24 Febbraio, 2015


 

C’era una volta; c’era una volta un Legislatore che – quando disponeva una nuova imposizione fiscale, magari sbagliata o discutibile – osservava comunque ferme regole formali in merito alle modalità di applicazione del nuovo tributo, precisandone gli elementi essenziali e scadenze chiare per le dichiarazioni e i versamenti, oltreché per i recuperi e i rimborsi; tutti questi requisiti di chiarezza e di “certezza” traevano origine e ispirazione dal principio di “legalità”, sancito dall’art. 23 Cost., che imponeva, oltre alla necessità di una “legge” per l’imposizione a carico dei cittadini di prestazioni patrimoniali o personali, l’espressa indicazione nella disciplina normativa dell’imposizione di criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l’ambito di discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria (1).

Orbene, questi elementi di certezza e di garanzia non sembrano presenti nella caotica formazione del corpo normativo del nuovo tributo per i servizi indivisibili dei Comuni (TASI) (2), subito contrassegnata da aggiunte, correzioni e puntualizzazioni (3), rilevata, unanimemente, dai mezzi di informazione e dalla dottrina, per cui appare superflua, in questa sede, una reiterazione dei motivi della corale denuncia di tali disfunzioni, a cominciare dalle incertezze sui termini per la prima applicazione del tributo e per il suo pagamento.

D’altra parte, come si poteva pretendere che dagli oltre 8 mila Comuni italiani, coinvolti per la metà nelle elezioni per il rinnovo dei rispettivi consigli e dei sindaci, venisse rispettato il breve termine assegnato dalla legge per deliberare un atto, peraltro ritenuto generalmente odioso, qual è quello della fissazione delle tariffe di un inedito e incomprensibile onere tributario, da versare entro scadenze ravvicinate?!

Come, in altre parole, un consiglio comunale (4) morituro, in piena campagna elettorale, poteva assumersi la responsabilità di lasciare una simile eredità ai propri cittadini?

In ogni caso, a monte di tutti i problemi creati dall’istituzione della TASI, l’uomo della strada si è posto e ha posto subito interrogativi di fondo di indubbia sostanza: cosa sono questi “servizi indivisibili” dei Comuni, da finanziare oggi ad hoc?

Ma questi c.d. “servizi indivisibili” non rientravano fra quelli obbligatori già disimpegnati dai Comuni e coperti da regolare finanziamento a carico del bilancio degli enti? Per quale ragione, poi, si introduce una tassazione specifica di questi servizi, quando pressoché tutti i Comuni applicano vari altri tributi, oltre all’addizionale all’IRPEF, motivando questi aggravi a carico dei propri amministrati proprio con l’esigenza di coprire i costi di tutti i servizi da erogare?

A simili interrogativi si è data una risposta secca, sbrigativa: lo Stato centrale ha ridotto e vuole ridurre ulteriormente i trasferimenti finanziari agli enti locali a carico del bilancio nazionale, nel quadro coerente dell’avvio del c.d. “federalismo finanziario” e fra le vie obbligate da percorrere per raggiungere le finalità di questo progetto non può mancare quella di incrementare le risorse finanziarie dei Comuni con nuove forme di entrata autonome; la replica fornita giustificherebbe quindi le nuove imposizioni locali, ma sicuramente non migliora – rebus sic stantibus – il quadro già disastroso del tasso complessivo della pressione fiscale gravante sul contribuente italiano.

[-protetto-]

Tornando al tema della tassazione e della individuazione di “servizi comunali indivisibili”, va subito rilevato che l’idea di creare tributi-corrispettivi specifici per fare fronte ai costi di servizi resi dagli enti locali ai propri amministrati non è certamente nuova né peregrina: ab immemorabili non pochi servizi comunali vengono disimpegnati previo pagamento di tasse, tariffe e corrispettivi totali o parziali, dagli asili-nido ai servizi cimiteriali, da vari atti concessori e autorizzativi in materia urbanistica al rilascio della carta d’identità, senza dire di forme inedite e discutibili di corrispettivi, come, ad esempio, i tickets per le soste degli autoveicoli entro le “strisce blu” (5).

Il problema si è sicuramente posto da tempo per rimediare in qualche maniera al “buco” finanziario creato dall’aumento e ampiezza delle funzioni svolte dai Comuni, aumento e ampiezza oggi giustificati e legittimati dalla stessa legge, che è passata a definire le funzioni obbligatorie di competenza dei Comuni dalle analitiche elencazioni contenute nel T.U. della legge comunale e provinciale del 1934 delle spese obbligatorie alla formulazione sintetica ed onnicomprensiva esposta dall’art. 13 del vigente testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (6); la situazione si è indubbiamente aggravata con l’esenzione dall’ICI delle abitazioni principali, disposta – com’è noto – dal D.L. 27 maggio 2008, n. 93 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126), e oggetto di serrato dibattito.

