25 Ottobre, 2019

L’intitolazione data alle presenti note richiede subito chiarimenti giustificativi su due punti: la controversia esaminata dai giudici tributari toscani riguarda l’applicazione di un tributo specifico, la TARI, di recente emanazione normativa, ma – paradossalmente – ripropone temi e questioni riguardanti tutte le forme impositive disposte dal legislatore dal 1942 ad oggi (1), sostanzialmente identiche e sovrapponibili per quanto concerne non solo l’oggetto o presupposto della tassazione, ma anche le modalità di applicazione dei vari tributi! È dunque giustificato parlare genericamente di “tassazione sui rifiuti” e non di sola TARI.
L’avverbio usato, “ancora”, rivela poi la preesistenza, sul tema specifico in questione, di un intervento di chi scrive sulle pagine di questa Rivista (2).
Prima di passare all’esame della questione principale vagliata dalla Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara (trattamento, ai fini TARI, dei locali posseduti da soggetti non residenti nel Comune), poche battute vanno dedicate alle questioni preliminari espresse dalle due prime massime della pronuncia in commento: la prassi pressoché generalizzata per l’applicazione annuale della tassa sui rifiuti solidi urbani è quella della spedizione, per posta ordinaria, da parte del Comune competente, di un avviso di pagamento del tributo, recante l’ammontare annuo da versare e la sua suddivisione in più rate a seconda dell’entità della somma richiesta e, in genere, l’indicazione della superficie dell’immobile tassato e della suddivisione dell’importo della tassa fra “quota fissa” e “quota variabile”, in conformità ai criteri stabiliti dal noto D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (3); nello stesso avviso viene di regola indicata l’eventuale riduzione tariffaria accordata per l’immobile da una norma del regolamento comunale. In sostanza – se questo è il contenuto dell’avviso-cartella di pagamento – ci sono elementi già sufficienti perché il destinatario risulti edotto della correttezza formale e della congruità della pretesa comunale. Se gli elementi esposti non convincono o risultano sbagliati od eccessivi, esiste comunque la possibilità teorica di chiedere chiarimenti e spiegazioni all’ente o al concessionario; esperienza dice che raramente queste richieste vengono accolte e recepite, per cui si profila la necessità od opportunità di un ricorso contro l’avviso contestato, senza attendere la notifica di un formale atto di accertamento da parte del Comune. Da queste vicende è dunque sorta la questione della impugnabilità degli avvisi di pagamento e la storia degli “avvisi bonari”, idonei o meno a legittimare la reazione contenziosa del contribuente, più volte affrontata dalla giurisprudenza (4).
L’altra questione pregiudiziale, anch’essa ripetutamente chiarita da unanime giurisprudenza (5), è quella della giurisdizione competente a decidere la legittimità di un provvedimento impositivo basato su regolamenti o atti generali del Comune, diciamo “dubbi” o “discutibili” sul piano della conformità alla legge o all’equità, logica, coerenza, etc. La risposta concorde della giurisprudenza è che il “vizio” rilevato dal contribuente possa essere proposto dinanzi ai giudici tributari (Commissioni) unitamente all’impugnazione dell’atto impositivo, ovvero portato subito al vaglio della giurisdizione amministrativa (TAR e, in seconda battuta, Consiglio di Stato). Gli effetti del riconoscimento della bontà dei dubbi del contribuente sulla legittimità del c.d. “atto presupposto” (norma regolamentare) a questo punto cambiano, a seconda della via scelta: le Commissioni tributarie, rilevata l’illegittimità dell’atto, lo disapplicano (ex art. 7, ultimo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), ma tale declaratoria ha effetto solo fra le parti in giudizio. Per converso, i giudici amministrativi, pervenendo alla medesima conclusione, annullano, con effetto “erga omnes” la norma regolamentare contestata, che viene così cancellata (5).
