14 Novembre, 2014

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La disciplina dell’aggio esattoriale – 3. Le criticità del nuovo assetto normativo – 4. I profili di illegittimità costituzionale dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999 – 5. I profili di contrasto con il diritto comunitario.

 

 

 

1. Premessa

Definire con precisione cosa deve intendersi per “aggio esattoriale” e individuarne con esattezza la natura giuridica non è stato sempre agevole, soprattutto per via delle numerose modifiche normative che, ancora in tempi recenti, hanno interessato la disciplina dell’attività di riscossione dei tributi.

Secondo ricostruzioni più risalenti, l’aggio esattoriale poteva qualificarsi come «una vera e propria imposta che va ad aggiungersi all’imposta riscossa dallo Stato mediante ruoli come compenso per i rischi e le cure della riscossione» (1); altri, invece, lo configuravano come «una tassa che l’ente impositore verrebbe a corrispondere all’esattore in virtù del rapporto di concessione esattoriale con un soggetto privato» (2); altri ancora come un aggravio d’imposta, ovvero «quale sovrappiù del valore della moneta o prezzo del denaro» (3).

In contributi più recenti si è dato particolare risalto al rapporto tra ente impositore (concedente) ed ente concessionario della riscossione, rapporto che, avendo natura contrattuale, «generava diritti e doveri per entrambe le parti, con obbligo di prestazioni e controprestazioni legate da un nesso sinallagmatico» (4).

Dello stesso avviso è stata la giurisprudenza, affermando ripetutamente che l’aggio esattoriale trova «disciplina nel complesso di norme in materia e nel contratto di esattoria», pertanto, esso si configura come un «compenso per l’attività prestata dal concessionario della riscossione» (5).

Per completezza rileviamo che anche secondo l’Amministrazione finanziaria l’aggio di riscossione «costituisce il corrispettivo di una specifica prestazione di servizi resa dal concessionario della riscossione» (6).

Con l’attribuzione delle «funzioni relative alla riscossione nazionale … all’Agenzia delle entrate, che le esercita mediante la società Riscossione s.p.a.», autorevole dottrina ha osservato che «mentre la natura dell’aggio di corrispettivo per il servizio reso dal concessionario poteva trovare giustificazione nel sistema previgente, in cui la riscossione dei crediti pubblici era gestita da privati, che potevano anche subire un danno patrimoniale a causa dell’obbligo di anticipare all’Erario le somme dovute dai contribuenti, ci si chiede se, a seguito della restituzione dell’attività di riscossione ad un ente strumentale del creditore pubblico, abbia ancora un senso una norma che attribuisce al creditore il diritto di affidare ad un terzo l’onere di incassare i propri crediti, imponendo al debitore il pagamento di una maggiorazione utile alla remunerazione dell’attività svolta dal terzo stesso» (7).

Qualunque sia la definizione di aggio esattoriale che più ci aggrada, osserviamo che per il nostro legislatore quell’aggio ha la precipua funzione di remunerare l’attività degli agenti della riscossione (e in passato dei concessionari della riscossione), come ha espressamente stabilito, per oltre un decennio, l’art. 17 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 (8).

Ora, che l’attività degli agenti della riscossione abbia un costo e che esso non debba gravare sulla collettività ci sembra ovvio, perfino banale, pertanto è giusto che di quel costo si facciano carico l’ente impositore (nelle ipotesi di riscossione spontanea non derivante da inadempimento) o il debitore, ovvero entrambi.

La questione da affrontare, allora, non è se l’attività di riscossione debba o meno essere remunerata perché questo, ripetiamo, è del tutto ovvio, ma verificare in quale misura è giusto remunerarla e in quale percentuale è giusto ripartirne l’onere tra ente impositore e debitore.

Di tali problematiche vogliamo occuparci nel presente approfondimento.

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2. La disciplina dell’aggio esattoriale

Come è noto, con il D.Lgs. n. 112/1999 si è proceduto al «riordino del servizio nazionale della riscossione», disciplinando anche la «remunerazione dell’attività di riscossione» e i criteri di ripartizione del relativo onere tra ente creditore e debitore (art. 17).

Inizialmente si era stabilito che l’aggio spettante ai concessionari fosse pari ad una percentuale delle somme iscritte a ruolo «da determinarsi, per ogni biennio, con decreto del Ministro delle finanze … da pubblicare … entro il 30 settembre dell’anno precedente il biennio di riferimento», sulla base dei criteri indicati nel primo comma dell’art. 17, ovvero sulla base del «costo normalizzato, pari al costo medio unitario del sistema, rapportato al carico dei ruoli» [lett. a)], «della situazione sociale ed economica di ciascun ambito» [lett. b)] e «del tempo intercorso tra l’anno di riferimento dell’entrata iscritta a ruolo e quello in cui il concessionario può porla in riscossione» [lett. c)].

