24 Maggio, 2016

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Il giudice di legittimità, nell’annotata ordinanza, emessa in tema di accertamento sintetico secondo le regole del “vecchio” redditometro, dopo avere chiarito che la disponibilità dei beni costituenti gli «elementi indicativi di capacità contributiva» «costituisce una presunzione di capacità contributiva da qualificare legale ai sensi dell’art. 2728 c.c., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una capacità contributiva», conclude affermando che il giudice tributario «può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale … delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma».
Il ragionamento finale ora esposto conferma che si continua ad ignorare la ratio sottesa alla disponibilità degli «elementi indicativi di capacità contributiva».
Invero con il (previgente) redditometro, determinata (ad eccezione delle assicurazioni che valorizzano solo l’effettiva spesa sostenuta per il “premio”) presuntivamente la spesa consequenziale alla disponibilità di ciascun bene e servizio, si applica(va) a questo importo un coefficiente-moltiplicatore per determinare presuntivamente la complessiva capacità di spesa (rectius: reddituale) necessaria per il suo mantenimento (1).
In buona sostanza, le «somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma» rappresentano solo il “mezzo” per quantificare la verosimile capacità contributiva.
La ratio ispiratrice di questo “metodo” di controllo riposa sulla constatazione che, nel soddisfacimento dei bisogni umani, esiste una logica graduazione che va dal soddisfacimento dei bisogni prioritari ed essenziali al soddisfacimento dei bisogni più voluttuari.
Il possesso di beni-indice di maggiore valore importa la presunzione di un soddisfacimento dei propri bisogni più “adeguato” rispetto a chi possieda beni di valore inferiore o non li possieda affatto.
In altri termini, chi possiede un’abitazione di 150 mq. (in una determinata zona residenziale) e un’autovettura di c.c. 2.000, si presume che spenda, per il proprio sostentamento e mantenimento, una somma “adeguatamente” maggiore rispetto a chi possiede un’analoga abitazione di 100 mq. e un’autovettura di c.c. 1.000 (2).
D’altro canto, solo così si spiega la riduzione prevista in ragione della vetustà delle autovetture, perché è noto come, con “il passare degli anni” e con la perdita della garanzia, le spese di mantenimento di questo bene mobile aumentino (e non diminuiscano).
In ragione di ciò non è esatto affermare che gli «elementi indicativi di capacità contributiva» quantifichino «le somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma» e, conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria (prima) e il giudice (dopo) non possano che valutare la natura non reddituale delle somme (necessarie) utilizzate a questo fine.
Invero tale metodo applicativo del sintetico sarebbe applicabile anche se il contribuente dimostrasse di non utilizzare o di spendere di meno per il possesso del bene-indice (3).
Individuata, quindi, la vera ratio sottesa alla logica del (previgente) redditometro, finalizzata a quantificare la verosimile capacità di spesa legata al proprio “tenore di vita”, il contribuente, aiutato (anche) dai moderni (elettronici) mezzi di pagamento (4) e dalla stessa tipologia di voci individuata nel novellato redditometro, potrebbe provare di avere provveduto alle proprie (e della famiglia) spese di mantenimento e di sostentamento con una somma complessiva inferiore a quella presunta dal “redditometro” (concretamente determinata dall’applicazione del coefficiente-moltiplicatore) (5).
La descritta ricostruzione logica è rafforzata dalle recenti modifiche normative apportate all’accertamento sintetico, in ragione delle quali (art. 38, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) il reddito sintetico si determina «sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta».
Nella circolare 31 luglio 2013, n. 24/E (6), l’Agenzia delle entrate ha dato atto (paragrafo 2.1) che «Specifiche analisi hanno permesso di individuare un numero significativo di spese connesse ai diversi aspetti della vita quotidiana, compresa l’acquisizione di beni durevoli».
L’Amministrazione finanziaria, a tal fine, ha preso in considerazione più di cento “voci” di spesa effettiva (7) (che, è bene ricordare, non subiscono l’effetto moltiplicatore del coefficiente).
Il decreto attuativo ha distinto tra spese di ammontare certo e spese di ammontare determinato dall’applicazione, a elementi presenti in Anagrafe tributaria o comunque disponibili, di valori medi rilevati dai dati dell’ISTAT o da analisi degli operatori appartenenti ai settori economici di riferimento (c.d. spese per elementi certi).
In buona sostanza, le spese per elementi certi sono quelle per la manutenzione ordinaria degli immobili e per acqua e condominio (parametrate ai metri quadrati effettivi delle abitazioni) e le spese relative all’utilizzo degli autoveicoli (compresi moto, caravan, etc., parametrate ai kw effettivi).
In virtù del parere del Garante della privacy sono state eliminate dal calcolo del metodo sintetico le spese per beni e servizi di uso correnti, il cui contenuto (non era ancorato all’esistenza di beni e servizi ma) era determinato con esclusivo riferimento alla media ISTAT della tipologia di nucleo familiare e area geografica di appartenenza.
È importante il riferimento alle c.d. spese ISTAT, perché (prima della “eliminazione”) l’Amministrazione finanziaria (nella già citata circ. n. 24/E del 2013, par. 2.3), nel disciplinare per esse il relativo contraddittorio, aveva riconosciuto che «il contribuente potrà utilizzare argomentazioni logiche a sostegno di una sua diversa rappresentazione della situazione di fatto. A tale riguardo l’Ufficio considera anche le evidenze e le argomentazioni in concreto rappresentate dal contribuente, logicamente sostenibili, pur se non supportate da documentazione, nell’ottica di assicurare l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa. Resta salva, naturalmente, come detto, la possibilità del contribuente, per tutte le tipologie di spesa innanzi indicate, di dimostrare che le spese sono state sostenute da terzi o che le stesse sono state sostenute con redditi per i quali non sussiste l’obbligo di dichiarazione».
Tenuto conto che questa particolare tipologia di spese (ISTAT) attribuibile al contribuente è (rectius: sarebbe stata) simile a quella determinata con «gli elementi indicativi di capacità contributiva» del “vecchio” redditometro, è auspicabile che per le controversie ancora pendenti prima l’Amministrazione finanziaria, e poi il giudice tributario, ammettano che il contribuente possa quantificare il proprio tenore di vita con argomentazioni logiche, non necessariamente supportate da documentazione.
In tal modo, il fondamento logico che presiede al nuovo redditometro, che «non guarda più al solo possesso di beni o investimenti in quanto tali, ma tende a misurare la spesa complessiva ed effettiva del contribuente» (cfr. ancora la circ. n. 24/E del 2013, par. 2.1), potrà (coerentemente) ricomporre i redditi già accertati (8) in misura più aderente alla reale capacità economica del contribuente.

