28 Aprile, 2017

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. La modifica della definizione di stabile organizzazione di cui all’art. 5 del Trattato Modello OCSE – 3. Le conseguenze sui Trattati italiani – 4. Conclusioni.

1. Introduzione

Come è noto, alcune delle famose 15 “Azioni” del Progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting = erosione della base imponibile e spostamento dei profitti), i cui rapporti sono stati pubblicati dall’OCSE nella versione finale il 5 ottobre 2015, riguardano anche i Trattati contro la doppia imposizione. Più precisamente, tra di esse si segnalano:
– l’Azione n. 6 («Preventing the Granting of Treaty Benefits in inappropriate circumstances») contiene delle raccomandazioni di introdurre misure contro l’abuso dei Trattati (clausole LOB, Principal Purpose Test etc.);
– l’Azione n. 7 («Preventing the Artificial Avoidance of Permanent Establishment Status») contenente una proposta di modifica della definizione di stabile organizzazione di cui all’art. 5 Trattato Modello OCSE;
– l’Azione n. 14 («Making Dispute Resolution Mechanismus more effective») raccomanda l’adozione di misure dirette a migliorare le procedure amichevoli per risolvere le controversie tra gli Stati;
– l’Azione n. 15 («Developing a Multilateral Instrument to modify Bilateral Tax Treaties») raccomanda la stipulazione di accordi multilaterali per adeguare i trattati esistenti alle modifiche introdotte dal Progetto BEPS (proprio in questi giorni, l’OCSE ha lanciato la consultazione pubblica sullo strumento multilaterale per integrare i trattati bilaterali).
Sorprendentemente, l’Italia ha già recepito – in via bilaterale e senza aspettare l’uso dello strumento multilaterale – in una convenzione (in quella con il Cile, non ancora in vigore, stipulata appena dopo la pubblicazione del rapporto finale del Progetto BEPS) la modifica più importante raccomandata dall’Azione n. 7: quella sull’estensione della definizione della stabile organizzazione contenuta nell’art. 5 del Trattato Modello OCSE.
Prima di affrontare i problemi che sorgeranno per effetto dell’inserimento di tale modifica nelle Convenzioni italiane esistenti e in quelle da stipulare nel futuro, è opportuno tener presente i principi fondamentali che caratterizzano in Italia il rapporto tra le Convenzioni contro le doppie imposizioni e la legislazione tributaria nazionale.
Le Convenzioni derogano sì alla normativa fiscale nazionale ma solo nel senso di limitarla e mai nel senso di introdurre un nuovo presupposto di tassabilità o di estendere la base imponibile o di aumentare la misura della tassazione rispetto alla disciplina prevista dalla legge nazionale nei confronti dei soggetti non residenti. Se una clausola di una Convenzione dovesse risultare in un aggravio dell’imposizione rispetto alla norma nazionale, tale clausola rimarrebbe senza effetto in Italia (sia come Stato della fonte sia come Stato di residenza), in base all’art. 169 del TUIR che recita: «Le disposizioni del presente Testo Unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione». Se l’Italia recepisce le misure anti-BEPS nell’ambito dei Trattati contro le doppie imposizioni, come per esempio quella della modifica della definizione di stabile organizzazione, tale recepimento rimane senza effetto in Italia – ma può invece esplicare efficacia per l’altro Stato – se da ciò risulta un onere fiscale non previsto dalla legislazione fiscale nazionale.

2. La modifica della definizione di stabile organizzazione di cui all’art. 5 del Trattato Modello OCSE

Mentre le modifiche raccomandate dall’Azione n. 6 presentano meno problemi sotto l’aspetto qui considerato, non altrettanto si può dire delle modifiche proposte con l’Azione n. 7 con riguardo all’estensione della definizione di stabile organizzazione contenuta nell’art. 5 del Trattato Modello OCSE (al quale corrisponde in gran parte la definizione della stabile organizzazione contenuta nella legge italiana – art. 162 del TUIR).
L’Azione n. 7 propone diverse modifiche quali:
• una modifica nella definizione di stabile organizzazione da agente (stabile organizzazione personale);
• tutte le attività (esenti) elencate al paragrafo 4 dell’art. 5 Modello OCSE devono avere carattere preparatorio e ausiliario altrimenti possono costituire una stabile organizzazione se tali attività rappresentano una parte essenziale del business dell’impresa;
• una disciplina contro la frammentazione delle attività, strettamente correlate, tra diverse imprese del Gruppo in modo da farle apparire solo preparatorie o ausiliarie;
• contrasto alla pratica del frazionamento dei contratti d’appalto tra varie imprese dello stesso Gruppo per non superare la soglia di tempo prevista per la nascita di una stabile organizzazione da cantiere.
Che si tratti di modifiche rispetto all’attuale testo dell’art. 5 del Trattato Modello OCSE e quindi rispetto anche all’art. 162 del TUIR – e non di una possibile interpretazione pur estensiva dell’attuale testo dell’art. 5 – è confermato anche dal fatto che l’OCSE stesso raccomanda di modificare l’art. 5 per inserire tali modifiche.

