2 Dicembre, 2014


 

 

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Il federalismo municipale nel D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 – 3. La legge di stabilità e i nuovi tributi – 4. Considerazioni conclusive: criticità e prospettive.

 

 

1. Introduzione

L’approvazione della legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147), ci offre lo spunto per esaminare i tratti strutturali del federalismo municipale e il nuovo assetto della fiscalità locale che, in quest’ultimo periodo, è oggetto di continui cambiamenti e di ampi dibattiti politici, economici e dottrinali.

L’esigenza di attuazione del federalismo fiscale trova il suo riferimento costituzionale nell’art. 5 che, nel sancire l’unità e indivisibilità, promuove le autonomie locali e l’attuazione del più ampio decentramento amministrativo. Ciò costituisce il presupposto della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, in attuazione dell’art. 119 Cost., e in seguito dei decreti attuativi (1), creando “l’asse portante” del lungo iter di decentramento fiscale.

Al fine di comprendere al meglio l’attuazione del federalismo municipale ci sembra doveroso sottolineare che il nostro Paese, sebbene strutturato in Regioni, Province (2), Città metropolitane e Comuni, è comunque federalista “dissociativo” (3) di tipo solidaristico. È, infatti, presente un modello di federalismo rarissimo che, «partendo dalla realtà storica di uno stato fortemente unitario, coniuga l’autonomia con i poteri centrali forti e, conseguentemente, il potere locale di votare le imposte con le esigenze di unitarietà impersonale dello Stato-Repubblica (la c.d. marble cake che la dottrina economica americana contrappone alla layer cake propria del federalismo competitivo); il tutto, mantenendo alla legge statale il potere di fissare i principi fondamentali di coordinamento, e assicurando, nello stesso tempo, ai cittadini residenti nelle comunità meno sviluppate, il diritto di avere, riguardo ai bisogni essenziali, la garanzia dei livelli minimi di prestazione» (4).

I principi cui dovrebbe ispirarsi il legislatore sono quelli di autonomia finanziaria, di semplificazione, di efficienza (5) e di responsabilità (6). Nell’ambito dei tributi locali, invece, particolarmente importati sono:

il principio del beneficio [art. 2, secondo comma, lett. p), della legge n. 42/2009] che identifica la particolare correlazione tra prelievi fiscali subiti e benefici derivanti dalla spesa;

il principio di continenza che, come giustamente osservato (7), «opera come fisiologico limite interno all’esercizio della potestà residuale d’imposizione delle Regioni. Tale limite consiste nella necessità che il prelievo, frutto dell’esercizio di detto potere, sia direttamente correlato, oltre che al territorio regionale, anche alle materie oggetto delle competenze regionali ripartite e residuali». Con ciò, infatti, il legislatore ha voluto determinare un nesso importante tra tributo proprio e potestà impositiva regionale;

il principio di sussidiarietà (8) (art. 118, primo comma, Cost.) che nella sua accezione verticale prevede che lo Stato possa operare nelle materie di competenza degli enti sottordinati, qualora determini un migliore ed efficace raggiungimento dell’interesse pubblico.

La legge n. 42/2009 conferisce un ruolo particolarmente significativo anche alla fiscalità dei Comuni, prevedendo all’art. 12 e all’art. 2, secondo comma, lett. q), n. 2, lett. s) e t), che gli enti locali non hanno semplicemente la potestà di istituire e regolamentare i tributi stabiliti dallo Stato o dalle Regioni, bensì, nell’ambito delle proprie competenze, di modificare le aliquote e introdurre ogni correlazione tra prelievi fiscali subiti e benefici della spesa.

È logico intendere che i Comuni, essendo gli enti più vicini alla collettività, modellano ed erogano servizi maggiormente adeguati alle esigenze dell’area territoriale in cui operano. In virtù di ciò, con la riforma del titolo V della Costituzione, che modifica gli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost., il legislatore ha tentato di fare in modo che gli enti locali assumano una posizione paritetica e il Comune rivesta in alcuni ambiti un ruolo preminente (9). In buona sostanza, la nuova formulazione degli artt. 117 e 119 Cost. dovrebbe determinare «la creazione di distinte entità equiordinate» (10).

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Occorre precisare che «è stato costituzionalizzato un federalismo “cooperativo”, perché regioni ed enti locali, secondo l’art. 119, sono finanziati, oltre che da risorse proprie “compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”, anche da un “fondo perequativo”, senza vincoli di destinazione, a favore dei territori con minore “capacità fiscale”.

Inoltre, l’art. 119 prevede che lo Stato possa destinare “risorse aggiuntive” ed effettuare interventi per promuovere lo sviluppo economico e la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (11).

Intendiamo, in definitiva, soffermarci ad analizzare lo stato dell’arte in tema di federalismo municipale.

2. Il federalismo municipale nel D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23

I principi contenuti nella legge delega n. 42/2009 sono stati attuati con il D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216, recante «Funzioni essenziali degli enti minori, fabbisogni e costi standard», con il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, sul “federalismo municipale” e con il D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, sul “federalismo regionale e provinciale”. Sebbene rivestano particolare importanza di trattazione tutti i predetti decreti attuativi, in questa sede, in relazione alla tematica de qua, ci occuperemo solo del D.Lgs. n. 23/2011.

La finalità della riforma, prima di tutto politica e poi finanziaria (12), effettua un revirement verso i Comuni, nel senso che lo Stato sembra avere attribuito un legame diretto tra acquisizione delle risorse e capacità contributiva realizzata sul territorio degli enti locali; la ricchezza immobiliare è la più significativa, determinando, infatti, il passaggio dalla finanza derivata ad una finanza propria.

