1 Marzo, 2019

1. Premessa

La sentenza della Suprema Corte n. 23784/2017, qui in commento, merita di essere segnalata perché fornisce una dettagliata ricostruzione del complesso quadro normativo che disciplina la riscossione delle imposte, sanzioni ed interessi dovuti in base agli accertamenti, in pendenza o a conclusione dell’eventuale giudizio di impugnazione, al duplice fine di individuare sia il quantum dovuto nelle diverse fasi del processo sia i termini entro i quali è possibile eseguirne tempestivamente il versamento.
L’inesattezza o l’intempestività di tale versamento, come è noto, sono sanzionate dall’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, a norma del quale chi non lo esegue, in tutto o in parte, alla prescritta scadenza, è soggetto a una sanzione amministrativa pari al 30 per cento di ogni importo non versato. Una sanzione, vale precisarlo, che va ad aggiungersi alle sanzioni eventualmente irrogate con l’atto impositivo impugnato.
La pronuncia annotata, per altro verso, rappresenta un autorevole contributo interpretativo per i casi, come quello dedotto in giudizio, in cui le “imposte da accertamento” sono riscosse soltanto tramite ruolo (e consequenziale cartella di pagamento), ma offre anche lo spunto per verificare se e in quali termini la questione con essa risolta può prospettarsi per le ipotesi, destinate ad essere le più frequenti in futuro, in cui non si proceda (più) con l’iscrizione a ruolo delle imposte accertate, contenendo già gli atti “impo-esattivi” dell’Ufficio finanziario (e tutti quelli successivi da notificare al contribuente) una specifica “intimazione ad adempiere” nel termine “indicato dalla legge”.

2. La vicenda processuale

L’Agenzia delle entrate notificava ad una società per azioni due avvisi di accertamento mediante i quali, relativamente agli anni d’imposta 2002 e 2003, rettificava il reddito d’impresa dichiarato e recuperava le maggiori imposte IVA, IRES e IRAP, oltre ad interessi e sanzioni.
La contribuente “definiva” le sanzioni ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e, comunque, proponeva ricorso avverso i due atti impositivi.
L’Ufficio finanziario, pertanto, procedeva a norma dell’art. 15 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ovvero iscriveva a ruolo “a titolo provvisorio” il 50 per cento delle imposte accertate, che la società provvedeva a versare tempestivamente, ovvero nel termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento.
A seguito del rigetto dei ricorsi alla contribuente veniva notificata una seconda cartella di pagamento, per la riscossione dei «due terzi delle imposte accertate, ex art. 68 del D.Lgs. n. 546 del 1992».
L’intimata non solo provvedeva a soddisfare nei termini anche questa «seconda» richiesta di pagamento ma, avendo deciso di non impugnare la sentenza della Commissione tributaria provinciale, ancor prima che questa passasse in giudicato e divenissero definitivi gli impugnati avvisi di accertamento, «senza attendere l’iscrizione a ruolo e previo accordo con l’ufficio» provvedeva al pagamento «diretto» del residuo delle imposte accertate, «maggiorato degli interessi e sanzioni IVA per complessivi € 267.312,30, corrispondente al 30% della maggiore imposta accertata e non versata entro il termine di sessanta giorni dalla notifica degli atti impositivi».
Successivamente, melius re perpensa, ritenendo che nella descritta fattispecie non ricorressero i presupposti per applicare la sanzione prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, presentava istanza di rimborso della sanzione versata (€ 267.312,30), istanza che l’Agenzia delle entrate accoglieva soltanto in parte.
Secondo l’Ufficio finanziario, infatti, dovevano ritenersi tempestivi i soli versamenti effettuati a seguito di (iscrizione a ruolo e) notificazione dell’apposita cartella di pagamento, mentre risultava dovuta (e perciò non restituibile) la sanzione relativa “all’IVA non iscritta a ruolo”, ovvero all’IVA versata (spontaneamente e) direttamente dalla società.
La contribuente impugnava il suddetto provvedimento di “accoglimento parziale” dell’istanza di rimborso (1) ottenendo, tanto dai giudici di primo grado quanto dai giudici di appello, il riconoscimento del diritto al rimborso integrale della sanzione erroneamente versata.
La Commissione tributaria regionale, in particolare, affermava che «nel caso di specie non si verte nella fattispecie disciplinata dall’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, bensì di versamento diretto eseguito dal contribuente in modo irrituale ma con il consenso dell’amministrazione, che l’adozione di un procedimento irrituale non può comportare una sanzione aggiuntiva per esso non previsto e, infine, che l’ufficio, consentendo tale modalità di versamento, aveva conseguito il vantaggio di ottenere rapidamente la somma dovuta senza sopportare i costi di riscossione».
Avverso la sentenza d’appello l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, eccependo la «violazione dell’art. 13, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 471 del 1997 in combinato disposto dall’art. 60 d.P.R. n. 633 del 1972» (sic).

