1. Premessa
Si discute della responsabilità professionale di un ragioniere commercialista. Il ricorso da lui proposto avanti la giustizia tributaria contro un avviso di accertamento era stato dichiarato inammissibile in quanto il mandato alle liti gli era stato conferito su foglio separato al ricorso stesso.
Piuttosto che ricorrere in Corte di Cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva confermato tale decisione, il contribuente ha citato il commercialista avanti al Tribunale per sentirlo condannare al risarcimento dei danni. Fra gli elementi di colpa addotti, il fatto che questi non aveva regolarizzato il mandato nel corso dell’udienza di discussione e, ancora, l’avere proposto appello soltanto per contestare tale dichiarata inammissibilità, del tutto trascurando la riproposizione delle questioni di merito.
La sentenza della Corte d’Appello, che analizza le varie questioni alla base della controversia, si presta ad un esame dello stato dell’arte dei temi attinenti l’instaurazione del rapporto processuale e della responsabilità del difensore.
2. L’obbligo della assistenza tecnica
L’art. 12 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sancisce l’obbligo dell’assistenza tecnica nel processo tributario da parte di un difensore abilitato. La norma non dice se il relativo incarico debba o meno avvenire prima della presentazione del ricorso. Tuttavia, siccome la legge non dispone l’obbligo della rappresentanza processuale ma soltanto quello dell’assistenza, e l’incarico può essere conferito anche oralmente nel corso dell’udienza pubblica, quando dunque il rapporto processuale si è già costituito, ciò significa che il ricorso che avvia il giudizio ben può essere sottoscritto direttamente dalla parte senza l’assistenza del difensore. L’art. 18 del D.Lgs. n. 546/1992 conferma questo asserto laddove, parlando della sottoscrizione di quest’ultimo come condizione di ammissibilità, aggiunge l’inciso «salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente».
Sia la Corte Costituzionale che la Corte di Cassazione hanno fatto proprie queste considerazioni. Chiamata a dire se le norme di cui agli artt. 12, quinto comma, e 18, terzo e quarto comma, del D.Lgs. n. 546/1992, violassero o meno gli artt. 3 e 24, primo comma, Cost., nella parte in cui sanciscono l’inammissibilità del ricorso che sia sottoscritto dal solo contribuente, la Corte Costituzionale ebbe a rilevare che la norma denunciata era suscettibile di essere interpretata in modo da escludere una tale ipotesi, e cioè che la sottoscrizione del ricorso da parte del ricorrente non impediva il regolare instaurarsi del rapporto processuale. L’inammissibilità del ricorso entrava in gioco, si legge nella sentenza 13 giugno 2000, n. 189 (1), «solo a seguito di ordine ineseguito nei termini fissati e non per il semplice fatto della mancata sottoscrizione del ricorso da parte di un professionista abilitato». Dovendosi in ciò tener conto, proseguiva la Corte Costituzionale, «che trattasi di semplice assistenza tecnica (e non anche di rappresentanza), il cui incarico può essere conferito anche in sede di udienza pubblica». Altrettanto è avvenuto da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 2 dicembre 2004, n. 22601 (2).
Il diritto vivente vuole dunque che un ricorso che sia stato sottoscritto direttamente dal contribuente diventi inammissibile soltanto in esito alla mancata esecuzione dell’ordine del giudice di munirsi di assistenza tecnica, come ricordato dall’annotata sentenza: «Nelle controversie tributarie di valore superiore ad € 2.582,28 (3), per effetto della interpretazione adeguatrice degli artt. 12, comma 5, e 18, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, fornita dalla Corte Cost. con sentenza n. 189 del 2000, l’inammissibilità del ricorso presentato senza l’assistenza di un difensore abilitato può essere dichiarata soltanto qualora la parte privata non ottemperi, nel termine all’uopo fissato, all’ordine del giudice di munirsi di assistenza tecnica impartitole dal presidente della commissione tributaria».
3. L’incarico su foglio separato
Nel caso in esame non si trattava tuttavia di un ricorso sottoscritto dal contribuente, per cui sarebbe valso quanto sopra, ma dal suo difensore. La Commissione tributaria regionale aveva semplicemente ritenuto che il relativo conferimento d’incarico non fosse conforme alla norma di cui all’art. 12, settimo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, in quanto rilasciato su foglio separato.
A differenza dell’art. 83 c.p.c., che prevede espressamente una tale formalità, seppure precisando che in tal caso il foglio separato deve essere materialmente congiunto all’atto cui si riferisce, la norma tributaria si limita a dire che l’incarico deve essere conferito «con atto pubblico o con scrittura autenticata od anche in calce o a margine di un atto del processo». Nessun cenno alla possibilità del foglio separato.
Il principio che entrava in gioco non era dunque quello sopra menzionato circa la nomina del difensore nel corso del processo, ma quello sull’applicazione nell’ambito del processo tributario delle norme non incompatibili del codice di rito civile secondo quanto espressamente dispone il secondo comma dell’art. 1 del D.Lgs. n. 546/1992. Tra esse l’art. 83 c.p.c. appena visto e l’art. 182 c.p.c. nella parte in cui regolamenta l’ipotesi di «un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore». Ipotesi in cui, prosegue la norma, «il giudice assegna alle parti un termine perentorio per … il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa».