Chiusa la breve parentesi aperta sulle questioni pregiudiziali, si può passare alla valutazione della questione di merito (ma le conclusioni raggiunte dal Collegio giudicante sono applicabili e richiamabili per tutte le forme impositive previgenti sulla stessa materia delle agevolazioni e delle esenzioni).
La regola che va subito ricordata in tema di agevolazioni e riduzioni della tassa in rassegna è quella dell’affermazione e del riconoscimento, a livello legislativo, di un’ampia sfera di discrezionalità tecnico-politica delle amministrazioni comunali nell’inserire nei propri regolamenti ipotesi di agevolazioni o riduzioni di tariffa o di tributo non previste dalla legge, purché non attinenti alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi (6); in particolare, per l’applicazione della TARI, tale regola viene definita e delimitata nell’art. 1, comma 659, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (7).
Fra le facoltà discrezionali di competenza comunale il legislatore ha quindi inserito la specifica ipotesi di prevedere riduzioni tariffarie ed esenzioni anche nel caso di abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo [lett. b) del comma 659].
Ma – a ben guardare – tutte le ipotesi di (facoltativa) agevolazione tariffaria ai fini della TARI elencate dalla legge nazionale rivelano in maniera trasparente ed evidente la preoccupazione del legislatore di conservare un giusto e doveroso equilibrio fra l’entità della tassa (misurata – come si sa – su dati presuntivi e non reali) e quantità effettiva o presumibile di rifiuti producibili, equilibrio che trova piena realizzazione con il sistema di misurazione puntuale della quantità dei rifiuti, di cui ai commi 667 e 668 dell’art. 1 della citata legge n. 147/2013, ancora lungi dall’essere applicato dalla stragrande maggioranza dei Comuni italiani!
Le abitazioni con un solo occupante, le “seconde case”, le attività stagionali, etc., sono ipotesi lampanti e specifiche della necessità di misure dirette ad eliminare o attenuare lo squilibrio stridente fra l’onere dovuto da chi possiede od occupa locali ed aree scoperte in via continuativa e da chi, invece, lo fa saltuariamente (8).
L’esigenza di questo riequilibrio nasce proprio dall’applicazione del noto principio comunitario “chi inquina paga” in materia di tassazione dei rifiuti solidi urbani: chi, normalmente, produce una maggiore quantità di rifiuti nel periodo di riferimento (anno solare), impegna maggiormente il servizio pubblico di raccolta e di smaltimento dei rifiuti rispetto a chi, di regola, abita altrove o svolge la propria attività per periodi limitati dell’anno.
In tali casi, la tassazione sui rifiuti assume la sua (composita) natura di corrispettivo fra servizio pubblico reso e quantità di rifiuti conferiti, ma realizza anche la sua natura di tributo da commisurare, secondo il principio-base sancito dall’art. 53 Cost., alla diversa capacità contributiva, espressa dalla differente entità dei rifiuti prodotti fra gli utenti continuativamente residenti nel territorio comunale e utenti presenti per periodi limitati dell’anno.
Il regolamento comunale contestato e vagliato dai giudici tributari toscani con la pronuncia in rassegna non ha tenuto conto di questa indiscutibile realtà, e disponendo il medesimo metro di trattamento fra cittadini residenti e non residenti ha creato in tal modo l’evidente iniquità rilevata e censurata dalle conclusioni dell’annotata, espresse nel senso del riconoscimento della riduzione tariffaria a favore del ricorrente e la disapplicazione della norma regolamentare contestata.
Ancora più evidente e stridente è – per la cronaca – la situazione esaminata recentemente dal Consiglio di Stato con la sentenza 6 settembre 2017, n. 4223 (9), per un ancora più incredibile caso di regolamento comunale sui rifiuti espressosi per una più elevata misura impositiva a carico degli utenti non residenti rispetto a quelli residenti, caso ovviamente concluso con l’annullamento dell’insostenibile posizione assunta in via regolamentare da un Comune veneto!