3. La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno procedere, preliminarmente, con l’esame delle «disposizioni normative in materia di riscossione provvisoria e frazionata delle imposte accertate».
È stato in primo luogo esaminato il primo comma dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, nella versione applicabile ratione temporis al caso di specie, a norma del quale «le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati».
La Suprema Corte, peraltro, ha opportunamente evidenziato che a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 7, comma 2-quinquies, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106), la suddetta “frazione” di imposte iscrivibili provvisoriamente a ruolo è stata ridotta a un terzo, precisando che il richiamato primo comma dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973 è applicabile anche all’imposta sul valore aggiunto in forza dell’art. 4, terzo comma, del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193.
Passando, poi, all’ipotesi in cui il contribuente propone ricorso avverso gli avvisi di accertamento, i Supremi Giudici hanno osservato che in passato era il secondo comma dello stesso art. 15 a stabilire quale “frazione” dell’imposta corrispondente all’imponibile o al maggior imponibile deciso dalla Commissione tributaria si poteva iscrivere a ruolo dopo la decisione di primo grado [lett. a)], dopo la decisione di appello [lett. b)] e «dopo la decisione della commissione centrale o la sentenza della corte d’appello» [lett. c)].
La disposizione, ha ricordato la Corte di Cassazione, con l’entrata in vigore della “riforma” del processo tributario, poneva un “problema di compatibilità” con l’art. 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, a norma del quale «anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso; b) per l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale; c-bis) per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio e per l’intero importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione. Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto».
Il segnalato “problema” fu risolto dal legislatore con l’abrogazione del secondo comma dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, disposta dall’art. 37, primo comma, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.
Quanto alla previsione del primo comma, invece, il diritto vivente ha chiarito che non si ravvisa alcuna “incompatibilità” con altre disposizioni normative, in considerazione del fatto che «l’art. 15, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, concerne, nell’ambito della disciplina dell’iscrizione nei ruoli in base ad accertamenti non definitivi, la riscossione del tributo nella fase amministrativa, laddove il sopravvenuto art. 68 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, regola – in materia di esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie – la riscossione frazionata del tributo nella fase relativa alla pendenza del processo tributario. Pertanto, quest’ultima disposizione deve ritenersi implicitamente abrogatrice, per incompatibilità, del solo secondo comma del citato art. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973 (relativo anch’esso alla fattispecie della riscossione gradata in pendenza di giudizio e poi espressamente abrogato dall’art. 37 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46), mentre non esplica alcun effetto nei confronti del primo comma del medesimo art. 15, il quale si riferisce ad un differente ambito di disciplina della riscossione dei tributi» (2).
Ciò detto sulla riscossione delle imposte, la Suprema Corte ha ricordato che l’iscrizione a ruolo comprende anche gli interessi e le sanzioni (art. 11 del D.P.R. n. 602/1973).
Relativamente a queste ultime, in particolare, l’art. 19, primo comma, del D.Lgs. n. 472/1997, stabilisce che «in caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata, si applicano le disposizioni dettate dall’articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario», motivo per il quale deve ritenersi che la riscossione provvisoria delle sanzioni sia possibile solo dopo la sentenza di primo grado che respinge il ricorso.
Alla luce del delineato quadro normativo si può riassumere che, a seguito della notifica di un avviso di accertamento, il contribuente è tenuto a pagare:
– un terzo (già un mezzo) di imposte e interessi, se trattasi di imposte dirette ed IVA, dopo la notifica dell’atto impositivo ma entro 60 giorni, ovvero l’intero se trattasi di ICI, TARSU e imposta di pubblicità, anche quando il contribuente abbia impugnato l’avviso di accertamento;
– due terzi di imposte e interessi dopo la sentenza di rigetto della Commissione tributaria provinciale, o quanto da questa stabilito, nonché i due terzi delle sanzioni irrogate con l’atto impugnato;
– il residuo terzo di imposte, interessi e sanzioni dopo la sentenza di rigetto della Commissione tributaria regionale, o quanto da questa stabilito.
Naturalmente, ha sottolineato la Corte di Cassazione, in caso di omesso o ritardato pagamento delle frazioni innanzi indicate, il contribuente è tenuto al pagamento della ulteriore sanzione («pari al trenta per cento di ogni importo non versato») prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, che si applica sia nell’ipotesi in cui vi sia stata iscrizione a ruolo (primo comma), sia nell’ipotesi in cui ciò sia mancato (secondo comma).
È stato altresì sottolineato che a seguito del riordino dell’intero sistema di riscossione delle imposte, ad opera del D.Lgs. n. 193/2001, le imposte, gli interessi e le sanzioni dovute in base agli avvisi di accertamento «sono riscosse soltanto a mezzo ruolo», anche se, ha precisato la Suprema Corte, l’attività di riscossione degli atti impositivi emessi a partire dal 1° ottobre 2011, relativi agli anni d’imposta 2007 e successivi, è regolata dall’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), secondo cui gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA e il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni devono contenere anche l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso e a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, e l’intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, «con la conseguenza che non è più necessaria l’iscrizione a ruolo».
Una volta ricostruita la normativa di settore, la Suprema Corte ha verificato se, nella vicenda de qua, i versamenti effettuati dalla società in corso di causa potessero considerarsi tempestivi o se, come invece sosteneva l’Agenzia delle entrate, non fossero stati rispettati gli obblighi di versamento delle imposte e, per tale ragione, risultasse legittima l’applicazione delle sanzioni per “ritardato versamento”.
Dopo avere dato atto che la contribuente, attraverso la definizione di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 472/1997, aveva estinto ogni pendenza relativa alle sanzioni irrogate con gli impugnati avvisi di accertamento, il Collegio ha ricostruito entità e date dei versamenti relativi alle imposte accertate, verificandone l’esattezza e la tempestività, «secondo le disposizioni vigenti ratione temporis e senza alcuna omissione o ritardo».
La società, infatti, aveva versato:
– la metà delle imposte e degli interessi iscritti a ruolo dall’Ufficio tributario, a titolo provvisorio, in pendenza del giudizio;
– l’ulteriore importo fino ai due terzi delle maggiori imposte accertate, dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale di rigetto del ricorso, anche in questo caso a seguito di iscrizione a ruolo e conseguente notifica della cartella di pagamento;
– il residuo terzo dovuto “a saldo degli avvisi di accertamento”, ben prima che gli stessi si rendessero definitivi a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, cui la società aveva deciso di prestare acquiescenza.
L’unica particolarità di questo terzo ed ultimo versamento era rappresentata dal fatto di essere stato effettuato non a seguito di iscrizione a ruolo (e conseguente notifica della cartella di pagamento), bensì in autoliquidazione, ovvero di essere stato autonomamente quantificato dalla contribuente e “versato direttamente” attraverso il “modello F24”.
Ma l’utilizzo del “versamento diretto” ha determinato soltanto un anticipato adempimento della contribuente, che non era incorsa in alcuna “omissione o ritardo”, ragione per la quale non risultava affatto applicabile, nel caso di specie, la sanzione prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997.
È ben vero, hanno sottolineato i Giudici, che anche per la riscossione del “residuo terzo” l’Ufficio finanziario avrebbe dovuto procedere ad iscrizione a ruolo, essendo all’epoca vigente il D.Lgs. n. 193/2001 che, come abbiamo visto, prevedeva la riscossione delle imposte, degli interessi e delle sanzioni amministrative dovute in base agli avvisi di accertamento, “soltanto a mezzo ruolo”.
Tuttavia ciò non implicava affatto che il versamento di quegli importi, ove eseguito attraverso modalità diverse, potesse ritenersi, per ciò solo, tardivo.
Peraltro la tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria si è rivelata anche contraddittoria in quanto, da un lato, ha riconosciuto non potersi applicare alcuna sanzione per i primi due versamenti perché eseguiti, evidentemente, nei termini indicati nelle cartelle di pagamento all’uopo notificate, dall’altro, tuttavia, pretendeva di applicare tale sanzione al versamento di una somma effettuato «prima ancora che potesse pretenderne il pagamento», ovvero prima ancora che procedesse ad iscriverla a ruolo.
Di grande rilievo, infine, è la precisazione della Suprema Corte secondo la quale neppure è ipotizzabile, nei casi come quello di specie, considerare tardivo il versamento delle imposte accertate perché eseguito oltre il termine di 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, essendo quest’ultimo un «termine applicabile solo nell’ipotesi, diversa da quella in esame, in cui l’atto impositivo non sia impugnato dinanzi al giudice tributario, giacché in quest’ultimo caso il ricorrente è tenuto al pagamento delle somme secondo la graduazione prevista dall’art. 68 del D.Lgs. n. 546 del 1992».
In altri termini, il rigetto o l’accoglimento parziale del ricorso avverso un avviso di accertamento, se determinano la conferma giudiziale (totale o parziale) della legittimità e fondatezza della pretesa impositiva, non rendono esigibili ex tunc tutte le imposte accertate che, quando l’atto accertativo viene impugnato, restano dovute nella misura e secondo la graduazione prevista dal ridetto art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992.

