2 Novembre, 2016

Moderno: Massì, continuiamo pure a farci del male.
Antico: A cosa alludi?
M: Non fare lo “gnorri”. A quel monumento di politically correct che è la sentenza delle Sezioni Unite numero 24823 del 9 dicembre scorso (1), ancora fresca di stampa e già grondante del mio sangue. Lo sai: pur elegantemente sponsorizzata in direzione diametralmente opposta dall’ordinanza che l’ha sollecitata – va da sé, con il savoir faire che deve circondare ordinanze del genere – la pronuncia ha escluso che l’obbligo di attendere lo spirare dei fatidici sessanta giorni, pena la nullità dell’atto, dopo la consegna del processo verbale di constatazione e prima della notifica dell’avviso di accertamento, valga anche per le verifiche a tavolino oltre che per quelle esperite nei locali dell’azienda o dello studio professionale.
A: Le uniche, ti ricordo, cui si rivolge espressamente l’articolo 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente (2).
M: Appunto: «espressamente». Non sai quanto, inavvertitamente, tu abbia urtato il vero nervo scoperto.
A: Non ti capisco. Ammetti anche tu che c’è una profonda differenza, quindi uno squilibrio di posizioni, fra controlli eseguiti tramite accesso alla sede aziendale, con tutta l’invasività che tiene loro dietro, e controlli effettuati dietro la scrivania.
M: Eh no, neanche questo ti concedo. E sai perché? Perché in entrambe le situazioni, anzi forse paradossalmente di più quando l’Amministrazione opera inaudita e insciente altera parte, il contribuente rischia di trovarsi in balia degli eventi, esposto agli esiti di una inchiesta condotta sott’acqua, attinta e appesa a fattori imponderabili e incontrollabili, che emergono solo a cosa fatte, quando lui non può più dare quel contributo al miglioramento del servizio e del prodotto che pure è una componente essenziale finalmente riconosciuta in coro dalla giurisprudenza. Rimedita, ti prego, il brano dell’ordinanza con cui il quesito è stato sottoposto alle Sezioni Unite (3); ci troverai scritto che le cosiddette verifiche a tavolino sono quelle «effettuate presso la sede dell’Ufficio in base alle notizie (e alla relativa documentazione di supporto) acquisite presso altre pubbliche amministrazioni o presso terzi o fornite dallo stesso contribuente». Ebbene, non negherai che il contribuente avrebbe diritto a illustrare le notizie che ha trasmesso di sua iniziativa, e che potrebbero venire inopinatamente travisate; e soprattutto a conoscere, e magari confutare in tempo utile, quelle fornite dalle «altre pubbliche amministrazioni» o da presunti «terzi» informati sulle cose sue (4); prima, quanto meno, che in fretta e furia debba correre dall’avvocato e tentare di capirci qualcosa.
A: Spiace, ma dura lex sed lex.
M: Allora non vuoi proprio capire. A prescindere dal fatto che esiste una norma che statuisce come obbligatoria la constatazione dei rilievi attraverso il processo verbale, e questa norma – l’articolo 24 della legge numero 4 del 1929 (5) – ancora recentemente è stata definita in vigore da più che qualificata giurisprudenza (6), e di conseguenza sarebbero banditi casi di verifiche, in loco o a tavolino che siano, non chiuse con l’emissione di un processo verbale di constatazione; a prescindere per carità di patria da questa non secondaria riflessione, è lo stesso diritto vivente che, agganciandosi ai precetti costituzionali, dà per acquisiti alcuni punti fermi. Il primo: che il contatto, il confronto, la dialettica preventivi fra contribuente e Ufficio sono proficui al migliore esercizio dell’attività impositiva «anche in termini di deflazione del contenzioso» (7) e dunque contribuiscono a vitalizzare appieno il canone del buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’articolo 97 della Costituzione; oltre a quello, contestuale, dell’imparzialità, che è a sua volta un risvolto non dappoco, perché qualche malintenzionato potrebbe giocherellare evitando ad arte l’accesso in modo da aggirare l’obbligo di spiccare il verbale di constatazione.