Dott. Eugenio Righi

(1) La previsione di una tassa per la raccolta e il trasporto dei rifiuti solidi urbani interni risale alla legge 20 marzo 1941, n. 366, che, agli artt. 26 e 27, in sostituzione della disciplina originaria del prelievo come corrispettivo, aveva disposto, per la prima volta, l’imposizione, dal 1° gennaio 1942, di «apposita tassa annuale in base a tariffa» sugli «ordinari rifiuti dei fabbricati a qualunque uso adibiti» a carico di «chiunque occupi oppure conduca locali a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio di raccolta e trasporto è istituito regolarmente a norma delle disposizioni di legge vigenti in materia», con la precisazione che «la tassa è commisurata alla superficie dei locali serviti ed all’uso cui i medesimi vengono destinati»; la legge in parola imponeva poi l’obbligo per i Comuni di adottare appositi regolamenti per l’applicazione della nuova tassa, nei quali, «oltre a tutte le esenzioni previste dalle leggi vigenti, saranno altresì specificate le speciali esenzioni o facilitazioni che, in relazione alle condizioni locali, [i Comuni] riterranno di poter accordare»! Tutti principi basilari recepiti e confermati delle successive normative in materia: dalla TARSU del 1994 alla TIA 1 e 2, TARES e, attualmente, TARI.
(2) Cfr. E. RIGHI, Tassa sui rifiuti solidi urbani e “seconde case” occupate stagionalmente, in Boll. Trib., 2004, 1553.
(3) Si tratta del regolamento adottato per l’elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani, normativa prevista per l’applicazione della TIA, ma rimasta operante per tutti i successivi tributi in materia di rifiuti solidi urbani (ved. per la TARI l’art. 1, comma 651, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, c.d. legge di stabilità 2014).
(4) Sulla diretta impugnabilità degli “avvisi bonari” si vedano, per tutte, Cass., sez. trib., 8 ottobre 2007, n. 21045, in Boll. Trib., 2008, 586, con nota di G. CHIARIZIA, Impugnabili tutti gli atti che esprimono una pretesa tributaria compiuta e non condizionata: la Corte di Cassazione consolida tale principio; Cass., sez. un., 24 luglio 2007, n. 16293, ivi, 2007, 1810; e Cass., sez. trib., 28 gennaio 2005, n. 1791, ivi, 2005, 1655.
(5) Naturalmente tale effetto si realizza alla conseguita definitività della sentenza che lo pronuncia; per l’ipotesi specifica dei regolamenti in materia di tassazione dei rifiuti solidi ved. Cass., sez. un., 24 maggio 1975, n. 2097, in Boll. Trib., 1976, 412.
(6) Così, sul tema della potestà regolamentare generale delle Province e dei Comuni, l’art. 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
(7) A differenza di quanto stabiliva l’art. 67 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, per la TARSU, la succitata norma (comma 559 dell’art. 1 della legge n. 147/2013), riguardante le agevolazioni e riduzioni deliberabili in sede locale dai Comuni, contiene una precisa elencazione delle ipotesi di applicabilità dei benefici tariffari in tema di TARI: a) abitazioni con unico occupante; b) abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo; c) locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente; d) abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all’anno, all’estero; e) fabbricati rurali ad uso abitativo; il successivo comma 660 dell’art. 1 della legge n. 147/2013 consente tuttavia la concessione di ulteriori riduzioni ed esenzioni rispetto alle ipotesi elencate nei precedenti punti a)-e), con la previsione di precise e specifiche misure di copertura della relativa spesa.
(8) L’ipotesi, alquanto frequente nella realtà, di abitazioni inizialmente commisurate nella superficie alla presenza costante di più persone, per divenire – col passare degli anni – l’abitazione di una sola persona, superstite alle comuni vicende della vita (morte del coniuge, figli sposati o altrove alloggiati, etc.), imponeva la considerazione – almeno “facoltativa” – di una ridotta capacità di produzione dei rifiuti domestici e, quindi, della loro tassazione.
(9) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2017, n. 4223, di prossima pubbl. su questa Rivista con commenti di V. FICARI, Tassazione sulla produzione di rifiuti: illegittima ogni discriminazione basata sulla ricchezza, senza considerare l’effettività del nucleo familiare; nonché di E. RIGHI, Il limite intrinseco del principio di proporzionalità nei prelievi comunali.

Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili – Avviso di mancato pagamento della TARI – Assimilazione all’avviso bonario – Impugnabilità – Sussiste.

TARI – Avviso di mancato pagamento – Impugnabilità avanti le Commissioni tributarie – Sussiste.

Procedimento – Giurisdizione delle Commissioni tributarie – Potere del giudice tributario di disapplicare un regolamento comunale di determinazione della TARI – Sussiste – Limiti e condizioni.

TARI – Potere del giudice tributario di disapplicare un regolamento comunale di determinazione della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti – Sussiste – Limiti e condizioni.