Il successivo terzo comma, inoltre, prevedeva che l’aggio fosse «a carico del debitore in misura non superiore al 4,65 per cento della somma iscritta a ruolo; la restante parte dell’aggio è a carico dell’ente creditore. L’aggio a carico del debitore è dovuto soltanto in caso di mancato pagamento entro la scadenza della cartella di pagamento e la sua misura è determinata con il decreto previsto dal comma 1».

In attuazione della disposizione che precede, fu emanato il D.M. 4 agosto 2000, attraverso il quale, in considerazione dei «criteri che consentono di definire tre componenti della remunerazione, ovvero: 1. quella di cui alla lettera a), di seguito denominata “aggio base”; 2. quella di cui alla lettera b), di seguito denominata “aggio per rischio ambientale”; 3. quella di cui alla lettera c), di seguito denominata “aggio per vetustà” del ruolo», si stabiliva per ciascun ambito territoriale (costituito dalle diverse province d’Italia) la «remunerazione spettante per la riscossione dei ruoli», la cui misura oscillava tra il 7 e il 9 per cento del carico iscritto a ruolo.

Una prima e incisiva modifica in materia di aggio esattoriale fu introdotta dall’art. 2 del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286), con il quale si riscriveva il terzo comma dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999, e si stabiliva che «L’aggio di cui al comma 1 è a carico del debitore: a) in misura determinata con il decreto di cui allo stesso comma 1, e comunque non superiore al 5 per cento delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella di pagamento; in tale caso, la restante parte dell’aggio è a carico dell’ente creditore; b) integralmente, in caso contrario».

In sostanza, mentre in precedenza l’aggio (in misura non superiore al 4,65 per cento) era a carico del debitore soltanto in caso di mancato pagamento entro la scadenza della cartella di pagamento, dopo la modifica introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 262/2006 il debitore è tenuto, sempre e comunque, al pagamento di una parte dell’aggio esattoriale (in misura non superiore al 5 per cento), anche quando paga entro sessanta giorni dalla notifica della cartella. Il pagamento del carico iscritto a ruolo oltre tale termine, invece, comporta l’addebito all’intimato dell’intero aggio di riscossione.

A pensar male si fa peccato, ma non può essere casuale che tale modifica sia intervenuta poco dopo il passaggio in mano pubblica delle «funzioni relative alla riscossione nazionale», disposto dall’art. 3 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248).

La seconda incisiva modifica in subiecta materia fu introdotta dall’art. 32 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2), che novellando il comma 1 dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999, fissava l’aggio esattoriale in misura del 10 per cento delle somme iscritte a ruolo, lasciando tuttavia inalterata la quota del 4,65 per cento a carico del debitore in caso di pagamento entro sessanta giorni dalla notifica della cartella.

In sede di conversione del D.L. n. 185/2008, il suddetto art. 32 venne a sua volta modificato dalla legge n. 2/2009, fissandosi l’aggio esattoriale previsto dall’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999 in misura del 9 per cento delle somme iscritte a ruolo.

Dal 2009 dunque era l’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999, ovvero una norma di rango primario, a stabilire direttamente il quantum dell’aggio di riscossione, attraverso una quantificazione forfetaria unica per tutti i cittadini, non più ragguagliata al “costo medio unitario” del sistema di riscossione, né alla “vetustà del ruolo” o all’indice di sviluppo delle diverse aree territoriali.

Ad avviso di chi scrive, anche tale ultima modifica non è stata frutto della casualità, essendo più ragionevole ritenere che con essa il legislatore intendesse neutralizzare le prime censure di incostituzionalità dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999 che la giurisprudenza tributaria di merito cominciava a prospettare.

Dei profili di incostituzionalità della normativa che disciplinava (e disciplina ancora oggi) l’aggio esattoriale ci occuperemo approfonditamente nei paragrafi che seguono; prima di ciò è opportuno completare la rassegna delle modifiche apportate, ancora di recente, al suddetto art. 17.

Con l’art. 10, comma 13-quater, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. decreto “Salva Italia”), aggiunto in sede di conversione dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è stato nuovamente novellato il comma 1 dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999, che nella sua formulazione attualmente in vigore così stabilisce: «Al fine di assicurare il funzionamento del servizio nazionale della riscossione … gli agenti della riscossione hanno diritto al rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato, da determinare annualmente, in misura percentuale delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, con decreto non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, che tenga conto dei carichi annui affidati, dell’andamento delle riscossioni coattive e del processo di ottimizzazione, efficientamento e riduzione dei costi del gruppo Equitalia S.p.a. Tale decreto deve, in ogni caso, garantire al contribuente oneri inferiori a quelli in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto. Il rimborso di cui al primo periodo è a carico del debitore: a) per una quota pari al 51 per cento, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. In tal caso, la restante parte del rimborso è a carico dell’ente creditore; b) integralmente, in caso contrario».