Secondo la sentenza n. 29591 resa dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione il 29 dicembre 2011 (4), la modalità di cui sopra, e cioè il conferimento dell’incarico in un foglio separato, è confacente con quella del mandato in calce. Non volendo aderire a quest’impostazione, si sarebbe comunque trattato di una semplice irregolarità formale. Seppure in modo irregolare, l’incarico era stato infatti validamente conferito.
Si rendeva dunque applicabile il principio processual-civilistico sopra esposto sulla regolarizzazione di taluni difetti nella costituzione del rapporto processuale. Principio già preso a modello per attribuire al giudice tributario la funzione collaborativa intesa a perfezionare la nomina di un difensore, così da rendere le formalità del ricorso introduttivo corrispondenti al modello normativo. Con la nuova formulazione dell’art. 12, decimo comma, introdotta dall’art. 5 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, secondo cui «si applica l’articolo 182 del codice di procedura civile ed i relativi provvedimenti sono emessi dal presidente della commissione o della sezione o dal collegio», questo principio fa ora parte a pieno titolo del processo tributario.
Ciò significa che in relazione ad un vizio come quello sopra esposto circa le modalità del conferimento dell’incarico al difensore, il giudice tributario deve necessariamente, ex lege, promuovere «la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio ed indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa» (5).
4. La rimessione della causa alla Commissione provinciale
L’art. 59 del D.Lgs. n. 546/1992 elenca i casi in cui il giudice di appello deve rimettere il riesame del merito della causa a quello di primo grado. Tra essi quello della lett. b) del primo comma prevede il caso in cui il giudice «riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato».
Secondo la decisione n. 620 della Sezione Tributaria della Suprema Corte del 13 gennaio 2006 (6), richiamata dalla sentenza in commento, se il giudice di primo grado dichiara l’inammissibilità del ricorso perché sottoscritto personalmente dalla parte, senza avergli previamente assegnato un termine per munirsi di un difensore, il giudice di secondo grado non può decidere il merito della causa ma deve rimetterla avanti a quello di primo grado affinché rinnovi l’intero procedimento. Ciò in quanto una tale evenienza rientra nell’ipotesi normativa sopra menzionata sulla irregolare costituzione del contraddittorio (7).
Per conseguenza, afferma la Corte d’Appello milanese, la doglianza del contribuente in ordine al fatto che il suo difensore aveva impostato l’appello soltanto sulla declaratoria di inammissibilità del ricorso, del tutto trascurando le questioni di merito, era una doglianza infondata. In questi termini, la riproposizione in tale grado delle questioni di merito sarebbe stata del tutto inutile in quanto, una volta che la Commissione tributaria regionale avesse riformato la declaratoria di inammissibilità del ricorso sancito dal giudice di prime cure, perché al ricorrente non era stato assegnato il termine per munirsi di un difensore, avrebbe dovuto rimettere la causa alla Commissione provinciale per la celebrazione del giudizio rescissorio.
Su tale aspetto la giurisprudenza maggioritaria è tuttavia attestata su posizioni diametralmente opposte, sulla base di considerazioni del tutto condivisibili sul piano logico e sistematico.
Come si è visto, l’orientamento formatosi sulle posizioni della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite della Cassazione con le sentenze n. 189 del 2000 e n. 22601 del 2004 sopra richiamate, vuole che un ricorso per liti superiori all’importo di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992 che sia sottoscritto dal solo contribuente diventi inammissibile soltanto dopo l’infruttuoso decorso del termine assegnato al ricorrente per munirsi di un difensore. Ciò significa che il vizio che un tale provvedimento è destinato a sanare non attiene alla instaurazione del rapporto processuale con l’ente impositore, regolarmente insorto fin dalla notifica del ricorso. Nulla a che vedere, pertanto, con il contraddittorio, che risulta violato soltanto quando al processo non abbiano partecipato o non siano stati messi in condizione di farlo tutti i legittimi contraddittori e non quando, come nel caso per cui si discute, non risulti emesso il provvedimento circa l’assistenza tecnica del ricorrente.
Se così è, ne segue che se la Commissione tributaria regionale avesse riformato, come avrebbe dovuto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso dichiarata in primo grado, avrebbe dovuto decidere essa stessa il merito della causa: ciò in quanto l’irregolarità che ne era alla base non integrava alcuna delle ipotesi di rinvio alla Commissione provinciale, «atteso che l’assistenza tecnica», per usare le parole dei Supremi Giudici, «non riguarda i presupposti processuali relativi alle parti né incide sulla regolarità del contraddittorio» (8).
Siccome l’appellante non aveva ritualmente riproposto le questioni di merito, l’appello sarebbe risultato inammissibile per difetto d’interesse. Ciò in quanto le censure sui vizi di attività del primo giudice, che non rientrano nella fattispecie di cui all’art. 59 sopra menzionata, «non sono di per sé idonee ad assicurare alla parte appellante la tutela sostanziale invocata con il ricorso, che non è connessa soltanto alla mera rimozione della sentenza di primo grado, ma al riesame delle questioni di merito già dibattute in prime cure» (9).
In tali termini il difensore aveva errato il suo appello, concentrandosi soltanto sulle questioni di rito, trascurando il merito del ricorso.
