10 Marzo, 2017

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. L’art. 44 del D.P.R. n. 602/1973: gli interessi per ritardato rimborso di imposte – 3. Profili di illegittimità costituzionale dell’art. 44 del D.P.R. n. 602/1973 – 4. Primo profilo di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 3 Cost. – 5. Secondo profilo di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 3 Cost. – 6. Terzo profilo di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 3 Cost. – 7. Illegittimità costituzionale in relazione all’art. 53 Cost. – 8. Conclusioni.

1. Premessa

La recente “Riforma della riscossione”, approvata con D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159, offre lo spunto per una riflessione sul tema degli interessi per ritardato rimborso di imposte pagate.
In particolare è l’art. 13 del decreto citato a risvegliare l’interesse, invero mai sopito, per l’argomento, avendo (finalmente) previsto che il tasso di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo torni a essere determinato possibilmente in una misura unica (1).
La misura e la decorrenza dell’applicazione del “tasso unico” sarà stabilita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (2) e fino all’emanazione di tale decreto continueranno ad applicarsi le disposizioni di cui alle singole leggi d’imposta e il D.M. 21 maggio 2009 (3).
Nel salutare con favore la previsione di un “tasso unico”, in realtà temperata da diverse riserve (4), cogliamo l’occasione per svolgere alcune considerazioni sulla disciplina prevista dall’art. 44 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e sulle criticità che presenta.

2. L’art. 44 del D.P.R. n. 602/1973: gli interessi per ritardato rimborso di imposte

Come è noto, tale disposizione statuisce che «Il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia stato iscritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all’interesse del 1 per cento per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della scadenza dell’ultima rata del ruolo in cui è stata iscritta la maggiore imposta e la data dell’ordinativo emesso dall’intendente di finanza o dell’elenco di rimborso» (primo comma). «L’interesse di cui al primo comma è dovuto, con decorrenza dal secondo semestre successivo alla presentazione della dichiarazione, anche nelle ipotesi previste nell’art. 38, quinto comma e nell’art. 41, secondo comma» (secondo comma). «L’interesse è calcolato dall’ufficio delle imposte, che lo indica nello stesso elenco di sgravio, o dall’intendente di finanza ed è a carico dell’ente destinatario del gettito dell’imposta» (terzo comma).
Va premesso che la funzione degli interessi per ritardato rimborso di imposte è, all’evidenza, quella di preservare il patrimonio del percipiente dagli effetti pregiudizievoli derivanti dalla temporanea indisponibilità della somma rimborsata in ritardo. In altre parole, la loro funzione è quella di indennizzare il creditore per la mancata disponibilità di una somma di danaro che, se investita, avrebbe fruttato.
In sostanza, la norma in discorso stabilisce che gli interessi devono essere liquidati:
1) a partire dalla data del versamento/dichiarazione ma con esclusione del primo semestre a essa successivo;
2) per semestri interi;
3) fino alla data di emissione dell’ordinativo di pagamento.
Ne deriva una consistente limitazione del diritto del percipiente a vedersi indennizzato per l’intero periodo in cui il rimborso è stato procrastinato, atteso che sono esclusi dal periodo di maturazione degli interessi: in forza di quanto indicato sub 1), il primo semestre successivo alla data di versamento/dichiarazione e, in forza di quanto indicato sub 2), la frazione di semestre successiva all’ultimo semestre intero (ossia il periodo che intercorre tra la fine dell’ultimo semestre intero e la data dell’ordinativo di pagamento) (5).
Si tratta di limitazione in quanto, essendo la funzione degli interessi in discorso quella di indennizzare il creditore della mancata disponibilità del denaro, in relazione alla sua naturale “fecondità”, detta funzione sarebbe assolta integralmente soltanto ove la somma a credito producesse interessi per tutto il periodo di mancata disponibilità, ossia dall’insorgenza del credito fino al suo soddisfacimento, o quantomeno alla data dell’ordinativo di pagamento.
A ciò si aggiunge che, a partire dal 1° gennaio 2010, la misura degli interessi sui crediti d’imposta (pari all’1 per cento semestrale) differisce dalla misura degli interessi sui debiti d’imposta (pari al 4 per cento annuo e, dunque, al 2 per cento semestrale) (6), laddove in passato le due misure coincidevano (7). Ed è questa la ragione dell’intervento di “razionalizzazione” degli interessi nell’ambito della riforma della riscossione di cui si è fatto cenno nell’introduzione del presente lavoro.
Ebbene, ad avviso di chi scrive, l’art. 44 in esame presenta diversi profili di incostituzionalità.