4. Conclusioni

La sentenza in commento, dunque, chiarisce condivisibilmente che la riscossione delle imposte accertate con i “vecchi” atti impositivi non poteva che avvenire tramite iscrizione a ruolo e che, pertanto, il contribuente destinatario di tali atti doveva semplicemente attendere la notifica della cartella di pagamento, unico atto rispetto al quale andavano verificati esattezza e tempestività del successivo versamento.
La stessa sentenza, inoltre, riconosce che sussisteva comunque la possibilità (facoltà), per il contribuente, di autoliquidare e “versare direttamente” quelle imposte prima che l’Ufficio finanziario procedesse con l’iscrizione a ruolo. In tale specifico caso, sottolineiamolo nuovamente, non potendo l’ente impositore ancora “pretendere” il pagamento di quelle somme, il “versamento diretto” non potrebbe mai risultare tardivo e, di conseguenza, ad esso non potrebbe mai applicarsi la sanzione prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997.
Come abbiamo anticipato in premessa, vogliamo cogliere l’occasione di queste brevi note per verificare, conclusivamente, se e in quali termini si possa porre analoga questione interpretativa in ordine all’esattezza e tempestività dei versamenti delle imposte accertate con i “nuovi” atti “impo-esattivi” e, con essa, dell’applicazione della suddetta sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997.
È nostra opinione che il legislatore abbia risolto “a monte” ogni possibile querelle.
Come è noto, l’art. 29, primo comma, lett. a), del D.L. n. 78/2010, stabilisce che, a partire dal 1° ottobre 2011 e relativamente ai periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007, «l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. L’intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento, in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 8, comma 3-bis del decreto legislativo 19 luglio 1997, n. 218, dell’articolo 48, comma 3-bis e dell’articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’articolo 19 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nonché in caso di definitività dell’atto di accertamento impugnato. In tali ultimi casi il versamento delle somme dovute deve avvenire entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata; la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, non si applica nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute, nei termini di cui ai periodi precedenti, sulla base degli atti ivi indicati».
Pertanto, come ha osservato autorevole dottrina, con l’introduzione dei nuovi accertamenti impo-esattivi «nulla cambia quanto alla determinazione dell’entità degli importi a debito. Così, in ipotesi di accertamento definitivo, occorrerà pagare l’intera cifra accertata, mentre in caso di proposizione del ricorso, il quantum corrisponde all’iscrizione provvisoria a ruolo, prevista dall’art. 15 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602» (3).
Noi aggiungiamo che, dopo la notifica di tali avvisi, che vi si presti acquiescenza o che li si impugni, il versamento delle somme dovute (l’intera “cifra accertata” nel primo caso, un terzo delle imposte accertate nel secondo) oltre il termine di impugnazione rende certamente applicabile la sanzione prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997.
Non così nei casi di rideterminazione degli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento o di definitività (“post impugnazione”) dello stesso, pure contemplati dalla lett. a) dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010, nei quali comunque deve essere notificato, «anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento», un successivo atto contenente una nuova ed esplicita intimazione ad adempiere nel termine di sessanta giorni.
Osserviamo, infatti, che è la stessa disposizione da ultimo richiamata a stabilire, inequivocabilmente, che la sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997 «non si applica nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute, nei termini di cui ai periodi precedenti, sulla base degli atti ivi indicati».