Dopo soli due anni, dunque, il legislatore è tornato sui suoi passi, ha rinunciato alla previsione di un aggio in misura fissa e ha riconosciuto agli agenti della riscossione il “diritto al rimborso dei costi fissi”, da determinare annualmente con decreto ministeriale che, “in ogni caso”, dovrà garantire oneri inferiori a quelli in essere nel 2011.

In realtà nessun successivo decreto ministeriale ha provveduto a fissare il quantum del “rimborso” da riconoscere agli agenti della riscossione, e quindi è dovuto intervenire nuovamente il legislatore, con l’art. 5, primo comma, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), stabilendo che sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013 l’aggio esattoriale sarebbe diminuito di un punto percentuale.

Il tentativo di ridurre l’aggio di riscossione per il momento si è fermato qui poiché, come ha chiarito lo scorso novembre 2013 il Sottosegretario all’Economia, nel corso di un “question time” in Commissione Finanze alla Camera dei Deputati (9), la riduzione dell’aggio dal 9 all’8 per cento ha causato una contrazione dei ricavi di circa 50 milioni di euro per Equitalia S.p.a., andando ad aggravare lo squilibrio tra costi fissi (733,3 milioni di euro) e ricavi (594 milioni di euro) emerso dal bilancio relativo al 2012.

In tali condizioni, dunque, è da escludere una ulteriore riduzione dell’aggio esattoriale.

3. Le criticità del nuovo assetto normativo

Esaminando le modifiche che negli ultimi tempi hanno interessato la disciplina dell’aggio di riscossione, emerge con tutta evidenza che la più incisiva (e controversa) è stata senza dubbio quella introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 262/2006, con la quale, come abbiamo visto, ad eccezione dei casi di “riscossione spontanea a mezzo ruolo”, l’onere del suddetto aggio è stato posto parzialmente a carico del debitore iscritto a ruolo anche quando provvede a versare il dovuto entro il termine di scadenza della cartella di pagamento, ovvero entro sessanta giorni dalla relativa notifica. Il pagamento del carico iscritto a ruolo oltre tale termine, vale ripeterlo, comporta l’addebito all’intimato dell’intero aggio di riscossione.

Se fino a quel momento erano stati in pochi ad occuparsi di aggio esattoriale, la modifica testé richiamata ha sollecitato le riflessioni critiche di molti autorevoli studiosi, dando luogo a un interessante dibattito sulla sua legittimità, sia in relazione alla misura del balzello, sia in relazione al criterio di ripartizione dello stesso tra ente creditore e debitore.

Tra i contributi più significativi, ci piace segnalare (e condividere) la tesi di chi ha denunciato esplicitamente la dubbia ragionevolezza del sistema «perché il debitore deve una somma del tutto slegata dai costidel servizio cui ha dato necessità, ma, con riguardo all’aggio, proporzionale all’ammontare delle somme dovute per imposte, interessi e sanzioni, e quindi costruita come una ulteriore imposta (sovrimposta) o, con riguardo alla procedura esecutiva, correlata ai costi anche di procedure cui è estraneo» (10).

Altra autorevole dottrina ha osservato che «la stessa previsione dell’aggio di riscossione, nell’attuale assetto della riscossione coattiva, non sembra più trovare giustificazione. La riscossione delle entrate pubbliche, difatti, è oggi riservata ad un soggetto di natura pubblicistica, rispetto a cui sembrerebbe corretto prevedere, solamente, l’addebito delle (eventuali) spese relative alla procedura esecutiva» (11).

Ad alimentare il dibattito sull’aggio esattoriale, inoltre, ha contribuito la giurisprudenza tributaria di merito, con alcune recenti pronunce.

Dopo la modifica normativa più sopra richiamata, infatti, molti dei contribuenti che hanno impugnato un atto della riscossione hanno contestato, oltre all’an e al quantum del carico iscritto a ruolo, anche l’aggio esattoriale, chiedendo alle Commissioni tributarie di pronunciarsi sulla legittimità e sulla fondatezza della relativa pretesa.

Tra le decisioni a noi note, la prima in ordine di tempo è stata adottata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma che, con ordinanza 23 settembre 2010, n. 271 (12), ha promosso giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999, nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 2 del D.L. n. 262/2006.