Avv. Carlo Papa

(1) Tale duplice presunzione ha sempre costituito un serio limite per ritenere effettiva la capacità contributiva accertata sinteticamente con lo strumento del redditometro. Per una corretta ed esaustiva disamina delle problematiche e criticità connesse a tale tipologia di accertamento non si può non rinviare ad A. Voglino, Gli elementi indicativi di capacità contributiva e il nuovo accertamento sintetico, in Boll. Trib., 1992, 899.
(2) In concreto, nel primo caso, si presume che, ad esempio, le spese alimentari e di abbigliamento abbiano avuto ad oggetto prodotti più costosi.
(3) Infatti, la recentissima pronuncia resa da Cass., sez. trib., 20 marzo 2015, n. 5606 (in Boll. Trib. On-line), ha chiarito che «la circostanza che il natante … non fosse concretamente utilizzabile dal contribuente – perché sottoposto … a provvedimento di sequestro – è, in tesi, idonea al più ad una riduzione delle spese correlativamente gravanti sul contribuente per l’uso dello stesso ma, non certo, alla loro totale elisione onde il fatto … non può assumere la rilevanza … di prova idonea ad annullare integralmente la presunzione di reddito». Conseguentemente, per il giudice di legittimità, la circostanza esaminata sarebbe idonea solo a ridurre l’importo da assoggettare all’applicazione del coefficiente-moltiplicatore.
(4) I pagamenti in contanti sono complessivamente utilizzati per spese poco significative, mentre quelli effettuati con bancomat o carte di credito sono registrati nei rispettivi estratti conto e dal nominativo del beneficiario potrebbe essere possibile risalire al tipo di spesa effettuato.
(5) Con la già citata pronuncia resa da Cass. n. 5606/2015 si è chiarito che il contribuente, in relazione alla capacità contributiva data dalla disponibilità di determinati beni-indice, può «dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore».
(6) In Boll. Trib., 2013, 1191.
(7) Le voci di spesa prese in considerazione sono più di cento e sono divise in sette categorie: abitazione, mezzi di trasporto, contributi e assicurazioni, istruzione, attività sportive e ricreative e cura della persona, altre spese significative (oggetti d’arte e antiquariato, gioielli, donazioni, oneri veterinari, assegni periodici al coniuge), investimenti. Questo nuovo “strumento” accertativo individua una capacità contributiva più “vicina” all’effettiva capacità economica.
(8) Ad esempio, gli interessi passivi per mutui stipulati per l’acquisto della casa potranno concorrere alla determinazione sintetica del reddito solo nella misura effettivamente corrisposta, senza “subire” l’effetto moltiplicatore che aveva importato la determinazione di redditi irragionevoli (cfr. amplius C. Papa, Il nuovo redditometro, in Boll. Trib., 2012, 412).