Dott. Domenico Carnimeo

(1) Trattasi di provvedimento che, sotto un profilo strettamente tecnico-giuridico, ci sembra più opportuno qualificare come “rifiuto” o “diniego” parziale di rimborso, impugnabile ai sensi dell’art. 19, primo comma, lett. g), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
(2) Cfr. Cass., sez. VI, 11 ottobre 2014, ord. n. 23321, in Boll. Trib. On-line.
(3) Ved. L. LOVECCHIO, La concentrazione della riscossione nell’accertamento nella manovra d’estate 2010, in Boll. Trib., 2010, 1607.

Procedimento – Commissioni – Disciplina della riscossione di imposte, sanzioni ed interessi in pendenza di giudizio a norma dell’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992 – Contrasto col primo comma dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973 relativo alla riscossione graduata del tributo nella fase amministrativa – Non sussiste – Contrasto col secondo comma dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973 – Sussiste – Abrogazione implicita di quest’ultima disposizione a norma dell’art. 71 del D.Lgs. n. 546/1992 – Consegue.

Procedimento – Commissioni – Disciplina della riscossione di imposte, sanzioni ed interessi a seguito della notifica di un avviso di accertamento e in pendenza di giudizio – Riscossione frazionata – Termini e modalità.

IRPEF, IVA, ICI, TARSU e imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni – Disciplina della riscossione di imposte, sanzioni ed interessi a seguito della notifica di un avviso di accertamento e in pendenza di giudizio – Riscossione frazionata – Termini e modalità.

Procedimento – Commissioni – Disciplina della riscossione di imposte, sanzioni ed interessi a seguito della notifica di un avviso di accertamento – Modalità di pagamento.

IRPEF e IVA – Disciplina della riscossione di imposte, sanzioni ed interessi a seguito della notifica di un avviso di accertamento – Modalità di pagamento.

La nuova disposizione dell’art. 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non interviene sulla disciplina della riscossione graduata del tributo nella fase amministrativa regolata dall’art. 15, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sicché quest’ultima disposizione non potrebbe dirsi in contrasto o incompatibile con la predetta disposizione dell’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992, in quanto si tratta di norme che fanno riferimento ad ambiti diversi di disciplina della riscossione del tributo, mentre non è così, invece, per quanto concerne la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, la quale, facendo riferimento allo stesso ambito di disciplina della riscossione del tributo sul quale interviene la nuova normativa dettata dall’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992, si palesa in contrasto con quest’ultima disposizione e può ritenersi implicitamente abrogata ai sensi dell’art. 71, secondo comma, del medesimo decreto, a norma del quale «è inoltre abrogata ogni altra norma di legge non compatibile con le disposizioni del presente decreto».

A seguito della notifica di avviso di accertamento, il contribuente è tenuto a pagare: un terzo di imposte ed interessi, ex art. 15, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dettato specificamente per le imposte sul reddito ed applicabile anche all’IVA, ex art. 4, terzo comma, del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, dopo la notifica dell’avviso di accertamento ma entro 60 giorni, come espressamente previsto per l’IVA dall’art. 60, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ovvero l’intero, come previsto per l’ICI, ex art. 12 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, la TARSU, ex art. 72 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, l’imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni, ex art. 9, quinto comma, dello stesso D.Lgs. n. 507/1993, e 68 del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, anche quando il contribuente abbia impugnato in sede giudiziaria l’avviso di accertamento; i due terzi di imposte (di qualsiasi natura siano) e interessi, dopo la sentenza di rigetto della Commissione tributaria provinciale, o quanto da questa stabilito, a norma dell’art. 68, primo comma, lett. a) e b), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché i due terzi delle sanzioni irrogate con l’atto impugnato ex art. 19, primo comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472; il residuo terzo di imposte, interessi e sanzioni dopo la sentenza di rigetto della Commissione tributaria regionale, o quanto da questa stabilito; in caso di omesso o ritardato pagamento delle frazioni sopra indicate, il contribuente è poi tenuto al pagamento della ulteriore sanzione, «pari al trenta per cento di ogni importo non versato», prevista dall’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che si applica sia all’ipotesi in cui vi sia stata iscrizione a ruolo (primo comma), sia nell’ipotesi in cui ciò sia mancato (secondo comma).

