18 Maggio, 2015

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Applicabilità della disciplina alle società holding 3. Applicabilità della disciplina in seguito ad operazioni di riorganizzazione transnazionali 4. Trasferimento e perdita della residenza.

 

 

 

1. Introduzione

Appare opportuno premettere che il trasferimento della sede è un fenomeno che andrebbe associato ad un’analisi di diritto societario. La Corte di Giustizia europea parallelamente alle decisioni che riguardano principalmente la materia fiscale ha avuto modo di esprimersi e, recentemente con la decisione Vale (1), di definire il proprio ragionamento. In particolare la Corte ha chiarito che lo Stato di destinazione, nel prevedere all’interno del proprio ordinamento operazioni di trasformazioni, non può negare la trasformazione transfrontaliera di una società proveniente da un altro Stato membro. Un simile diniego rappresenterebbe une restrizione alla libertà di stabilimento. Secondo la medesima Corte di Giustizia europea per potere garantire la continuità giuridica nel caso di trasferimenti di sede «siccome il diritto derivato dell’Unione non prevede, allo stato attuale, una disciplina specifica delle trasformazioni transfrontaliere, le disposizioni che consentono l’attuazione di una tale operazione possono essere reperite soltanto nel diritto nazionale, ossia nel diritto dello Stato membro di origine applicabile alla società che intende trasformarsi e in quello dello Stato membro ospitante che si applicherà alla società risultante da tale trasformazione». Una simile operazione richiede pertanto «l’applicazione consecutiva di due diritti nazionali a tale operazione giuridica» (2). Diversamente risulterebbe che l’ente non potrebbe trasferire nel regime di continuità giuridica la sede con conseguente violazione della libertà di stabilimento (3).

Dal punto di vista fiscale l’exit tax applicabile ai trasferimenti della residenza fiscale rappresenta una forma di imposizione che riflette tipicamente il fatto che i sistemi impositivi dei vari Stati non sono armonizzati e, pertanto, ogni Paese (o almeno la maggioranza) prevede un meccanismo che consente di assoggettare ad imposizione i plusvalori latenti di una società che trasferisce la propria residenza in un altro Paese nonostante gli stessi beni rimangano all’interno del regime di impresa (4). Mediante il trasferimento di residenza una società viene infatti a perdere il collegamento territoriale con il Paese di provenienza il quale, senza un’imposizione come quella di cui si tratta, perderebbe il potere impositivo su detti plusvalori (maturati all’interno del proprio Stato).

In ottica europea il trasferimento della sede ha assunto crescente importanza con l’aumento dell’internazionalizzazione dei gruppi e con le necessità di ristrutturazione per fare fronte alla rinnovata concorrenza mondiale. In particolare è evidente come tale forma di imposizione rappresenti un problema in quanto si tratta di una forma di imposizione su utili non effettivamente realizzati.

La Corte di Giustizia europea ha per la prima volta affrontato il tema della compatibilità della normativa relativa al trasferimento della residenza dal punto di vista fiscale nella decisione De Lasteyrie du Saillant (5). Tale decisione, pur se riferita a una persona fisica, ha dato inizio al dibattito in materia di trasferimento della residenza fiscale tuttora in corso.

In seguito alla citata decisione la Commissione europea ha aperto procedure di infrazione nei confronti di numerosi Paesi europei (tra cui l’Italia) in quanto le rispettive normative nazionali risultavano illegittime e in contrasto con la libertà di stabilimento.

Dalla citata decisione ne sono susseguite altre (6) che hanno senza dubbio contribuito a delineare meglio il panorama della disciplina dell’exit tax inquadrandolo all’interno delle libertà fondamentali. Tuttavia, considerato che la Corte di Giustizia europea non può che occuparsi della legittimità delle normative nazionali esistenti, vi sono numerosi aspetti che tuttora non hanno avuto ma che meriterebbero un’attenta disciplina a livello europeo.

In seguito a questi avvenimenti il legislatore italiano è intervenuto modificando l’art. 166 del TUIR, in particolare attraverso l’art. 91, primo comma, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27). La nuova disciplina è applicabile ai trasferimenti avvenuti successivamente al 24 gennaio 2012.