La Commissione romana, in particolare, dopo avere osservato che il compenso per la riscossione, ai sensi del richiamato art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999, è «pari ad una percentuale dell’importo iscritto a ruolo da determinarsi, per ogni biennio, con decreto ministeriale e che è attualmente fissato nella misura del 4,65% delle somme iscritte a ruolo, ai sensi dell’art. 1 del D.M. 17 novembre 2006», ha dichiarato di condividere le censure formulate dalla ricorrente che aveva «sollevato incidente di costituzionalità con riferimento all’art. 3 Cost., e quindi del principio di uguaglianza, in quanto, in base ai criteri indicati, i compensi di riscossione sono diversi a seconda dell’ambito territoriale di appartenenza del contribuente e variano in base a circostanze indipendenti dalla condotta del contribuente, ed infatti quest’interpretazione della legge introdurrebbe nel nostro ordinamento una discriminazione basata sull’appartenenza al territorio, completamente in contrasto con il principio di uguaglianza formale e materiale voluta dal legislatore costituzionale e creerebbe un sistema di pretese fiscali estranee al principio di parità dei cittadini davanti alla legge».

Più risoluta è stata, invece, la Commissione tributaria provinciale di Treviso che, con sentenza 25 settembre 2012, n. 84 (13), ha annullato la cartella di pagamento impugnata «limitatamente all’importo richiesto a titolo di aggio esattoriale».

Muovendo dalla considerazione secondo cui la cartella di pagamento è stata «avvicinata, ancorché non pienamente equiparata, all’atto di precetto», la Commissione ha ritenuto di poter risolvere la controversia sul contestato aggio di riscossione applicando i principi affermati dalla giurisprudenza «in tema di atti di precetto».

Secondo i giudici trevigiani, poiché l’impugnazione della cartella di pagamento equivale all’opposizione al precetto, ove il debitore contesti l’an e il quantum delle somme pretese dal creditore quest’ultimo ha l’onere di «spiegare e dimostrare quale sia volta a volta l’attività da lui posta in essere a fronte della quale viene richiesto un compenso perché la semplice tabulazione astratta di un compenso non è sufficiente, soprattutto nel caso di esplicita contestazione».

A nulla vale, ha sottolineato il Collegio, che l’importo richiesto a titolo di aggio sia «astrattamente previsto da una fonte normativa, perché la previsione presuppone la spettanza, volta a volta di questo o quel diritto sempre che, ovviamente, nel caso concreto sia svolta o sia comunque prevedibilmente di necessario svolgimento la specifica attività prevista dalla singola voce di tariffa».

A differenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, dunque, la Commissione trevigiana non ha dubitato della legittimità costituzionale delle norme che disciplinano l’aggio esattoriale, si è semplicemente arrogata il potere di disapplicarle (sic!), potere di cui, vale sottolinearlo, i giudici tributari non dispongono affatto (14).

Tra il 2012 e il 2013 altre due Commissioni tributarie provinciali hanno ritenuto opportuno sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999.

La Commissione tributaria provinciale di Latina, con ordinanza 29 gennaio 2013, n. 40 (15), ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la suddetta questione per contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 97 Cost.

In particolare, è stato evidenziato il contrasto dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999 con il “principio di uguaglianza” previsto dall’art. 3 Cost., determinato dal differente trattamento fra i cittadini in grado di pagare immediatamente la somma iscritta a ruolo e coloro che non dispongono dei mezzi sufficienti per eseguire tale pagamento e «non adempiono entro il termine per fare ricorso».

Lo stesso principio, inoltre, risulterebbe violato per il fatto che a parità di servizi offerti dall’agente della riscossione non si giustifica la previsione di compensi diversi, proporzionati esclusivamente al valore della lite invece che alla quantità e qualità dei servizi medesimi.

Richiamando i principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza 30 dicembre 1993, n. 480 (16), i giudici latinensi hanno censurato l’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999 sostenendo che «la misura dell’aggio deve ritenersi ragionevole (e quindi costituzionalmente legittima) se essa è contenuta in un importo minimo e massimo che non superi di molto la soglia di copertura del costo della procedura … appare assolutamente ingiustificata la fissazione della misura dei compensi di riscossione a carico del contribuente nella percentuale fissa del nove per cento delle somme riscosse nel caso in cui il pagamento sia effettuato oltre sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, anziché in misura corrispondente ai costi del servizio di riscossione».

Inoltre, ha osservato la Commissione, «irragionevole sembra l’applicazione dell’aggio di riscossione anche sugli interessi di mora, sol che si consideri che l’agente della riscossione, in relazione agli importi non pagati tempestivamente dal contribuente, non ha anticipato alcuna somma all’erario».

Infine, sempre la stessa Commissione tributaria provinciale di Latina ha rilevato che «nel caso in esame il pagamento dell’aggio è stabilito in misura fissa anziché in misura corrispondente ai costi del servizio di riscossione, l’irrazionalità deriva dalla circostanza che detta misura non assicura che la gestione del servizio sia volta soltanto alla copertura dei costi. Il dubbio sorge nella parte in cui sottopone all’obbligo del pagamento pur in assenza di specifici criteri di determinazione del costo di tale servizio. Dunque, l’obbligo dell’aggio può ritenersi ragionevole e coerente allorché la misura corrisponda al costo della prestazione, mentre deve ritenersi ingiusto e penalizzante e costituzionalmente illegittimo per l’assenza di un tetto minimo e massimo alla misura dei compensi. … La disciplina vigente appare quanto mai irragionevole poiché il compenso di riscossione costituisce il corrispettivo di una specifica prestazione di servizi, deve ritenersi del tutto arbitraria la determinazione della misura di tale compenso a carico del contribuente nella percentuale fissa del nove per cento delle somme iscritte a ruolo, non essendo quest’ultima in alcun modo ancorata ai costi di gestione sostenuti dall’agente della riscossione … Ciò contrasta ad avviso di questo giudice tributario con l’art. 97 per la manifesta irrazionalità».

