26 Gennaio, 2016

 

A distanza di pochi mesi, dopo la sentenza 23 dicembre 2014, n. 27314, già oggetto di un nostro commento critico (1), la Suprema Corte, questa volta con ordinanza (2), si pronuncia nuovamente in tema di dichiarazioni di terzi nell’ambito del processo tributario.

Il principio di diritto, che sarebbe stato violato dalla sentenza d’appello impugnata, è il seguente:

«nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione, va riconosciuto non soltanto all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente, con il medesimo valore probatorio, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa».

In realtà, a ben vedere, si tratta di una pluralità di affermazioni di principio:

a) il divieto di prova testimoniale, posto dall’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non esclude il potere di introdurre, nel processo tributario, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale;

b) a queste va riconosciuto il valore proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione;

c) detto potere va riconosciuto non soltanto all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente, con il medesimo valore probatorio, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa.

Analizziamo, sia pur brevemente, ognuno dei punti evidenziati.

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Per quanto riguarda il punto a), può ribadirsi, come precisato dalla stessa Cassazione in altre occasioni (3), che la disposizione in parola, “– a tenore della quale nel giudizio” tributario “‘non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale’ – in quanto limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni, vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione qualificata che, richiedendo la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo, assume, solo se assunta con tali formalità, un particolare valore probatorio” (4).

L’affermazione in parola è certamente corretta, come risulta, innanzitutto, dalla circostanza che diverse disposizioni tributarie prevedono l’“utilizzo” di dichiarazioni di soggetti terzi rispetto al rapporto di imposta, sia con riguardo all’istruttoria amministrativa (art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; art. 51 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), sia con riguardo a quella processuale (art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992), sia esplicitamente (si pensi per tutte all’appena citato art. 7, che espressamente parla di richiesta di “dati, informazioni e chiarimenti”), sia implicitamente (si pensi, ad esempio, agli artt. 33, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, e 63, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, che consentono – previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che può essere concessa anche in deroga all’art. 329 c.p.p. relativo all’obbligo del segreto – alla Guardia di finanza di trasmettere agli Uffici – e conseguentemente a questi ultimi di utilizzare – “documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria”: evidentemente, le norme in questione fanno riferimento anche a informazioni di carattere testimoniale acquisite nel corso di indagini penali; ancora, si pensi a quelle norme che consentono agli Uffici l’utilizzazione “dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a” loro “conoscenza”: cfr. artt. 39, comma 2, e 41, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973; art. 55, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972).

In secondo luogo, occorre rilevare che l’art. 7, comma 4, non vieta in generale “il giuramento e la testimonianza”, bensì “il giuramento e la prova testimoniale”, che tecnicamente – come specificato dalla stessa Cassazione in proposito – è quella assunta (ex artt. 244 ss. c.p.c.) nel processo, dinanzi al giudice e previo giuramento (e che, tenuto conto delle garanzie di veridicità che la caratterizzano (5), “assume, solo se assunta con tali formalità, un particolare valore probatorio”, potendo, se del caso, da sola fondare la decisione del giudice) (6).

Quanto sino ad ora osservato porta dunque a ritenere utilizzabili, nonostante il divieto di prova testimoniale nel giudizio tributario, le dichiarazioni provenienti da soggetti terzi rispetto al rapporto d’imposta, sia nella fase – precedente – dell’accertamento, sia nella fase – successiva ed eventuale – del processo. Non è dunque accoglibile la tesi volta viceversa a sostenerne l’inutilizzabilità nel processo de quo, pur se affermata in talune interpretazioni (7).

Per quanto concerne il punto b), l’affermazione è una conseguenza “necessitata” di quanto specificato al punto precedente, ed è il risultato del seguente percorso interpretativo:

1) le norme sopra indicate inducono a ritenere utilizzabili, sia nel procedimento, sia nel processo tributario, dichiarazioni a contenuto testimoniale provenienti da soggetti terzi (8) rispetto al rapporto tributario in contestazione;

2) il divieto di prova testimoniale, sancito dal comma 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, va inteso, infatti e conseguentemente, come divieto di diretta assunzione, secondo le formalità e le garanzie previste dal codice di rito, di testi innanzi al giudice tributario, formalità sole che consentono di attribuire alla testimonianza così resa – appunto dinnanzi al giudice, nel rispetto del principio del contraddittorio (9) (art. 111, comma 2, Cost.), e non viceversa assunta unilateralmente da una delle parti – valore di piena prova, idonea a dare fondamento alla decisione del giudice stesso;

3) dunque, a dette dichiarazioni – pur essendo ammissibili ed utilizzabili nel giudizio tributario – non può attribuirsi il medesimo valore probatorio della prova per testi, dovendosi viceversa considerare le stesse come “meri indizi” o “argomenti di prova” (10), da soli (cioè non confortati da ulteriori riscontri probatori) non sufficienti a fondare la sentenza (e, prima, l’avviso di accertamento) (probatio inferior)(11).