L’art. 166 del TUIR demanda a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze le disposizioni attuative per poter optare per la sospensione del pagamento dell’imposta e l’enunciazione delle fattispecie che comportano la decadenza dal beneficio. Un primo decreto è stato emanato in data 2 agosto 2013 (7) e, successivamente, è stato emanato il decreto 2 luglio 2014 (nel seguito anche il “Decreto”) che si rende applicabile ai trasferimenti effettuati «nel periodo d’imposta che inizia successivamente a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana». Dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale di tale Decreto (8) cessa inoltre di avere efficacia il precedente.

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Con la circolare n. 5 del 20 febbraio 2014 l’Assonime è intervenuta analizzando le sopra citate recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali in materia di exit tax (9).

La citata circolare è di estremo interesse in quanto, oltre ad analizzare nel dettaglio il precedente decreto, si sofferma sulle ultime decisioni della Corte di Giustizia europea cercando di delineare un quadro completo di tale disciplina non solamente in ottica nazionale.

I temi di maggiore interesse analizzati all’interno della citata circolare riguardano tuttavia principalmente il caso di trasferimenti dall’Italia verso l’estero.

2. Applicabilità della disciplina alle società holding

Appare opportuno sottolineare come l’art. 166, primo comma, del TUIR, si renda applicabile ai trasferimenti di residenza da parte di «soggetti che esercitano imprese commerciali». Dunque parrebbe che la disciplina (i.e. realizzo al valore normale) non si applichi nei casi in cui a trasferire la residenza sia una società c.d. senza impresa.

Il comma 2-quater del medesimo art. 166 del TUIR, comma recentemente aggiunto dal citato D.L. n. 1/2012, prevede invece che «I soggetti che trasferiscono la residenza …» con un apparente ambito di applicazione più ampio. Tuttavia il primo comma del Decreto, nel prevedere i trasferimenti di residenza fiscali per i quali è possibile usufruire della sospensione (o rateizzazione) delle imposte dovute, fa nuovamente riferimento ai «soggetti esercenti imprese commerciali».

Parrebbe dunque che i due commi sopra citati dell’art. 166 del TUIR abbiano due distinti ambiti di applicazione in quanto il comma 2-quater non rimanda al primo comma, ciò nonostante il primo comma del Decreto richiama i soggetti esercenti imprese commerciali.

Dopo aver messo in evidenza questa “incoerenza” normativa occorre comunque verificare l’applicabilità o meno della sospensione delle imposte dovute ai casi di trasferimento di residenza fiscale da parte delle società senza impresa, ad esempio delle holding di mera detenzione di partecipazione in cui non viene svolta alcuna attività di direzione e coordinamento.

Per risolvere la questione appare utile considerare che la normativa di sospensione recentemente introdotta è volta a tutelare la libertà di stabilimento all’interno dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo (nel seguito per brevità Unione europea) e, pertanto, è opportuno analizzare, come osservato da Assonime, la nozione di libertà di stabilimento come definita dalla Corte di Giustizia europea. In particolare questa ha avuto modo di osservare come tale libertà implichi «la possibilità … di partecipare in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio, favorendo così l’interpretazione economica e sociale».

Pertanto appare evidente come la libertà di stabilimento abbia secondo la stessa Corte un ambito di applicazione molto vasto e che non rappresenti un diritto esercitabile esclusivamente da società commerciali.

In conclusione, come osservato in maniera condivisibile da Assonime, la sospensione dovrebbe coerentemente rendersi applicabile anche ai casi di trasferimento della residenza delle società sopra citate anche sulla base della citata decisione National Grid Indus BV in quanto riferita al trasferimento della residenza di una società il cui unico asset era rappresentato da un credito (10) (11).

3. Applicabilità della disciplina in seguito ad operazioni di riorganizzazione transnazionali

Assonime pone inoltre in evidenza il fatto che il regime di sospensione dell’exit tax pare applicabile limitatamente ai trasferimenti di residenza dovuti a “spostamenti di sede” (12) e non anche a quelli che risultano in seguito a operazioni straordinarie transnazionali (come, ad esempio, la fusione o la scissione).