Analoghe motivazioni sono state addotte dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, nell’ordinanza 18 dicembre 2012, n. 147 (17), con cui è stato censurato l’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999 per violazione dell’art. 3 Cost. «sotto il profilo del canone della ragionevolezza».

Secondo i giudici torinesi, infatti, «se appare giustificato che al contribuente, il quale con il suo inadempimento ha dato origine alla procedura coattiva, siano imputati i costi del servizio di riscossione, non è ragionevole che gli siano imputati oneri eccessivi che oltrepassino a dismisura il costo della procedura: la norma di cui all’art. 17, comma 1, del D.Lgs. n. 112 del 1999 è priva di qualsiasi “effettivo ed opportuno ancoraggio della remunerazione al costo del servizio” (come avrebbe dovuto se avesse adottato i parametri enunciati dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 480 del 1993), esponendo in tal modo i contribuenti a pretese di rimborso di “costi” non giustificati, indimostrati ed esorbitanti. Il calcolo percentuale addiziona di fatto al debito per imposte una pseudo sanzione, venendo in tal modo ad assumere connotati afflittivi epunitivi, estranei alla asserita funzione remunerativa del costo del servizio di riscossione».

Completiamo la rassegna delle pronunce giurisprudenziali in subiecta materia segnalando l’ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Latina 29 gennaio 2013, n. 41 (18), con la quale è stata sollevata dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la «questione di interpretazione del diritto comunitario inerente la compatibilità del compenso nella misura del 9% stabilito dall’art. 17 D.Lgs. n. 112/1999, anteriormente alle modifiche introdotte, dichiarando se l’aggio del 9% costituisca aiuto di stato compatibile con il mercato unico dei compensi di riscossione e con il diritto comunitario ai sensi dell’art. 107 TFUE».

Richiamando i principi espressi dalla Corte di Lussemburgo, i giudici latinensi hanno osservato che per «aiuto di stato» deve intendersi «ogni vantaggio, di origine statale, concesso a favore solo di alcuni soggetti d’impresa (c.d. selettività) senza alcuna contropartita, o con una contropartita comunque minima e non proporzionata all’effettivo vantaggio ricevuto», e che«la Corte ha, altresì, aggiunto che qualunque agevolazione può, in linea di principio, rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 107 del Trattato, posto che tale norma non distingue gli interventi di cui trattasi a seconda della causa o del loro scopo, ma li definisce in funzione dei loro effetti».

A parere della Commissione tributaria provinciale dunque «si adombra nella fattispecie che l’art. 17 D.Lgs. n. 112 del 1999 costituisca un sussidio per l’impresa Equitalia, realizzando un vantaggio economico in capo all’impresa. La misura dell’aggio (9%) conferirebbe all’impresa beneficiaria un vantaggio economico che non avrebbe ottenuto nel corso normale della sua attività. … Inoltre, considerato che l’Equitalia Sud costituisce un’impresa agli effetti del diritto comunitario della concorrenza, … alla stessa si applicano le regole del diritto comunitario in materia di concorrenza. La posizione di Equitalia è rafforzata nei confronti delle altre imprese concorrenti. L’Equitaliaè in concorrenza con le altre imprese che, ai sensi dell’art. 52, comma 5, lett. b), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, svolgono l’attività di riscossione dei tributi per conto degli Enti locali che per la riscossione dei tributi si avvalgono di società esterne le quali devono fare la riscossione esattamente come Equitalia, poiché la legge è una sola e vale per chiunque vada a riscuotere».

4. I profili di illegittimità costituzionale dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999

Con la primae per ora unica pronuncia fin qui adottata, la Corte Costituzionale ha giudicato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999, sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, «per difetto di motivazione sulla rilevanza» della questione stessa (19).

Secondo la Consulta «il giudice rimettente non ha in alcun modo illustrato, anche solo sommariamente, le ragioni di infondatezza degli altri motivi di ricorso, pure spiegati in via principale nel giudizio a quo ed aventi “priorità logica”; infatti, l’esame di tali motivi – con cui si deduce la mancanza di sottoscrizione della cartella, il difetto di titolarità passiva del rapporto tributario controverso ed il difetto di motivazione – è pregiudiziale, perché il loro eventuale accoglimento determinerebbe l’annullamento delle cartelle impugnate; tale carenza motivazionale dell’ordinanza comporta la manifesta inammissibilità della questione sollevata».