In tal senso emblematico è il D.Lgs. n. 216/2010, il quale ha contribuito al superamento della finanza derivata mediante l’abbandono dell’erogazione dei trasferimenti sulla base del costo storico (13) verso un modello fondato sul costo standard (14), parametrato chiaramente in relazione al fabbisogno standard. Quest’ultimo costituisce il parametro di riferimento per il finanziamento integrale dei servizi e delle prestazioni essenziali e delle funzioni principali degli enti locali (15).

Venendo ad esaminare nello specifico il D.Lgs. n. 23/2011 (16), esso opera la riforma del federalismo municipale in due fasi: la prima fase transitoria o di avvio (2011-2013), la quale prevede che ai Comuni sia attribuito il gettito concernente gli immobili ubicati nel territorio del Comune rientrando anche il gettito dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, l’IRPEF sui redditi fondiari (fatta eccezione del reddito agrario), l’imposta di registro e di bollo sulle locazioni di immobili, i tributi speciali catastali, le tasse ipotecarie e la cedolare secca sugli affitti (17), attribuendo, in questo caso, ai Comuni una quota del gettito pari al 21,7% nel 2011 e al 21,6% nel 2012 (18).

È prevista, inoltre, la revisione dell’imposta di scopo, in modo tale da potenziare la parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere pubbliche. Per i centri ad alta vocazione turistica o città d’arte (19), invece, l’istituzione dell’imposta di soggiorno che contribuisce al finanziamento di interventi nel settore turistico. Ai Comuni è attribuita, inoltre, una compartecipazione al gettito IVA, in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2% al gettito dell’IRPEF.

Nella seconda fase, a partire dal 2014, i Comuni, invece, introducono l’imposta municipale propria (in sostituzione dell’imposta comunale sugli immobili) e l’imposta municipale secondaria (che sostituisce la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e l’imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle affissioni).

Chiaramente è incentivata la partecipazione attiva dei Comuni nell’attività di accertamento e contrasto all’evasione, attribuendo agli stessi una percentuale della quota di gettito derivante dall’attività accertativa (20).

L’ambito di autonomia impositiva lasciata ai Comuni deve essere logicamente compatibile con il patto di stabilità e crescita (nel rispetto della clausola di salvaguardia (art. 14, secondo comma, del D.Lgs. n. 23/2011), secondo il quale i Comuni non possono comportare un aumento della pressione fiscale.

Concordando con quanto sostenuto in dottrina (21) «in tale ipotesi, il rischio che si correrebbe sarebbe quello di sminuire il federalismo da strumento di piena realizzazione dell’autonomia di entrata e di spesa (finanziaria e tributaria) dei Comuni, a volano per l’aumento indiscriminato della pressione fiscale, senza tenere in alcuna considerazione il principio di invarianza della pressione tributaria, sia regionale che comunale». Dovrebbe verificarsi, infatti, una formula inversa per cui all’aumentare della pressione fiscale locale dovrebbe diminuire quella statale.

Sicuramente i decreti delegati hanno consentito l’attuazione del federalismo municipale dimostrandosi, però, «incerti e contraddittori» (22) e ulteriormente complicati dall’opera del legislatore delegato e dai successivi provvedimenti normativi.

Il D.Lgs. n. 23/2011 rappresenta senz’altro la struttura portante del federalismo municipale ma, dalla sua entrata in vigore a oggi, è stato oggetto di diversi provvedimenti normativi, tra cui il D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), il D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148), il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) e recentemente dalla legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013), approvata il 24 dicembre 2013.

Si tratta di modifiche determinate, oltre che da cause riconducibili alla necessità di semplificare e ridefinire l’articolato corpus normativo recato dal provvedimento, anche da motivazioni prevalentemente finanziarie. Emerge, pertanto, un sistema poco lineare reso complicato dal succedersi dei diversi provvedimenti che hanno agito sulla logica dei provvedimenti tampone rendendo ancor più confusionaria la fiscalità municipale.

Riteniamo, infatti, che sia necessario un generale intervento di coordinamento della disciplina fiscale e in alcuni casi tra Regione e Comune, giacché il decreto in esame sembra disciplinare il rapporto tra Stato ed enti locali. Segnatamente, il caso di mancato coordinamento tra Regioni e Comuni è stato sollevato anche dalla Corte Costituzionale (23), la quale dichiara infondati i rilievi di costituzionalità sollevati dalla Regione Sicilia. Oggetto del contendere sono le disposizioni contenute nei commi da 1 a 4 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 23/2011 (24), secondo le quali ai Comuni spetta il gettito, totale o parziale, di alcuni tributi, sottraendo alla Regione (25) «cespiti di spettanza regionale» dovuti ad essa in relazione alle norme statutarie contenute negli artt. 36 e 37 dello statuto della Regione siciliana. Il Decreto Monti (D.L. n. 201/2011) ha anticipato in via sperimentale l’IMU al 2012 (con un anticipo di due anni rispetto alla previsione iniziale) che sostituisce, per la «componente immobiliare, l’imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati». Mentre in passato la devoluzione del gettito, per la componente immobiliare dell’IRPEF e le relative addizionali, spettava alle Regioni, attualmente il gettito è destinato interamente alle casse comunali (26), determinando così una considerevole riduzione di risorse finanziarie per le Regioni.