Sul punto occorre premettere che il risultato ottenibile mediante un’operazione di fusione transnazionale in uscita può essere raggiunto anche mediante un trasferimento di residenza all’estero seguito da un’operazione di fusione domestica nel Paese di destinazione (13).

Le operazioni straordinarie transnazionali effettuate tra soggetti residenti in Stati membri dell’Unione europea sono disciplinate autonomamente dagli artt. 178 e 179 del TUIR che recepiscono le disposizioni della Direttiva 2005/19/CEE (di seguito “Direttiva”). In base a tali disposizioni la neutralità fiscale è garantita nei limiti in cui, in seguito a dette operazioni straordinarie, i beni e gli assets risultino essere confluiti in una stabile organizzazione in Italia del soggetto estero. In sostanza il regime di neutralità su cui è fondata la Direttiva è condizionato dalla permanenza di una stabile organizzazione nello Stato a quo.

Pertanto, in un’operazione di fusione in uscita in cui non siano attribuiti ad una stabile organizzazione in Italia del soggetto incorporante (risultante dalla fusione), in principio, i componenti dell’azienda si considerano realizzati al valore normale.

Qualora invece lo stesso soggetto decida di effettuare un trasferimento di residenza e una fusione domestica nello Stato di destinazione potrebbe beneficiare della sospensione dell’exit tax applicabile ex art. 166 del TUIR.

Appare evidente come vi sia una disparità di trattamento fra le due fattispecie e come la stessa non appaia giustificata da diversità sostanziali nelle due operazioni sopra descritte.

Pare pertanto opportuno analizzare il rapporto esistente tra il diritto primario dell’Unione europea e la Direttiva. Come osservato da attenta dottrina(14), non pare possibile questionare sulla legittimità del regime di neutralità previsto da quest’ultima poiché le previsioni in essa contenute non risultano incompatibili con il diritto dell’Unione europea; allo stesso tempo non si può nemmeno sostenere che il fatto che la neutralità sia limitata ai soli casi in cui nello Stato di origine rimanga una stabile organizzazione rappresenti una violazione delle libertà fondamentali poiché nei casi in cui non rimane alcuna stabile organizzazione nello Stato di origine la Direttiva semplicemente non si pronuncia (i.e. non limita un’eventuale imposizione in tale Stato) (15).

Ciò premesso il fatto che la potestà impositiva non sia limitata nei casi non coperti dalla Direttiva non impedisce che il contribuente possa comunque fare affidamento al diritto primario dell’Unione europea (16).

Come emerge dallo studio pubblicato dalla Commissione dell’Unione europea nel gennaio 2009 sull’implementazione della Direttiva 90/434/CEE e come osservato da autorevole dottrina (17), la mancata inclusione del trasferimento di residenza fiscale all’interno della Direttiva (e probabilmente di limitare la neutralità ai soli casi in cui rimane una stabile organizzazione nello Stato di origine) è probabilmente una conseguenza “politica” e dell’impossibilità di eliminare le divergenze dei vari Stati membri sul piano internazional-privatistico di detta fattispecie.

Il Decreto, essendo un decreto “attuativo”, non si pronuncia sul punto in quanto si limita a dettare talune norme specificamente riferite all’applicazione dell’art. 166 del TUIR che a sua volta nulla prevedere in relazione a quanto sopra. Tuttavia a livello nazionale la normativa ad oggi in vigore non appare in linea con i principi dell’Unione europea.

Sul punto, pertanto, dopo i recenti sviluppi a livello europeo, parrebbe opportuno un intervento al fine di eliminare le differenze sopra descritte per evitare che venga aperta una procedura di infrazione contro l’Italia (specialmente qualora anche a livello europeo dovesse intervenire una modifica nella Direttiva).

4. Trasferimento e perdita della residenza

La circolare Assonime pone all’attenzione un ulteriore aspetto di notevole importanza riguardante il trasferimento della residenza e il rapporto con la conseguente perdita della residenza fiscale; il trasferimento della sede viene classificato un momento puntuale e precisamente definito, mentre la residenza fiscale come una posizione soggettiva che si può perdere o acquistare in base alla permanenza nel territorio dello Stato di uno dei criteri di collegamento (18).

