22 Marzo, 2016

 

Sommario: Premessa – 1. Il trattamento fiscale della cessione di energia prodotta da impianti fotovoltaici nella prassi nazionale. Una sintesi – 2. Il punto di vista della Corte di giustizia UE 3. L’impatto della sentenza nell’ordinamento interno – 4. La strada percorribile: il c.d. regime di franchigia 5. Nozione interna ed europea di “soggetto passivo d’imposta” a confronto.

 

Premessa

Nei precedenti di questa Rivista (1) si è dato spazio alla sentenza della Corte di Giustizia europea 20 giugno 2013, causa C-219/12, caso Thomas Fuchs, che, pronunciando sul trattamento IVA degli impianti fotovoltaici installati sopra o nelle vicinanze di un edificio privato ad uso abitativo, ha affermato che il loro sfruttamento può rientrare nella nozione di “attività economica” rilevante ai fini IVA quando ricorra la finalità, perseguita dal proprietario del bene, di ricavarne introiti con un certo carattere di stabilità.

La decisione appare meritevole di un breve commento sotto un duplice aspetto. Da un lato, infatti, potrebbe condurre a un mutamento della prassi dell’Amministrazione finanziaria, che ha finora escluso a determinate condizioni l’assoggettabilità ad IVA dell’immissione in rete dell’energia fotovoltaica prodotta; dall’altro, consente di tornare sul tema delle disarmonie tra ordinamento nazionale ed europeo in campo IVA, non esenti da ripercussioni sul piano pratico come nel caso di specie.

1. Il trattamento fiscale nazionale della cessione di energia prodotta da impianti fotovoltaici nella prassi nazionale. Una sintesi

Pare utile prendere le mosse dalla circolare dell’Agenzia delle entrate 19 luglio 2007, n. 46/E (2), che al paragrafo 9 e seguenti si occupa della disciplina fiscale degli introiti derivanti dalla vendita dell’energia prodotta da impianti fotovoltaici (3).

L’Amministrazione constata che un soggetto che acquista o realizza l’impianto fotovoltaico (sia esso persona fisica o giuridica, soggetto pubblico o privato) può essere interessato all’investimento per produrre l’energia necessaria ai propri fabbisogni ovvero per cederla sul mercato.

L’indagine viene dunque condotta sul doppio binario delle modalità di sfruttamento dell’impianto, al di fuori ovvero nell’esercizio dell’attività d’impresa.

Quanto alla produzione fuori dall’attività imprenditoriale la circolare distingue il caso in cui una persona fisica ovvero un ente non commerciale utilizzino un impianto fotovoltaico a soli fini privati (4) da quello in cui gli stessi soggetti producano energia fotovoltaica in eccedenza rispetto ai consumi.

Nella prima ipotesi non ricorre evidentemente alcuna cessione di energia, limitandosi la produzione all’autoconsumo; di contro, nella seconda fattispecie, il regime della vendita dell’energia prodotta va individuato – secondo l’Amministrazione finanziaria – in funzione della tipologia di impianto installato (ovvero differenziando a seconda che se lo stesso si ponga sotto o sopra la soglia dei 20 kw di potenza) nonché della sua “destinazione”.

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Qualora l’impianto abbia potenza inferiore ai 20 kw, l’Agenzia delle entrate distingue infatti ulteriormente tra:

impianto che per essere posto sul tetto dell’abitazione o su un’area di pertinenza risulti destinato essenzialmente a far fronte ai bisogni energetici dell’abitazione o sede dell’utente;

e impianto che trovandosi su un’area separata dall’abitazione e non di pertinenza della stessa non risulti posto direttamente al servizio dell’immobile.

Per la prima tipologia vige una presunzione per così dire assoluta di utilizzo «in un contesto sostanzialmente privatistico», con la conseguenza che la vendita dell’energia prodotta in esubero da parte del responsabile dell’impianto non concretizzerebbe (mai) lo svolgimento di attività economica. In particolare, «non configurandosi lo svolgimento in via abituale di un’attività commerciale, i proventi derivanti dalla vendita dell’energia prodotta in esubero non devono essere assoggettati ad Iva» e l’imposta pagata all’atto dell’acquisto o realizzazione del bene non risulterà detraibile perché l’impianto non è utilizzato per porre in essere operazioni rilevanti ai fini dell’imposta (5).