Sul punto la Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 64/2012 ha affermato che «la questione non è fondata, perché, pur non potendosi negare la spettanza alla Regione siciliana del gettito degli indicati tributi riscossi nel suo territorio e, quindi, la potenziale sussistenza del denunciato contrasto, deve ritenersi che proprio questo contrasto rende operante la clausola di “salvaguardia” degli statuti speciali contenuta nel parimenti censurato secondo comma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 23/2011, secondo cui il decreto “si applica nei confronti delle regioni a statuto speciale” solo “nel rispetto dei rispettivi statuti”. Ne consegue l’inapplicabilità alla Regione ricorrente dei censurati commi dell’art. 2, in quanto “non rispettosi” dello statuto d’autonomia».

3. La legge di stabilità e i nuovi tributi

Ancora una volta la finanza municipale è sottoposta ad un nuovo restyling per effetto della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013), la quale rimodula l’imposizione dei tributi locali.

La struttura della fiscalità comunale nel 2013 era riconducibile a tre principali tributi: l’IMU (Imposta municipale unica), la TARES (Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi) e l’addizionale IRPEF, cui si aggiungono tributi propri di scopo, quali l’imposta di soggiorno e l’imposta di scopo, oltre che altri tributi ad oggetto più circoscritto, sui quali il D.Lgs. n. 23/2011 non è intervenuto (27).

Prescindendo in questa sede dall’esame della TARES, dall’addizionale IRPEF e da altri tributi osserviamo sinteticamente l’IMU e le novità apportate dalla legge di stabilità 2014.

L’imposta municipale propria (28), istituita dal D.Lgs. n. 23/2011 e modificata dall’art. 13 del D.L. n. 201/2011, ha come presupposto d’imposta il possesso di immobili (compresa l’abitazione principale e le relative pertinenze) aree fabbricabili e terreni agricoli. Essa è applicata in via sperimentale dal 2012 al 2014 e dal 2015 dovrebbe rientrare a regime. La medesima è un’imposta che va a sostituire l’ICI e, per la componente immobiliare, l’IRPEF e le relative addizionali dovute in riferimento ai redditi fondiari concernenti i beni non locati. I soggetti passivi sono i proprietari di immobili, inclusi i terreni o le aree fabbricabili, o i proprietari di diritti reali di godimento.

L’imponibilità è prevista anche per i fabbricati relativi alle imprese sia con riguardo agli immobili strumentali, sia di beni-merce o bene prodotto (29). I soggetti attivi dell’imposta sono lo Stato e il Comune, a differenza della disposizione originaria che prevedeva una compartecipazione dello Stato, che variava a seconda che l’imposta riguardasse l’abitazione principale o meno, la legge n. 228/2012 dispone che la predetta imposta affluisce interamente alle casse comunali. I Comuni, pertanto, hanno il potere di disciplinare con regolamento i differenti profili del tributo, quali l’esenzione, la base imponibile, la variazione dell’aliquota, l’accertamento e la riscossione.

Tralasciando i profili applicativi e procedimentali del tributo in esame, rileviamo come già in fase sperimentale esso presenti molte anomalie e profili di incostituzionalità, per violazione degli artt. 3, 47 e 53 Cost. Le detrazioni concesse sull’abitazione principale non tengono conto della capacità contributiva di ciascun componente, ma va calcolata sul numero dei componenti in violazione dell’art. 53 Cost. Si tratta, in buona sostanza, di un’imposta patrimoniale che non tiene conto del principio di personalità e progressività dell’imposta.

Sulla scorta delle incongruenze che la predetta imposta presentava, la legge di stabilità del 2014, legge n. 147/2013, in vigore dal 1° gennaio 2014, ha ulteriormente revisionato, tra gli altri, la fiscalità locale.

Con la finalità di cercare di snellire ulteriormente la pletora dei tributi locali, il legislatore istituisce l’imposta unica comunale (IUC), i cui presupposti d’imposta sono riconducibili al possesso di immobili e all’erogazione dei servizi comunali. Essa risulta composta da tre elementi:

l’IMU che come abbiamo visto è un’imposta di natura patrimoniale dovuta dai possessori di immobili escluse le abitazioni principali;

la TASI che si caratterizza per essere un tributo per i servizi comunali indivisibili (sostituendo la TARES);

la TARI che costituisce la nuova tassa sui rifiuti orientata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (sostituendo la TARES).

A partire dal 2014 i contribuenti non pagheranno l’IMU sulla prima casa, fatta eccezione del tanto criticato conguaglio della mini-IMU sull’abitazione principale (entro il 24 gennaio) (30). È sottoposto a tale prelievo il contribuente che risiede in Comuni in cui l’aliquota sulla prima casa nel 2013 era superiore al livello base dello 0,4%: l’importo è pari al 40% della differenza tra l’IMU comunale e quella standard con l’aliquota e la detrazione statale.

Il legislatore nel novero di questi ultimi elementi ha attribuito un ruolo rilevante alla TASI, designata a finanziare i servizi comunali indivisibili, che in previsione dovrebbe andare a coprire il mancato gettito dell’IMU sulla prima casa. Il presupposto d’imposta è rinvenibile nel possesso o nella detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati e si applica sia alle abitazioni principali, sia alle aree scoperte, nonché quelle edificabili a qualsiasi uso adibiti (31). L’inciso a “qualsiasi uso”, previsto nel comma 669 dell’art. 1 della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), ci induce a ritenere che tutte le fattispecie escluse ai fini IMU (immobili dello Stato, Regioni, Provincie, ospedali, enti non commerciali, enti religiosi, etc.), ora saranno sottoposti alla TASI. Ci sembra, pertanto, che la fiscalità immobiliare locale si sia ulteriormente complicata determinando sicuramente una maggiore imposizione per i contribuenti, assicurando senz’altro un maggior gettito alle casse dell’erario.