La Consulta, si è osservato in dottrina, avrebbe «deciso di non decidere» (20).

In realtà, ad avviso di chi scrive, la decisione del Supremo Consesso è assolutamente ineccepibile.

Come sappiamo, le questioni di legittimità costituzionale non sono ammissibili quando hanno una “rilevanza” soltanto ipotetica o eventuale nel giudizio a quo, mentre sono certamente “rilevanti” (e quindi ammissibili) quando il loro eventuale accoglimento possa produrre effetti immediati e risolutivi in quel giudizio.

Nella controversia esaminata dalla Commissione romana, come abbiamo visto, la ricorrente aveva formulato “in via principale” diversi motivi di impugnazione, che investivano la cartella di pagamento nella sua interezza e il cui esame aveva “priorità logica” rispetto alle contestazioni relative all’aggio esattoriale.

Di conseguenza, se anche la Corte avesse giudicato fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale, non vi era certezza che la stessa risultasse decisiva nel giudizio a quo. Infatti, una volta riassunto il processo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, questa avrebbe dovuto scrutinare preliminarmente, in via pregiudiziale, i motivi di impugnazione “principali” e soltanto ove quei motivi fossero stati tutti rigettati avrebbe potuto prendere in esame l’eccezione sull’aggio esattoriale e, in tale contesto, decidere la controversia adeguandosi alla pronuncia della Corte Costituzionale.

Alla luce di quanto precede, inoltre, possiamo prevedere che anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Latina, con la citata ordinanza n. 40/2013, sarà dichiarata inammissibile, visto che anche in quel caso la società ricorrente aveva contestato, in via principale, l’inesistenza della notifica dell’impugnata intimazione di pagamento, che tale motivo di impugnazione ha «priorità logica» rispetto alle contestazioni sull’aggio esattoriale e che i giudici hanno sollevato la suddetta questione di legittimità senza previamente pronunciarsi sull’infondatezza del motivo principale di ricorso.

Nello stesso errore (per fortuna!) non è incorsa la Commissione tributaria provinciale di Torino che, diversamente dalla Commissione romana, ha preliminarmente esaminato tutti i motivi di impugnazione aventi «priorità logica» rispetto alla contestata «illegittimità costituzionale dell’aggio esattoriale», e soltanto dopo essersi pronunciata su quei motivi – rigettandoli tutti – ha motivatamente dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999.

Vi sono, dunque, concrete possibilità che la Corte Costituzionale possa finalmente pronunciarsi sulla fondatezza della suddetta questione e, a parere di chi scrive, è probabile che la Corte dichiari l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

Riteniamo, infatti, che le criticità evidenziate dalla dottrina – delle quali abbiamo già dato conto – siano quanto mai evidenti, così come fondati appaiono i dubbi sulla legittimità costituzionale della richiamata disposizione, prospettati dalla giurisprudenza tributaria sotto diversi profili.

Senza ripercorrere qui tutte le critiche o le censure mosse alla contestata disciplina normativa, qualche breve considerazione è sufficiente per dare ampia dimostrazione della sua assoluta irragionevolezza.

Innanzi tutto, con la previsione di un aggio forfettario pari a una percentuale fissa del carico iscritto a ruolo, senza la previa fissazione di un limite minimo e massimo, viene meno qualunque correlazione tra l’attività svolta dall’agente della riscossione e l’entità della somma deputata a remunerare l’attività medesima.

Se pensiamo, per esempio, alla semplice redazione e notifica di una cartella di pagamento, a parità di attività svolta dall’agente della riscossione la remunerazione potrebbe essere di pochi euro – che già sono sufficienti a remunerarla, visto che in cartella c’è pure l’addebito delle spese di notifica – ma potrebbe essere anche di centinaia o, in taluni casi, di migliaia di euro quando il carico iscritto a ruolo è particolarmente elevato.

La assoluta mancanza di proporzionalità e di correlazione tra l’attività dell’agente della riscossione e la misura dell’aggio esattoriale emerge altresì dal confronto tra l’aggio esattoriale dovuto nella riscossione coattiva (attualmente del 4,08% o dell’8% a seconda che il pagamento venga o meno effettuato entro sessanta giorni dalla notifica della cartella) e l’aggio dovuto nella riscossione spontanea (attualmente dell’1%).

Se torniamo alle ipotesi in cui l’attività di Equitalia consiste nella sola redazione e notifica della cartella di pagamento, ci rendiamo conto di quanto sia ingiustificato che, a parità di carico iscritto a ruolo, quell’attività (assolutamente semplice e di routine) debba essere remunerata in misura diversa, e diremmo molto diversa, a seconda che si tratti di riscossione coattiva piuttosto che di riscossione spontanea.