TARI – Criteri di determinazione della tariffa – Principio comunitario “chi inquina paga” – Diretta applicabilità nell’ordinamento nazionale – Sussiste – Violazione di tale principio da parte del regolamento comunale – Disapplicazione da parte del giudice tributario – Consegue.

TARI – Determinazione della tariffa in base al c.d. metodo normalizzato – Utilizzazione di presunzioni da parte del Comune – Ammissibilità – Possibilità da parte del contribuente di utilizzare presunzioni per contrastare la pretesa impositiva – Sussiste.

TARI – Determinazione della tariffa in base al c.d. metodo normalizzato di matrice presuntiva anziché in base al c.d. metodo puntuale – Iniquità della tassazione piena nei confronti di soggetti non residenti – Sussiste – Disapplicazione del regolamento comunale da parte del giudice tributario – Consegue.

È ammissibile il ricorso proposto avverso l’avviso di mancato pagamento della TARI, in quanto assimilabile al c.d. avviso bonario, che rientra nella categoria degli atti “facoltativamente impugnabili”, ovvero quelli che anticipando la manifestazione della pretesa, prima che sia rivestita della forma autoritativa tipica, consentono al destinatario di accedere in via facoltativa al sindacato del giudice.

Il potere di disapplicare un atto amministrativo, quale un regolamento comunale in materia di TARI in relazione alla decisione del caso concreto, spetta al giudice tributario, ancorché a seguito della dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto, quali l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere, atteso che, pur esistendo nell’ambito degli atti regolamentari dei Comuni uno spazio di discrezionalità di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria, tuttavia l’atto amministrativo deve pur sempre conformarsi al dettato normativo, con conseguente competenza giurisdizionale del giudice tributario.

Alla luce dell’evoluzione normativa, che ha interessato la disciplina della tassa per lo smaltimento dei rifiuti e degli ultimi esiti giurisprudenziali in materia, il principio di matrice comunitaria “chi inquina paga” trova diretta ed immediata applicazione nell’ordinamento nazionale, di talché anche i Comuni nell’esercizio della loro potestà regolamentare devono operare il prelievo nell’ottica di chiamare a pagare i contribuenti in relazione non solo alla superficie occupata, quanto piuttosto alla quantità ed alla qualità di rifiuti prodotti e, in tal senso, deve essere interpretata anche la disciplina dettata in materia di TARI, dove è chiaramente previsto che il Comune, in alternativa ai criteri contenuti nel regolamento di cui al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, e nel rispetto del citato principio “chi inquina paga”, sancito dall’art. 14 della Direttiva comunitaria n. 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti, può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi ed alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti, e prevedere riduzioni ed esenzioni.

Agli effetti della TARI, qualora il Comune impositore, secondo un principio generale di ripartizione delle spese del relativo servizio fra gli utenti così come previsto nel metodo indicato dal D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, non disponendo della prevista sistematica attività di rilevazione della produzione quantitativa di rifiuti per categoria economica, abbia determinato e adottato la tariffa in base al criterio del c.d. metodo normalizzato, mediante il quale il tributo non è calcolato sulla base della reale quantità di rifiuti conferiti dall’utente secondo il principio “chi inquina paga”, bensì in via presuntiva sulla base di coefficienti di produzione potenziale di rifiuti basati su una stima (valore nor¬malizzato) del rapporto mq/abitanti dell’immobile, senza considerare la natura saltuaria o stagionale dell’utilizzo dell’immobile detenuto, venendo quindi a prevalere la natura tributaria del prelievo su quella corrispettiva, tale determinazione ben può essere contrastata dal contribuente con eccezioni presuntive aventi la stessa natura e forza e basate sulla comune esperienza.

Una lettura costituzionalmente orientata del complesso normativo che presidia l’introduzione ed applicazione della TARI non può che tenere conto, con riferimento all’applicazione di un tributo e non di una tariffa da parte del Comune impositore a causa dell’assenza del c.d. metodo puntuale, delle indicazioni di provenienza comunitaria ove l’applicazione del metodo “presuntivo” adottato trova un limite laddove comporti che taluni detentori si facciano carico di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili, con conseguente iniquità di una tassazione “piena” anche nei confronti dei soggetti non residenti, e disapplicazione giudiziaria del regolamento comunale laddove si riscontri una violazione di legge perché in contrasto con tali principi.