Per la TASI la base imponibile è quella dell’IMU ed è dovuta sia dai proprietari di immobili sia dagli inquilini, l’aliquota sarà fissata dai Comuni e oscillerà dall’1 al 2,5 per mille. Tuttavia la somma delle aliquote TASI e IMU (seconde abitazioni) non potranno superare il 6 per mille per l’abitazione principale e il 10,6 per mille per gli altri fabbricati.

Per quanto concerne la Tari, invece, essa non rappresenta altro che la riedizione della vecchia Tarsu (tassa sui rifiuti solidi urbani) che va a sostituire la Tares. Essa è volta a coprire tutti i costi di gestione, investimento e smaltimento del servizio di raccolta dei rifiuti. Il presupposto d’imposta è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte a qualsiasi titolo adibiti suscettibili di produrre rifiuti. Il Comune in relazione al principio “chi inquina paga” (32) può parametrare la tariffa alla quantità e qualità della media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie relativamente agli usi ed alla tipologia delle attività svolte (33).

A prescindere dalle modalità applicative del tributo, da un attento esame del dato normativo, ci sembra che il Comune, nell’attuazione e riscossione del tributo, incontri notevoli difficoltà; innanzitutto quest’ultimo dovrà inviare ai contribuenti nell’anno 2014 dei modelli di pagamento precompilati. Per fare ciò è necessario conoscere esattamente i soggetti passivi del tributo; in alcune ipotesi è semplice perché, se il soggetto passivo coincide con la figura del possessore e dell’occupante, il problema non si pone, poiché c’è convergenza tra soggetto passivo IMU e TARI, ma qualora l’occupante non coincida con il proprietario, come farà il Comune ad inviare il modello prestampato se, ad esempio, il Comune viene a conoscenza del nominativo degli occupanti solo con la dichiarazione dell’anno successivo, visto che la dichiarazione va presentata entro il 30 giugno della data di inizio del possesso o della detenzione (entro il 30 giugno del 2015) (34)?

L’ipotesi più semplice, come prospettato dalla bozza di decreto attuativo sulla disciplina della IUC, è l’autoliquidazione del tributo da parte del contribuente, in relazione alle aliquote e ai parametri stabiliti dai Comuni o, in alternativa, il Comune può richiedere alle Poste di predisporre bollettini prestampando l’importo del tributo. Il comma 689 dell’art. 1 della legge n. 147/2013 prevede che il decreto attuativo deve fissare «… in ogni caso la massima semplificazione degli adempimenti da parte dei soggetti interessati, e prevedendo, in particolare, l’invio di modelli di pagamento preventivamente compilati da parte degli enti impositori».

Certamente il modello precompilato consente di certo ai contribuenti di semplificare gli adempimenti, ma questa modalità non è percorribile in tutti i casi, poiché come abbiamo detto precedentemente in diverse ipotesi per determinare esattamente la base imponibile oppure il soggetto passivo è necessaria o la collaborazione del contribuente o l’aggiornamento delle banche dati a disposizione dei Comuni.

4. Considerazioni conclusive: criticità e prospettive

Orbene, avviandoci alla conclusione, ci sembra che il tanto sperato federalismo municipale in Italia sia un progetto ambizioso e ancora “in progress”, contestualizzato in una realtà alquanto difficile, poiché caratterizzata da «forti squilibri economici e sociali» (35). Il susseguirsi dei vari provvedimenti normativi in materia di finanza locale, le scelte politiche contraddittorie, i continui interventi sull’autonomia degli enti locali, le leggi di stabilità dettate frequentemente da esigenze finanziarie, hanno di certo concorso a generare non poca confusione sia nei cittadini/contribuenti, sia negli amministratori locali, determinando una non piena realizzazione del federalismo municipale.

L’autonomia rappresenta il fulcro intorno al quale si determina la capacità finanziaria ed economica degli enti locali (36). Sicuramente il superamento della finanza derivata verso un modello di finanza propria conferisce ai Comuni un maggior grado di autonomia finanziaria e tributaria responsabilizzando, pertanto, gli amministratori locali e consentendo, inoltre, un controllo diretto da parte dei cittadini. Ciò nonostante è importante sottolineare come i Comuni, tranne in alcune ipotesi (37), hanno un’autonomia normativa davvero “compressa” (38), limitata esclusivamente a determinare gli aspetti procedimentali del tributo, quali ad esempio accertamento e riscossione. Nei Comuni, poiché enti non dotati di potestà legislativa, questa autonomia è esercitata tramite norme regolamentari subordinate al principio di riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. (39). In buona sostanza, sebbene il nostro costituisca un modello di decentramento progredito, rimane comunque lontano dalla riforma del titolo V della Costituzione (40) fondato sull’equiordinazione dei diversi livelli di autonomia finanziaria e tributaria degli enti.

Concordiamo, infatti, con chi osserva (41) che si rileva una netta divergenza tra lo slancio «coraggioso e autonomista» della riforma del titolo V della Costituzione e le scelte prese dal legislatore di «qualificare come tributi propri del Comune prelievi che il legislatore statale si riserva di governare, dopo averli strutturati integralmente, anche nelle future variazioni di aliquote».