3. Profili di illegittimità costituzionale dell’art. 44 del D.P.R. n. 602/1973

La disposizione denunciata si pone in contrasto, in primo luogo, col principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., sotto tre distinti profili, giacché:
a) da un lato, nell’ambito della medesima, pur speciale, obbligazione tributaria determina un’irragionevole disparità di trattamento tra i due soggetti del rapporto in ordine alla debenza degli interessi per ritardato pagamento, atteso che quelli dovuti dal contribuente, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 602/1973, sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione e al controllo formale della dichiarazione o all’accertamento d’ufficio trovano invece applicazione dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna dei ruoli al concessionario e, inoltre, sono dovuti in misura doppia rispetto agli interessi dovuti dall’Amministrazione finanziaria per ritardato rimborso dei crediti d’imposta;
b) dall’altro, escludendo la corresponsione degli interessi per il primo semestre e per il semestre non intero, assoggetta a un trattamento diverso e deteriore il soggetto che, non avendo debiti tributari da opporre in compensazione in dichiarazione (perché non tenuto a presentare alcuna dichiarazione o perché presenta una dichiarazione a debito), è costretto ad attendere un rimborso che lo terrà solo parzialmente indenne della mancata disponibilità del denaro, rispetto al soggetto che, nell’opposta situazione, avvalendosi della compensazione in dichiarazione, consegue immediata e integrale soddisfazione delle proprie ragioni;
c) infine, imponendo la liquidazione degli interessi sulla base dei semestri interi, sottopone a identico trattamento situazioni differenziate in quanto riconosce un identico periodo di maturazione degli interessi a fronte di rimborsi disposti in momenti diversi nell’arco del medesimo semestre.

4. Primo profilo di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 3 Cost.

Quanto al primo profilo la diversità di trattamento non trova alcuna forma di giustificazione nella specialità della disciplina tributaria, poiché la violazione del principio di eguaglianza è interna alla disciplina dell’obbligazione tributaria ed emerge quindi indipendentemente dal raffronto con la disciplina comune.
Nell’ambito della medesima obbligazione tributaria, infatti, il creditore subisce una decurtazione degli interessi per ritardato pagamento (sia a causa della liquidazione “per semestri” sia in virtù del diverso tasso d’interesse) solo quando ad assumere tale veste è il contribuente e per questo solo fatto.
Giova ricordare che la Corte Costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 44 del D.P.R. n. 602/1973 (sulla liquidazione “per semestri”) si richiamò a un asserito «principio della maturazione a semestri interi per gli interessi sulle somme di cui è disposta la restituzione», principio desumibile, secondo la Consulta, dalla «applicazione speculare [della medesima regola] anche nella fattispecie relativa agli interessi sugli importi dei tributi dovuti dai contribuenti» (8).
In sostanza, il giudice delle leggi aveva enucleato un principio di liquidazione degli interessi per semestri interi (ma non, peraltro, di esclusione del primo semestre), peculiare del diritto tributario e operante, in quanto principio, sia per il contribuente sia per l’Amministrazione finanziaria.
Tale specularità di trattamento, non interessa in questa sede se idonea o non idonea a giustificare la deviazione dell’obbligazione tributaria dalla disciplina comune, è sicuramente venuta meno in seguito alle modifiche apportate al citato art. 20 del D.P.R. n. 602/1973.
Infatti quest’ultima disposizione così recitava, all’epoca della citata pronuncia: «Decorso un semestre dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione si applica a carico del contribuente l’interesse del 3 per cento sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute, in base a rettifica o ad accertamento d’ufficio, per ogni semestre intero successivo fino alla data della consegna all’esattore dei ruoli nei quali è effettuata l’iscrizione»; così dispone, invece, nel testo attualmente in vigore: «Sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del 4 per cento annuo».
Così, proprio l’argomento della parità di trattamento tra Amministrazione finanziaria e contribuente, che servì ad assolvere allora il legislatore dalla censura di incostituzionalità, deve oggi condurre a riconoscere la fondatezza della questione.
Il principio di eguaglianza tra le parti dell’obbligazione tributaria e la sua rilevanza costituzionale trovano oggi sicura conferma nello Statuto dei diritti del contribuente (9) le cui disposizioni costituiscono «attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione», in particolare laddove, nell’ambito dei principi della integrità patrimoniale del contribuente fissati dall’art. 8, sancisce che «l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione».
E non è un caso che la recente giurisprudenza di legittimità abbia rilevato come la compensazione, quale forma di estinzione dell’obbligazione tributaria, implichi il riconoscimento della «par condicio del dare e dell’avere a partire dal momento della loro coesistenza» (10).
In ultima analisi, l’ordinamento tributario, ben lungi dall’ispirarsi a un supposto «principio della maturazione a semestri interi per gli interessi sulle somme di cui è disposta la restituzione» (che, tra l’altro, non sarebbe neppure sufficiente a giustificare l’esclusione del primo semestre di interessi), consente di enucleare il ben diverso principio di parità tra le parti dell’obbligazione tributaria, alla luce del quale la peculiare disciplina posta dalla norma censurata si appalesa affetta da assoluta irragionevolezza e incoerenza sia sotto il profilo della limitazione derivante dalla liquidazione per semestri interi (con esclusione del primo), sia sotto il profilo della differente misura degli interessi.
Né possono assumere rilievo asserite «esigenze connesse alle operazioni di liquidazione dell’imposta e di formazione dei ruoli nonché di quelle degli uffici preposti allo svolgimento dei complessi procedimenti restitutori» (11), sia perché anche questa affermazione poggiava sul presupposto, oggi caduto, che entrambe le parti fossero soggette all’applicazione speculare della medesima disciplina, sia perché è pacifico, come accennato, che la maturazione degli interessi è correlata al dato obiettivo del decorso del tempo (12).