In particolare, tenuto conto che i trasferimenti di sede in regime di continuità giuridica non configurano la chiusura anticipata dell’esercizio sociale, l’attenzione viene posta sul fatto che il trasferimento della sede possa avere alcuni impatti di doppia tassazione (o doppia non tassazione) a seconda del momento in cui la sede viene effettivamente trasferita a causa della peculiarità della normativa italiana che definisce il concetto di residenza fiscale rispetto a quella in vigore in altri Stati dell’Unione europea(19).

La circolare analizza a tal fine due situazioni:

1) trasferimento della sede prima della metà del periodo d’imposta;

2) trasferimento della sede dopo la metà del periodo d’imposta.

Il primo scenario, trasferimento prima che sia decorso metà esercizio (31 marzo 2013) e nell’ipotesi che non rimanga alcuna stabile organizzazione in Italia, implica che il periodo d’imposta precedente (2012) a quello nel quale è avvenuto il trasferimento sia l’ultimo periodo in cui il soggetto trasferitosi è considerato fiscalmente residente e pertanto questo è anche il momento in cui si deve calcolare l’exit tax (relativamente ai beni trasferiti). Conseguentemente risulta che dal 2013 il soggetto sarà considerato come non residente avente una stabile organizzazione in Italia fino alla data del trasferimento (ammesso che anche successivamente al trasferimento non rimanga una stabile organizzazione in Italia).

Pertanto, secondo Assonime, a causa della specificità della normativa italiana in tema di residenza fiscale, si determina una «fattispecie a formazione progressiva, in cui all’inizio dell’anno deve assumersi che ci sia stato il realizzo dei beni estranei alla sede [stabile organizzazione] che resta fino al suo trasferimento e con lo spostamento della sede si verifichi il realizzo [sempreché i beni non rimangano dopo il trasferimento in una stabile organizzazione in Italia]».

Nel secondo caso, invece, assumendo che il trasferimento abbia luogo il 31 luglio 2013 e che non rimangano beni attribuibili ad una stabile organizzazione in Italia, Assonime ritiene che l’exit tax dovrà essere calcolata in base ai valori risultanti al 1° gennaio 2014 e che la plusvalenza concorrerà alla formazione del reddito relativo al periodo d’imposta 2013.

Quanto sopra è la conseguenza del fatto che in Italia la residenza la si acquista o la si perde per l’intero esercizio e, pertanto, potranno emergere alcune situazioni non in linea con i principi di diritto internazionale. Per esempio, nel primo scenario si può verificare la situazione in cui dal 1° gennaio 2013 alla data del trasferimento il soggetto non risulta residente in alcuno Stato mentre, nel secondo, l’Italia sottoporrà ad imposizione eventuali plusvalori maturati nell’altro Stato dalla data del trasferimento della sede alla chiusura dell’esercizio, plusvalori che in base al principio della territorialità dovrebbero rimanere nell’ambito della giurisdizione fiscale di tale Stato.

Queste situazioni hanno anche importanti risvolti sul lato pratico che meriterebbero un’attenta disciplina. Per esempio, nel secondo scenario (trasferimento nella seconda parte dell’esercizio), potrebbe emergere un problema di doppia residenza relativamente al periodo intercorrente dalla data del trasferimento al termine dell’esercizio. Se in base alle c.d. tie-breaker rules previste dal singolo trattato contro le doppie imposizioni applicabile al singolo caso di specie risulta effettivamente che il soggetto che si trasferisce perde la residenza una volta avvenuto il trasferimento, sorge ad esempio il problema di come formalmente dichiarare il reddito eventualmente tassabile in Italia nei mesi successivi al trasferimento in cui il soggetto trasferitosi non è più da considerarsi come fiscalmente residente in Italia (la tassazione che sarebbe consentita in Italia sarebbe la tassazione alla fonte sulla base di quanto previsto dagli articoli dell’applicabile convenzione contro le doppie imposizioni).

L’art. 2 del Decreto, nel prevedere che «Ai fini dell’applicazione dell’art. 166 del TUIR, … il trasferimento della residenza è determinato tenendo conto delle Convenzioni in materia di doppia imposizione sui redditi vigenti tra l’Italia e gli Stati appartenenti all’Unione Europea ovvero aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo nonché di quelle tra i predetti Paesi e gli Stati terzi, ove vigenti», pare porre un rimedio parziale a quanto sopra. In particolare tale riferimento alle convenzioni sembra infatti risolvere solamente la questione relativa alla doppia residenza qualora il trasferimento avvenga dopo la metà del periodo d’imposta; tuttavia in relazione allo scenario di eventuale doppia non residenza (i.e. trasferimento prima della metà del periodo d’imposta) il richiamo alle convenzioni non pare possa essere di aiuto.