Questo non significava tuttavia che l’errata impostazione dell’atto d’appello privo delle eccezioni di merito sarebbe ex se stata sufficiente per renderlo responsabile del pregiudizio economico lamentato dal contribuente.
5. Gli elementi della colpa professionale
Per potersi parlare di inadempimento rilevante ai fini della responsabilità, non basta infatti il mancato raggiungimento del risultato a cui la prestazione era rivolta e la violazione colposa dei doveri connessi allo svolgimento dell’attività a cui il professionista avrebbe dovuto attenersi, occorrendo aggiungere anche il fondamento del diritto che si vantava.
Quando un professionista assume un incarico, egli non promette al suo cliente il raggiungimento del risultato da questi desiderato ma, come la Corte ambrosiana ricorda, il solo impegno a prestare la propria opera per raggiungerlo. Trattandosi di prestazioni di particolare specializzazione, nell’adempimento di tale obbligazione il professionista non è tenuto alla semplice diligenza del buon padre di famiglia, ma a quella specifica del debitore qualificato, così come previsto dal secondo comma dell’art. 1176 c.c.: il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti tecnici che nel loro insieme costituiscono le conoscenze di un professionista di media preparazione professionale (10).
Per renderlo responsabile di eventuali pregiudizi economici, non è sufficiente tuttavia allegare la violazione dei doveri connessi allo svolgimento dell’attività a cui il medesimo avrebbe dovuto attenersi, occorrendo dimostrare che se questi «avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito», per usare le parole della Corte milanese, «alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni». In altre parole, occorre la prova del nesso causale tra la condotta del difensore e il risultato che ne è derivato.
Sotto questo aspetto, la Corte d’Appello di Milano ha fatto buon governo di questa regola addentrandosi con scrupolo nella valutazione del fondamento delle ragioni addotte contro l’avviso di accertamento, giudicandole prive di consistenza. L’accertamento impugnato era dunque legittimo, ed a nulla sarebbe valso il giudizio di merito.
Tale dato sull’obiettivo fondamento del ricorso si presta ad una ulteriore considerazione sul piano logico-sistematico.
Come si è appena visto, la regola generale che governa la materia risarcitoria vuole che il fondamento della responsabilità del professionista non si esaurisca nel rispetto dei precetti e degli accorgimenti tecnici propri della professione, ma che sia anche dimostrata la certezza o l’elevata probabilità di avveramento del risultato atteso. Tali considerazioni entrano in gioco anche in relazione al motivo per cui il ricorso sia stato proposto nonostante gli elementi certi ed obiettivi sottoposti all’esame del difensore attestassero che il risultato atteso dal cliente ben difficilmente sarebbe stato raggiunto. Ciò per controllare se siano state opportunamente valutate le probabilità di successo dell’azione giudiziaria, competendo al professionista rappresentare al cliente «tutte le questioni di fatto e di diritto ostative al raggiungimento del risultato o comunque produttive del rischio di effetti dannosi» (11). Tra esse la perdita delle agevolazioni connesse alla definizione bonaria dell’accertamento.
In buona sostanza, l’obbligo di svolgere l’incarico con la dovuta diligenza non riguarda soltanto le regole processuali, ma impone al professionista di valutare e informare il suo assistito di tutti i possibili rischi, vantaggi e svantaggi legati al raggiungimento del risultato, non ultimo quello delle sanzioni, fino a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio il cui esito appare con elevata probabilità sfavorevole.
La prova di avere adempiuto a questo combinato onere valutativo e informativo incombe su di lui, a nulla valendo, sono di nuovo le parole dei Supremi Giudici, «il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all’esercizio dello “jus postulandi”, stante la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno d’iniziare un processo» (12).
In conclusione, accanto all’incarico da allegare al ricorso, non sarebbe per nulla superfluo redigere un dettaglio valutativo della questione esaminata, sottoscritto da parte del cliente quale prova delle informazioni fornite.
Verrebbe da ultimo da domandarsi se non sia prospettabile una ulteriore azione di responsabilità nei confronti dell’avvocato che, anziché impugnare per cassazione l’erronea pronuncia della Commissione tributaria regionale, ha deciso, certamente su precisa indicazione del cliente, di richiedere il risarcimento dei danni ai primi difensori del processo tributario, azione che, come visto, i giudici della Corte d’Appello di Milano hanno giudicato infondata, con anche una pesante condanna alle spese! Sembra proprio il caso di chiosare “oltre il danno, la beffa”.
Avv. Bruno Aiudi
(1) In Boll. Trib., 2000, 1191, con nota di V. AZZONI, Ricorso sottoscritto dal contribuente e non dal difensore per liti di valore superiore ai cinque milioni di lire. È sanabile il vizio?
(2) In Boll. Trib., 2005, 133.
(3) Così sostiene da ultimo Cass., sez. trib., 26 maggio 2017, n. 13346, in Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib. On-line.
(5) Cfr. Cass., sez. III, 20 giugno 2017, n. 15156; e Cass., sez. un., 19 aprile 2010, n. 9217; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(6) In Boll. Trib., 2007, 1553.