In ordine alle modalità di pagamento di imposte, interessi e sanzioni amministrative dovute in base agli avvisi di accertamento, deve osservarsi che l’art. 60 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di «pagamento delle imposte accertate», al quinto comma prevedeva che «i pagamenti previsti nel presente articolo devono essere fatti all’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto nei modi indicati nel quarto comma dell’art. 38», ovvero mediante versamento diretto all’ufficio IVA in contanti o mediante assegni circolari non trasferibili o assegni bancari a copertura garantita; il citato quinto comma dell’art. 60 è stato abrogato dall’art. 37 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, come modificato dall’art. 2, primo comma, lett. f), del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, di riordino dell’intero sistema delle riscossioni delle imposte; con decorrenza dal 9 giugno 2001, data di entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 193/2001, le somme a titolo di imposte, interessi e sanzioni amministrative dovute in base agli avvisi di accertamento sono riscosse soltanto a mezzo ruolo, ex art. 15 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dettato in materia di imposte sul reddito e applicabile, per espressa previsione contenuta nell’art. 4 del D.Lgs. n. 193/2001, anche all’IVA, con la medesima decorrenza, e con la precisazione che l’attività di riscossione degli atti impositivi emessi a partire dal 1° ottobre 2011 e relativi ai periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, è regolata dall’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), secondo cui gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate devono contenere l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, e che l’intimazione ad adempiere al pagamento è contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, con la conseguenza che non è più necessaria l’iscrizione a ruolo.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Bielli, rel. Luciotti), 1° ottobre 2017, sent. n. 23784, ric. Agenzia delle entrate c. Esprinet s.p.a.]

FATTI DI CAUSA – 1. A seguito della notifica alla Esprinet s.p.a. di due avvisi di accertamento per recupero a tassazione di maggiore IVA, IRES ed IRAP, con applicazione di sanzioni ed interessi, emessi dall’Agenzia delle entrate con riferimento agli anni di imposta 2002 e 2003, la società contribuente ricorreva dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano provvedendo alla definizione delle sanzioni ai sensi dell’art. 17 d.lgs. n. 472 del 1997, nonché al pagamento del 50% delle imposte accertate a seguito di iscrizione a ruolo a titolo provvisorio ex art. 15 d.P.R. n. 602 del 1973, quindi, a seguito di pronunce di rigetto dei ricorsi di primo grado, al pagamento dei due terzi delle imposte accertate, al netto di quanto già versato, ex 68 d.lgs. n. 546 del 1992, di cui alla cartella di pagamento oggetto di sgravio parziale relativamente alle sanzioni erroneamente iscritte a ruolo perché precedentemente definite ai sensi dell’art. 17 d.lgs. citato; infine, senza attendere l’iscrizione a ruolo e previo accordo con l’ufficio finanziario, provvedeva al pagamento diretto dell’importo residuo, maggiorato degli interessi e delle sanzioni IVA per complessivi € 267.312,30, corrispondente al 30% della maggiore imposta accertata e non versata entro il termine di sessanta giorni dalla notifica degli atti impositivi.

1.1. Successivamente, in data 21 luglio 2011, la società contribuente avanzava istanza all’amministrazione finanziaria con la quale chiedeva, in via principale, il rimborso dell’importo versato a titolo di sanzioni (per complessivi € 267.312,30) o, in subordine, il rimborso delle sanzioni versate in relazione agli importi pagati a titolo di IVA in pendenza di giudizio (pari ad € 178.208,20).

1.2. Il provvedimento dell’Agenzia delle entrate che accoglieva la richiesta avanzata dalla società contribuente in via subordinata, negando la restituzione della differenza (pari ad € 89.104,10), corrispondente alla sanzione dovuta in relazione all’IVA non iscritta a ruolo, in quanto oggetto di pagamento diretto, veniva impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che accoglieva il ricorso con sentenza che veniva impugnata dall’Ufficio dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che con la sentenza n. 6395 del 4 dicembre 2014 rigettava l’appello, sostenendo che nel caso di specie non si verte nella fattispecie disciplinata dall’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, bensì di versamento diretto eseguito dal contribuente in modo irrituale ma con il consenso dell’amministrazione finanziaria, che l’adozione di un procedimento irrituale non può comportare una sanzione aggiuntiva per esso non previsto e, infine, che l’ufficio, consentendo tale modalità di versamento, aveva conseguito il vantaggio di ottenere rapidamente la somma dovuta senza sopportare i costi di riscossione.

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo cui replica la società contribuente con controricorso e ricorso incidentale affidato a nove motivi.

3. Il ricorso perviene da rinvio della sesta sezione di questa Corte disposto per novità della questione che esso pone.

RAGIONI DELLA DECISIONE – 1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 13, commi 1 e 2, d.lgs. n. 471 del 1997, in combinato disposto dall’art. 60 d.P.R. n. 633 del 1972, sostenendo che la CTR aveva erroneamente escluso l’applicabilità della sanzione prevista dal secondo comma dell’art. 13 d.lgs. citato all’ipotesi di pagamento diretto, e quindi senza previa iscrizione a ruolo, dell’imposta che era residuata all’esito dei versamenti frazionati effettuati dalla contribuente in pendenza di giudizio.

2. Premessa preliminarmente l’infondatezza dell’eccezione, sollevata dalla controricorrente, di inammissibilità del motivo proposto dalla difesa erariale per vizio di autosufficienza e di specificità, in quanto, diversamente da quanto si sostiene nel controricorso, nello stesso sono ben esattamente individuate le censure rivolte alla sentenza impugnata e vengono esaurientemente argomentate le ragioni della denunciata violazione di legge attribuita ai giudici di appello, essendo del tutto irrilevante che tali ragioni coincidano con quelle già mosse alla sentenza di primo grado nel ricorso in appello, non condivise dal giudice di secondo grado.