5. Secondo profilo di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 3 Cost.

Per quanto concerne il profilo indicato sub b), basti osservare soltanto che anche la compensazione, come il rimborso del capitale e degli interessi, è un modo satisfattivo di estinzione dell’obbligazione e che a parità di credito, mentre la compensazione garantisce l’integrale soddisfacimento delle ragioni creditorie del contribuente, il rimborso del capitale e degli interessi comporta un loro parziale ma sostanziale sacrificio, sicché la normativa tributaria, del tutto irragionevolmente, differenzia il trattamento dei contribuenti in base alla circostanza che abbiano o non abbiano debiti fiscali da opporre in compensazione.

6. Terzo profilo di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 3 Cost.

Infine, con riguardo al profilo indicato sub c), sempre in rapporto al medesimo parametro, la censura poggia sulla constatazione che, a causa del suddetto calcolo per semestri interi, in presenza di ordinativi emessi in tempi diversi (peraltro in dipendenza di circostanze fortuite, o, peggio, di scelte arbitrarie dell’emittente), fino a sei mesi di distanza l’uno dall’altro, è riconosciuto ai contribuenti il medesimo periodo di maturazione degli interessi.
Occorre osservare al riguardo che questo profilo è già stato analizzato dalla Corte Costituzionale, la quale ha sostenuto che si tratterebbe di differenze derivanti da circostanze di fatto inerenti all’applicazione della disposizione che non assumono rilievo nel giudizio di costituzionalità (13).

7. Illegittimità costituzionale in relazione all’art. 53 Cost.

La disposizione denunciata viola altresì l’art. 53 Cost. in quanto, escludendo arbitrariamente la corresponsione degli interessi per il primo semestre successivo alla presentazione della dichiarazione e per la frazione di semestre successiva all’ultimo semestre intero, durante i quali le imposte da rimborsare restano purtuttavia nella disponibilità dell’erario, realizza sostanzialmente un indebito prelievo a carattere definitivo non correlato ad alcuna manifestazione di ricchezza, in palese spregio del principio di capacità contributiva (14).

8. Conclusioni

Diversi sono i profili di illegittimità costituzionale dell’art. 44 del D.P.R. n. 602/1973 destinati a permanere anche dopo che l’atteso decreto del Ministro dell’economia e delle finanze auspicabilmente avrà stabilito una misura unica per il tasso di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo.
Da un lato rimane invariata la disciplina del rimborso degli interessi per ritardato rimborso di imposte pagate per “semestri”, dall’altro il “tasso unico” si applicherà solo con riguardo alla quota di interessi maturata dalla data di entrata in vigore del decreto che lo stabilirà.
La strada da percorrere per raggiungere la parità tra le parti dell’obbligazione tributaria è, dunque, ancora lunga.

