinarie di cui al Titolo III, Capo III e Capo IV, del TUIR non determinano l’interruzione del regime di branch exemption quando l’incorporante, la società risultante dalla fusione, il conferitario o il beneficiario (in seguito “avente causa”) è già in regime di esenzione o esercita l’opzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui l’operazione produce effetti. In tal caso, l’incorporante, la società risultante dalla fusione, il conferitario o il beneficiario assume le attività e le passività delle stabili organizzazioni prima in esenzione, ivi inclusi le funzioni e i rischi ad esse connessi, all’ultimo valore fiscale che avevano presso il dante causa. 8.2 Se a seguito delle operazioni di cui al punto precedente, l’avente causa non esercita l’opzione per l’esenzione, la stabile organizzazione all’estero esente si considera realizzata e l’avente causa assume le attività e le passività di quest’ultima, ivi inclusi le funzioni e i rischi ad essa connessi, ai valori fiscali determinati ai sensi dell’articolo 166-bis del TUIR. 8.3 La disposizione di cui al punto precedente non si applica quando le operazioni sono effettuate entro i cinque periodi d’imposta successivi all’esercizio dell’opzione. In tal caso, le attività e le passività della branch, ivi inclusi le funzioni e i rischi ad essa connessi, sono assunti in capo all’avente causa ai valori fiscali che avevano antecedentemente all’esercizio dell’opzione da parte del dante causa. Le attività e le passività della branch, ivi inclusi le funzioni e i rischi ad essa connessi, non esistenti al momento dell’esercizio dell’opzione sono invece assunti dall’avente causa ai valori fiscali determinati ai sensi dell’articolo 166-bis del TUIR. 8.4 La cessione o la liquidazione della branch esente non determina in sé alcun realizzo di plusvalenze o minusvalenze rilevanti fiscalmente in capo alla casa madre italiana. La plusvalenza esente non comprende l’eventuale recapture residuo, che concorre a formare il reddito della casa madre quando l’avente causa è un soggetto estraneo al gruppo o un soggetto facente parte del gruppo, che però non ha esercitato l’opzione per l’esenzione. 8.5 Se le operazioni straordinarie di cui al punto 8.1 comportano il realizzo delle plusvalenze latenti di una stabile organizzazione all’estero inclusa nel perimetro di esenzione, all’impresa residente nel territorio italiano non è riconosciuto il credito d’imposta di cui all’articolo 179, comma 3, del TUIR. 9 Ritenute 9.1 La stabile organizzazione esente applica le ritenute nella misura prevista dalle disposizioni fiscali italiane o da quelle previste da una Convenzione contro le doppie imposizioni, ove in vigore, quando corrisponde degli interessi o dei canoni, per prestiti o diritti ad esse effettivamente connessi, a beneficiari effettivi residenti in uno Stato diverso dall’Italia e da quello di localizzazione della stabile organizzazione. 9.2 La ritenuta di cui al punto precedente si applica al ricorrere delle seguenti condizioni: • lo Stato di localizzazione della branch esente e quello di residenza del beneficiario consentono con l’Italia un adeguato scambio di informazioni; • lo Stato di localizzazione della branch non prevede alcuna ritenuta in uscita sui pagamenti dalla stessa effettuati; • il beneficiario effettivo non è noto oppure se noto, il suo Stato di residenza non assoggetta a tassazione i proventi dallo stesso percepiti. 10 Interpello A seguito della presentazione dell’interpello previsto dal comma 4 dell’articolo 14 del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 147, l’Agenzia delle entrate rilascia un parere ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera a), della Legge 27 luglio 2000, n. 212 in merito all’esistenza di una stabile organizzazione all’estero dell’impresa residente nel territorio dello Stato ai fini della sua inclusione nel perimetro di esenzione. Tale parere è reso sulla base delle informazioni e dei documenti prodotti dall’impresa e senza attivare gli strumenti di collaborazione eventualmente esistenti con lo Stato estero. 