(7) Nello stesso senso cfr. Cass., sez. VI, 14 novembre 2013, ord. n. 25564, in Boll. Trib. On-line, secondo cui la mancata fissazione del termine di cui sopra «si traduce in un vizio attinente alla regolare instaurazione del contraddittorio».
(8) Cfr. Cass., sez. VI, 18 gennaio 2017, ord. n. 1245, in Boll. Trib. On-line.
(9) Così Cass., sez. un., 14 dicembre 1998, n. 12541, in Giust. civ., 1999, I, 394.
(10) Soltanto nell’ipotesi in cui la chiesta prestazione dovesse richiedere la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, e nel campo tributario questo genere di problemi davvero non manca, entra in gioco la norma di cui all’art. 2236 c.c. secondo cui il professionista risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave. Sul punto cfr. Cass., sez. II, 14 agosto 1997, n. 7618, in Foro it., 1997, I, 3570.
(11) Come affermato da ultimo da Cass., sez. VI, 13 settembre 2017, ord. n. 21173, in Boll. Trib. On-line.
(12) Così Cass. n. 21173/2017, cit.
Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Inadempimento del professionista incaricato all’assistenza in giudizio – Valutazione – Mancato raggiungimento del risultato utile – Irrilevanza – Diligenza professionale di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c. – Individuazione – Diligenza media posta da qualunque professionista nell’esercizio della propria attività – Soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà – Responsabilità professionale attenuata di cui all’art. 2236 c.c. – Consegue.
Imposte e tasse – Responsabilità del professionista – Valutazione dell’inadempimento del professionista incaricato all’assistenza in giudizio – Mancato raggiungimento del risultato utile – Irrilevanza – Diligenza professionale di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c. – Individuazione – Diligenza media posta da qualunque professionista nell’esercizio della propria attività – Soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà – Responsabilità professionale attenuata di cui all’art. 2236 c.c. – Consegue.
Procedimento – Ricorsi – Procura alle liti – Art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992 – Procura di rappresentanza – Non necessita – Conferimento di incarico professionale a prestare assistenza in giudizio – Sufficienza – Applicabilità dell’art. 83 c.p.c. – Sussiste – Rilascio della procura su foglio separato congiunto materialmente all’atto cui si riferisce – Validità.
Procedimento – Assistenza e rappresentanza – Rappresentanza del ricorrente – Art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992 – Procura di rappresentanza – Non necessita – Conferimento di incarico professionale a prestare assistenza in giudizio – Sufficienza – Applicabilità dell’art. 83 c.p.c. – Sussiste – Rilascio della procura su foglio separato congiunto materialmente all’atto cui si riferisce – Validità.
Procedimento – Ricorsi – Procura alle liti – Art. 83 c.p.c. – Requisito della materiale congiunzione tra il foglio separato ove la procura sia stata rilasciata e l’atto cui essa accede – Cucitura meccanica – Non necessita – Totale riempimento dell’ultima pagina o presenza di spazi vuoti – Irrilevanza.
Procedimento – Assistenza e rappresentanza – Rappresentanza del ricorrente – Art. 83 c.p.c. – Procura alle liti – Requisito della materiale congiunzione tra il foglio separato ove la procura sia stata rilasciata e l’atto cui essa accede – Cucitura meccanica – Non necessita – Totale riempimento dell’ultima pagina o presenza di spazi vuoti – Irrilevanza.
Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Mancanza o invalidità della procura – Inammissibilità del ricorso – Non si configura – Ordine del giudice tributario di munirsi di assistenza tecnica entro un termine fissato – Necessita – Inottemperanza – Inammissibilità del ricorso – Consegue.
Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Controversie di valore superiore ai cinque milioni di lire – Ricorso presentato senza l’assistenza di un difensore abilitato – Dichiarazione di inammissibilità del ricorso – Non consegue – Inottemperanza, nel termine all’uopo fissato, all’ordine di munirsi di assistenza tecnica, impartito dal presidente della Commissione tributaria – Inammissibilità del ricorso – Consegue – Mancato ordine del giudice di primo grado e mancata fissazione del relativo termine – Rimessione della causa alla Commissione provinciale a norma dell’art. 59, primo comma, lett. b), del D.Lgs. n. 546/1992, affinché inviti il ricorrente a munirsi della prescritta assistenza tecnica, con declaratoria d’inammissibilità in caso d’inottemperanza – Necessita.
Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Responsabilità del professionista incaricato all’assistenza in giudizio per violazione dei propri obblighi professionali – Risarcimento del danno – Occorre valutare se il cliente avrebbe potuto conseguire, con ragionevole certezza, una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione.
Imposte e tasse – Responsabilità del professionista – Violazione dei propri obblighi professionali – Risarcimento del danno – Occorre valutare se il cliente avrebbe potuto conseguire, con ragionevole certezza, una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione.
Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Responsabilità del professionista incaricato all’assistenza in giudizio per omessa proposizione di una impugnazione – Non costituisce ex se fonte di responsabilità e di risarcimento del danno – Verifica se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del professionista, se un danno vi sia stato effettivamente e se l’assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni – Necessita.