A: Maligno!
M: Proseguo. Secondo punto fermo: il contraddittorio endoprocedimentale si colloca sì all’interno di una fase ancora precontenziosa, ma è di vigoroso ausilio in vista dell’eventuale processo, un processo, quello tributario, amputato della fase istruttoria e sostanzialmente monco della potestà del giudice di acquisire motu proprio le prove (8); ergo – e neanche questa è una mia levata d’ingegno, è un preciso assunto della Suprema Corte – la decisione partecipata (che, beninteso, è altra cosa da “condivisa”) non è affatto avulsa dal campo di applicazione dell’articolo 24 della Costituzione, eretto a presidio di ogni difesa giudiziale (9). Specie se si innesta linearmente nella trama dello Statuto: dimentichi, oltre al 12 (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali), gli articoli 5 (Informazione del contribuente), 6 (Conoscenza degli atti e semplificazione), 7 (Chiarezza e motivazione degli atti) e 10 (Tutela dell’affidamento e della buona fede)? È o non è, il colloquio fra i soggetti interessati, il momento e il luogo della realizzazione dei valori di lealtà, trasparenza, reciproco rispetto, non ultimo dell’efficienza complessiva del sistema?
A: Scommetto che, nel tuo febbrile e un po’ patetico arrampicarti sugli specchi, mi citerai anche la legge 7 agosto 1990, n. 241, sulla semplificazione dei procedimenti amministrativi e sul diritto di accesso.
M: Perché no? Non mi fa certo paura la tua prevedibile obiezione – frusta e scontata anzichenò, mi darai atto – per cui le norme sulla partecipazione non si applicherebbero alla materia tributaria.
A: Lo dice chiaramente l’articolo 13 (10).
M: Lo conosco: al secondo comma.
A: Ergo ne è escluso, fra gli altri, l’articolo 10-bis, che, nei procedimenti amministrativi a istanza di parte, obbliga il responsabile del procedimento a comunicare tempestivamente i motivi ostativi all’accoglimento prima di formalizzare il diniego.
M: Il tuo solito errore di prospettiva. All’inizio degli anni Novanta, per il nostro ordinamento, l’idea della partecipazione paritaria di privato e pubblico al confezionamento del provvedimento era pionieristica (benché pur sempre tardiva), addirittura rivoluzionaria. E inoltre branca amministrativa e branca tributaria erano inquadrate come comparti rigorosamente distinti, anche se già a quei tempi andava profilandosi il rapporto di genus a species che oggi è sulla bocca anche degli studenti al primo anno. Parliamo di più di un quarto di secolo fa, dieci anni prima dello Statuto dei diritti del contribuente: la materia tributaria era troppo delicata, scottante per le implicazioni toccate (lo è ancora oggi, ad essere sinceri) perché il legislatore si azzardasse ad assimilarla in un unico calderone. Molti dei valori affermati con la legge 241 sono ora patrimonio indissolubile dell’intero ordinamento, senza distinzioni e sottigliezze da compassati soloni. Torno a dire: il magistero europeo ci ha già ripreso più volte nella nostra ostinazione ad arroccarci sui termini, a fermarci alla lettera negandoci allo spirito della legge.
A: Addirittura Montesquieu, veleggiamo alto.
M: Ascolta. Quante volte le Corti di Giustizia europee hanno scompaginato il nostro comune modo di concepire tenore e portata di istituti codificati? Pensa alla ormai celebre questione della sanzione penale, che, in certe situazioni, è tale anche se … nominalmente amministrativa (11). Pensa che salto dai tempi dell’Antolisei!
A: Spirito da cogliere, comunque e sempre, dentro la legge. Semmai al di là della legge, ma senz’altro non contro.