Dunque la TASI rappresenta, fuori di ogni dubbio, la concreta replica di quella “scuola di pensiero” che non accetta il principio dell’esonero da ogni contribuzione da parte dei possessori di immobili destinati alla propria abitazione, che pur fruiscono di servizi, come l’illuminazione pubblica, la manutenzione dell’assetto viario comunale, degli spazi di verde pubblico, ecc., oltre ad altri servizi generali disimpegnati obbligatoriamente dal Comune di residenza a pro di tutta la cittadinanza (asili-nido, polizia locale, ecc.); tutte queste considerazioni, poste a fondamento del nuovo tributo, hanno finito per coinvolgere anche fruitori dei servizi sopra accennati, non possessori degli immobili, ma semplici inquilini od occupanti a vario titolo degli immobili, inclusi ora fra i soggetti passivi della TASI per una quota percentuale, da stabilire a livello dei singoli Comuni fra un limite massimo e minimo fissato dalla legge, del quantum dovuto dal rispettivo locatore o concedente.

Sulle modalità applicative di queste risoluzioni ci sarà, prevedibilmente, molto da discutere, poiché la normativa non ci sembra esaustiva e le regolamentazioni locali rischiano di essere inadeguate o illegittime; speriamo di sbagliarci. Facciamo, in via esemplificativa, l’ipotesi di regolamenti comunali del tributo che stabiliscano tariffe rapportate a quelle fissate per l’IMU (secondo cui un immobile non abitato direttamente dal possessore è una seconda casa, soggetta a tributo con aliquota di tariffa notoriamente elevata): in questa evenienza, il proprietario-locatore dell’immobile non paga l’IMU, ma dovrà pagare la TASI sulla base della della rendita catastale o della classificazione dell’immobile come seconda casa? La prima opzione sembrerebbe la più logica e corretta, ma sapranno i Comuni, in sede regolamentare, valutare differenze del genere, che potrebbero condurre all’applicazione di un tributo a carico degli inquilini (anche se ridotto in percentuale) più oneroso rispetto a quanto avrebbero dovuto pagare se proprietari di abitazione principale?

Rimangono in piedi, comunque, questioni di grossa rilevanza, anche – come vedremo – di rango costituzionale: la determinazione della tariffe della TASI e l’individuazione dei servizi indivisibili sui quali basare le tariffe stesse.

La legge di stabilità (legge 27 dicembre 2013, n. 147), al comma 682, lett. b), del suo chilometrico art. 1, assegna agli stessi Comuni impositori la potestà della individuazione dei servizi indivisibili sui quali è basata la nuova imposizione, con l’indicazione analitica, per ciascuno di tali servizi, dei relativi costi alla cui copertura la TASI è diretta.

Incredibile: è il Comune, con proprio atto amministrativo, a decidere su quale servizio, ritenuto “indivisibile” (7) applicare il nuovo tributo, calcolandone i costi da coprire con gli introiti del prelievo! E tutto questo è previsto e consentito da una legge che dovrebbe, invece, osservare e tutelare la rigorosa applicazione dei principi della nostra Costituzione.

A questo punto, non possiamo non richiamare alcune precise disposizioni di legge, tutte concernenti i tributi locali e tutte direttamente conseguenti al rispetto del canone costituzionale dell’art. 23 («Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge»): il già richiamato, vigente T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. n. 267/2000), all’art. 149, nell’individuare le fonti di finanziamento delle spese da sostenere da parte dell’ente locale, cita ed elenca le imposte proprie, le addizionali, le tasse e i diritti sui pubblici servizi, i trasferimenti erariali, ecc., la cui disciplina può essere disposta da ogni singolo Comune con apposito regolamento, il quale però non potrà contenere norme autonome sulla «individuazione e definizione delle fattispecie imponibili [oggetto e presupposto del tributo], dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi».

La stessa precisazione si trova codificata nell’art. 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che definisce gli ambiti ed i limiti della potestà in materia di tributi: «Le province e i comuni – dispone al primo comma tale norma – possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi»: ribadisce il medesimo principio, ripetiamo, direttamente discendente dall’art. 23 Cost., la norma contenuta nell’art. 3, comma 149, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, elencando i principi e i criteri da osservare per la revisione della disciplina dei tributi locali: «a) attribuzione ai comuni e alle province del potere di disciplinare con regolamenti tutte le fonti delle entrate locali, compresi i procedimenti di accertamento e di riscossione, nel rispetto dell’articolo 23 della Costituzione, per quanto attiene alle fattispecie imponibili, ai soggetti passivi e all’aliquota massima, nonché alle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti».

Insomma ci troviamo di fronte – nella norma contenuta sulla delega ai Comuni a individuare l’oggetto dell’applicazione della TASI – a un’evidente violazione del principio sancito dall’art. 23 della Costituzione, principio ribadito e sottolineato ripetutamente dalla normativa sopra richiamata.

Gli oltre 8 mila Comuni italiani sono in altri termini delegati a individuare l’oggetto del nuovo tributo da applicare e a ricostruire il costo del/dei servizi prescelti come giustificazione alla misura del prelievo da mettere in riscossione. Ogni commento a questa realtà codificata è superfluo o, francamente, tale da offendere l’intelligenza e la preparazione di chi legge.