Avv. Lorenzo Magnani – Avv. Lucia Montecamozzo

(1) Come lo era prima del D.M. 21 maggio 2009.
(2) Il decreto avrebbe dovuto essere emanato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 159/2015 (22 ottobre 2015) e, dunque, entro il 20 gennaio 2016. Alla data di redazione del presente scritto il decreto non risulta ancora approvato.
(3) È lecito attendersi che la nuova misura degli interessi sarà applicabile con riguardo alla quota di interessi che maturerà dall’entrata in vigore del decreto stesso, così come è sempre stato previsto in passato in occasione dell’approvazione delle nuove misure. Cfr. in tale senso: art. 8 del D.L. 6 luglio 1974, n. 260 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 agosto 1974, n. 354); art. 2 del D.L. 4 marzo 1976, n. 30 (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 1976, n. 160); art. 7 della legge 11 marzo 1988, n. 67; art. 13 del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133); art. 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662; art. 1 del D.M. 27 giugno 2003; e art. 1 del D.M. 21 maggio 2009.
(4) In particolare, l’avverbio “possibilmente” e l’inciso “nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica” destano nel lettore qualche perplessità per la discrezionalità che attribuiscono al Ministro dell’economia e delle finanze nella determinazione della misura del tasso di interesse. La prima riserva, anzi, è talmente indeterminata da far persino dubitare del carattere prescrittivo, e, quindi, normativo, della disposizione, ciò che, però, non è accettabile dal punto di vista ermeneutico poiché la porrebbe nel nulla (onde, la “possibilità”, a nostro avviso, va intesa in senso strettamente giuridico, come assenza di un impedimento di tal natura). La previsione del quinto comma dell’art. 13 del D.Lgs. n. 159/2015, secondo cui dall’attuazione delle disposizioni dell’articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, fa temere che la strada verso il “tasso unico” possa incontrare qualche ostacolo.
(5) Quanto al decorrere degli interessi fino alla data dell’ordinativo di pagamento, la Corte di Cassazione ha affermato che l’art. 44 del D.P.R. n. 602/1973 deve essere interpretato nel senso che gli interessi decorrono fino alla data di emissione dell’ordinativo in quanto ritualmente e tempestivamente notificato (cfr. Cass., sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760, in Boll. Trib., 2002, 377). La Suprema Corte ha poi sostenuto che tale principio non può essere inteso nel senso che gli interessi debbono essere liquidati fino alla data di comunicazione dell’ordinativo di pagamento e che l’eventuale, abnorme, ritardo nell’esecuzione del mandato è fonte di responsabilità per il tesoriere e non per l’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass., sez. trib., 2 marzo 2004, n. 4235, in Boll. Trib., 2004, 1111).
(6) Come previsto dall’art. 20 del D.P.R. n. 602/1973: «Sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del quattro per cento annuo».
(7) Cfr., da ultimo, D.M. 27 giugno 2003.
(8) Cfr. Corte Cost. 20 maggio 1996, n. 157, in Boll. Trib., 1996, 632.
(9) Legge 27 luglio 2000, n. 212.
(10) Cfr. Cass. n. 4760/2001, cit.
(11) Così, ancora, Corte Cost. n. 157/1996, cit., che in ciò ravvisava la ratio della contestata disposizione.
(12) Nel senso che la causa giuridica degli interessi è sempre identica indipendentemente dal fatto che il contribuente sia l’accipiens o il solvens, ved. Cass., sez. trib., 4 giugno 2007, n. 12990, in Boll. Trib. On-line.
(13) Così Corte Cost. n. 157/1996, cit.
(14) Il contrasto dell’art. 44 del D.P.R. n. 602/1973 con l’art. 53 Cost. è stato sostenuto da Comm. trib. di I° grado di Sassari 20 marzo 1995, ord. n. 348, in Boll. Trib. On-line. Il giudice rimettente ha ritenuto che la mancata corresponsione degli interessi per l’intero periodo nel quale le somme versate sono rimaste nella disponibilità dell’erario comporti per il contribuente l’equivalente del pagamento di un’imposta, non commisurata alla capacità contributiva, sulla base di un presupposto (il rapporto tributario dedotto nell’accertamento) inesistente, in quanto dichiarato tale dal giudice con effetto ex tunc. La questione è stata dichiarata non fondata dalla Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 157/1996, atteso che, secondo la Consulta, nella specie si controverterebbe non sull’idoneità del soggetto a concorrere alle pubbliche spese, in relazione a indici espressivi di ricchezza, bensì sulla costituzionalità di una disciplina che concerne un rapporto di restituzione di tributi indebitamente riscossi, regolato dal legislatore secondo particolari modalità. Il che renderebbe palese, a parere della Corte Costituzionale, l’improprietà dello stesso riferimento al parametro invocato.

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