Quanto al principio di sussidiarietà, in relazione al quale si conferisce un ruolo da protagonisti ai Comuni, poiché rappresentano la governance più vicina ai bisogni e agli interessi dei cittadini, non manchiamo di certo di rilevare che tale principio, pur disciplinato da numerosi provvedimenti normativi e oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali e corposi dibattiti dottrinali, sul piano concreto rischia di rimanere «una scatola vuota che deve essere riempita di contenuti in via di applicazione» (42).

Il decreto attuativo sul federalismo municipale ha senz’altro realizzato un revirement verso i Comuni, senza realizzare, però, i risultati sperati. In concreto, non dispone né di una nuova disciplina in materia di potestà regolamentare tributaria né innova significativamente il sistema della finanza locale. In conclusione il quadro che è emerso dalla legge di stabilità 2014 appare instabile; infatti, a poca distanza dal varo della legge di stabilità 2014, si prevede già un aumento delle aliquote dal 2,5 al 3,5 per mille sulla prima casa e dal 10,6 all’11,6 per mille sugli altri beni, ciò al fine di garantire un maggior gettito richiesto dai Comuni (1,5 miliardi di maggior gettito), gravando e confondendo ulteriormente i contribuenti.

De iure, auspichiamo che il legislatore operi con «ulteriori e significativi interventi di revisione e/o implementazione della disciplina attuale, con l’obiettivo di garantire che l’autonomia tributaria degli enti territoriali minori – e tra essi, in particolare, di Comuni, Città Metropolitane e Province – possa raggiungere un livello adeguato di funzionamento ed effettività nel migliore interesse dei consociati e dell’interesse generale della comunità pubblica» (43).

Dott. Santa De Marco

Università di Messina

(1) I decreti attuativi sono il D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216, «funzioni essenziali degli enti minori, fabbisogni e costi standard», il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, sul «federalismo municipale», e il D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, sul «federalismo regionale e provinciale».

(2) Il decreto legge sulla spending review, D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), ha disposto la soppressione delle Province e ha attribuito le competenze alle Città metropolitane (c.d. enti locali di secondo livello), dotate di autonomia giuridica e statutaria, costituite dall’unione di più Comuni. La Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. 19 luglio 2013, n. 220, in Boll. Trib. On-line), ha dichiarato incostituzionale il decreto sulla spending review per «violazione dell’art. 77 Cost., in relazione agli artt. 117, 2° comma lett. p) e 133, 1° comma Cost., in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio». In ottemperanza alla suddetta pronuncia della Consulta, è stata approvata la legge 7 aprile 2014, n. 56 (c.d. legge Delrio), che ridisegna il ruolo delle Province e detta disposizioni su Città metropolitane, sulle unioni e fusioni di Comuni. Il passaggio dalle vecchie alle nuove Province si avrà dal 1° gennaio 2015. Le Province dalle attuali 107 saranno ridotte a 97 e saranno trasformate in enti di secondo livello governate da organi non elettivi. Tuttavia le altre 10 Province saranno trasformate in Città metropolitane che saranno: Roma capitale, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.

(3) Cfr. Marongiu, Federalismo fiscale: un progetto ambizioso per una realtà difficilissima, in Corr. trib., 2010, 3893.

(4) Così Gallo, I principi del federalismo fiscale, in Atti del convegno “Regionalismo fiscale tra autonomie locali e diritto dell’unione Europea”, Taormina, 27-28 aprile 2012, 144.

(5) In modo tale da indurre ogni amministrazione a decidere in relazione ai costi e ai benefici.

(6) I cittadini, infatti, devono essere messi nelle condizioni di poter verificare l’operato degli amministratori.

(7) Così Gallo, I principi del federalismo fiscale, cit., 150.

(8) Il principio di sussidiarietà segna il suo ingresso nella Comunità economica europea con il Trattato di Maastricht nel 1992 che, a seguito della riforma del Trattato di Lisbona, era previsto nell’art. 5 del Trattato sulla Comunità europea; attualmente, invece, è sancito nell’art. 5 del Trattato sull’Unione europea, in relazione al quale la stessa Unione opera e interviene soltanto se gli obiettivi prefissati non possono essere realizzati dagli Stati membri. In un certo senso si presenta come un concetto dinamico che restringe o amplia le competenze in relazione agli obiettivi prefissati e realizzati dai Paesi membri. In Italia questo principio, espresso in seno al trattato di Maastricht, trova espresso riconoscimento con la legge 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. riforma Bassanini) che, all’art. 4, terzo comma, a Costituzione invariata, ha trasferito alle Regioni e agli enti locali tutte le «funzioni e compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità o comunque localizzabili nei rispettivi territori»; fino a giungere ad un decentramento fiscale con il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, il cui art. 52, come abbiamo detto in precedenza, rappresenta attualmente la norma di riferimento della potestà impositiva degli enti locali. Ma il principio di sussidiarietà ha trovato la sua effettiva consacrazione con la riforma del titolo V della Costituzione, che ha sostituito integralmente quello previgente e all’art. 118 ha previsto che «le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza». La sussidiarietà può assumere due dimensioni: orizzontale e verticale. Nella sua accezione orizzontale (art. 118, quarto comma, Cost.) è intesa «come criterio ordinatore dei rapporti tra individui, formazioni sociali e Stato». Sussidiarietà orizzontale intesa come criterio di distribuzione delle competenze tra i differenti livelli di governo (Stato ed enti locali). In quest’ottica è doveroso attribuire particolare autonomia amministrativa e finanziaria agli enti più vicini ai cittadini, poiché sono posti nella condizione di conoscere e soddisfare al meglio, mediante l’erogazione di servizi, le esigenze dei cittadini. Teoricamente il Comune dovrebbe essere il braccio operativo di tutte le scelte pubbliche rientranti nella competenza degli Enti comunali. Dall’interpretazione dell’art. 118 Cost. emerge chiaramente come il legislatore abbia voluto introdurre la responsabilizzazione diretta degli enti locali. Riteniamo sia da condividere l’orientamento secondo cui l’ultimo comma dell’art. 118 Cost. va interpretato come un «vero e proprio obbligo giuridico» da parte dello Stato o degli enti periferici, di promuovere e rispettare l’autonoma iniziativa dei cittadini, attribuendo agli stessi (una quota), un ruolo di sovranità tale da permettere di destinare una quota dei tributi al finanziamento di interessi meritevoli di tutela. Attribuendo questa interpretazione, l’art. 118 Cost. identifica uno Stato pluralista e personalista, investendo gli interessi dell’intera collettività in relazione alla realizzazione del principio di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.). Analizzato in questo contesto, l’articolo in questione cerca di realizzare la piena realizzazione della sovranità del contribuente in relazione al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.