 

Dott. Davide de Santis

(1) Corte Giust. UE, sez. III, 12 luglio 2012, causa C-378/10; si vedano sul tema anche Corte Giust. CEE 27 settembre 1988, causa C-81/87, Daily Mail, e Corte Giust. CEE, sez. grande, 16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio, tutte in Boll. Trib. On-line, in cui la Corte di Giustizia europea si occupa del trasferimento di sede dal punto di vista societario.

(2) Cfr. par. 43 e 44 della decisione. Tale impostazione è coerente con il disposto dell’art. 25 della legge 31 maggio 1995, n. 218.

(3) Si veda fra i numerosi contributi relativi agli aspetti di diritto societario relativi al trasferimento di sede G. Petrelli, Lo stabilimento delle società comunitarie in Italia, in Riv. del not., 2004, 343 ss.

(4) Si veda in tal senso la relazione illustrativa all’art. 30 del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85), che ha istituito per la prima volta nel nostro ordinamento la disciplina fiscale del trasferimento della residenza fiscale.

(5) Corte Giust. UE, sez. V, 11 marzo 2004, causa C-92/02, in Boll. Trib. On-line.

(6) Corte Giust. UE, sez. II, 7 settembre 2006, causa C-470-04, N

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; Corte Giust. UE, sez. grande, 29 novembre 2001, causa C-371-10, National Grid Indus BV; Corte Giust. UE, sez. IV, 6 settembre 2012, causa C-38/10, Commission v Portuguese Republic; Corte Giust. UE, sez. VII, 31 gennaio 2013, causa C-301/11, Commission vs. the Netherlands; e Corte Giust. UE, sez. II, 25 aprile 2013, causa C-64/11, Commission v Kingdom of Spain, tutte in Boll. Trib. On-line.e.

(7) Per una breve analisi del Decreto si veda D. de Santis, L’exit tax: aspetti di Doppia Imposizione Internazionale tuttora irrisolti, in il fisco, 2013, 6202 ss.

(8) Pubblicazione avvenuta in data 8 luglio 2014.

(9) Sul punto ved. D. de Santis, cit., in cui si è proposto una possibile soluzione alla doppia imposizione che possa emergere in seguito al trasferimento della residenza fiscale laddove non si raggiunga un accordo a livello europeo sul valore di iscrizione dei beni in entrata.

(10) Questa conclusione può anche essere supportata dalla differenza fra il tenore letterale esistente tra il primo comma e il comma 2-quater dell’art. 166 (anche se tale differenza, come sopra evidenziato, viene “eliminata” dal primo comma del Decreto).

(11) Esula dal presente contributo l’analisi della commercialità delle società holding, e si rimanda alla circolare Assonime in commento alle pagine 24-27.

(12) La disciplina si rende applicabile anche in conseguenza di spostamenti dell’oggetto sociale.

(13) R. Michelutti, Fusione transfrontaliera in entrata e retrodatazione fiscale, in Corr. trib., 2010, 2982 ss.

(14) N. Sartori, Le riorganizzazioni transnazionali nelle imposte sul reddito, Torino, 2012, 156.

(15) N. Sartori, op. cit., 156.

(16) M. Helminen, Must the Losses of a Merging Company be deductible in the State of the Receiving Company in EU?, in EC Tax Review, 2011, 172 ss.; e N. Sartori, op. cit., 157.

(17) G. Melis, Trasferimento della residenza fiscale e imposizione sui redditi, Milano, 2009, 472.

(18) Cfr. pag. 41 della circolare in commento.

(19) In particolare, gli artt. 2, 5 e 73 del TUIR prevedono che i criteri di collegamento debbano essere presenti per la maggior parte del periodo d’imposta, mentre altri ordinamenti europei prevedono che la residenza si acquisti/perda istantaneamente.

 

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