3. Le conseguenze sui Trattati italiani

Per quanto riguarda la stabile organizzazione, a prescindere dalle novità anti BEPS, esiste già oggi un notevole problema nei rapporti tra disciplina convenzionale e norma interna per effetto della modifica dell’art. 152 del TUIR. Tale modifica, introdotta dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, recepisce, con effetto del 1° gennaio 2016, la disciplina sulla determinazione del reddito imponibile di cui all’art. 7 del Modello OCSE 2010, comunemente definita come “Authorized OECD Approach” (AOA).
Innanzitutto occorre notare che dei trattati stipulati dal 2010 in avanti (in realtà il contenuto dell’AOA risale ad un documento separato già pubblicato nel 2008) solo uno, cioè quello con Hong Kong, contiene una disciplina simile a quella dell’art. 7 del Modello OCSE 2010 e corrispondente nell’essenza anche al nuovo art. 152 del TUIR. Ma cosa succede per tutti gli altri Trattati attualmente in vigore non contenenti ancora l’AOA? Difficilmente è sostenibile che la disciplina AOA possa essere vista come interpretazione del vecchio testo dell’art. 7 del Modello OCSE o della disciplina italiana precedente alla modifica dell’art. 152 del TUIR (oppure che possa essere desunta, come si legge in una sentenza di Milano con riferimento al fondo di dotazione di una stabile organizzazione, dal «principio della libera concorrenza»). Quindi si tratta di una novità (che sicuramente è stata concepita per allargare la base imponibile della stabile organizzazione a favore dello Stato della fonte) e per questo motivo è stato riformulato l’art. 152 del TUIR. Le imprese residenti in Paesi con i quali attualmente sono in vigore trattati con l’Italia che contengono ancora il vecchio art. 7 del Trattato Modello OCSE – tutti, tranne, appunto il Trattato Italia-Hong Kong – possono far valere, per la determinazione del reddito imponibile della stabile organizzazione in Italia, la prevalenza della disciplina contenuta nelle Convenzioni rispetto al nuovo art. 152 del TUIR (per effetto del principio descritto all’inizio, cioè che un trattato deroga alla legge nazionale nel senso di limitarla). Ciò creerà, quindi, un po’ di confusione!
Ma la confusione aumenterà ulteriormente se qualche trattato – come descritto al par. 1 – recepirà alcune proposte del Progetto BEPS, in particolare quelle sulle modifiche della definizione della stabile organizzazione di cui all’art. 5 del Trattato Modello OCSE.
Come già successo nella Convenzione con il Cile, siccome tale definizione è sicuramente più vasta di quella risultante dall’attuale art. 5 del Modello OCSE ma anche di quella risultante dall’art. 162 del TUIR, il soggetto residente in Cile, con una struttura in Italia che secondo la Convenzione dà luogo ad una stabile organizzazione in Italia mentre non così in base alla legge interna di cui al citato art. 162, può invocare l’altro principio che regola il rapporto tra norma convenzionale e norma interna: visto che la Convenzione non può mai creare o allargare un obbligo fiscale rispetto a quello previsto dalla legge nazionale, il contribuente può optare per la norma nazionale perché più favorevole della norma convenzionale (art. 169 del TUIR).
Di conseguenza, se l’Italia vuole recepire nelle future convenzioni e in una modifica delle attuali convenzioni la nuova definizione di stabile organizzazione, allora deve prima modificare l’art. 162 del TUIR in modo che queste nuove fattispecie di stabile organizzazione risultino anche dalla legge nazionale. Senza una simile modifica l’inserimento della nuova definizione nei trattati in vigore e nei trattati futuri è anche controproducente per lo Stato italiano e per i veri protagonisti dei trattati, cioè per le imprese. Una simile definizione può trovare applicazione nell’altro Stato (come Stato della fonte) e quindi l’impresa italiana viene assoggettata ad imposta in quel Paese e lo Stato italiano perde gettito o accreditando le imposte estere o esentando il reddito. Tale perdita di gettito non può essere recuperata dalle strutture analoghe che residenti nell’altro Paese instaurano in Italia, appunto, perché il contribuente può invocare l’applicazione della legge nazionale che non comporta la tassazione per mancanza dell’esistenza della stabile organizzazione in base alla definizione nazionale.

4. Conclusioni

In conclusione: all’incertezza sul significato concreto di alcune delle discipline del Progetto anti BEPS si aggiunge l’incertezza sull’applicazione delle stesse nell’ambito dei trattati contro la doppia imposizione. Meno male che uno degli obiettivi dichiarati nelle migliaia di pagine contenenti le misure anti BEPS è quello di garantire maggiore certezza per i destinatari di tale disciplina, cioè per le imprese multinazionali!

Dott. Siegfried Mayr

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