Pur non affrontando in modo specifico la problematica, l’ordinanza n. 5018/2015 – implicitamente, ma di certo correttamente – sembra dunque non accogliere le conseguenze “estreme” cui conduce, invece, la già citata sentenza n. 27314/2014 (12); quest’ultima, equiparando le dichiarazioni di terzi alle presunzioni, finisce per riconoscere alle stesse, in presenza di determinate circostanze (13), il requisito della “gravità, precisione e concordanza” – ai sensi dell’art. 2729 c.c. – e quindi l’idoneità a dare fondamento, da sole, alla sentenza del giudice (a prescindere, dunque, dalla sussistenza di altri elementi probatori a “sostegno”), oltreché – prima – all’avviso di accertamento.

Per quanto concerne infine il punto c), giustamente l’ordinanza in commento, sulla scia di altra giurisprudenza (14), nel rispetto dei principi costituzionali della difesa e della parità delle parti (artt. 24 e 111 Cost.), riconosce anche al contribuente la possibilità di introdurre nel processo tributario – al pari dell’Amministrazione finanziaria, e con pari valore probatorio – dichiarazioni (scritte) di terzi a sostegno delle proprie ragioni. Come noto, il mezzo “utilizzato” dal contribuente per introdurre nel processo dette dichiarazioni, a sé favorevoli, è, di regola, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà; proprio per i motivi prima indicati (rispetto del diritto di difesa, parità delle parti), non può pertanto accogliersi quell’interpretazione, pure sostenuta in giurisprudenza (15), secondo cui “la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di qualsiasi efficacia in sede giurisdizionale (16). Più specificamente, nel contenzioso tributario, la attribuzione di efficacia probatoria alle dichiarazioni sostitutive di notorietà trova ostacolo invalicabile nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 (nuovo processo tributario), giacché finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento, oltre che di prova testimoniale, sancito dalla richiamata disposizione – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo”. Infatti, come già avevamo avuto modo di precisare, “delle due l’una: o si esclude qualsivoglia efficacia probatoria alle dichiarazioni di terzi trasfuse in un documento, a prescindere dalla circostanza che questo sia rappresentato dal processo verbale di constatazione dell’Ufficio finanziario o della Guardia di finanza – e dunque a prescindere dalla circostanza che tali dichiarazioni siano invocate a proprio favore dall’Amministrazione finanziaria o dal contribuente – … ovvero vi è una palese incostituzionalità della ricostruzione che vieta detta efficacia solo qualora ad avvalersene possa essere il contribuente” stesso (17).

La conseguenza necessitata di quanto sino ad ora osservato è che bisogna ammettere l’utilizzabilità di dichiarazioni (scritte) di terzi nel processo tributario, a favore di entrambe le parti, con identica efficacia probatoria (quella dei “meri indizi” o “argomenti di prova”).

Per concludere, è necessario precisare che, anche così ragionando, non può comunque ritenersi raggiunta una assoluta parità tra le parti processuali: infatti, occorre ricordare che, “mentre l’Amministrazione finanziaria è fornita di poteri sanzionatori nei confronti dei terzi ai quali rivolgere richieste di «dati, notizie e chiarimenti» (18) (che, se contenuti in un processo verbale, godono degli effetti probatori attribuiti agli atti pubblici dall’art. 2700 c.c.) (19), analoghi poteri non spettano al privato, il quale dovrà ‘sperare’ nella buona volontà del terzo a sottoscrivere una dichiarazione concernente fatti a lui favorevoli” (20).