Per la seconda tipologia, di contro, l’energia prodotta in misura esuberante deve essere considerata sempre ceduta alla rete nell’ambito di un’attività commerciale, risultando così rilevante sia ai fini dell’IVA che delle imposte dirette (nella categoria del reddito d’impresa). I corrispettivi derivanti dalla vendita dell’energia sono per questa via da assoggettare ad IVA, con conseguente obbligo di adempiere per il responsabile dell’impianto tutti gli obblighi connessi all’applicazione del tributo. Quale ulteriore effetto l’imposta a monte risulterà detraibile: a) per le persone fisiche, ai sensi dell’art. 19, quarto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che stabilisce che quando i beni e servizi vengono in parte utilizzati anche per fini privati o comunque estranei all’esercizio dell’impresa, arte o professione, l’ammontare dell’imposta detraibile è determinato secondo criteri oggettivi (6); b) per gli enti non commerciali, ai sensi dell’art. 19-ter, secondo comma, del citato decreto, secondo il quale la detrazione spetta a condizione che l’attività commerciale o agricola sia gestita con contabilità separata da quella relativa all’attività principale e l’imposta relativa ai beni e servizi utilizzati promiscuamente (nell’esercizio dell’attività commerciale o agricola e dell’attività principale) è ammessa in detrazione per la parte imputabile all’esercizio dell’attività commerciale o agricola.

Qualora l’impianto abbia invece potenza superiore ai 20 kw, analogamente al caso degli impianti di potenza inferiore che non risultino posti al servizio dell’abitazione o della sede dell’utente, l’Amministrazione finanziaria presume un’attività di tipo commerciale, rilevante ai fini IVA e produttiva di redditi imponibili ai fini delle imposte dirette.

Vale incidentalmente osservare che gli impianti di potenza fino a 20 kw (non anche quelli di potenza superiore) possono anche accedere al cosiddetto servizio di “scambio sul posto”, che consente all’utente di “immagazzinare” l’energia elettrica prodotta e non consumata e di prelevarla dalla rete in caso di necessità.

L’Agenzia delle entrate si è occupata delle ricadute tributarie dell’attivazione di questo servizio una prima volta in occasione dell’emanazione della menzionata circolare n. 46/E/2007 e successivamente con la risoluzione 20 gennaio 2009, n. 13/E (7), con soluzioni diversificate.

L’iniziale modalità di funzionamento del servizio (caratterizzata dal fatto che l’energia fotovoltaica immessa dall’utente nella rete costituiva un credito nei confronti del gestore in termini di energia) escludeva infatti che l’energia immessa in rete e non consumata potesse essere remunerata. Le caratteristiche di questo servizio sono state tuttavia significativamente modificate dalla delibera 3 giugno 2008, n. 74 dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, a seguito della quale la riattribuzione di energia avviene sotto forma di valore monetario: in altri termini, l’utente paga l’energia prelevata presso il fornitore esterno ma viene rimborsato dal gestore del costo sostenuto per un importo pari al minore tra il valore dell’energia prodotta e quella acquistata, maturando un credito – in termini monetari – in relazione all’energia eventualmente immessa in rete in misura superiore all’utilizzo. Si configura in questo senso un contratto di vendita di energia in base al quale l’utente s’impegna a conferire l’energia autoprodotta al gestore e quest’ultimo, al contempo, si obbliga a corrispondere all’utente stesso un importo – il contributo in conto scambio – che assume natura di corrispettivo.

Del trattamento fiscale del contributo erogato dal gestore si sono occupate dapprima la circolare n. 46/E/2007 dell’Agenzia delle entrate e poi la risoluzione n. 13/E/2009 della stessa Agenzia (8),nella quale si è tenuto conto delle modifiche intervenute specificando altresì che gli utenti, come produttori e venditori di energia, devono adempiere alle relative obbligazioni fiscali, secondo le modalità già indicate per la cessione di energia nella precedente circolare n. 46/E/2007 innanzi citata (9).