3. Deve, quindi, passarsi all’esame del motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate che impone il preliminare esame delle disposizioni normative in materia di riscossione provvisoria e frazionata delle imposte accertate.

4. Il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che disciplina la riscossione delle imposte sui redditi (art. 1), al comma 1 dell’art. 15 disponeva, nel testo applicabile ratione temporis, che «le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati» (frazione ridotta ad un terzo dal comma 2 quinquies dell’art. 7 del d.l. n. 70 del 2011, introdotto dalla legge di conversione n. 106 del 2011, con decorrenza dal periodo successivo al 13 luglio 2011, data di entrata in vigore della predetta legge).

4.1. La citata disposizione è applicabile anche all’imposta sul valore aggiunto in forza del d.lgs. n. 193 del 2001, art. 4, comma 3, che ha previsto che «L’articolo 15, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dall’articolo 4 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, si applica all’imposta sul valore aggiunto con riferimento ai ruoli da rendere esecutivi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto», ovvero dal 9 giugno 2001.

4.2. Per l’ipotesi in cui il ricorrente avesse proposto ricorso dinanzi alle commissioni tributarie, la riscossione provvisoria degli «ammontari … accertati» ai fini delle imposte dirette era disciplinata dal secondo comma del predetto art. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973 secondo gli esiti delle decisioni emesse nei vari gradi di giudizio.
La norma prevedeva, infatti, l’iscrizione a titolo provvisorio nei ruoli delle imposte «a) dopo la decisione della commissione tributaria di primo grado, fino alla concorrenza della metà [elevato a due terzi dall’art. 5, comma 7, d.l. n. 90 del 1990, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 165 del 1990], dell’imposta corrispondente all’imponibile o al maggior imponibile deciso dalla commissione stessa; b) dopo la decisione della commissione tributaria di secondo grado, fino alla concorrenza dei due terzi [elevato a tre quarti, dal citato art. 5 d.l. 90 del 1990] dell’imposta corrispondente all’imponibile o al maggior imponibile deciso da questa; c) dopo la decisione della commissione centrale o la sentenza della corte d’appello, per l’ammontare corrispondente all’imponibile o al maggior imponibile da queste determinato».

4.3. Tale disposizione, abrogata dall’articolo 37, comma 1, del d.lgs. n. 46 del 1999, poneva un problema di compatibilità con le modalità di riscossione graduata introdotte dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 68 che prevede, «anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi di imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni» che «il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali» venga pagato secondo la seguente scansione: «a) … i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso; b) … l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) … il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale» e, a seguito di modifica apportata dall’art. 9, comma 1, lettera ff), numero 1), del d.lgs. n. 156 del 2015, a decorrere dal 10 gennaio 2016, «c-bis. … l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio e per l’intero importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione».

4.4. Il prospettato profilo di incompatibilità tra le citate disposizioni è stato superato da questa Corte cha al riguardo ha affermato che «la nuova disposizione dell’art. 68 non interviene sulla disciplina della riscossione graduata del tributo nella fase amministrativa regolata dall’art. 15, co. 1, del D.P.R. n. 602/1973, sicché quest’ultima disposizione non potrebbe dirsi in contrasto o incompatibile con la disposizione di cui all’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992, in quanto si tratta di norme che fanno riferimento ad ambiti diversi di disciplina della riscossione del tributo. Non è così, invece, per quanto concerne la disposizione di cui al co. 2 dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973, la quale – facendo riferimento allo stesso ambito di disciplina della riscossione del tributo sul quale interviene la nuova normativa dettata dall’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992 – si palesa in contrasto con quest’ultima disposizione e può ritenersi implicitamente abrogata ai sensi dell’art. 71, co. 2, del medesimo decreto, a norma del quale è inoltre abrogata ogni altra norma di legge non compatibile con le disposizioni del presente decreto» (Cass. n. 7339 del 2003 (1); conf. Cass. n. 12791 del 2011 (2) e n. 23321 del 2014 (3)).

5. Quanto all’IVA, la riscossione frazionata dell’imposta in ipotesi di proposizione del ricorso giurisdizionale contro l’accertamento era prevista dal secondo comma dell’art. 60 d.P.R. n. 633 del 1972, con modalità non dissimili da quanto previsto in materia di imposte dirette dal citato art. 15 d.P.R. n. 602 del 1973. Tale disposizione è stata però abrogata, unitamente ai successivi terzo, quarto e quinto comma, dall’art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 46 del 1999, come modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 193 del 2001, con decorrenza dal 9 giugno 2001 (data di entrata in vigore del predetto decreto), con la conseguenza che è venuto meno il contrasto che si registrava anche in materia di IVA tra l’art. 60, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 e l’art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992, peraltro risolvibile alla stregua del principio espresso da questa Corte nelle pronunce da ultimo citate.

6. Quanto, invece, alle sanzioni, ricordato che, ai sensi dell’art. 11, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973, l’iscrizione a ruolo comprende, oltre alle imposte e agli interessi, anche le sanzioni, il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 19, comma 1, prevede che «in caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata si applicano le disposizioni dettate dall’articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario» e, pertanto, deve ritenersi che la riscossione provvisoria delle sanzioni sia possibile solo dopo la sentenza di primo grado che respinge il ricorso, essendo consentita nel termine per proporre ricorso la sola definizione agevolata ex art. 17, secondo comma, d.lgs. n. 472 del 1997.