(9) Si veda Amatucci, I limiti costituzionali del potere statutario dei Comuni in materia tributaria, in Dir. trib. e Corte Cost., 2006, 506.

(10) Cfr. Marongiu, Evoluzione e lineamenti della finanza locale in Italia, in Fin. loc., 2005, 46.

(11) Così Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 2012, 322.

(12) Cfr. Basilavecchia, Il Fisco municipale rispetta i vincoli costituzionali, in Corr. trib., 2011, 1105, il quale evidenzia che «la ricchezza immobiliare è senza dubbio quella che più si presta ad una devoluzione periferica, piuttosto che centralizzata: di qui la sicurezza per i sindaci di poter contare su un gettito significativo, collegato al possesso o al trasferimento di beni immobili».

(13) Il costo storico sta ad indicare quanto storicamente è costato un servizio e sulla base di ciò i trasferimenti agli enti periferici dipendevano da quanto avevano speso nel periodo precedente.

(14) La legge n. 42/2009 prevede che il costo standard è definito prendendo a riferimento la Regione più “virtuosa”, vale a dire quella Regione che presta servizi più efficienti. L’individuazione dei costi standard deve prendere in esame, oltre che un’efficace ed efficiente gestione amministrativa, anche il rapporto tra il numero di dipendenti dell’ente locale e il numero dei residenti. Sull’argomento si veda Serranò, Gli aiuti di Stato ed il federalismo fiscale, Padova, 2011, 94, la quale osserva che «Il costo standard, determinato in base al fabbisogno anch’esso standard, assume come punto di riferimento le Regioni virtuose finanziando il servizio e non l’inefficienza. Ciò però lascia alquanto perplessi e forse sarebbe opportuna l’adozione di un parametro più realistico consistente in una media tra costi standard che vadano oltre le poche Regioni virtuose».

(15) L’art. 13 del D.L. n. 201/2011 istituisce, inoltre, per il finanziamento delle spese degli enti locali, successivo alla determinazione dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali, un Fondo perequativo a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni svolte dai predetti enti, finalizzato alle funzioni fondamentali e non.

(16) Prima della riforma in esame nel 2011 come suggerito da Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, cit., 321, nel nostro sistema tributario erano presenti i seguenti tributi: imposta comunale sugli immobili (Ici); imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni (Icp/Dpa); tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap); canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap); tariffa di igiene ambientale (Tia 1); tariffa integrata ambientale (Tia 2); imposta di scopo per la realizzazione di opere pubbliche (Iscop); canone per l’autorizzazione all’installazione dei mezzi pubblicitari (Cimp); canone o diritto per i servizi relativi alla raccolta, l’allontanamento, la depurazione e lo scarico delle acque (Carsa); tassa per l’ammissione ai concorsi; contributo per il rilascio del permesso di costruire. Le addizionali comunali sono le seguenti: addizionale all’IRPEF; addizionale all’accisa sull’energia elettrica; addizionale sui diritti di imbarco; addizionale per l’integrazione dei bilanci degli Enti comunali di assistenza. Vi è infine una compartecipazione comunale al gettito IRPEF. Per un maggiore approfondimento si rinvia, tra gli altri, a Giovanardi, Tributi comunali, in Digesto comm., XVI, Torino, 1999.

(17) La cedolare secca sugli affitti attribuisce la facoltà per i proprietari di immobili concessi in locazione di optare dal 2011, in luogo dell’ordinaria tassazione IRPEF sui redditi da locazione, per un regime sostitutivo.

(18) I gettiti relativi ai tributi in esame, tenendo conto delle diverse realtà territoriali, affluiscono ad un Fondo sperimentale di riequilibrio di durata triennale, in attesa dell’attivazione del Fondo perequativo previsto all’art. 13 della legge n. 42/2009. Il Fondo è ripartito sulla base di un accordo in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, in particolare: una quota del 30% del Fondo è ripartita in base al numero dei residenti e, al netto di tale quota, un’ulteriore percentuale del 20% deve essere destinata ai piccoli Comuni. Ma per effetto della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) è stato eliminato a favore di un sistema di perequazione orizzontale tra Comuni le cui risorse sono alimentate interamente dal gettito dell’IMU, senza quindi afflusso di risorse statali.

(19) Si veda Tosi, La fiscalità delle città d’arte, Padova, 2009.

(20) Si rinvia, tra tutti, a Sacchetto, La partecipazione dei Comuni nell’accertamento e riscossione dei tributi erariali, in Federalismo fiscale e autonomia degli enti territoriali, Torino, 2010, 33; Uricchio, Accertamento e sanzioni nei tributi locali, Rimini, 2009; e La Rosa, Principi di diritto tributario, Torino, 2012, 274.