L’occasione per eliminare questo, come gli altri inconvenienti ricollegabili al divieto di prova testimoniale (21) sancito dal comma 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, potrebbe essere rappresentata (22) dall’attuazione della delega fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23), anche se, effettivamente, tale “intervento” non è esplicitato tra i principi e criteri direttivi di cui all’art. 10, rubricato “Revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali”. La norma, peraltro, nel suo incipit statuisce che “Il Governo è delegato ad introdurre … norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente”, e certamente questa può essere rafforzata anche eliminando l’anacronistico divieto di prova testimoniale, la quale può risultare indispensabile in tutti quei casi in cui la stessa sia l’unica prova a sua disposizione (considerando che, in determinate ipotesi, potrebbe essere anche l’unica a disposizione della stessa Amministrazione finanziaria) (23) (24).

Prof. Avv. Andrea Colli Vignarelli

(1) Colli Vignarelli, Le dichiarazioni di terzi possono, da sole, fondare la decisione del giudice tributario?, in Boll. Trib., 2015, 298 ss.

(2) Cass., sez. VI, 12 marzo 2015, ord. n. 5018, in Boll. Trib., 2015, 629.

(3) Così Cass. n. 27314/2014, cit. Nello stesso senso v. anche Cass., sez. VI, 27 febbraio, 2015, n. 4123, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 12 novembre 2014, n. 24079, ivi; Cass., sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2916, in Boll. Trib., 2013, 884, oggetto di un nostro commento, Colli Vignarelli, Dichiarazioni di terzi, intercettazioni telefoniche e giudizio tributario, ibidem, 804 ss.

(4) Nello stesso senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza 21 gennaio 2000, n. 18 (in Boll. Trib., 2000, 311 ss.) – dichiarativa delle legittimità costituzionale del divieto di prova testimoniale di cui al comma 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 – ove si legge che “

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le dichiarazioni di cui si tratta – rese al di fuori e prima del processo – sono essenzialmente diverse dalla prova testimoniale, che è necessariamente orale e di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio. La norma denunciata non può perciò essere interpretata nel senso di ricomprendere nella sua previsione anche l’inammissibilità di tali dichiarazioni”.

(5) In considerazione anche della “visione diretta” del teste da parte del giudice e della “minaccia” costituita dalla previsione del reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.). In proposito, circa la relativa attendibilità e valenza, è evidente la differenza che esiste tra la semplice lettura, da parte del giudice, di una dichiarazione scritta di terzo, e il suo esame testimoniale diretto; sul punto cfr. Moschetti, Utilizzo di dichiarazioni di terzo e divieto di prova testimoniale nel processo tributario, in Dir. prat. trib., 1999, II, 17 ss., spec. 35 s. Sull’importanza – con riferimento alla valutazione della veridicità della prova testimoniale – del“l’osservazione del comportamento del teste durante l’esame, delle sue reazioni alle domande, della sicurezza delle risposte”, v. Schiavolin, L’inammissibilità della testimonianza e l’utilizzazione della scienza dei terzi nel processo tributario, in Riv. dir. fin., 1989, 562; in proposito v. anche Marcheselli, Testimonianza scritta e deposito di documenti in appello, in Corr. trib., 2009, 2698.

(6) Anche nella vigenza del D.P.R. n. 636/1972, in dottrina vi era chi riteneva che l’esclusione della prova testimoniale, disposta dall’art. 35 dello stesso D.P.R., concernesse solo la prova per testi così come prevista dalla normativa del codice di rito: cfr. Glendi, I poteri del giudice nell’istruttoria del processo tributario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, I, 948 s.; ID., Processo tributario, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, XXIV, 10; Salvaneschi, Sub art. 35, in Glendi (a cura di), Commentario delle leggi sul contenzioso tributario, Milano, 1990, 775.

(7) Cfr. Bafile, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, 143; A. Finocchiaro – M. Finocchiaro, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 124, nota 50; Moschetti, op. cit., spec. 19 e 37; Tesauro, Prova (diritto tributario), in Enc. dir., Milano, 1999, Aggiornamento, III, 890; ID., Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Torino, 2006, 385, ove si trova affermato che “il divieto di prove testimoniali dovrebbe comportare l’irrilevanza, nel processo tributario: a) delle dichiarazioni orali di terzi riprodotte nei processi verbali della Guardia di finanza o dell’Amministrazione finanziaria; b) delle dichiarazioni di terzi, riprodotte per iscritto, e introdotte nel processo con il documento che le riproduce”.