[Commissione trib. provinciale di Massa Carrara, sez. I (Pres. Trovato, rel. Porto), 3 novembre 2017, sent. n. 182]

La Commissione, in data 04.07.2017, disponeva la riunione del ricorso RGR 250/2016 al ricorso RGR 222/2016 per connessione oggettiva e soggettiva.
Si costituisce in giudizio il Sig. B.I. di Parma, in proprio, contro il Comune di Massa, a seguito dell’avvenuto ricevimento degli avvisi di mancato pagamento TARI quanto alla annualità impositiva 2014, del saldo dello stesso tributo per euro 195,00, e quanto alla annualità impositiva 2015 del saldo dello stesso tributo per euro 494,00, in relazione all’utenza-immobile ad uso civile abitazione, dallo stesso detenuto in Massa loc. Ronchi alla Via del Mare di mq. 117, eccependo:
in via principale:
l’illegittimità del Regolamento comunale TARI 2014 del Comune di Massa;
manifesta ingiustizia;
falso presupposto;
eccesso di potere in relazione all’art. 7 ex Dlgs. 212/2000;
violazione della legge istitutiva della TARI;
in via sostanziale:
l’inesistenza della pretesa debitoria TARI;
erroneità dei criteri di imposizione TARI per la fattispecie riferita ai non residenti.
Concludeva, quanto alla annualità 2014 e 2015 in via preliminare e principale, per la declaratoria di annullamento dell’atto ed in via subordinata per dichiarare dovuta la sola somma di euro 45,51, quanto al 2014, e di euro 128,32 per l’anno 2015, a saldo del tributo applicato dal Comune di Massa, anziché quella di euro 195,00 quanto al 2014 ed euro 494,00 quanto al 2015.
Il Comune di Massa quale soggetto impositore contestava integralmente le dedotte illegittimità della pretesa tributaria sostenendo l’assoluta infondatezza di ciascuna doglianza e rilevando preliminarmente in diritto: la inammissibilità del ricorso ex art. 19 Dlgs. 546/92 e difetto di giurisdizione quanto alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, anziché tributario, quanto alla vexata quaestio.
Nel merito, poi, l’Ente eccepiva, quanto alla contestata illegittimità del Regolamento comunale TARI 2014 del Comune di Massa; manifesta ingiustizia, falso presupposto; eccesso di potere, in relazione all’art. 7 ex Dlgs. 212/2000; violazione della legge istitutiva della TARI, doversi ritenere, invece, corretto il comportamento assunto quanto all’applicazione del tributo contestato, oltre che, in ultima analisi, risultato di una scelta di natura politico-amministrativa meramente discrezionale, quale concessa dalla legge e dall’ordinamento.
Visti gli atti, sentite le parti, sciolta la riserva, quanto alla dedotta inammissibilità del ricorso proposto avverso l’atto impugnato, che viene assimilato dalla stessa parte pubblica al c.d. avviso bonario, va ricordato come la giurisprudenza della Suprema Corte abbia creato la categoria degli atti “facoltativamente impugnabili”, ovvero quelli che, come l’avviso di pagamento impugnato, anticipando la manifestazione delle pretesa, prima che sia rivestita della forma autoritativa tipica, consentono al destinatario di accedere, appunto, in via facoltativa, al sindacato del giudice (come nel caso di specie).
Quanto, poi, alla eccezione preliminare, addotta, sempre dall’Ente resistente, relativa a difetto di giurisdizione e di competenza del giudice amministrativo, rispetto a quello tributario qui adito, va, al proposito, rimarcato come il potere di disapplicare l’atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto, spetti al giudice tributario, ancorché a seguito della dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto: incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere, etc. etc.
Ed in effetti, pur esistendo nell’ambito degli atti regolamentari dei Comuni uno spazio di discrezionalità di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria, tuttavia, l’atto amministrativo deve pur sempre conformarsi al dettato normativo; pertanto, l’atto impugnato rientra nella competenza giurisdizionale del Giudice tributario.
Venendo alla questione di merito il ricorrente lamenta l’illegittimità della pretesa tributaria esercitata con l’atto impugnato rilevando, l’illegittimità del regolamento TARI adottato dal Comune di Massa ritenendo che lo stesso, pur poggiando le basi sulla legge istitutiva del Tributo, si sia discostato dai Principi di legge; ritenendosi che l’Ente non abbia correttamente determinato la misura delle tariffe da applicare alle utenze domestiche in particolare nel prevedere la ripartizione tra utenze domestiche residenti e non residenti non avrebbe riconosciuto per quest’ultima alcuna riduzione della tassazione.