M: Non discuto. Non scordarti, però, che anche i forcaioli sono ricorsi allo spirito della legge. Penso all’abuso del diritto: si diceva che era un postulato del comandamento «non sottrarre materiale imponibile», corollario del «suum cuique tribuere» di giustinianea memoria e trasfuso nell’articolo 53 della Costituzione (12). Articolo 53 ridotto a una stiva in grado di contenere di tutto, invece dice semplicemente che le tasse le deve pagare ognuno di noi, secondo le sue forze. Guarda, sono il primo a credere nel primato del diritto positivo, ma anche il primo a rifiutarsi di forzarne la valenza, specie su un tema arduo come il rapporto diretto contribuente-ente impositore. E dire …
A: Un altro esempio?
M: Sì, e tratto proprio dal brulicante terreno dell’articolo 12. Se ti preme tanto il legame con il dato testuale, ricorda che la norma non parla, non ha mai parlato di “nullità”, neanche a proposito di infrazione al termine dilatorio dei sessanta giorni per gli accertamenti intra moenia: alla nullità ci è arrivata la giurisprudenza, afferrandone lo spirito; e superando il fuoco di sbarramento di numerosi Collegi (13).
A: Proprio non ti vuoi arrendere. Per un paio di sentenze che mi sciroppi a tuo pro (14), te ne potrei snocciolare una sequenza molto più corposa (15), su tutte la capostipite nell’escludere la presenza di una clausola generalizzata di obbligo di contraddittorio preventivo (16). Conosco però la tua testardaggine e ci rinuncio.
M: Forse perché ti preme glissare su un eloquente passaggio di una delle decisioni che vanti nel tuo schieramento, quella che dice così, pari pari: «L’intervento del privato nel procedimento si realizza nell’ambito dell’esercizio di poteri autoritativi e si inserisce pertanto in un rapporto che non è paritetico ma di supremazia/soggezione» mentre «il principio del contraddittorio postula la equiordinazione delle parti contrapposte e la necessità di un soggetto terzo che garantisca la parità delle armi» (17). Un’aberrazione. Mi sembra di essere tornato all’età della clava. Lode quindi a chi dice invece: «Forse» – io eliminerei il “forse” – «non è in gioco solo la posizione patrimoniale di alcuni probabili evasori fiscali; è in gioco la concezione del rapporto tra lo Stato e coloro che allo Stato sono soggetti» (18). Approvi?
A: Piuttosto, mi punge un’altra, seccante impressione. Sento che stai per scomodare i massimi sistemi, Corte di Giustizia e Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, magari gli articoli 41, 47 e 48. La solita tiritera.
M: È troppo ricordarti che il 41 della Carta scandisce il Diritto a una buona amministrazione, stabilendo al paragrafo 2 che «tale diritto comprende in particolare il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio»? E che il 47 si intitola Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale? E infine che il 48 pone la Presunzione di innocenza e diritti della difesa?
A: E tu non scordarti che sono state le stesse Sezioni Unite ad ancorare a filo doppio la condotta amministrativa al principio di legalità, da esercitare secondo modalità “tipiche e formali”. Distaccandosi dallo schema edittale, il provvedimento piomba inevitabilmente nell’invalidità per violazione di legge.
M: Non però se lo scopo è corretto e genuino, cioè finalizzato a rinforzare e non a conculcare i diritti.
A: Ahi ahi ahiai. Sento puzzo di «lettura costituzionalmente orientata».
M: Bravo. Lettura su cui è ormai da non meno di un ventennio che la Corte Costituzionale batte con insistenza, sanzionando con l’inammissibilità della richiesta il difetto di preventiva ricerca, da parte del giudice rimettente, di una credibile forma di compatibilità fra norma ordinaria e norma costituzionale (19).
A: Sforzo del tutto impraticabile nel caso presente perché – e neanche questo pensiero è farina del mio sacco, quindi insospettabile – si tradurrebbe in interpretazione abrogans. Vietatissima.