7. Ragioni di completezza espositiva inducono a ricordare che il disposto del comma 1 dell’art. 68 cit., che prevede che «anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi di imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato» secondo le scansioni di poi previste, «deve leggersi nel senso che il pagamento del tributo deve essere effettuato nelle forme e nei limiti di cui alle disposizioni dell’articolo citato in tutti i casi, ed “anche in deroga” alle disposizioni di leggi speciali concernenti i singoli tributi che prevedano forme di frazionamento diverse, per il caso di pendenza di giudizio tributario, da quelle previste dai commi successivi del medesimo art. 68, che regola appunto tale fattispecie» (Cass. n. 7831 del 2010 (4); conf. n. 17904 del 2010 (5)). In buona sostanza, l’art. 68 cit. disciplina la riscossione frazionata del tributo controverso in relazione alla progressione dei diversi gradi di giudizio, trovando applicazione nella fase “post decisum” e non in quella “ante decisum” (così in Cass. n. 20669 del 2014 (6)), che resta invece sottoposta alle disposizioni speciali regolanti le modalità di riscossione proprie di ciascun tributo.

8. Orbene, dal quadro normativo sopra delineato discende che, a seguito della notifica di avviso di accertamento, il contribuente è tenuto a pagare:
– un mezzo (attualmente un terzo) di imposte ed interessi, ex art. 15, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973 (dettato specificamente per le imposte sul reddito ed applicabile anche all’IVA ex art. 4, comma 3, d.lgs. n. 193 del 2001), dopo la notifica dell’avviso di accertamento ma entro 60 giorni, come espressamente previsto per l’IVA dall’art. 60, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972; ovvero l’intero, come previsto per l’ICI (ex art. 12 d.lgs. n. 504 del 1992), la TARSU (ex art. 72 d.lgs. n. 507 del 1993), l’imposta di pubblicità (art. 9, comma 5, stesso d.lgs. e 68 d.P.R. n. 43 del 1988), anche quando il contribuente abbia impugnato in sede giudiziaria l’avviso di accertamento (cfr., ex multis, Cass. n. 15473 del 2010 (7); conf. n. 19015 del 2015 (8));
– i due terzi di imposte (di qualsiasi natura siano) ed interessi, dopo la sentenza di rigetto della commissione tributaria provinciale, o quanto da questa stabilito (art. 68, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 546 del 1992), nonché i due terzi delle sanzioni irrogate con l’atto impugnato (art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997);
– il residuo terzo di imposte, interessi e sanzioni dopo la sentenza di rigetto della commissione tributaria regionale, o quanto da questa stabilito.
In caso di omesso o ritardato pagamento delle frazioni sopra indicate, il contribuente è tenuto al pagamento della ulteriore sanzione («pari al trenta per cento di ogni importo non versato») prevista dall’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, che si applica sia all’ipotesi in cui vi sia stata iscrizione a ruolo (comma 1), sia nell’ipotesi in cui ciò sia mancato (comma 2).

9. Per quanto riguarda le modalità di pagamento, deve osservarsi che:
– l’art. 60 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di «pagamento delle imposte accertate», al comma 5 prevedeva che «i pagamenti previsti nel presente articolo devono essere fatti all’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto nei modi indicati nel quarto comma dell’art. 38», ovvero mediante versamento diretto all’ufficio IVA in contanti o mediante assegni circolari non trasferibili o assegni bancari a copertura garantita;
– il citato comma 5 dell’art. 60 è stato abrogato dall’art. 37 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera f), d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193, di riordino dell’intero sistema delle riscossioni delle imposte;
– con decorrenza dal 9 giugno 2001 (data di entrata in vigore del citato d.lgs. n. 193 del 2001) le somme – imposte, interessi e sanzioni amministrative – dovute in base agli avvisi di accertamento sono riscosse soltanto a mezzo ruolo, ex art. 15 d.P.R. n. 602 del 1973, dettato in materia di imposte sul reddito, applicabile, per espressa previsione contenuta nell’art. 4 d.lgs. n. 193 del 2001, anche all’imposta sul valore aggiunto, con la medesima decorrenza (arg. da Cass. n. 9540 del 2011 (9), n. 15030 (10) e n. 25754 del 2014 (11)).
Va altresì precisato che l’attività di riscossione degli atti impositivi emessi a partire dal 1° ottobre 2011 e relativi ai periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, è regolata dall’art. 29 del D.L. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, secondo cui gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate devono contenere l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’articolo 15 d.P.R. n. 602 del 1973 e che l’intimazione ad adempiere al pagamento è contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, con la conseguenza che non è più necessaria l’iscrizione a ruolo.

10. Così ricostruita la normativa di settore, va verificata la corretta applicazione della stessa al caso di specie al fine di verificare la fondatezza della tesi di parte ricorrente circa il mancato rispetto da parte della società contribuente degli obblighi di versamento delle imposte e la conseguente applicabilità alla medesima delle sanzioni per ritardato versamento.