11 Ipotesi di doppia deduzione/doppia esenzione (“mismatching”) 11.1 Se in sede di accertamento, anche a seguito dell’attivazione degli appositi strumenti di collaborazione, emergono dei fenomeni di doppia deduzione o doppia esenzione, i relativi effetti vanno opportunamente sterilizzati al fine di evitare un’erosione della base imponibile italiana. 11.2 Si verifica un fenomeno di doppia esenzione quando lo Stato estero non ravvisa l’esistenza della stabile organizzazione, il cui reddito è incluso nel perimetro di esenzione dell’impresa residente nel territorio dello Stato. In tal caso, l’opzione viene meno con effetto ex tunc solo con riferimento alla branch di cui ne è stata accertata l’insussistenza. 11.3 Si verifica un fenomeno di doppia deduzione quando gli Stati interessati riconoscono l’esistenza della stabile organizzazione e l’impresa non ha incluso le perdite fiscali della stessa nel perimetro di esenzione. Detta stabile è inclusa con effetto ex tunc nella branch exemption. 11.4 I fenomeni di doppia esenzione o deduzione dei paragrafi 11.3 e 11.4 sono individuati e resi noti coerentemente con i principi sanciti dal comma 11 dell’articolo 168-ter del TUIR e pertanto devono ritenersi a titolo esemplificativo. La loro pubblicazione non pregiudica la possibilità per l’Agenzia delle entrate di individuarne degli altri che, nel rispetto dei principi di trasparenza, correttezza e collaborazione cui deve essere improntato il rapporto con il contribuente, saranno pubblicati sul proprio sito, da aggiornarsi periodicamente. 12 Applicazione dell’Exit Tax 12.1 In alternativa all’applicazione delle disposizioni di cui al paragrafi 3, 4 e 9, l’impresa può assoggettare a tassazione le plusvalenze latenti di tutte le sue stabili organizzazioni da includere nel perimetro di esenzione. A tal fine si applicano ove compatibili, le disposizioni dell’articolo 166 del TUIR (c.d. “exit tax”). 12.2 In caso di opzione per l’exit tax: • del paragrafo 5, si applicano le disposizioni dei punti 5.4 e 5.5; • del paragrafo 7, i punti 7.2 e seguenti si applicano ai soci che direttamente o indirettamente, controllano la casa madre italiana; • le disposizioni di cui al paragrafo 8 si applicano ove compatibili».

(1) In Boll. Trib., 2015, 342.
(2) Sull’abolizione delle black list e sul nuovo concetto di “Stati e territori a fiscalità privilegiata” vedi i seguenti contributi recenti in dottrina: D. DE SANTIS – E. DELLA VALLE, Sulle CFC l’Italia sceglie la tassazione nominale, in Il Sole 24 Ore del 5 febbraio 2016; L. MIELE, “CFC”, verifica sul tax rate nominale, in Il Sole 24 Ore del 3 marzo 2016; R.A. PAPOTTI – F. MOLINARI, L’evoluzione della normativa sulle CFC alla luce delle modifiche della legge di stabilità 2016, in Corr. trib., 2016, 417; G. ROLLE, Effetti su CFC, dividendi esteri e plusvalenze della nuova nozione di “Regimi fiscali privilegiati”, in il fisco, 2016, 861; G. SCIFONI, Cancellate le limitazioni “ad hoc” alla deducibilità dei costi black list, in Corr. trib., 2016, 333; L. ROSSI – G. BARBAGELATA, L’identificazione degli Stati a fiscalità privilegiata: indicazione OCSE e “Tax package” anti-abuso della UE, ibidem, 2016, 647.
(3) Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Confederazione svizzera per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, conclusa a Roma il 9 marzo 1976 e ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 23 dicembre 1978 n. 943 (ed entrata in vigore il 27 marzo 1979).
(4) Cfr. ris. 10 maggio 2007 n. 93/E, in Boll. Trib. On-line.
(5) Vedi S. MAYR, Il nuovo regime fiscale dei dividendi tra l’Italia e la Svizzera, in Boll. Trib., 2005, 927.
(6) In Boll. Trib., 2005, 38.
(7) In questo senso era da intendere la formulazione del primo punto della lettera c) di cui al paragrafo 3 dell’articolo di MAYR, Il trasferimento della sede (residenza) delle imprese commerciali dall’estero in Italia: alcune considerazioni, in Boll. Trib., 2016, 254.
(8) Vedi ultima nota.

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