Quanto a quest’ultima, oltre quanto già ricordato, la stessa dedica infine attenzione alla produzione di energia nell’ambito di un’attività commerciale (o di lavoro autonomo), nelle due distinte ipotesi di: a) soggetti per i quali la produzione di energia tramite un impianto fotovoltaico costituisce l’oggetto principale dell’attività commerciale svolta, b) soggetti che invece esercitano una diversa attività commerciale e utilizzano prioritariamente l’energia prodotta nell’ambito di tale attività, cedendo l’energia eventualmente prodotta in eccesso. Anche in questo caso, ai fini dell’IVA e delle imposte dirette valgono le medesime considerazioni svolte per le cessioni di energia derivanti dall’utilizzazione di impianti di potenza superiore a 20 kw (10).

Così sintetizzata la posizione dell’Agenzia delle entrate sul trattamento fiscale della cessione di energia prodotta da un impianto fotovoltaico, pare evidente come la stessa si muova nel senso di ancorare a dei criteri “oggettivi” la riconducibilità delle diverse fattispecie al campo IVA, che in questo senso prescinde dalla verifica dell’esistenza di un’attività economica rilevante nel sistema d’imposta o, più correttamente, sembra costituire una valutazione a priori della sua sussistenza, fondata nello specifico sulle caratteristiche di potenza e collocazione degli impianti.

Ebbene, le soluzioni non paiono in linea con l’interpretazione della nozione di attività economica rilevante ai fini IVA resa dalla Corte di Giustizia, di cui rammentiamo i tratti principali al seguente paragrafo.

2. Il punto di vista della Corte di Giustizia UE

La Corte di Giustizia europea è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla nozione di “attività economica” rilevante ai fini IVA in relazione a una controversia nazionale relativa alla legittimità del diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria austriaca al rimborso dell’IVA assolta sull’acquisto di un impianto fotovoltaico poi installato sul tetto di una casa per la soddisfazione dei bisogni energetici dell’abitazione.

In particolare il sig. Fuchs, installati i pannelli solari sul tetto della casa di sua proprietà senza possibilità di immagazzinamento dell’energia elettrica prodotta, la immetteva nella rete pubblica cedendola a titolo oneroso; riacquistava poi l’energia elettrica utilizzata all’interno dell’abitazione privata allo stesso prezzo previsto per la fornitura (11).

A fronte della richiesta di rimborso dell’IVA assolta a monte relativa all’acquisto dell’impianto fotovoltaico, l’Amministrazione finanziaria austriaca riteneva il sig. Fuchs non legittimato alla sua detrazione (e dunque alla restituzione dell’imposta versata), tenuto conto che nello sfruttare l’impianto fotovoltaico egli non avrebbe esercitato un’attività economica.

Pervenuta la questione di fronte ai giudici nazionali, questi rinviavano così alla Corte la seguente questione interpretativa: «Se la gestione di un impianto fotovoltaico collegato in rete senza una capacità d’immagazzinamento autonoma, installato sopra o [in prossimità di] un edificio privato ad uso abitativo e tecnicamente strutturato in modo tale che la quantità di energia elettrica prodotta dall’impianto risulti costantemente inferiore alla quantità complessiva di energia elettrica consumata privatamente dal gestore dell’impianto per le proprie esigenze domestiche, integri un’“attività economica” del gestore dell’impianto ai sensi dell’articolo 4» della VI direttiva.

I giudici europei ricalcano i propri precedenti sul tema e, aderendo alle conclusioni dell’Avvocato generale (12), confermano il principio per cui l’attività è considerata economica quando presenta un carattere stabile ed è svolta a fronte di un corrispettivo percepito dall’autore della prestazione/cessione.