Procedimento – Ricorsi – Impugnazione delle sentenze delle Commissioni tributarie – Termine lungo d’impugnazione ex art. 327 c.p.c. – Sospensione feriale dei termini processuali – Duplice sospensione qualora il termine iniziale non sia interamente decorso al sopraggiungere del successivo periodo di sospensione – Consegue.
Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Accertamento bancario fondato sulle risultanze dei conti correnti – Rilevanza dei dati ed elementi emergenti dai conti correnti intrattenuti dal contribuente ai fini della determinazione del reddito imponibile – Sussiste – onere di giustificazione da parte del contribuente, a prescindere dalla prova preventiva circa l’attività esercitata – Consegue.
Accertamento imposte sui redditi – Accertamento sintetico – Redditometro – Disponibilità di beni previsti dall’art. 2 del D.P.R. n. 600/1973 – Presunzione legale di capacità contributiva – Potere del giudice di escludere o affievolire la capacità presuntiva contributiva di tali elementi – Non sussiste – Potere del giudice di valutare la prova contraria offerta dal contribuente sulla provenienza non reddituale delle somme necessarie al mantenimento dei beni – Sussiste.

Per i termini mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma degli artt. 155, secondo comma, c.p.c., e 2963, quarto comma, c.c., il sistema della computazione civile, non “ex numero” bensì “ex nominatione dierum”, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare di quello corrispondente all’altro del mese iniziale, e analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini stessi, poiché in tal caso al termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327, primo comma, c.p.c., devono aggiungersi 46 giorni computati “ex numeratione dierum”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155, primo comma, c.p.c., e dell’art. 1, primo comma, della legge 7 ottobre 1969, n. 742, non dovendosi tenere conto di quelli compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno [nel regime antecedente alla modifica introdotta dall’art. 16, primo comma, del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 (convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162)], per effetto della sospensione dei medesimi termini processuali nel periodo feriale, con conseguente doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui, dopo una prima sospensione, il termine iniziale non sia decorso interamente al sopraggiungere di quello analogo successivo.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, se il titolare del conto non ne fornisca adeguata giustificazione, a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività e dalla natura lecita o illecita della medesima.
In tema di accertamento dei redditi ed ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, costituiscono elementi indicativi di capacità contributiva, tra gli altri, la disponibilità in Italia o all’estero di autoveicoli, nonché di residenze principali o secondarie, e la disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla medesima norma, costituisce una presunzione di capacità contributiva da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva, di talché una volta che il giudice tributario abbia accertato l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’Ufficio finanziario, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale, e quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente, delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Cicala, rel. Bognanni), 24 ottobre 2014, ord. n. 22634, ric. Agenzia delle entrate]