Imposte e tasse – Responsabilità del professionista – Omessa proposizione di una impugnazione – Non costituisce ex se fonte di responsabilità e di risarcimento del danno – Verifica se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del professionista, se un danno vi sia stato effettivamente e se l’assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni – Necessita.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento basato sulle valutazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare – Insufficienza dei soli valori OMI a dimostrare l’inattendibilità del prezzo di vendita dell’immobile indicato dalle parti – Loro rilevanza quale indizio, in presenza del quale può formarsi la prova presuntiva, e possibilità che il convincimento del giudice si fondi anche su una sola presunzione, purché grave e precisa – Sussistono – Accertamento basato sul solo indizio costituito dalla difformità del prezzo rispetto al valore rilevato nel listino dell’OMI – Possibile legittimità, specie in presenza di altri indizi convergenti.
L’inadempimento del professionista incaricato della difesa in giudizio non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, secondo comma, c.c., il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media del collega di preparazione professionale e di attenzione medie, e quindi la conseguente responsabilità può trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve al dolo, mentre qualora la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà la responsabilità deve ritenersi attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave.
In tema di contenzioso tributario, l’art. 12 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non prevede il rilascio di una procura di rappresentanza, ma soltanto, ove la causa sia di valore superiore a euro 2.582,28, la necessità del conferimento, in favore dei soggetti abilitati, di un incarico professionale a prestare assistenza, che può avvenire nelle forme proprie del mandato “ad litem”, la cui validità segue le regole generali dettate per il processo civile dall’art. 83 c.p.c., con la conseguenza che la procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che però sia congiunto materialmente all’atto cui si riferisce.
Il requisito, posto dall’art. 83, terzo comma, c.p.c., della materiale congiunzione tra il foglio separato, con il quale la procura sia stata rilasciata, e l’atto cui essa accede, non si sostanzia nella necessità di una cucitura meccanica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla stregua del prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui trattasi, con la conseguenza che ai fini della validità della procura non è richiesto che il rilascio di essa su foglio separato sia reso necessario dal totale riempimento dell’ultima pagina dell’atto cui accede, né che la procura sia redatta nelle prime righe del foglio separato, non essendo esclusa la congiunzione dalla presenza di spazi vuoti.
Nel processo tributario il giudice, in caso di mancanza o invalidità della procura, non può dichiarare subito l’inammissibilità del ricorso ma, a norma degli artt. 12, quinto comma, e 18, terzo e quarto comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, deve dapprima invitare la parte a regolarizzare la situazione e, solo in caso di inottemperanza, pronunciare la relativa inammissibilità del ricorso.
Nelle controversie tributarie di valore superiore a cinque milioni di lire, per effetto dell’interpretazione adeguatrice degli artt. 12, quinto comma, e 18, terzo e quarto comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza 13 giugno 2000, n. 189, l’inammissibilità del ricorso presentato senza l’assistenza di un difensore abilitato può essere dichiarata soltanto qualora la parte privata non ottemperi, nel termine all’uopo fissato, all’ordine di munirsi di assistenza tecnica, impartitole dal presidente della Commissione tributaria, atteso che, costituendo l’assistenza tecnica una condizione di ammissibilità della domanda, detto ordine non può che provenire, con carattere di pregiudizialità, dal giudice di primo grado, e la mancata fissazione del relativo termine si traduce in un vizio attinente alla regolare instaurazione del contraddittorio, cosicché, in tale ipotesi, la riforma della dichiarazione d’inammissibilità da parte della Commissione tributaria regionale non consente a quest’ultima di procedere direttamente all’esame del merito, ma impone, ai sensi dell’art. 59, primo comma, lett. b), del citato D.Lgs. n. 546/1992, la rimessione della causa alla Commissione provinciale, perché inviti il ricorrente a munirsi della prescritta assistenza tecnica, con declaratoria d’inammissibilità in caso d’inottemperanza.
L’azione di responsabilità contrattuale nei confronti di un professionista difensore che abbia violato i propri obblighi professionali può essere accolta, secondo le regole generali che governano la materia risarcitoria, se e nei limiti in cui un danno si sia effettivamente verificato, occorrendo a tale scopo valutare se il cliente avrebbe potuto conseguire, con ragionevole certezza, una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione.
La responsabilità di un difensore per omessa proposizione di impugnazione non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e infine se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del difensore, commissiva od omissiva, e il risultato derivatone, atteso che la perdita di una “chance” favorevole non costituisce un danno di per sé, ma soltanto se la “chance” perduta aveva la certezza o l’elevata probabilità di avveramento, da desumersi in base ad elementi certi ed obiettivi.
Anche se le valutazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) non possono costituire, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, prova sufficiente ex se a dimostrare la inattendibilità del prezzo di vendita dell’immobile indicato dalle parti nel contratto, essendo venuta meno la presunzione legale di maggiore reddito fondata sulla difformità del prezzo di cessione immobiliare dal “valore normale” di mercato del bene, esse possono comunque assumere rilevanza quale indizio, in presenza del quale può formarsi la prova presuntiva, atteso che il convincimento del giudice può ben fondarsi anche su una sola presunzione, purché grave e precisa, nonché su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di più elementi presuntivi, di talché appare legittimo l’accertamento basato su tali valori, tanto più se accanto all’indizio costituito dalla difformità del prezzo rispetto al valore rilevato nel listino dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare siano ravvisabili ulteriori indizi convergenti, quali la anomala concessione di mutui bancari per importi superiori al prezzo dell’immobile indicato.