Alla luce dell’evoluzione normativa, che ha interessato la disciplina della tassa per lo smaltimento dei rifiuti e degli ultimi esiti giurisprudenziali in materia, il principio di matrice comunitaria “chi inquina paga” trova diretta ed immediata applicazione nell’ordinamento nazionale.
Ne emerge un quadro in cui anche i Comuni, dunque, nell’esercizio della loro potestà regolamentare devono operare il prelievo nell’ottica di chiamare a pagare i contribuenti in relazione, non solo alla superficie occupata, quanto piuttosto alla quantità ed alla qualità di rifiuti prodotti.
In tal senso va letta anche la disciplina dettata in materia di Tari, dove è chiaramente previsto che il Comune, in alternativa ai criteri contenuti nel regolamento di cui al D.P.R. n. 158/1999 e nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’art. 14 della direttiva comunitaria n. 2008/98/CE relativa ai rifiuti, prevede la possibilità di commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi ed alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti.
Le nuove disposizioni in vigore stabiliscono che le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea vadano determinate ad opera del singolo Comune competente moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l’anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti.
Al fine di chiamare a pagare i contribuenti in relazione non solo alla superficie occupata quanto piuttosto alla quantità ed alla qualità di rifiuti prodotti venne peraltro confermata la possibilità per i Comuni di prevedere riduzioni ed esenzioni, come già nella normativa precedentemente in vigore, eliminando però il limite massimo determinato nella misura di un terzo.
Da ultimo, le disposizioni prevedevano che, con regolamento da emanare entro il 30 giugno 2014, fossero stabiliti criteri per la realizzazione da parte dei Comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati.
Riconoscendo ai Comuni che realizzeranno sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, la possibilità di prevedere, con regolamento, l’applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva in luogo della Tari.
Alla luce del quadro normativo descritto è, dunque, evidente che anche il potere regolamentare dei Comuni non può che essere esercitato nel rispetto del principio “chi inquina paga” di matrice comunitaria.
Come detto secondo l’Ente impositore nessuna discriminazione, contrariamente a quanto assunto dal contribuente, è stata perpetrata nei confronti dei non residenti (quali ad es. i proprietari di seconde case), non determinandosi l’illegittimità del regolamento comunale per eccesso di potere.
Ed in effetti il Comune di Massa, con delibera del Consiglio comunale n.ro 45 del 30/7/2014, ha approvato il Piano finanziario della Tassa rifiuti e relativa articolazione tariffaria per l’anno 2014, secondo un principio generale di ripartizione delle spese fra gli utenti così come previsto nel metodo indicato dal DPR n. 158/1999, e, pertanto a determinare le voci tariffarie da applicarsi ai parametri imponibili (quali ad es. superficie, numero occupanti, etc.).
La tariffa, non disponendo l’Ente impositore, della prevista sistematica attività di rilevazione della produzione quantitativa di rifiuti per categoria economica, è stata adottata in base al criterio del c.d. metodo normalizzato.
Con il c.d. metodo normalizzato adottato, il tributo non è calcolato sulla base della reale quantità di rifiuti conferiti dall’utente secondo, quindi, il principio “chi inquina paga” ma bensì in via presuntiva sulla base di coefficienti di produzione potenziale di rifiuti venendo quindi a prevalere la natura tributaria del prelievo su quella corrispettiva, prevista dai richiamati principi normativi.