Arriverà una norma del genere al vaglio costituzionale o l’evidente vulnus a un preciso precetto della Carta verrà sensatamente rilevato e rimosso dallo stesso Legislatore?

E la scelta degli 8 mila Comuni sui propri “servizi indivisibili” è soggetta – nel nostro vigente ordinamento – a qualche controllo? I regolamenti comunali in materia tributaria – come si sa – vanno comunicati al Ministero dell’economia e delle finanze e possono essere impugnati per vizi di legittimità avanti agli organi di giustizia amministrativa (8), ma c’è da dubitare fortemente che un evento del genere trovi attuazione, stante anche il labile confine esistente fra “legittimità” e “merito” (escluso dalla potestà di impugnativa); insomma, ogni Comune è sostanzialmente libero di fare le proprie scelte, magari comprensive di più servizi, per dare sostanza e conforto al nuovo prelievo, senza che nessuno – se non qualche temerario contribuente – ci possa fare qualcosa …

È questa una situazione purtroppo generale, che chi scrive ha rilevato e denunciato per le tariffe relative alla ormai defunta (sulla carta) tariffa di igiene ambientale, senza apprezzabili risultati, sebbene esistano differenze notevoli di carico fiscale da Comune a Comune di popolazione e territorio comparabili, tali da non trovare adeguata giustificazione sia sotto il profilo logico che economico.

Purtroppo la carenza, nel nostro Paese, di un sistema organico e istituzionale di controlli preventivi obbligatori può facilmente dare spazio all’arbitrio e all’iniquità, in un settore – come quello dei tributi locali e dei servizi pubblici – particolarmente delicato e meritevole di attenzione e di garanzie più pregnanti.

Si può, per il momento, chiudere qui la valutazione provvisoria dell’impianto della TASI, impianto che tradisce subito l’intento di inventare un nuovo mezzo d’entrata per i bilanci comunali, in sostituzione dei mancati introiti dell’IMU sulle abitazioni principali e della volontà di ridurre l’entità dei trasferimenti finanziari ai Comuni; la manovra, tuttavia, non tenendo conto del peso raggiunto dalle addizionali IRPEF per gli stessi enti, dovrebbe essere più attentamente valutata.

C’è infine da attendere con ineliminabile preoccupazione l’accumulo degli adempimenti formali e dei pagamenti di fine anno, con rate e scadenze plurime da Comune a Comune, a seconda delle decisioni assunte dalle singole Amministrazioni locali durante il periodo elettorale della primavera: ben 7 mila Comuni hanno optato per il rinvio sia della scelta dell’aliquota che della necessaria e coordinata regolamentazione di tale aliquota; insomma, un ulteriore fattore di caos, di confusione e di difficoltà economiche per cittadini ed enti locali in un momento particolarmente delicato per il nostro Paese. Anche qui, speriamo di aver peccato di pessimismo.

 

Eugenio Righi

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(1) Sul principio costituzionale di legalità collegato alla materia tributaria si vedano, per tutti, gli studi approfonditi di G. Marongiu, I fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria, Torino, 1991; e di A. Fedele, Riserva di legge, in Trattato Amatucci, Padova, 1994.

(2) Impropriamente, in questo scritto viene usato il femminile per il tributo preso in esame, che in effetti la legge di stabilità per il 2014, al comma 639, denomina al maschile come “tributo per i servizi indivisibili”, senza specificare se si tratta di una “imposta” o di una “tassa”; a parere di chi scrive, ci troveremmo di fronte ad una imposta, non essendo collegata la sua imposizione a una richiesta né a una prestazione destinata a utenti e contribuenti individuabili: l’uso del femminile è dunque legato alla prassi seguita dalla prevalente stampa.

(3) La disciplina applicativa della TASI ha subito, come è noto, già numerosi ritocchi legislativi solo dopo pochi mesi dalla sua istituzione: ved. il D.L. 28 marzo 2014, n. 47 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80); il D.L. 6 marzo 2014, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68).

(4) Soltanto pochi Comuni (1200 sugli 8100 totali) hanno deliberato tempestivamente, alle scadenze fissate, l’aliquota da applicare per l’anno in corso.

(5) Sul prelievo riscosso dai Comuni a carico di chi posteggia l’auto entro le “strisce blu”, lo scrivente ha da tempo avviato richieste di verifica e di riscontro della effettiva natura della somma versata, da considerare, leggi alla mano, un tributo di spettanza comunale.

(6) D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Anche nella normativa previgente sull’ordinamento delle autonomie locali (art. 9 della legge 8 giugno 1990, n. 142) si era scelta una definizione sintetica e onnicomprensiva delle funzioni dei Comuni.

(7) L’individuazione e l’elenco dei servizi realmente “indivisibili” resi dai Comuni non sono agevoli né pacifici; sarebbe pertanto necessaria e opportuna una scelta legislativa, non lasciata, cioè, all’arbitrio dei singoli Comuni.

(8) Cfr. l’art. 52 del D.Lgs. n. 446/1997, integrato dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 506.

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