[Corte d’Appello di Milano, sez. II (Pres. Saresella, rel. Corte), 5 aprile 2017, sent. n. 1448]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con atto di citazione ritualmente notificato M.T. – premesso di aver ricevuto avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, con contestazione di maggiori imposte e contributi per l’anno 2004; di aver conferito incarico professionale ai ragionieri S. e D.C. di presentare ricorso alla Commissione Tributaria di primo grado di Milano; che con sentenza 14.12.2010 la Commissione dichiarava inammissibile il ricorso, rilevando la nullità del mandato alle liti conferito ai ragionieri S. e D.C. perché contenuto in foglio separato; che avverso tale decisione presentava appello coi medesimi professionisti, deducendo la regolarità del mandato, e chiedendo la rimessione della causa in primo grado; che la Commissione Tributaria Regionale, con sentenza 16.4.20142, dato atto che “il conferimento (del mandato) non risulta(va) in calce o a margine del ricorso, ma da un separato foglio, aggiunto al ricorso”, e confermava l’impugnata sentenza – conveniva in giudizio i ragionieri G.S. e L.D.C. per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti, ritenendo che il mancato accoglimento delle domanda fosse imputabile a colpa dei professionisti, per la nullità del mandato in primo grado, per la mancata riproposizione dei motivi di merito in appello.
Si costituivano G.S. e L.D.C., eccependo difetto di legittimazione passiva di quest’ultimo; chiedendo l’autorizzazione a chiamare in causa la compagnia assicuratrice G.I. S.p.a.; nel merito, chiedendo il rigetto nel merito della domanda.
Autorizzata la chiamata del terzo, si costituiva G. spa chiedendo il rigetto delle domande attoree e comunque della domanda di manleva.
Con sentenza n. 183/16 resa in data 2.3.2016 il Tribunale di Lodi rigettava la domanda dell’attore, e lo condannava al pagamento in favore dei convenuti e della terza chiamata delle spese di lite.
Avverso la sentenza proponeva appello M.T., insistendo nelle prospettazioni articolate in primo grado, e segnatamente deducendo che il mandato era disgiunto dal contesto dell’atto; che il vizio non è stato sanato, come sarebbe stato possibile, con conferimento del mandato a verbale d’udienza; che l’appello alla Commissione Regionale aveva ad oggetto la sola regolarità del mandato, senza riproporre le questioni di merito del ricorso; che non erano stati proposti ricorso alla Commissione Centrale, né ricorso in autotutela.
Si costituivano S. e D.C., chiedendo respingersi l’appello e confermarsi la sentenza impugnata.
Si costituiva G.I. spa, chiedendo dichiararsi inammissibile, e comunque nel merito respingersi l’appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE – L’impugnazione non può essere accolta.
Osserva la Corte in via generale che le obbligazioni inerenti all’esercizio di una attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo.
L’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare, al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2, c.c., il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata.
Pertanto, la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media relativa al collega di preparazione professionale e di attenzione medie (1).
La conseguente responsabilità può, quindi, trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve, al dolo.
Qualora, invece, la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, la responsabilità deve ritenersi attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave (Cassazione civile sez. II 14 agosto 1997, n. 7618 (2)).
Nel merito, non ritiene la Corte la sussistenza di profili di colpa nella condotta professionale degli appellati.
La procura, che può darsi atto fosse stata conferita con “separato foglio, aggiunto al ricorso”, deve considerarsi regolare.
In tema di contenzioso tributario, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’art. 12 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non prevede il rilascio di una procura di rappresentanza, ma soltanto, ove la causa sia di valore superiore a euro 2.582,28, la necessità del conferimento, in favore dei soggetti abilitati, di un incarico professionale a prestare assistenza, che può avvenire nelle forme proprie del mandato “ad litem”, la cui validità segue le regole generali dettate per il processo civile dall’art. 83 c.p.c., con la conseguenza che la procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che però sia congiunto materialmente all’atto cui si riferisce. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 29591 del 29/12/2011 (3), Rv. 621033).
Si deve allora fare riferimento alla normativa sviluppatasi sull’art. 83 c.p.c.
Sul punto la SC ha reiteratamente affermato che il requisito, posto dall’art. 83, terzo comma, c.p.c. (nel testo modificato dall’art. 1 della legge 27 maggio 1997, n. 141), della materiale congiunzione tra il foglio separato, con il quale la procura sia stata rilasciata, e l’atto cui essa accede, non si sostanzia nella necessità di una cucitura meccanica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla stregua del prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui trattasi; ne consegue che, ai fini della validità della procura, non è richiesto che il rilascio di essa su foglio separato sia reso necessario dal totale riempimento dell’ultima pagina dell’atto cui accede, né che la procura sia redatta nelle prime righe del foglio separato, non essendo esclusa la congiunzione dalla presenza di spazi vuoti (Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 336 del 12/1/2012 (4), Rv. 621359; id. Sez. Lavoro, Sentenza n. 12332 del 27/5/2009 (5), Rv. 608717; id. Sez. Lavoro, Sentenza n. 7731 del 23/4/2004 (6), Rv. 572262).