In questo ultimo senso quindi l’Ente, come anche esplicitato nelle memorie della stessa parte, ha applicato al contribuente il tributo per il tramite di una presunzione semplice o semplicissima basata, quanto all’utenza di riferimento, su una stima (valore normalizzato) del rapporto mq/abitanti dell’immobile, non rilevando in base al regolamento adottato per l’applicazione del tributo, sempre a detta dell’ente, la natura saltuaria o stagionale, peraltro non contestata, dell’utilizzo dell’immobile detenuto dal ricorrente in Ronchi di Massa quale abitazione per vacanze essendo questi residente e dimorante in Parma.
Per altro verso il contribuente ha eccepito, oltre all’utilizzo dello stesso cespite per frazione d’anno riferibile ai soli mesi estivi, la lamentata minore produzione di rifiuti anche per il tramite di ulteriore documentazione, fra cui il dettaglio dei consumi di acqua potabile dal gestore GAIA.
Per giurisprudenza consolidata le presunzioni semplici o semplicissime applicate dall’Ente impostore possono essere contrastate da parte del contribuente, con eccezioni presuntive aventi la stessa natura e forza e basate sulla comune esperienza.
Infine una lettura costituzionalmente orientata del complesso normativo che presidia l’introduzione ed applicazione del tributo TARI non può che tenere conto, proprio per quanto premesso, e con riferimento alla dichiarata applicazione di un tributo da parte dell’Ente, e non di una tariffa (per assenza del c.d. metodo puntuale), anche delle indicazioni di provenienza comunitaria (C. Giust. UE, sent. del 16.07.2009 causa C-248/08 (1) [rectius, C-254/08, n.d.r.]) ove l’applicazione del citato metodo “presuntivo” adottato, trova un limite laddove comporti che taluni “detentori … si facciano carico di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”.
Proprio in ossequio ai richiamati Principi comunitari, oltre che ad una lettura costituzionalmente orientata al generale Principio di equità, la tassazione “piena” applicata dall’Ente nel caso di specie, è da ritenersi iniqua; e ben può essere il Regolamento comunale disapplicato laddove si riscontri una violazione di legge perché in contrasto con quei Principi.
La pretesa contenuta negli avvisi bonari impugnati, dunque, è da ritenersi illegittima quanto all’applicazione del dato medio applicato (valore normalizzato), oltreché non condivisibile nell’applicazione piena della quota variabile nel calcolo del quantum preteso.
Infatti, nell’avviso di pagamento impugnato, ci si limita ad affermare: … “Dettaglio delle somme dovute a titolo di saldo 2014 via del Mare mq. 117 12/99 – * 182,39 Totale a saldo (arrotondato come disposto Legge 27 dicembre 2006 n. 296 comma 166 – Finanziaria 2007) 192,00 – * Comprensivo Tributo Provinciale (5%)”, e quanto all’annualità successiva … “Dettaglio delle somme dovute e riferite alle utenze di propria competenza: Anno 2015 Indirizzo immobile Via del Mare categoria 99 Mq. 117 NCF 6 Totale dovuto 554,00 Importo già versato 0,00 Spese di notifica 3,10 Totale a saldo (arrotondato come disposto Legge 27 dicembre 2006 n. 296 comma 166 – Finanziaria 2007) 557,00 (somma poi ridotta ad euro 494,00)”.
Tale espressione è ben lungi dal costituire una corretta motivazione della scelta operata, in quanto assolutamente inidonea a far comprendere l’iter seguito dall’ente impositore circa una pur minima valutazione del consumo e della produzione di rifiuti in riferimento alla tipologia di attività in oggetto, al fine di individuare la misura del coefficiente da applicare in concreto tra quelle possibili indicate dalla normativa.
Il ricorso è, quindi, fondato e meritevole di accoglimento nella parte in cui si chiede, in subordine, di ridurre e/o riqualificare l’importo indicato nell’avviso di pagamento ritenendosi congruo ed equo applicare la riduzione prevista del 30% sulla c.d. quota variabile.
Quanto alle spese, stante l’accoglimento della domanda subordinata del ricorrente e i persistenti diversi orientamenti della giurisprudenza di merito, ricorrono i motivi normativamente previsti per la loro compensazione.

P.Q.M. – La CTP di Massa Carrara, sez. I, in parziale accoglimento dei ricorsi riferiti alle annualità TARI 2014 e 2015, annulla gli atti impugnati nella parte in cui è stato applicato il c.d. metodo normalizzato, ritenendosi congruo ed equo applicare la riduzione prevista del 30% sulla c.d. quota variabile.
Spese compensate.

(1) Corte Giust. UE, sez. II, 16 luglio 2009, causa C-254/08, in Boll. Trib. On-line.

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