Giungono per tale via alla conclusione che anche la vendita di energia realizzata dal sig. Fuchs integra il presupposto IVA poiché per le modalità di sfruttamento del bene descritte (impianto collegato in rete senza possibilità di immagazzinamento di energia, contratto a tempo indeterminato col gestore per la vendita dell’energia prodotta e onerosità della cessione) anch’essa configurerebbe un’ipotesi di attività economica rilevante nel sistema d’imposta.

Come noto, ai sensi dell’art. 9, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE (già art. 4, par. 1 e 2, della VI Direttiva IVA), si considera:

«soggetto passivo» chiunque eserciti, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività;

«attività economica» ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate; in particolare rientra nella nozione di «attività economica» lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità.

Interpretando la prefata previsione, la Corte ribadisce, con specifico riguardo al caso dello sfruttamento degli impianti fotovoltaici, alcuni concetti fondamentali già consolidati nella sua giurisprudenza.

Innanzitutto ritorna sulla considerazione che, ai fini della rilevanza dell’attività nel sistema d’imposta, lo sfruttamento del bene non deve necessariamente essere finalizzato a generare profitti, essendo sufficiente che lo stesso avvenga per ricavarne introiti. Ciò da cui discende nella specie che è del tutto irrilevante che il risultato dello sfruttamento sia una (semplice) riduzione della fattura della sua energia elettrica, poiché nella specie l’attività di cessione dell’energia al gestore di rete si configurerebbe del tutto indipendente da quella di riacquisto (13).

In secondo luogo conferma che il carattere della stabilità degli introiti sussiste quando la loro percezione non sia occasionale (ed ancorché la produzione e la fornitura non siano nella specie continue, come osservato dall’Avvocato generale nelle proprie conclusioni). La natura stabile della remunerazione troverebbe nel caso di specie fondamento nel fatto che il contratto di accesso alla rete è concluso a tempo indeterminato e che lo sfruttamento dell’impianto è di lunga durata.

La Corte di Giustizia procede peraltro come sempre tramite un’accurata indagine in fatto, dando nella specie rilievo ai seguenti elementi (14):

alla natura del bene considerato consistente in un impianto fotovoltaico non avente capacità d’immagazzinamento dell’energia prodotta;

alla circostanza che tutta l’energia elettrica era immessa in rete, in base a un contratto di accesso alla rete stessa a tempo indeterminato;

al fatto che le cessioni di energia erano remunerate al prezzo di mercato e assoggettate all’IVA (15);

al rilievo che l’energia elettrica necessaria per le esigenze domestiche era riacquistata dalla rete, ancorché allo stesso prezzo di vendita.

Le conclusioni cui giungono i giudici, che valorizzano l’immissione in rete dell’energia a fronte di una remunerazione piuttosto che il profilo dell’autoconsumo (si ribadisce che la quantità di energia elettrica prodotta dall’impianto risultava nel caso costantemente inferiore alla quantità complessiva di energia elettrica consumata), impattano inevitabilmente sul sistema nazionale descritto, nei termini delineati al paragrafo che segue.

3. L’impatto della sentenza della Corte nell’ordinamento interno

Tra i vari casi analizzati dalla circolare n. 46/E/2007 e dalla risoluzione n. 13/E/2009, la fattispecie su cui la pronuncia della Corte di Giustizia va a incidere è proprio quella di chi (persona fisica o ente non commerciale), attraverso un impianto di potenza inferiore a 20 kw posto sul tetto dell’abitazione o su un’area di pertinenza, produca energia “essenzialmente” per fare fronte ai bisogni energetici dell’abitazione o sede dell’utente.

Può intuirsi la ragione che ha a suo tempo indotto l’Amministrazione finanziaria a introdurre, a livello di prassi, una presunzione di non rilevanza IVA di simile modalità di sfruttamento dell’impianto, volto a incentivare forme di produzione alternativa di energia(16).

Tuttavia un’esclusione dal campo IVA senza un’indagine in fatto sulle concrete modalità di sfruttamento del bene confligge con l’interpretazione resa dai giudici comunitari in ordine alla nozione di attività economica e in particolare con l’obiettivo di ampliarne la sfera di applicazione, ribadito anche nella sentenza in commento (17).