M: Errore nell’errore. Si tratta non di interpretazione estensiva, ma di «interpretazione analogica tendente a colmare la lacuna di regolazione del contraddittorio endoprocedimentale nelle verifiche a tavolino» (20). In virtù di un «superiore principio generale di derivazione anche comunitaria», ergo indipendentemente dall’esistenza di norme specifiche.
A: Le quali nondimeno ci sono. A dimostrazione che senza di loro, nelle fattispecie disciplinate, quel principio naufragherebbe.
M: Vale l’opposto: a dimostrazione che di quel principio sono necessaria esternazione. Purtroppo questo andazzo, di scavare il pavimento sotto i piedi della controparte privata, non è invenzione di ieri.
A: A cosa ti riferisci?
M: A quell’altro aspetto dell’articolo 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente che, ai miei occhi, è tutt’altro che un dettaglio. Ricorderai che, quando le Sezioni Unite hanno bollato di nullità l’avviso ante tempus, hanno ammesso un’eccezione: l’urgenza dell’adozione (21).
A: Beh, converrai che si tratta di un equo contemperamento, giustificato dall’eccezionalità del contesto.
M: Converrei volentieri solo se, in capo all’erario, sussistesse l’obbligo di dichiararli, i motivi dell’urgenza, già nel corpo del provvedimento, in maniera tale da rendere il destinatario consapevole del – chiamiamolo così – dettaglio e su questo fronte egli si metta eventualmente il cuore in pace da subito, evitando dubbi e spese. E in maniera tale, lo dico benché mi disgusti l’idea, da scongiurare accomodamenti a posteriori, perché qualche urgenza la si può sempre escogitare. Questo il grosso limite di quell’arresto, altrimenti – non discuto – assai evolutivo.
A: Fragile parallelo. Torniamo alla “fresca” decisione delle Sezioni Unite.
M: Al bel compitino, vorrai dire: dove ogni concetto è esposto con chiarezza logica e linguaggio piano, frasi brevi e suddivisione in capitoli conclusi e scalettati (i destini luminosi e progressivi). Per dire, io che, mi conosci, sono un maniacale stanatore di refusi non ci ho trovato una virgola fuori posto, una parentesi non chiusa, un plurale mancato: insomma, mi ha anche tolto questo divertimento un po’ perverso.
A: E ti lamenti?
M: Sì. Perché a quella decisione, scusa il parolone, manca l’anima.
A: Eziandio, direbbe il poeta.
M: Il fatto è che, così facendo, si tradisce la centralità del ruolo che il sistema giuridico europeo, e non solo, affida al giudice. Voglio dire: se le architravi del nostro modo di pensare il diritto cambiano, se i paradigmi metodologici di riferimento si spostano, allora l’organo giudicante non può a sua volta che atteggiarsi diversamente rispetto al passato.
A: Vuoi dire che la Corte di Cassazione non è più il giudice della legittimità?
M: Non far finta di non capire. Dico che lo è a più forte ragione perché, nell’orizzonte continentale, la funzione «nomofilattica», in soldoni: di protezione della legge, si deve trasformare – anzi: per forza di cose, si è già trasformata, piaccia o non piaccia – in funzione «nomopoietica», di creazione della legge. Nella Rivista che è cara ad entrambi ho letto con intimo giubilo di un «diretto accesso giurisprudenziale ai principi, che caratterizza l’attuale fase dell’applicazione del diritto»; questo perché il legislatore interno «sovente non determina l’evoluzione giurisprudenziale ma la insegue, per recepirla, per regolarla» (22). Parole ispirate.
A: Il giudice creatore della legge? Orrore! E che ne è della separazione dei poteri? Perché non apprezzi come si conviene quel distinguo messo in opportuno rilievo dalla “fresca” decisione da te tanto biasimata, per cui «altro è interpretare il diritto nazionale secondo criteri comunitariamente orientati, altro è ritenere direttamente applicabili i principi di diritto eurounitario»? Devo ricordarti che il diritto dell’Unione europea non trova traduzione immediata nel diritto interno quando si verte su tributi non armonizzati, quali le imposte dirette?