(Omissis) (1) – MOTIVI DELLA DECISIONE – 2. Innanzitutto va esaminata l’eccezione di carattere pregiudiziale sollevata dalla controricorrente, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile perché tardivo, posto che la sentenza impugnata era stata pubblicata il 16.6.2010 e il gravame proposto il 16.9.2011, e cioè a seguito della doppia sospensione feriale circa il c.d. termine lungo ex art. 327 c.p.c..
L’eccezione è infondata. Invero per i termini mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma degli artt. 155, secondo comma, cod. proc. civ. e 2963 quarto comma, cod. civ., il sistema della computazione civile, non “ex numero” bensì “ex nominatione dierum”, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare di quello corrispondente all’altro del mese iniziale. Analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini stessi. Infatti, in tal caso, al termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327, primo comma, cod. proc. civ., devono aggiungersi 46 giorni computati “ex numeratione dierum”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155, primo comma, stesso codice e dell’art. 1, primo comma, della legge 7 ottobre 1969, n. 742, non dovendosi tenere conto di quelli compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno per effetto della sospensione dei medesimi termini processuali nel periodo feriale. Ne consegue che si verifica il doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui, dopo una prima sospensione, il termine iniziale non sia decorso interamente al sopraggiungere di quello analogo successivo, come nella specie, in cui l’altro scadeva proprio il 16.9.2011 (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 22699 del 4/10/20/2013, n. 11491 del 2012).
3. Ciò premesso, col primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 38, commi 4 e 6, D.P.R. n. 600/73, in quanto la CTR non considerava che gli accertamenti erano scaturiti dalle varie operazioni immobiliari e mobiliari compiute dalla contribuente mediante la movimentazione dei depositi bancari, che denotavano capacità contributiva, e cioè reddito, peraltro mai dichiarato dal 1993, senza che la medesima avesse fornito prova dei suoi assunti, nonostante il relativo onere gravasse su di lei, circa l’eventuale pagamento delle imposte o l’esenzione di quei capitali.
Il motivo è fondato. Infatti in tema di accertamento delle imposte sui redditi, i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 se il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, come nella specie, a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività e dalla natura lecita o illecita della medesima (V. pure Cass. Sentenze n. 10578 del 13/05/2011 (2), n. 18081 del 2010 (3)).
Perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto su tale punto.
Col secondo motivo la ricorrente denunzia il vizio di omessa motivazione, poiché il giudice di appello aderiva acriticamente agli assunti dell’appellante senza delibare le questioni prospettate dall’appellata in ordine alla sussistenza di numerosi elementi a carico della contribuente, in particolare il redditometro, nonostante che alcuna prova S. avesse fornito circa l’eventuale esenzione dei capitali ovvero la loro sottoposizione a tassazione.
La censura, ancorché in parte assorbita dal primo motivo, tuttavia ha pregio, atteso che il secondo giudice non enunciava compiutamente il percorso argomentativo, attraverso cui perveniva al giudizio relativo alla mancata considerazione delle osservazioni dell’appellata, nonostante l’inversione dell’onere della prova nel senso suindicato, che pare non essere stata fornita. Invero in tema di accertamento dei redditi, costituiscono – ai sensi dell’art. 2 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo applicabile nella fattispecie “ratione temporis” – “elementi indicativi di capacità contributiva”, tra gli altri, specificamente la “disponibilità in Italia o all’estero” di “autoveicoli”, nonché di “residenze principali o secondarie”. La disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce, quindi, una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una “capacità contributiva”. Pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma; il che non avveniva nella specie (cfr. anche Cass. Sentenze n. 18081 del 4/8/2010 (4), n. 16284 del 23/7/2007 (5)).
Dunque la decisione impugnata non risulta motivata in modo adeguato e giuridicamente corretto su tale punto.
4. Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
5. Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Lazio, altra sezione, per nuovo esame.

(1) Il testo integrale dell’ordinanza in oggetto è rinvenibile in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 13 maggio 2011, n. 10578, in Boll. Trib., 2012, 1031.
(3) Cass. 4 agosto 2010, n. 18081, in Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib. On-line.
(5) Cass. 23 luglio 2007, n. 16284, in Boll. Trib. On-line.

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