(21) Si veda Serranò, Gli aiuti di Stato ed il federalismo fiscale, cit., 92.

(22) Espressione mutuata da Giovannini, Sul federalismo fiscale che non c’è, in Dir. prat. trib., 2012, 1333.

(23) Cfr. Corte Cost. 21 marzo 2012, n. 64, in Boll. Trib. On-line.

(24) Questi commi stabiliscono che: «In attuazione della citata legge n. 42/2009, e successive modificazioni, ed in anticipazione rispetto a quanto previsto in base al disposto del seguente articolo 7, a decorrere dall’anno 2011 sono attribuiti ai comuni, relativamente agli immobili ubicati nel loro territorio e con le modalità di cui al presente articolo, il gettito o quote del gettito derivante dai seguenti tributi: a) imposta di registro ed imposta di bollo sugli atti indicati all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131; b) imposte ipotecaria e catastale, salvo quanto stabilito dal comma 5; c) imposta sul reddito delle persone fisiche, in relazione ai redditi fondiari, escluso il reddito agrario; d) imposta di registro ed imposta di bollo sui contratti di locazione relativi ad immobili; e) tributi speciali catastali; f) tasse ipotecarie; g) cedolare secca sugli affitti di cui all’articolo 3, con riferimento alla quota di gettito determinata ai sensi del comma 8 del presente articolo [comma 1]. Con riferimento ai tributi di cui alle lettere a), b), e) ed f), del comma 1, l’attribuzione del gettito ivi prevista ha per oggetto una quota pari al 30 per cento dello stesso [comma 2]. Per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata la devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare di cui ai commi 1 e 2, è istituito un Fondo sperimentale di riequilibrio. La durata del Fondo è stabilita in tre anni e, comunque, fino alla data di attivazione del fondo perequativo previsto dall’articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009. Il Fondo è alimentato con il gettito di cui ai commi 1 e 2, nonché, per gli anni 2012, 2013 e 2014, dalla compartecipazione di cui al comma 4 secondo le modalità stabilite ai sensi del comma 7 [comma 3]. Ai comuni è attribuita una compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto; con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare d’intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è fissata la percentuale della predetta compartecipazione e sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma, con particolare riferimento all’attribuzione ai singoli comuni del relativo gettito, assumendo a riferimento il territorio su cui si è determinato il consumo che ha dato luogo al prelievo. La percentuale della compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto prevista dal presente
comma è fissata, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2 per cento al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. In sede di prima applicazione, e in attesa della determinazione del gettito dell’imposta sul valore aggiunto ripartito per ogni comune, l’assegnazione del gettito ai comuni avviene sulla base del gettito dell’imposta sul valore aggiunto per provincia, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun comune
[comma 4]»

(25) Cfr. La Scala, L’autonomia statutaria della Regione Siciliana in materia finanziaria e tributaria, in Atti del convegnoRegionalismo fiscale tra autonomie locali e diritto dell’unione Europea”, Taormina, 27-28 aprile 2012, 210, il quale evidenzia che «Sulla base della consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, lo Stato nell’ambito di manovre di finanza pubblica può determinare riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, “purché, appunto, non tali da produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale”». A tal riguardo si vedano ex pluribus Corte Cost. 29 dicembre 2008, n. 442, in Boll. Trib., 2009, 666, con nota di Righi, Regioni e tributi locali; Corte Cost. 14 novembre 2005, n. 417, in Foro it., 2005, I, 3249; Corte Cost. 22 luglio 2004, n. 260, in Giur. costit., 2004, 2680; Corte Cost. 30 dicembre 2003, n. 376, ivi, 2003, 3848; e Corte Cost. 22 aprile 1999, n. 138, in Foro it., 2000, I, 3434.

(26) Originariamente per l’IMU, vi era una compartecipazione dell’IMU allo Stato che variava a seconda che l’imposta riguardi l’abitazione principale o meno. Attualmente la legge di stabilità del 2013, legge n. 228/2012, ha previsto l’abrogazione della quota d’imposta statale, inizialmente attribuita dall’art. 13, comma 11, del D.L. n. 201/2011, per le residue annualità di vigenza nella versione sperimentale del tributo comunale, con la sola eccezione di una quota pari allo 0,76% dell’imposta dovuta sui fabbricati di categoria catastale D.

(27) La Tosap, l’imposta sulla pubblicità e le pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari e così via.

(28) L’IMU, come abbiamo detto precedentemente, è stata istituita dal D.Lgs. n. 23/2011, modificato dall’art. 13 del D.L. n. 201/2011.

(29) Sono esenti dall’IMU gli immobili posseduti dalle Amministrazioni pubbliche, nonché alcune categorie di immobili già esentati dall’ICI.

(30) A causa della mancata abolizione dell’Imu sulla prima casa con la legge previgente.

(31) Il comma 670 dell’art. 1 della legge n. 147/2013 prevede che: «Sono escluse dalla Tasi le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali imponibili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’art. 117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva».

(32) Il predetto principio “chi inquina paga” rappresenta, in ambito fiscale, la principale fonte volta a legittimare gli Stati membri a porre in essere tributi ambientali, sia di carattere impositivo, sia agevolativo, orientando il consumo verso fonti alternative.