M: A parte che, stando al tuo ragionamento, si sfondano i battenti del castello dell’IVA, che mi risulta essere un tributo armonizzato. A parte che sembri trascurare le parole dell’ordinanza di remissione, la numero 527 del 2015, dove – ti rinfresco la memoria leggendo testualmente – «… il collegio ritiene che sia del tutto ragionevole applicare ai procedimenti relativi a tributi non armonizzati i principi giuridici sul contraddittorio procedimentale di matrice eurounitaria, perché sarebbe» – ascolta bene – «innegabilmente stridente (e potrebbe forse destare qualche dubbio di legittimità costituzionale) differenziare il regime delle garanzie procedimentali del procedimento tributario in ragione della natura, armonizzata o meno, del tributo oggetto di accertamento». A parte tutto ciò, con riguardo ai tributi non armonizzati – quelli che, secondo te, mancano all’appello – nessuno mi venga a dire che rappresentano ostacoli insormontabili le concrete modalità di esplicazione del contraddittorio o le eventuali conseguenze. Falsi problemi entrambi: nel primo caso, anche qui basterebbe attivare il contatto, un contatto che responsabilizzi le parti una volta per tutte (così che, se il contribuente dovesse lasciarsi sfuggire l’occasione, peggio per lui); nel secondo, la sanzione per l’omissione è quella già pacificamente in essere per la situazione gemella, cioè la nullità insanabile dell’atto; o meglio: sanabile solo, in caso di rituale avvio del contenzioso giudiziale, ex articolo 156, terzo comma, del codice di procedura civile (23).
A: Peccato che, in caso di omesso contraddittorio, la giurisprudenza europea restringa la sanzione alla sola ipotesi di “lesione sostanziale”. Il contribuente deve cioè dimostrare che tale impedimento, consumatosi nella fase prodromica alla creazione dell’atto, gli ha impedito di portare argomenti vincenti a suo favore nella fase giudiziale (24).
M: Ma santo cielo, le sentenze, soprattutto se vengono da un diverso ambito culturale, bisogna saperle leggerle. Se no, si prendono cantonate colossali, come nel caso della sentenza Sabou (25).
A: Come come? La sentenza Sabou non ha forse insegnato, al punto 41, che «L’amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta a informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista» (26)?
M: Sicuro. Ma non ha mai detto che, dopo averle liberamente assunte, quelle informazioni, l’Amministrazione non ne debba mettere a parte l’interessato o gli interessati: il che è tutt’altro paio di maniche. Non divaghiamo. A proposito della condizione necessaria perché la mancanza di contraddittorio porti all’effettivo annullamento del provvedimento lesivo, hai parlato di “argomenti vincenti” che il contribuente deve gettare sul tappeto. Beh, sbagli di grosso. Che gli argomenti siano o meno vincenti, suscettibili – come per loro natura sono – di ampi sviluppi, integrazioni e approfondimenti nel corso del giudizio o dei giudizi, lo diranno gli organi esclusivamente deputati, cioè i giudici – ti ricordo la pluralità dei contenziosi che possono germinare da un unico rivolo fattuale. Pertanto ridimensioniamo le conclusioni, per cortesia: per volgere pollice verso alla mano pubblica – in questa prima, ma, come vedi, già determinante fase di contrapposizione – è sufficiente che, nella seconda tranche, quella del processo, le ragioni esposte non appaiano, secondo una prognosi ex ante, come lunari e dunque cavillose e meramente defatigatorie. Aggiungo, sulla base della mia trentennale esperienza di giudice tributario, che la condizione risulta assolta nella stragrande maggioranza dei casi, grazie anche – oggi – all’assistenza obbligatoriamente qualificata. In altri termini: la Costituzione garantisce l’esercizio della difesa, non della difesa vittoriosa. Vado più in là, ti concedo che sia la