Nel caso in esame si deve osservare che la procura era presente, e pacificamente risultava “da foglio aggiunto al ricorso”; si discute se con mezzi meccanici o altrimenti, ma la questione è alla luce della giurisprudenza consolidata citata, irrilevante.
La deduzione in ordine al fatto che il vizio non è stato sanato, come sarebbe stato possibile, con conferimento del mandato a verbale d’udienza da parte del contribuente presente è smentita dal verbale di udienza 14.12.2010 (doc. 7 fasc. di parte appellata), dante atto della presenza della sola rag. S., non anche dell’ing. T.
Si consideri poi che nel processo tributario, il giudice, in caso di mancanza o invalidità della procura, non può dichiarare subito l’inammissibilità del ricorso, ma, a norma degli artt. 12, comma 5, e 18, commi 3 e 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (nell’interpretazione data dalla sentenza della Corte cost. n. 189 del 2000 (7)), deve dapprima invitare la parte a regolarizzare la situazione e, solo in caso di inottemperanza, pronunciare la relativa inammissibilità del ricorso (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15029 del 2/7/2014 (8), Rv. 631544).
La doglianza in ordine al fatto che l’appello alla Commissione Regionale avesse ad oggetto la sola regolarità del mandato, senza riproporre le questioni di merito del ricorso, non è fondata.
Costituisce infatti costante insegnamento della corte di legittimità che nelle controversie tributarie di valore superiore a lire 5.000.000, per effetto dell’interpretazione adeguatrice degli artt. 12, comma quinto, e 18, commi terzo e quarto, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, fornita dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 189 del 2000, l’inammissibilità del ricorso presentato senza l’assistenza di un difensore abilitato può essere dichiarata soltanto qualora la parte privata non ottemperi, nel termine all’uopo fissato, all’ordine di munirsi di assistenza tecnica, impartitole dal presidente della commissione tributaria. Costituendo l’assistenza tecnica una condizione di ammissibilità della domanda, detto ordine non può che provenire, con carattere di pregiudizialità, dal giudice di primo grado, e la mancata fissazione del relativo termine si traduce in un vizio attinente alla regolare instaurazione del contraddittorio. In tal caso, la riforma della dichiarazione d’inammissibilità da parte della commissione tributaria regionale non consente a quest’ultima di procedere direttamente all’esame del merito, ma impone, ai sensi dell’art. 59, comma primo, lettera b), del D.Lgs. n. 546 del 1992, la rimessione della causa alla commissione provinciale, perché inviti il ricorrente a munirsi della prescritta assistenza tecnica, con declaratoria d’inammissibilità in caso d’inottemperanza (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 620 del 13/1/2006 (9), Rv. 586407; id. Sez. 5, Sentenza n. 13208 del 6/6/2007 (10) Rv. 599295; id. Sez. 5, Sentenza n. 18129 del 7/8/2009 (11), Rv. 609221; id. n. 19636/2010 (12); id. 25564/2013 (13)).
Quanto alla doglianza relativa [a] non essere stato proposto ricorso in autotutela, si deve osservare come a fronte della prospettazione della possibilità di farlo da parte della rag. G.S. (doc. 13 fasc. di parte appellante), M.T. abbia risposto conferendo incarico in tal senso, con e-mail 18.10.2013, ma abbia anche contestualmente conferito incarico professionale all’avv. U.P.C., che ha inviato ai ragionieri S. e D.C. richiesta di risarcimento dei danni per responsabilità professionale per euro 196.746,89, (raccomandata 24.10.2013), condotta all’evidenza incompatibile con la prosecuzione del mandato professionale con i detti professionisti, perché documenta del venire meno del rapporto di fiducia tra cliente e professionista.
Potrebbe discutersi in ordine a responsabilità per aver sconsigliato la proposizione di ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale, ma si deve ritenere che correttamente l’avvocato A. avesse sconsigliato di proseguire nella coltivazione della controversia, “per evitare dispendio di costi ed energie”, perché anche a fronte di sentenza favorevole sotto il profilo della regolarità del mandato, si sarebbe dovuto affrontare il merito, con assai dubbie probabilità di successo, come si vedrà immediatamente di seguito.
Si deve infatti osservare che l’azione di responsabilità contrattuale nei confronti di un professionista che abbia violato i propri obblighi professionali può essere accolta, secondo le regole generali che governano la materia risarcitoria, se e nei limiti in cui un danno si sia effettivamente verificato, occorrendo a tale scopo valutare se il cliente avrebbe potuto conseguire, con ragionevole certezza, una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3657 del 14/2/2013 (14), Rv. 625299).
Nella contigua materia afferente la responsabilità dell’avvocato, la giurisprudenza di legittimità si è espressa nel senso che la responsabilità per omessa proposizione di impugnazione non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2638 del 5/2/2013 (15), Rv. 625017); ancora, che la perdita di una “chance” favorevole non costituisce un danno di per sé, ma soltanto – al pari del danno da lucro cessante – se la “chance” perduta aveva la certezza o l’elevata probabilità di avveramento, da desumersi in base ad elementi certi ed obiettivi (in base a tale principio la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la responsabilità d’un avvocato per aver provocato l’estinzione del giudizio di merito, in base all’assunto che non vi era alcuna certezza del fatto che, se non vi fosse stata l’estinzione, la pretesa del cliente sarebbe stata accolta) (id. Sez. 3, Sentenza n. 22376 del 10/12/2012 (16), Rv. 624461).