11. Secondo quanto risulta dalla prospettazione di parte ricorrente (pag. 3 del ricorso), la società contribuente ha proposto ricorso giurisdizionale avverso gli avvisi di accertamento, ha definito le sanzioni ai sensi dell’art. 17 d.lgs. n. 472 del 1997 ed ha altresì tempestivamente versato:
– la metà delle imposte e degli interessi che l’Agenzia delle entrate ha iscritto a ruolo a titolo provvisorio, in pendenza del giudizio, ex art. 15 d.lgs. n. 602 del 1973;
– l’ulteriore importo, fino ai due terzi di quanto complessivamente risultante dagli avvisi di accertamento per maggiori imposte ed interessi, successivamente al rigetto dei ricorsi da parte della commissione tributaria provinciale, a seguito di nuova iscrizione a ruolo (ex art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992).
Ha, quindi, versato a mezzo F24 l’ulteriore importo (pari al residuo terzo) dovuto a saldo degli avvisi di accertamento, prima della definitività degli stessi conseguente al passaggio in giudicato, per mancata impugnazione, delle sentenze di primo grado (di rigetto degli originari ricorsi).
11.1. È evidente, pertanto, che la riscossione è avvenuta secondo le disposizioni vigenti ratione temporis e senza alcuna omissione o ritardo, con l’ovvia conseguenza che, diversamente da quanto pretende di fare l’Agenzia ricorrente, non possono applicarsi alla società contribuente le sanzioni di cui all’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 per un insussistente ritardo nel pagamento del saldo di quanto dovuto all’esito del giudizio di primo grado e cioè della frazione di un terzo dell’intero che residuava dopo che la contribuente aveva effettuato il pagamento dei due terzi con le due precedenti iscrizioni a ruolo, ovvero quella ex art. 15 d.P.R. 602 del 1973 e quella successiva effettuata ai sensi dell’art. 68, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 546 del 1992. Infatti, anche per il pagamento dell’ultima tranche l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto procedere ad iscrizione a ruolo una volta divenute definitive le sentenze di primo grado (per scadenza del termine per impugnarle) che avevano rigettato i ricorsi avverso gli atti impositivi impugnati, divenuti a loro volta definitivi. E ciò in quanto all’epoca, come si è detto sopra, era vigente il d.lgs. n. 193 del 2001 che prevedeva la riscossione delle imposte, degli interessi e delle sanzioni amministrative dovute in base agli avvisi di accertamento, soltanto a mezzo ruolo.

11.2. A ben vedere, la tesi sostenuta dall’Agenzia delle entrate è anche contraddittoria giacché, da un lato, esclude l’applicabilità della sanzione ex art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 agli importi pagati a seguito delle due iscrizioni a ruolo effettuate una a titolo provvisorio e l’altra in pendenza di giudizio, e, dall’altro, l’applica all’importo pagato prima della doverosa iscrizione a ruolo e, quindi, prima ancora che l’Agenzia delle entrate potesse pretenderne il pagamento. D’altro canto neppure è ipotizzabile, come sembra fare l’Agenzia ricorrente, che nella specie la sanzione amministrativa pecuniaria sarebbe applicabile in quanto il pagamento della frazione residua di quanto dovuto in base agli avvisi di accertamento sarebbe dovuta avvenire entro il termine di 60 giorni dalla notifica degli avvisi di accertamento, trattandosi di termine applicabile solo nell’ipotesi, diversa da quella in esame, in cui l’atto impositivo non sia impugnato dinanzi al giudice tributario, giacché in quest’ultimo caso il ricorrente è tenuto al pagamento delle somme secondo la graduazione prevista dall’art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992.

12. L’infondatezza del motivo di ricorso, che discende dalle considerazioni sopra svolte, comporta l’assorbimento dei motivi di ricorso incidentale proposti dalla società controricorrente con riferimento alla nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (primo motivo), degli artt. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 36 d.lgs. n. 546 del 1992 (secondo motivo) e 53 d.lgs. n. 546 del 1992 (terzo motivo), per avere la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità del ricorso in appello proposto dall’Ufficio finanziario per mancata allegazione della ricevuta di spedizione dell’atto di impugnazione a mezzo raccomandata postale; con riferimento alla nullità della sentenza per la mancata rilevazione del giudicato interno formatosi in conseguenza dell’inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per la mancata allegazione di quella ricevuta (quarto motivo), per sull’eccezione di tardività dell’appello (quinto motivo), per mancata rilevazione del giudicato interno formatosi in conseguenza dell’inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per tardività dello stesso (sesto motivo); nonché con riferimento alla nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sull’inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per difetto di specificità dei motivi, ex art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 (settimo motivo), per violazione degli artt. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 36 d.lgs. n. 546 del 1992, per omessa motivazione sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per in comprensibilità dei motivi (ottavo motivo), nonché per mancata rilevazione del giudicato interno formatosi in conseguenza dell’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi proposti dall’Ufficio (nono motivo).

13. Al rigetto del motivo di ricorso principale consegue la condanna dell’Agenzia ricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

14. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M. – rigetta il motivo di ricorso principale, assorbiti i motivi di ricorso incidentale, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

(1) Cass. 13 maggio 2003, n. 7339, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 10 giugno 2011, n. 12791, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 31 ottobre 2014, n. 23321, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 31 marzo 2010, n. 7831, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cass. 30 luglio 2010, n. 17904, in Boll. Trib. On-line.
(6) Cass. 1° ottobre 2014, n. 20669, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cass. 30 giugno 2010, n. 15473, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cass. 24 settembre 2015, n. 19015, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cass. 29 aprile 2011, n. 9540, in Boll. Trib. On-line.
(10) Cass. 2 luglio 2014, n. 15030, in Boll. Trib. On-line.
(11) Cass. 5 dicembre 2014, n. 25754, in Boll. Trib. On-line.

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