stessa sentenza numero 24823 del dicembre scorso ad allargare i cancelli, quando dice che una soluzione diversa «non appare convincente. Secondo l’indicata impostazione» – la tua, per intenderci – «infatti, la violazione del contraddittorio, quale vizio del procedimento amministrativo, risulterebbe, nella sostanza, deprivata di ogni rilevanza, venendo, in realtà, tutto rimesso (non diversamente da quanto avverrebbe in assenza della prescrizione dell’obbligo correlativo) alla capacità del contribuente di comprovare, in sede di confronto giudiziale, l’illegittimità per altri profili della pretesa fiscale o la sua infondatezza. E, in tal modo, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale risulterebbe, di per sé, in assoluto derubricato a precetto senza sanzione, in contrasto con la stessa configurazione offertane dalla Corte di Giustizia». Più chiara di così, la pronuncia delle Sezioni Unite non poteva essere. Per quanto contorte mi suonino le litoti che la infarciscono quando parla di «elementi difensivi non del tutto vacui e dunque non puramente fittizi o strumentali» e di una difesa «non puramente pretestuosa». Aiutano di più i toni asseverativi.
A: Ma allora di che ti lamenti, se la citi a mani basse?
M: Del suo braccino corto.
A: Cioè?
M: Di non aver fatto l’ultimo passo.
A: Che consisterebbe?
M: Nel proclamare che, se un principio è valido, e anzi incontestabile, è per intrinseca necessità categorico, ergo deve vigere in tutte le circostanze che vi si riconducono. Sostenere che la dicotomia fra tributi armonizzati e non armonizzati è insuperabile dal giudice nazionale «in via interpretativa» perché questa strada sarebbe «preclusa in presenza di un quadro normativo nazionale univocamente interpretabile nel senso opposto» non solo è proposizione erronea, ma materializza un cedimento del potere giudicante lasciando un sapore di “vorrei ma non posso” che contrasta con la potestà maieutica di una Corte regolatrice. Atteggiamento, in più, ricco di insidie.
A: Ad esempio?
M: Di perdere l’occasione di essere protagonisti di un cambiamento che è nelle cose. Nonché, peggio ancora, di farcelo imporre dall’esterno.

Avv. Valdo Azzoni

(1) Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, in questo stesso fascicolo a pag. 222, con nota di B. AIUDI, Il contraddittorio? Non ce lo possiamo permettere!
(2) Art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212: «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».
(3) Cass., sez. VI, 14 gennaio 2015, ord. n. 527, in Boll. Trib., 2015, 137, con nota di A. VOGLINO, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie, ivi, 146.
(4) Sulla insufficienza delle dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale a costituire da sole il fondamento della decisione, cfr. Cass., sez. VI, 12 marzo 2015, n. 5018, in Boll. Trib., 2015, 629.
(5) Art. 24 della legge 24 gennaio 1929, n. 4: «Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale».
(6) Cfr. Comm. trib. prov. di La Spezia, sez. II, 24 aprile 2015, n. 441, inedita.
(7) Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di V. AZZONI, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, ivi, 1432, F. DEL TORCHIO, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, ivi, 1434, e U. PERRUCCI, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, ivi, 1436. Sul suo tronco, cfr., ex pluribus, Cass., sez. trib., 17 aprile 2015, n. 7843, in Boll. Trib., 2015, 948, con nota di V. AZZONI, Il rilascio del processo verbale a garanzia dei diritti del contribuente, ivi, 949; e Cass., sez. trib., 29 gennaio 2014, n. 1869, in Boll. Trib., 2014, 699.
(8) Sugli spazi di manovra (presenti e futuri) accordati all’organo giudicante nell’acquisizione delle prove, ved. M. SCUFFI, I poteri istruttori del giudice tributario, in Boll. Trib., 2015, 1045.