In questo senso, i criteri fin qui adottati dall’Amministrazione (potenza dell’impianto e sua collocazione/destinazione) non risultano conformi all’ordinamento comunitario nella misura in cui venga impedita una valutazione caso per caso sulla sussistenza o meno di un’attività economica rilevante, senza contare che a fronte delle valutazioni della Corte divengono comunque recessivi rispetto all’alternativo criterio dell’immissione in rete dell’energia prodotta dall’impianto a titolo oneroso.

Fermo l’impatto della decisione sul quadro nazionale, non vi è tuttavia uniformità di vedute in dottrina per quel che riguarda la specifica ipotesi del servizio di “scambio sul posto” (18).

Sembra a chi scrive che, in virtù del richiamo fatto dalla risoluzione n. 13/E/2009 alla circolare n. 46/E/2007, anche in questo caso le valutazioni rese dalla Corte di Giustizia non possano essere trascurate.

E infatti, sulla scorta degli elementi considerati dai giudici europei, non sussistono particolari differenze tra l’ipotesi in cui l’energia prodotta da impianti fotovoltaici di potenza fino a 20 kw posti sul tetto dell’abitazione o su un’area di pertinenza e destinati essenzialmente a far fronte ai bisogni energetici dell’abitazione o sede dell’utente, venga ceduta alla rete a titolo oneroso ovvero venga scambiata sul posto con la maturazione di un credito monetario nei termini descritti al paragrafo 1.

4. La strada percorribile: il c.d. regime di franchigia

L’adeguamento alle conclusioni della Corte di Giustizia comporta conseguenze pratiche di non poco conto su quei soggetti che finora hanno utilizzato gli impianti con finalità essenzialmente di autoconsumo.

La qualificazione di attività economica rilevante comporterebbe infatti l’assoggettamento ad IVA delle operazioni di cessione con tutti gli adempimenti strumentali, oltre che dichiarativi e di versamento, ad essa connessi.

Una soluzione che tenga conto degli interessi del contribuente sembra rintracciarsi in quei regimi speciali che sono stati introdotti con lo scopo di semplificare gli adempimenti IVA di coloro che per struttura e dimensioni incontrino più difficoltà nella gestione delle incombenze connesse alla sua applicazione.

Come osservato dallo stesso Avvocato generale per il caso Fuchs, infatti, «occorre tenere presente che una persona che fornisce solo le quantità di energia elettrica prodotta dai pannelli solari del sig. Fuchs, in molti Stati membri si porrebbe, verosimilmente, al di sotto della soglia di imposizione», con riferimento a quel capo della vigente direttiva n. 2006/112/CE dedicato al regime speciale delle piccole imprese (artt. 282 e ss.).

Peraltro già nella circolare n. 46/E/2007 si precisava, in relazione all’energia prodotta da impianti diversi da quelli posti al servizio dell’abitazione o della sede dell’utente, che «i soggetti che cedono l’energia esuberante, possono avvalersi della disciplina di cui all’art. 32-bis del D.P.R. n. 633 del 1972. Tale disposizione, a partire dal 1° gennaio 2007, prevede l’applicazione di un regime di franchigia per le persone fisiche esercenti attività commerciali, agricole e professionali che, nell’anno solare precedente hanno realizzato (o in caso di inizio attività, non prevedono di effettuare) cessioni per un importo non superiore ai 7.000,00 euro».

La previsione (oggi abrogata e sostituita dal regime dei minimi di cui ai commi da 96 a 116 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244), era stata a sua volta introdotta dall’art. 37, commi da 15 a 17, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), e rispondeva, come indicato nella relazione governativa al provvedimento, «all’esigenza di semplificare gli adempimenti tributari attraverso l’eliminazione di alcuni obblighi contabili» per i soggetti che realizzano modesti volumi d’affari.

È evidente che regimi quali quello di franchigia e il vigente regime dei minimi soccorrono in un caso come quello di specie, senza tuttavia che venga meno la soggettività passiva d’imposta per un’attività finora esclusa dal campo IVA, da cui un auspicabile intervento di prassi che chiarisca l’impatto della sentenza sul quadro nazionale e fornisca eventuali indicazioni sul comportamento cui i soggetti interessati debbano adeguarsi.