(8) Con specifico riferimento alle “dichiarazioni assunte dall’ufficio in sede di accertamento”, afferma che, “sebbene non abbiano la forma della testimonianza (perché non assunte dal giudice e non assistite da giuramento), di essa hanno certamente la sostanza”, Parlato, Considerazioni sui limiti all’acquisizione di prove nel procedimento e nel processo tributario, in Scritti di diritto tributario, Bari, 2010, 53.

(9) Afferma che è “poco plausibile giungere ad attribuire” alle dichiarazioni scritte di terzi – pur se auspicabile nei casi in cui la testimonianza appare l’unico strumento per l’accertamento di un determinato fatto, in considerazione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. – “acquisite senza la garanzia del contraddittorio, il medesimo valore attribuibile alla testimonianza”, Zizzo, Il regime delle prove e il giusto processo, in Rass. trib., 2013, 476.

(10) Fanni, Le “dichiarazioni sostitutive di atto notorio” nel processo tributario, in Rass. trib., 2009, 1379, dopo aver precisato che “da più parti si è evidenziato l’errore formale nel quale sarebbe incorsa la Consulta” – nella già citata sentenza n. 18/2000 – “attribuendo il nomen di indizi (o elementi indiziari) alle dichiarazioni verbalizzate in fase extraprocessuale”, prosegue affermando che “se quello di indizi o elementi indiziari è il nomen attribuito dalla Corte alle dichiarazioni prodotte nel fascicolo processuale, il valore giuridico alle stesse assegnato … parrebbe esser quello tipico dei c.d. argomenti di prova. Nell’interpretazione generalmente condivisa questi ultimi non sono dotati della forza probatoria sufficiente a fondare una decisione, ma possono essere utilizzati dal giudice per rafforzare il risultato desumibile dalle altre prove acquisite agli atti del giudizio”.

(11) Cfr. in tal senso, tra le tante, da ultimo, Cass. n. 4123/2015, cit., ove si trova affermato che “nel processo tributario le dichiarazioni di persone informate dei fatti non possono assumere il valore di testimonianze e quindi di vere e proprie prove in quanto il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, esclude la prova testimoniale da assumere nel processo – che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio”. Tuttavia, “il principio non implica la inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da ‘terzi’, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario. Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi”.

(12) Ed altre pronunce precedenti: cfr. ad esempio Cass., sez. trib., 5 maggio 2011, n. 9876, in Boll. Trib. On-line, già oggetto di un nostro commento critico (Colli Vignarelli, Dichiarazioni di terzi, intercettazioni telefoniche e giudizio tributario, cit., 808 s.).

(13) In particolare, quando le dichiarazioni in questione abbiano valore confessorio, essendo in tal caso fornite di una particolare attendibilità, in quanto di contenuto tale da risultare contrarie all’interesse dello stesso dichiarante.

(14) Tra le altre, Cass., sez. trib., 16 maggio 2007, n. 11221, in Corr. trib., 2007, 2360 ss., con nota di Pistolesi, L’efficacia probatoria delle informazioni rese da terzi nel processo tributario, nonché in Boll. Trib., 2008, 156, con nota di Iannaccone, La valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi e il giusto processo tributario; Cass., sez. trib., 27 marzo 2013, n. 7707, ivi, 2013, 1346, con nota di Brighenti, Le dichiarazioni (scritte) di terzi nel processo tributario; Cass. n. 4123/2015, cit., ove si afferma che “va riconosciuta la possibilità per il contribuente, in un sistema processuale fondato sulla parità delle parti, di introdurre in giudizio eventuali dichiarazioni extraprocessuali del terzo a suo favore, ancorché rilasciate al contribuente stesso o a chi lo assiste (sentenza n. 4423 del 26 marzo 2003). Del resto (sentenza n. 5957 del 15 aprile 2003), i principi del giusto processo come formulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost. garantiscono il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa e quindi impongono di riconoscere al contribuente, così come riconosciuto alla Amministrazione, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio di elementi indiziari che possono concorrere a formare il convincimento del giudice, pur non essendo idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione (cfr. Cass. 25 marzo 2002, n. 4269)”. Per la giurisprudenza di merito, v. Comm. trib. reg. della Puglia, sez. I, 15 maggio 2008, n. 63, in Boll. Trib. On-line, e in il fisco, 2008, 6166 ss., ove si legge che “per il principio di parità delle armi possono ricevere identica valorizzazione processuale sia le dichiarazioni contenute nei p.v.c. della Guardia di Finanza sia le dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale” a favore del contribuente, “non essendoci violazione alla disciplina della prova testimoniale”.