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 5 aprile 2013, n. 8369, in Boll. Trib. On-line.
(10) Art. 13, secondo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241: «Dette disposizioni [quelle contenute nel capo, il III°, della legge, rubricato Partecipazione al procedimento amministrativo, cioè dall’art. 7 all’art. 13] non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano …».
(11) Ved. V. AZZONI, Il sistema del doppio binario (amministrativo e penale) nel regime sanzionatorio tributario: è tutto l’edificio che sta scricchiolando?, in nota a Trib. pen. Bologna, 21 aprile 2015 (ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale), in Boll. Trib., 2015, 1032. Ved. anche V. AZZONI, Ne bis in idem in materia sanzionatoria: la miccia è stata accesa, in nota a Trib. pen. Asti, 7 maggio 2015, n. 717, in Boll. Trib., 2015, 1351.
(12) Cfr. Cass., sez. trib., 6 marzo 2015, n. 4561, in Boll. Trib., 2015, 857.
(13) Per un excursus su dottrina e giurisprudenza, ved. V. AZZONI, Annullabilità, nullità e inesistenza dell’atto tributario, in nota a Cass., sez. trib., 18 settembre 2015, n. 18448, in Boll. Trib., 2015, 1591.
(14) Cfr. Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, in Boll. Trib., 2014, 1742, con nota di P. ACCORDINO, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari concepito come un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato, ivi, 1749.
(15) Contro l’obbligo dell’estensione del contraddittorio preventivo alle verifiche a tavolino, cfr., ex multis fra le più recenti, Cass., sez. trib., 10 giugno 2015, n. 12023; Cass., sez. trib., 8 luglio 2014, n. 15583; Cass., sez. trib., 13 giugno 2014, n. 13588; Cass., sez. trib., 12 febbraio 2014, n. 3142; Cass., sez. trib., 3 agosto 2012, n. 14026, tutte in Boll. Trib. On-line. Ad esse si può aggiungere, in ragione dell’ottica che vi presiede, Cass., sez. trib., 5 novembre 2013, ord. n. 24739, in Boll. Trib., 2013, 1684, con nota critica di V. AZZONI, Brevi, immediate riflessioni intorno a uno spiazzante “revirement” concettuale della Corte Suprema, ivi, 1685, la quale ha sollevato eccezione di incostituzionalità dell’art. 37-bis, comma 4, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dettato nell’ambito delle procedure antielusive, nella parte in cui è espressamente sanzionato di nullità l’avviso di accertamento che non sia stato preceduto dalla «richiesta al contribuente … di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta» stante l’incongruenza così asseritamente creatasi rispetto ad altre norme non corredate dalla medesima previsione di nullità, pur a loro volta prescrivendo l’inopponibilità all’erario di negozi stipulati con finalità elusive. Eccezione respinta dalla Consulta con la sentenza del 7 luglio 2015, n. 132, in Boll. Trib., 2015, 1272, con nota di V. AZZONI, Elusione fiscale e tutela del contribuente nell’accertamento ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, ivi, 1278, la quale ha evidenziato come il rispetto dei diritti di difesa costituisca «un principio generale del diritto comunitario, che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto per esso lesivo, con la conseguenza che i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione». Si veda anche Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, in Boll. Trib., 2010, 303, con nota di M. PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite, dove, una volta di più, l’obbligo del confronto discende non da una prescrizione ad hoc ma dalla peculiarità della casistica, caratterizzata dall’estrema fragilità probatoria degli studi di settore. Cfr. anche Cass., sez. trib., 8 aprile 2015, n. 6971, in Boll. Trib., 2015, 1190. Contra, con riferimento alle indagini bancarie, da concludersi necessariamente con consegna e sottoscrizione del processo verbale, cfr. Cass., sez. trib., 5 febbraio 2014, n. 2594, in Boll. Trib. On-line. Anche qui, però, il taglio dell’impostazione è diverso: il dovere di coinvolgimento del contribuente nasce non da un imperativo a monte, perentorio e assorbente, ma dal fatto che tutte le istruttorie a suo carico, per risultare di fatto sostenibili, devono transitare attraverso un processo verbale di constatazione, di talché l’obbligo finisce per essere ricompreso nel disposto dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000.