5. Nozione interna e europea di “soggetto passivo d’imposta” a confronto

Come anticipato in premessa, la sentenza della Corte europea consente infine di soffermarsi sul profilo del disallineamento tra previsioni interne ed europee in relazione a tratti essenziali dell’imposta, quale l’individuazione del soggetto tenuto al suo pagamento (e agli adempimenti connessi).

A livello di normativa sovranazionale, la definizione di soggetto passivo è individuata come già rammentato all’art. 9 della direttiva n. 2006/112/CE, che rende una nozione molto ampia di attività economica rilevante.

La direttiva è stata tuttavia recepita dal legislatore nazionale, come noto, in maniera del tutto peculiare; e infatti:

l’IVA si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di imprese, arti e professioni (art. 1 del D.P.R. n. 633/1972);

per esercizio di imprese si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli artt. 2135 e 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma d’impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c. (art. 4, primo comma, del decreto).

si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio di imprese le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società cooperative, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società costituite all’estero con sede secondaria in Italia e dalle società di fatto [art. 4, secondo comma, n. 1), del decreto].

Invero, non pare esserci una perfetta coincidenza tra l’esercizio di un’attività economica come intesa a livello dell’Unione europea e le disposizioni nazionali, che individuano il campo di applicazione dell’imposta con riguardo alle operazioni poste in essere nell’esercizio di imprese, arti o professioni.

In particolare la definizione interna di “esercizio d’impresa” laddove fa riferimento alle attività di cui agli artt. 2135 e 2195 c.c. organizzate in forma di impresa sembra impedire qualunque indagine sulle modalità concrete di svolgimento dell’attività, ancorché la presenza di una struttura organizzata potrebbe comunque rappresentare un elemento sufficiente per dimostrare la finalizzazione di una determinata attività al conseguimento di introiti aventi carattere di stabilità (19).

Anche il carattere dell’abitualità (riferita nell’ordinamento interno all’attività) e della stabilità (riferita invece, nelle previsioni sovranazionali agli introiti) non paiono del tutto sovrapponibili.

Infine, non risulta conforme al diritto comunitario la presunzione assoluta di imprenditorialità posta dal menzionato secondo comma dell’art. 4, che ha dato luogo a non pochi problemi in relazione alla c.d. società senza impresa ovvero le società di mero godimento (20).

Le criticità si accentuano peraltro a seguito delle modifiche apportate in punto di territorialità in recepimento degli interventi della direttiva 12 febbraio 2008, n. 2008/8/CE, attraverso cui le istituzioni comunitarie hanno realizzato quella che è stata definita la “riforma” delle prestazioni di servizi, accogliendo per i servizi c.d. Business to Consumer quel principio di tassazione a destinazione fin qui riservato agli scambi intracomunitari di beni (21). Tali modifiche hanno infatti condotto a un ampliamento della soggettività passiva d’imposta ai fini della localizzazione delle operazioni in questione.

Le novità sono state recepite dal legislatore nazionale all’art. 7-ter, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, che stabilisce che si considerano soggetti passivi per le prestazioni ad essi rese non solo i soggetti esercenti attività d’impresa, arti o professioni (così rifacendosi all’art. 1 sopramenzionato e alla presunzione che si ricava dalla lettura del successivo art. 4) ma anche:

a) gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, anche quando agiscono al di fuori di queste ultime;

b) gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, non soggetti passivi, identificati ai fini dell’IVA.

Rimane in questo senso chiaramente fermo il disallineamento rispetto alla nozione “base” di soggetto passivo, riproponendo il legislatore interno il riferimento all’esercizio di un’attività d’impresa, arte o professione – presuntivamente esercitata da tutte le società ad eccezione delle società semplici – piuttosto che il più ampio richiamo allo svolgimento di un’attività economica la cui verifica è da effettuarsi caso per caso.