(15) Cass., sez. trib., 17 giugno 2008, n. 16348, in Rass. trib., 2008, 1675 ss., con nostro commento critico (Colli Vignarelli, La Cassazione si pronuncia sulla (in)ammissibilità delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario, ivi, 1678 ss.), e in Boll. Trib. On-line; per una critica a tale sentenza v. anche Marcheselli, Esclusa l’efficacia probatoria della dichiarazione di notorietà nel processo tributario, in Corr. trib., 2008, 2927 ss.; Fanni, Le “dichiarazioni sostitutive di atto notorio” nel processo tributario, cit., 1368 ss.

(16) Nello stesso senso, v. Cass., sez. trib., 15 gennaio 2007, n. 703 (in Boll. Trib., 2007, 1395), richiamata dalla sentenza citata alla nota precedente.

(17) Colli Vignarelli, La Cassazione si pronuncia sulla (in)ammissibilità delle dichiarazioni di terzi, cit., 1685 s.

(18) Cfr. art. 11 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

(19) Afferma Fanni, Sub art. 7, in Codice commentato del processo tributario, a cura di Tesauro, Torino, 2011, 139, che “la ‘dichiarazione sostitutiva’ incorpora una dichiarazione di scienza, avente contenuto ‘paratestimoniale’, resa da un terzo in sede extraprocessuale. L’unica differenza rispetto a strumenti consimili (il … processo verbale di constatazione) attiene al grado di affidamento (quanto alla data, all’autenticità della firma, al fatto che le dichiarazioni furono effettivamente rese dal sottoscrittore) che è dato riporre nel ‘contenitore’”. Lo stesso Autore precisa (Fanni, Le “dichiarazioni sostitutive di atto notorio” nel processo tributario, cit., 1375, nota 27) che, “se guardiamo al processo tributario l’atto pubblico è la forma a mezzo della quale le dichiarazioni di terzi sono solitamente raccolte dall’Amministrazione finanziaria. I funzionari dell’Agenzia delle Entrate e i militari della Guardia di finanza assumono infatti la qualifica di pubblici ufficiali durante la fase di verifica, sicché le dichiarazioni raccolte nel corso della stessa godono dei vantaggi offerti dal massimo grado di affidamento che è dato riporre ex lege nel ‘contenitore’”; inoltre, che “la certezza, fino a querela di falso, in ordine a tali elementi riferibili al ‘contenitore’” (citati sopra: data, firma, …) “può ben essere ottenuta dal contribuente utilizzando le forme della scrittura privata autenticata (artt. 2703 e 2704 del codice civile) o dell’atto pubblico (artt. 2699 e 2700 del codice civile)”.

(20) Colli Vignarelli, I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, Bari, 2002, 165.

(21) Sul punto si rinvia a Colli Vignarelli, op. ult. cit., 164 ss.

(22) Come avevamo già avuto modo di precisare in Le dichiarazioni di terzi possono, da sole, fondare la decisione del giudice tributario?, cit., 302.

(23) Per un’ipotesi in cui la prova testimoniale risultava “indispensabile” all’Amministrazione finanziaria, v. la sia pur risalente ordinanza della Comm. trib. prov. di Chieti, sez. IV, 7 settembre 1998 (in Boll. Trib. On-line), di rimessione alla Consulta della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992, “nella parte in cui prevede indiscriminatamente l’inammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario e, quindi, anche quando tale mezzo istruttorio – secondo la motivata valutazione del giudice – si riveli indispensabile per dimostrare un fatto decisivo ai fini della risoluzione della controversia in senso favorevole alla parte interessata”; infatti, nel caso di specie – osserva il giudice remittente – “il mancato espletamento della prova testimoniale si risolverebbe ineluttabilmente nella soccombenza dell’ente impositore”.

(24) Un’esemplificazione di casi in cui la dottrina ha ravvisato l’indispensabilità della prova testimoniale si trova in Fanni, Sub art. 7, cit., 136. Tra questi, l’Autore indica il caso delle “valide ragioni economiche in operazioni delle quali sia contestata la natura elusiva”; sul punto non può farsi a meno di rilevare che la stessa legge delega n. 23/2014 prevede, tra i principi e criteri direttivi [art. 5, comma 1, lett. d)] la disciplina del “regime della prova ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare” (e provare) “l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti”.

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