Quale diverso servizio, quale diversa indagine o ricerca svolge nel primo caso l’agente della riscossione che giustifichi una remunerazione maggiore rispetto al secondo?

Quale maggiore costo sostiene nel primo caso Equitalia che giustifichi il «diritto al rimborso» di un costo maggiore rispetto al secondo?

In ogni caso l’argomento che maggiormente conforta le nostre obiezioni lo ha fornito in passato la stessa Corte Costituzionale.

Infatti, nella sua pronuncia del 30 dicembre 1993, n. 480 (21), richiamata sia dalla Commissione tributaria provinciale di Latina, sia dalla Commissione tributaria provinciale di Torino nelle ordinanze esaminate in precedenza, si stabilisce il principio secondo cui la determinazione di un compenso per l’attività di riscossione «in misura percentuale del tributo (1%) con il contestuale correttivo di un prestabilito importo minimo (£ 15.000) e massimo (£ 300.000) è volta a realizzare (con l’utilizzazione di un meccanismo necessariamente articolato in termini medi e forfettari) un opportuno ed effettivo ancoraggio della remunerazione al costo del servizio; contemporaneamente impedendo, per un verso, che, in caso di iscrizione di tributi di importo eccessivamente limitato (inferiore a £ l.500.000) la misura percentuale del compenso scenda al di sotto del livello minimo di remuneratività del servizio e, per converso, che, in caso di iscrizione di tributi di ammontare elevato (superiore a £ 30.000.000) il compenso stesso salga notevolmente al di sopra della predetta soglia di copertura del costo della procedura».

In sostanza la forfettaria quantificazione dell’aggio esattoriale in misura proporzionale al carico iscritto a ruolo è legittima soltanto se la percentuale stabilita dal legislatore non è elevata e, soprattutto, se è previsto il correttivo di un prestabilito importo minimo e massimo, per evitare che il compenso salga notevolmente al di sopra della «soglia di copertura del costo della procedura».

Tale ultimo inciso è di assoluto rilievo: l’aggio esattoriale, secondo la condivisibile impostazione della Consulta, è legittimo quando non eccede il costo della singola procedura, mentre, come abbiamo visto, il nostro legislatore non si è mai preoccupato di correlare l’aggio alla singola procedura, bensì di assicurarsi la copertura dei costi fissi di gestione dell’intero sistema di riscossione a mezzo ruolo.

Forse è giunto il momento di pensare a una radicale riforma dell’aggio esattoriale, ancorando la sua misura al costo delle singole attività concretamente svolte dall’agente della riscossione e, per ciascuna attività, entro un prestabilito limite minimo e massimo.

5. I profili di contrasto con il diritto comunitario

A conclusione del presente lavoro, vogliamo svolgere alcune riflessioni in merito al possibile contrasto tra la disciplina dell’aggio di riscossione e il diritto comunitario, denunciato dalla Commissione tributaria provinciale di Latina con l’ordinanza n. 41/2013.

In primo luogo osserviamo che quest’ultima pronuncia, come la precedente ordinanza n. 40/2013, è stata adottata dalla Commissione latinense senza procedere al preliminare esame dell’eccezione relativa all’inesistenza della notifica dell’atto impugnato dalla ricorrente.

Anche in questa occasione, dunque, i giudici hanno omesso di pronunciarsi, preliminarmente, sul motivo di impugnazione avente «priorità logica» rispetto alle contestazioni sull’aggio esattoriale.

Ora, poiché anche il rinvio pregiudiziale di una causa alla Corte di Giustizia comunitaria presuppone che la sollevata questione sia «rilevante ai fini della decisione» della controversia domestica (22), non saremmo sorpresi se la stessa Corte dichiarasse non ricevibile la questione pregiudiziale posta dalla Commissione tributaria provinciale di Latina.

È ben vero, come osserva attenta dottrina (23), che sul requisito della rilevanza della questione il giudice dell’Unione ha costantemente ribadito il principio secondo cui «nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’art. 234 del Trattato, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità della emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte», e che tale operazione valutativa deve essere «effettuata dal giudice interno sulla base del riconoscimento di un potere discrezionale avente ad oggetto l’effettiva “necessità” di ottenere una pronuncia del giudice dell’Unione quale presupposto imprescindibile ai fini della definizione della fattispecie nazionale».

Resta il fatto, tuttavia, che i giudici latinensi non hanno esercitato legittimamente tale “potere discrezionale”, visto che hanno omesso qualunque motivazione sulla ritenuta imprescindibilità della pronuncia della Corte europea ai fini della definizione della fattispecie nazionale.

Quanto alla soluzione della questione pregiudiziale sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Latina, riteniamo alquanto improbabile che la Corte di Giustizia dell’Unione europea qualifichi l’aggio esattoriale come un “aiuto di stato” vietato dalla normativa comunitaria.