Nel caso in esame si deve osservare che dalla prospettazione originariamente svolta dal contribuente nel processo tributario, oggi appellante, non è dato desumere alcun elemento tale da far presumere una ragionevole possibilità di esito favorevole del ricorso, se anche fosse stato esaminato nel merito.
Ed invero, sia dall’avviso di accertamento (doc. 1 fasc. di primo grado attoreo), sia dalle difese dell’Ufficio (docc. 4 e 10 fasc. di primo grado attoreo), l’addebito dell’evasione è derivato in particolare dall’analisi di tre dati, e dal loro raffronto: il corrispettivo dichiarato dal cedente differiva dalle valutazioni di mercato fomite dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare; l’entità dei mutui erogati agli acquirenti; il listino prezzi redatto dalla Federazione degli intermediari immobiliari F.
In caso analogo la SC di Cassazione, con sentenza resa dalla 5 sezione in data 17.6.2014, dep. 3.10.2014, n. 20914 (17), ha affermato che, anche se le valutazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare non possono costituire, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi e Iva, prova sufficiente “ex se” a dimostrare la inattendibilità del prezzo di vendita dell’immobile indicato dalle parti nel contratto, essendo venuta meno – con la legge n. 88 del 2009 – la “presunzione legale” di maggior reddito fondata sulla difformità del prezzo di cessione immobiliare dal “valore normale” – di mercato – del bene, esse possono comunque assumere rilevanza quale indizio, in presenza del quale può formarsi la prova presuntiva. Il convincimento del giudice infatti può ben fondarsi anche su una sola presunzione, purché grave e precisa, nonché su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di più elementi presuntivi. È dunque legittimo l’accertamento basato su tali valori, tanto più se, come nel caso di specie, accanto all’indizio costituito dalla difformità del prezzo rispetto al valore rilevato nel listino Osservatorio del Mercato Immobiliare, siano ravvisabili ulteriori indizi convergenti quali la anomala concessione di mutui bancari per importi superiori al prezzo dell’immobile indicato.
S’impongono quindi le reiezione dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
Le spese del presente grado devono seguire la soccombenza, sicché s’impone la condanna dell’appellante ai sensi dell’art. 91 c.p.c. al pagamento delle spese del giudizio in favore delle controparti, liquidate come in dispositivo in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto della somma azionata.
Nel caso di chiamata in garanzia da parte convenuta, il rimborso delle spese sostenute dal terzo va posto a carico dell’attore, ove questi risulti soccombente nei confronti del convenuto in ordine alla pretesa che ha provocato e reso necessaria la chiamata del terzo, in ragione del principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite (Cass. Sez. II, 10.11.2011, n. 23552 (18), RV. 620143).
P.Q.M. – La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando,
– respinge l’appello proposto da M.T., e per l’effetto, conferma la sentenza n. 183/16 resa tra le parti in data 2.3.2016 dal Tribunale di Lodi.
– condanna M.T. a rifondere a G.S. e L.D.C. e a G.I. spa le spese processuali del presente grado che liquida in favore di ciascuna parte per compensi defensionali in euro 13.560,00, oltre spese generali 15%, CPA e IVA se dovuta.
– dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante M.T. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall’art. 1 comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
(1) La sopra riportata locuzione, non molto chiara, sembra trovare migliore espressione in una sentenza inedita e lineare del Tribunale di Roma, sez. XII, 9 ottobre 2004, che riportiamo testualmente nella parte di interesse: «Secondo il consolidato orientamento tanto del giudice di legittimità, quanto di questo tribunale, le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, l’inadempimento dell’avvocato alle obbligazioni scaturenti dal contratto di mandato professionale non può essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato civile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza (Cass. civ., sez. II, 14 agosto 1997, n. 7618; Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1996, n. 10068; Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1995, n. 3566). Tuttavia, la diligenza esigibile dall’avvocato non è quella ordinaria del buon padre di famiglia, ma la diligenza professionale di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., che deve essere commisurata alla natura dell’attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell’esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie (Cass. civ., sez. II, 8 agosto 2000, n. 10431, in Repertorio Foro it., 2000, voce Professioni intellettuali, n. 185)».
(2) In Foro it., 1997, I, 3570.
(3) In Boll. Trib. On-line.
(4) In CED Cassazione, 2012.
(5) In Mass. Foro it., 2009, 712.
(6) In Mass. Foro it., 2004.
(7) Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 189, in Boll. Trib., 2000, 191.
(8) In Boll. Trib. On-line.
(9) In Boll. Trib., 2007, 1553.
(10) In Boll. Trib. On-line.
(11) In Boll. Trib. On-line.
(12) Cass. 16 settembre 2010, n. 19636, in Boll. Trib. On-line.
(13) Cass. 14 novembre 2013, n. 25564, in Boll. Trib. On-line.
(14) In Mass. Foro it., 2013, 118.
(15) In Mass. Foro it., 2013, 82.
(16) In Mass. Foro it., 2012, 847.
(17) In Boll. Trib. On-line.
(18) In Mass. Foro it., 2011, 882.