Ne discende che anche laddove si rilevi la congruità della trasposizione nazionale quanto all’ampliamento della soggettività passiva d’imposta prevista a livello comunitario, il gap non risulta colmato, con ulteriori profili problematici in riferimento all’entrata in vigore del regolamento di esecuzione UE 15 marzo 2011, n. 282, direttamente applicabile e che incide sulla materia.

Tale regolamento sancisce all’art. 17 (22) la necessità di verificare la soggettività passiva d’imposta, tradizionalmente intesa, con riferimento all’art. 9 della direttiva, prima ancora che all’art. 43 della stessa (23), che ne costituisce solo un’estensione finalizzata per l’appunto alla localizzazione dei servizi.

Con la conseguenza che, tenuto conto della diretta applicabilità della norma, non è da escludere che l’incompatibilità della disciplina nazionale possa condurre al punto di disapplicarla in quanto contrastante con le disposizioni sovranazionali.

Dott. Marta Proietti

 

(1) In Boll. Trib., 2015, 477.

(2) In Boll. Trib., 2007, 1196.

(3) Un commento esauriente alla circolare si rinviene in A. Dodero, Applicazione “interpretativa” della disciplina fiscale per le fonti di energia rinnovabile, in Corr. trib., 2009, 3665, e ID., Impianti fotovoltaici di persone fisiche, enti non commerciali e condomini, ibidem, 3840.

(4) Da intendersi come produzione di energia elettrica per esclusivi usi “domestici”, ad esempio di illuminazione o alimentazione di elettrodomestici.

(5) Tuttavia, i proventi derivanti dalla vendita dell’energia risultata esuberante rispetto al fabbisogno dell’utente rilevano ai fini dell’imposizione diretta come redditi diversi e, in particolare, come redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente. Da ciò un disallineamento tra imposte dirette e IVA che nella prospettiva dell’Amministrazione finanziaria sembrerebbe trovare giustificazione nel carattere occasionale dell’attività economica esercitata.

(6) L’Amministrazione finanziaria ritiene che il criterio oggettivo possa essere rappresentato dal rapporto risultante tra la quantità di energia ceduta alla rete e quella complessivamente prodotta dall’impianto e che la quota detraibile di IVA relativa sia pari alla percentuale risultante dal predetto rapporto.

(7) In Boll. Trib. On-line; sul tema A. Dodero, Impianti fotovoltaici di persone fisiche, enti non commerciali e condomini, cit.

(8) Il contributo non viene assoggettato ad IVA nel caso di impianti posti direttamente al servizio dell’immobile.

(9) Si specifica che quando l’impianto non risulti posto, per la sua collocazione, al servizio dell’abitazione o della sede dell’utente gli utenti dovranno emettere fattura nei confronti del gestore in relazione al corrispettivo di cessione.

(10) Parimenti configura un’attività commerciale la vendita di energia in esubero da parte di un lavoratore autonomo o di un’associazione professionale. In tal caso, ai sensi dell’art. 36, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l’IVA si applica separatamente per l’esercizio dell’attività d’impresa e per l’esercizio di arti e professioni, secondo le rispettive disposizioni e con riferimento al rispettivo volume di affari.

(11) La proporzione tra quantità immessa e quantità acquistata non è del tutto chiara ma dalla formulazione della domanda di rinvio, che più oltre si riporta testualmente, pare che i consumi fossero superiori alla produzione, di tal che il risultato sarebbe stato quello di ottenere una riduzione della fattura di energia elettrica e non anche un “profitto”.

(12) Per un commento alle conclusioni dell’Avvocato generale, A. Iacono, Natura economica dell’attività di gestione di un impianto fotovoltaico installato sul tetto di una casa privata, in il fisco, 2013, 2705.

(13) Su questo argomento si era soffermato il governo austriaco per escludere l’attività di cessione dell’energia prodotta dal campo di applicazione dell’imposta.

(14) Sintetizzati anche da A. Iacono, Soggettività passiva Iva del gestore di un impianto fotovoltaico installato sul tetto di una casa privata, in il fisco, 2013, 5414.