(16) Cfr. Cass., sez. trib., 29 dicembre 2010, n. 26316, in Boll. Trib. On-line.
(17) Cass. n. 3142/2014, cit.
(18) Ved. M. CICALA, Attività di accertamento e contraddittorio amministrativo: verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite, in Boll. Trib., 2015, 86.
(19) Giurisprudenza costante. Per tutti cfr. Corte Cost., 27 luglio 1989, n. 456, in Giur. cost., 1989, I, 2086, la quale, richiamando un ancora più remoto proprio precedente (Corte Cost. 3 giugno 1983, n. 148, ivi, 1983, I, 846), ha affermato che, pena l’inammissibilità della questione, «quando il dubbio di compatibilità con i principi costituzionali cada su una norma ricavata per interpretazione da un testo di legge, è indispensabile che il giudice a quo prospetti a questa Corte l’impossibilità di una lettura adeguata ai detti principi; oppure che lamenti l’esistenza di una costante lettura della disposizione denunziata in senso contrario alla Costituzione (cosiddetta “norma vivente”)».
(20) Ved. M. CICALA, Attività di accertamento…, cit., 92.
(21) Cfr. Cass. n. 18184/2013, cit.
(22) Ved. M. CICALA, Attività di accertamento…, cit., 87.
(23) Ved. L. LOVECCHIO, La nullità del controllo formale non preceduto dal contatto con il contribuente e la centralità del principio del contraddittorio preventivo, in Boll. Trib., 2014, 1492, in nota a Cass., sez. trib., 4 luglio 2014, n. 15311, ivi, 1489, a proposito di cartella esattoriale spiccata ex art. 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
(24) L’allusione è alla sentenza di Corte Giust. UE, sez. V, 3 luglio 2014, nelle cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV, in Boll. Trib., 2015, 457, con nota di M.V. SERRANÒ, Innovativo e sostanziale contributo della Corte di giustizia europea in tema di contraddittorio endoprocedimentale tributario, ivi, 466. La sentenza, nel sottolineare che «il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione di cui il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento costituisce parte integrante» (punto 28) e che «il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento è attualmente sancito non solo negli articoli 47 e 48 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea… bensì anche nell’articolo 41 di quest’ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione… [e] il cui paragrafo 2 prevede che tale diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo» (punto 29), sembra attenuare il peso della decisione affermando in ultimo: «Orbene, l’obbligo che incombe al giudice nazionale di garantire pienamente l’effetto del diritto dell’Unione non comporta la conseguenza d’imporre che una decisione impugnata, poiché adottata in violazione dei diritti della difesa, segnatamente del diritto di essere sentiti, sia annullata nella totalità dei casi. Difatti, secondo il diritto dell’Unione, una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso» (punti 78 e 79).
(25) Cfr. Corte Giust. UE, Grande Sezione, 22 ottobre 2013, causa C-276/12, Jiří Sabou, in Boll. Trib. On-line.
(26) Nella sentenza Sabou si legge anche, al punto 44: «Ne consegue che il rispetto dei diritti della difesa del contribuente non esige la partecipazione di quest’ultimo alla richiesta di informazioni inoltrata dallo Stato membro richiedente allo Stato membro richiesto. Esso non esige nemmeno che il contribuente sia sentito nel momento in cui le ricerche che possono includere l’audizione di testimoni sono effettuate nello Stato membro richiesto, né prima che quest’ultimo trasmetta informazioni allo Stato membro richiedente».

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