(33) I Comuni potranno determinare, per la TARI: i criteri di determinazione delle tariffe, la classificazione delle categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione dei rifiuti, la disciplina delle riduzioni tariffarie, le eventuali riduzioni ed esenzioni che tengano conto della capacità contributiva delle famiglie, anche tramite l’ISEE, l’individuazione di categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell’obiettiva difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta.

(34) È previsto che la dichiarazione TASI sia presentata al Comune entro l’anno successivo alla realizzazione del presupposto.

(35) Si veda Marongiu, Federalismo fiscale: un progetto ambizioso per una realtà difficilissima, cit., 3895.

(36) Senza entrare nel merito del corposo dibattito dottrinale sull’autonomia tributaria e finanziaria, per meglio circoscrivere la tematica, rammentiamo che l’autonomia tributaria rappresenta uno degli elementi essenziali dell’autonomia finanziaria, come giustamente sostenuto da Boria, La potestà regolamentare e l’autonomia tributaria degli enti locali, in Riv. dir. trib., 2013, 413, «secondo la logica dei cerchi concentrici, l’autonomia tributaria costituisce così uno dei fattori essenziali dell’autonomia finanziaria, soprattutto in un assetto ispirato ad un ampliamento dei poteri impositivi in capo a tutti gli enti territoriali minori, ma non è in grado di esaurirla, potendo questa esprimersi attraverso forme di entrate diverse rispetto alle prestazioni tributarie». Per un esame più approfondito sul concetto di autonomia tributaria si rinvia, tra tutti, a Gallo, L’autonomia tributaria degli enti locali, Bologna, 1979; Giardina, Autonomia tributaria e forma alternative di finanziamento degli enti locali, in Autonomia Impositiva degli enti locali, Padova, 1983; Amatucci, Autonomia finanziaria e tributaria, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2002; Tundo, Contributo allo studio dell’autonomia tributaria dei comuni, Padova, 2002; Cociani, L’autonomia tributaria regionale, Milano, 2003; Giovanardi, L’autonomia tributaria degli enti territoriali, in L’ordinamento tributario italiano, Milano, 2005; Carinci, I vincoli comunitari all’autonomia tributaria di Regioni ed enti locali, in Ficari (a cura di), L’autonomia tributaria delle Regioni e degli enti locali tra Corte Costituzionale (sentenza n. 102/2008 e ordinanza 103/2008) e disegno di legge delega. Un contributo giuridico al dibattito sul federalismo fiscale, Milano, 2009; La Scala, La nuova autonomia tributaria dei Comuni, in Innovazione e Diritto, n. 6/2011; Bizioli, L’autonomia finanziaria e tributaria regionale, Torino, 2012; e Boria, La potestà regolamentare e l’autonomia tributaria degli enti locali, cit., 410.

(37) In caso di imposta di soggiorno e di scopo, oppure, nell’ipotesi di determinazione delle tariffe. L’art. 12, primo comma, lett. i), della legge delega n. 42/2009, attribuendo maggiore autonomia ai Comuni per la determinazione delle tariffe, segnatamente prevede che: «gli enti locali potranno, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, dispongano di piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta di singoli cittadini».

(38) Così Cardillo, La potestà tributaria dei Comuni, La potestà tributaria dei Comuni, in Saggi di Diritto Tributario, Roma, 2011, 325.

(39) Sull’argomento Fantozzi, Riserva di legge e nuovo riparto della potestà normativa in materia tributaria, in L’attuazione del Titolo V della Costituzione, Milano, 2005, 675, osserva attentamente che «nella “fiscalità locale”, la riserva di legge deve, tuttavia, essere indagata e declinata contemperando il “valore” tributario con il “valore” dell’autonomia fiscale, la quale è, prima di tutto, riconoscimento della dignità democratica e della rappresentatività degli organi istituzionali degli enti locali: un profilo, questo, che consentirebbe una maggiore flessibilità del minimo contenuto della legge, proprio per conferire spazio di autonoma manovra fiscale a livello locale e, in definitiva, di gestione autonoma e responsabile, tanto più se questa operazione fosse possibile almeno per una certa tipologia di tributi. La giustificazione della riserva di legge – il principio democratico – appare coerente e comprensiva del valore dell’autonomia e della responsabilità di governo locale. Tuttavia, la riserva ex art. 23 Cost. è concepita come relativa anche nella “rigidità”: dunque, disomogenea o almeno dipendente dalla tipologia di prestazione di volta in volta considerata. In perfetta coerenza con la ricerca del contenuto minimo della riserva nelle implicazioni del valore costituzionale della prestazione imposta individuata, quindi, proprio l’area della contribuzione commutativa o para-commutativa potrebbe essere anche quella di maggiore svolgimento di una potestà normativa diversa da quella legislativa». Si veda Serranò, La riserva di legge tributaria ed il consenso al tributo, Torino, 2008, 103, la quale osserva che «assume rilievo l’analisi dei rapporti tra l’art. 23 e l’ordinamento interno, e cioè la valutazione dell’operatività della riserva di legge tributaria relativamente alla produzione normativa degli enti locali».

(40) Cfr. Serranò, Brevi considerazioni sugli effetti tributari della riforma del Titolo V della Costituzione, in Boll. Trib., 2002, 325; e ID., Federalismo fiscale e devolution regionale, ivi, 2001, 1285.

(41) Così Basilavecchia, Il fisco municipale rispetta i vincoli costituzionali, cit., 1106.

(42) Cfr. Fossati, La nascita del federalismo italiano, Milano, 2003, 50.

(43) Così Boria, La potestà regolamentare e l’autonomia tributaria degli enti locali, cit.,443.

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