(15) Risulta infatti dagli atti di causa che il sig. Fuchs assoggettava ad imposta le cessioni di energia in rete.

(16) Sul tema si veda l’interessante contributo di P. Puri, La produzione di energia tra tributi ambientali e agevolazioni fiscali, in Dir. prat. trib., 2014, 309, che osserva come nella regolamentazione fiscale delle attività di produzione di energia rinnovabile si abbiano a disposizione due strumenti, quello del tributo ambientale e quello dell’agevolazione fiscale. Il legislatore italiano pare avere abbracciato la logica agevolativa, privilegiando in particolare la forma degli incentivi tariffari, intesi come «misure economiche compensative; un vero e proprio contributo a fondo perduto che ha lo scopo di garantire un’equa remunerazione dei costi di investimento ed esercizio attraverso lo sfruttamento dell’impianto piuttosto che per la mera realizzazione».

(17) In questo senso, la Corte richiama al par. 17 i propri precedenti sul punto e, in particolare, Corte Giust. CE 26 giugno 2007, causa C-284/04, T-Mobile Austria e a., in Racc., 2007, I, 5189, e Corte Giust. CE 26 giugno 2007, causa C-369/04, Hutchinson 3G e a., ibidem, 5247.

(18) Si contrappongono, sul punto, A. Iacono, Soggettività passiva Iva del gestore di un impianto fotovoltaico installato sul tetto di una casa privata, cit. (secondo il quale la sentenza impatta in particolare su tale modalità di utilizzo dell’impianto), e M. Del Vaglio, Detraibile l’IVA assolta sull’acquisto di impianto fotovoltaico che produce energia inferiore ai consumi, in Corr. trib., 2013, 2522, in nota a Corte Giust. UE causa C-219/12 del 2013 (per cui la tecnica dello “scambio sul posto” adottata in Italia, per come strutturata, non sarebbe riconducibile alla fattispecie di cui alla sentenza in esame).

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(19) In questo senso L. Marzullo, La nozione di attività economica relativa allo sfruttamento di un impianto fotovoltaico, in il fisco, 2013, 6675.

(20) Sul tema, tra le altre, Corte Giust. CEE, sez. VI, 20 giugno 1991, causa C-60/90, Polysar Investments Netherlands; Corte Giust. CE, sez. I, 14 novembre 2000, causa C-142/99, Floridienne e Berginvest; Corte Giust. CE, sez. VI, 6 febbraio 1997, causa C-80/95, Harnas & Helm CV; Corte Giust. CE, sez. V, 20 giugno 1996, causa C-155/94, Wellcome Trust Ltd; Corte Giust. CE, sez. I, 27 settembre 2001, causa C-16/00, Cibo Participations SA, tutte in Boll. Trib. On-line; nonché Corte Giust. UE, sez. II, 15 settembre 2011, cause riunite C-180/10 e C-181/10, Jarosław Słaby e a., ivi, che approfondisce il tema della riconducibilità alla nozione di attività economica del mero esercizio del diritto di proprietà da parte del suo titolare ancorché nel caso specifico si trattasse di persona fisica.

(21) Per un approfondimento sul tema M. Proietti, Le modifiche al profilo territoriale dell’IVA, in Boll. Trib., 2014, 13.

(22) Ai sensi dell’art. 17 del Regolamento «Se il luogo della prestazione di servizi dipende dalla circostanza che il destinatario sia o meno un soggetto passivo, lo status del destinatario è determinato sulla base degli articoli da 9 a 13 e dell’articolo 43 della direttiva 2006/112/CE».

(23) Ai sensi dell’art. 43 «Ai fini dell’applicazione delle regole relative al luogo delle prestazioni di servizi: 1. il soggetto passivo che esercita parimenti attività o effettua operazioni non considerate cessioni di beni né prestazioni di servizi imponibili ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, è considerato soggetto passivo riguardo a tutte le prestazioni che gli sono rese; 2. la persona giuridica che non è soggetto passivo e che è identificata ai fini dell’IVA è considerata soggetto passivo».