Come ha osservato lo stesso Collegio laziale, «perché una misura costituisca un aiuto illegittimo in base alla disposizione dell’art. 107 TFUE devono ricorrere quattro diverse condizioni. In primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, esso deve poter incidere sugli scambi tra gli Stati membri. In terzo luogo, deve concedere un vantaggio al suo beneficiario. In quarto luogo, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza» (24).

Ebbene è sufficiente soffermarsi sulla prima delle condizioni innanzi indicate per rendersi conto che l’aggio esattoriale non può essere qualificato un “aiuto di stato” vietato dall’art. 107, paragrafo 1, del TFUE.

Ammesso, come pure sostiene chi scrive, che il suddetto aggio rappresenti un irragionevole «vantaggio» per l’impresa Equitalia S.p.a., di sicuro si tratta di un vantaggio non concesso «direttamente o indirettamente dallo Stato o mediante risorse statali», sia che esso venga corrisposto interamente dal privato, sia che esso venga corrisposto (in tutto o in parte) dall’ente creditore.

Anche in quest’ultimo caso, infatti, non si verifica alcun trasferimento, neanche indiretto, di risorse statali o, comunque, di risorse pubbliche, bensì il pagamento di un corrispettivo per la prestazione di un servizio.

Dott. Domenico Carnimeo

(1) Cfr. G. De Fancisci, L’attività dell’amministrazione finanziaria, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, IX, 2, Milano, 1920-1922, 96 ss.

(2) Cfr. G. Zanobini, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, cit., IX, 3, 1935, 481 ss.

(3) Cfr. G. Vanni, Organizzazione degli uffici finanziari, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, in V.E. Orlando (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, II, 2, Milano, 1915, 1400.

(4) L’esattore è un sostituto dei singoli enti impositori per l’esercizio della riscossione. Il rapporto di esattoria si instaura a seguito di asta pubblica con il quale l’aggiudicatario ottiene la concessione del servizio di riscossione (cfr. A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1982, 830).

(5) In tal senso ved. Corte dei Conti, sez. riun., 13 marzo 1985, n. 403/A, in Riv. corte conti, 1985, 70; nonché Corte dei Conti reg. Sicilia, sez. giurisd., 29 maggio 1995, n. 2, ivi, 1995, 116.

(6) Cfr. ris. 1° marzo 2004, n. 24/E, in Boll. Trib. On-line.

(7) R. Lupi – G. Castellani – A. Fiorilli, L’aggio di riscossione come sanzione (o imposta di scopo) sui contribuenti accertati solvibili?, in Dial. trib., 2009, 453.

(8) Prima delle modifiche introdotte dall’art. 10 del D.L. n. 201/2011, l’art. 17 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, stabiliva che «L’attività degli agenti della riscossione è remunerata con un aggio pari al nove per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora e che è a carico del debitore: a) in misura del 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. In tal caso, la restante parte dell’aggio è a carico dell’ente creditore; b) integralmente, in caso contrario».

(9) Ne danno notizia M. Mobili – G. Parente, Equitalia, i costi per i contribuenti non diminuiranno. Sulle cartelle esattoriali resta l’8 per cento, in Il Sole 24 Ore del 13 novembre 2013.

(10) Così A. Bodrito, La riscossione, in G. Marongiu – A. Marcheselli (a cura di), Lezioni di diritto tributario, 2013, 119.

(11) A. Carinci, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo”, in Riv. dir. trib., 2011, 159.

(12) In questo stesso fascicolo a pag. 628.

(13) In questo stesso fascicolo a pag. 627.

(14) Analoga critica ha espresso A. Renda, Illegittimo l’aggio di riscossione senza le prove della effettiva attività svolta per il recupero delle imposte, in nota a Comm. trib. prov. di Treviso n. 84/2012, in Corr. trib., 2012, 3499.

(15) In questo stesso fascicolo a pag. 618.

(16) In Giur. cost., 1993, II, 2137.

(17) In questo stesso fascicolo a pag. 621.

(18) In questo stesso fascicolo a pag. 623.

(19) Corte Cost. 21 giugno 2013, ord. n. 158, in Boll. Trib. On-line.

(20) Così G. Marino, in nota a Corte Cost. n. 158/2013, cit., in Dir. & Giust., 2013, 811.

(21) In Boll. Trib. On-line.

(22) In tal senso, tra le tante, si veda Cass., sez. un., 24 maggio 2007, n. 12067, in Mass. Giust. civ., 2007, fasc. 5.

(23) G. Vitale, La logica del rinvio pregiudiziale tra obbligo di rinvio per i giudici di ultima istanza e responsabilità, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2013, 59.

(24) Cfr. da ultimo Corte Giust. UE, sez. V, 30 maggio 2013, n. 677, in Foro amm. CDS, 2013, 1139.

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