1. Premessa
La Corte di Cassazione si sofferma, ancora una volta, sul tema del contraddittorio endoprocedimentale manifestando, purtroppo, la sua volontà di non discostarsi dalle conclusioni alle quali è pervenuta con la nota sentenza n. 24823 del 2015 (1) e, quindi, perseverando nel proporne una visione estremamente riduttiva. I risvolti comunitari, il convincimento di buona parte della dottrina e l’agire dell’Amministrazione finanziaria negli ultimi tempi mettono, invece, in luce un sentire del tutto diverso che non può essere trascurato. Si tratta, peraltro, di elementi che dovrebbero costituire spunto di riflessione soprattutto per quella parte dei giudici delle Sezioni V e VI della Suprema Corte che, avendo delineato il quadro poi confermato dalle Sezioni Unite, non desistono dal propugnare conclusioni che ci appaiono – come cercheremo di argomentare più avanti – lesive anche di alcuni principi costituzionali.
Esamineremo, pertanto, l’ordinanza che, seppure succinta, riesce a concentrare alcuni temi essenziali che necessitano di un approfondimento; cercheremo, poi, di effettuare un inquadramento che tenga conto del dato normativo e dell’evoluzione giurisprudenziale in cui è maturata la decisione, al fine di formulare alcune osservazioni critiche conclusive.
2. L’ordinanza della Corte di Cassazione
Con sentenza del 14 dicembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli che, a sua volta, aveva accolto il ricorso di un contribuente, titolare di una ditta individuale, contro un avviso di accertamento IRAP, IRPEF e un altro, in materia di IVA ed altre imposte, entrambi del 2008. La Commissione tributaria regionale osservava in particolare che si trattava di accertamento reddituale di tipo “misto” ossia basato sugli studi di settore, ma anche sulla protratta condotta antieconomica del contribuente che, a fronte delle contestazioni contenute nell’atto impositivo impugnato, non aveva fornito giustificazioni e controprove adeguate. Rilevava, altresì, che non sussisteva il vizio procedimentale eccepito dal contribuente stesso (mancato invito a presentarsi). Avverso tale decisione il contribuente proponeva ricorso per cassazione deducendo due motivi. Con il primo motivo il ricorrente lamentava l’omessa attivazione del contraddittorio endoprocedimentale; con il secondo motivo si doleva del vizio motivazionale in ordine alla asserita fondatezza della pretesa erariale.
La Corte di Cassazione conclude che le due censure, esaminate congiuntamente per stretta connessione, sono infondate.
Vi è anzitutto da rilevare che la Commissione tributaria regionale ha qualificato l’avviso di accertamento impugnato come “analitico-induttivo” ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non tanto perché basato sugli studi di settore, quanto perché fondato sul «comportamento imprenditoriale costantemente antieconomico del contribuente, come tale fondante la presunzione di sottrazione di materia imponibile oggetto della ripresa fiscale».
Conseguentemente ha applicato i principi di diritto consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte, secondo i quali in materia di IVA l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, e dell’art. 54, secondo e terzo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni fiscali (2). Nel giudizio tributario, una volta contestata da parte dell’erario l’antieconomicità di un’operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, e il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. È, infatti, consentito al fisco di dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità (3). In particolare la Commissione tributaria regionale campana ha affermato che il contribuente «non ha assolto in modo adeguato il proprio onere di controprovare le circostanze indiziarie fondanti la ripresa fiscale».
Quanto all’eccepita mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, il giudice tributario d’appello ha negato la sussistenza di un obbligo generale derivante dalla legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), che peraltro risulta altresì consolidato arresto della giurisprudenza di legittimità (4).
Sebbene nel caso di specie si controvertisse anche in materia di IVA (imposta armonizzata), specifica la Suprema Corte, deve comunque considerarsi corretta la sentenza impugnata sul punto decisionale de quo, «posto che la difesa del contribuente si è incentrata meramente sulla non sufficienza dello scostamento dallo studio di settore, ma non ha negativamente riscontrato la vera, diversa, base giuridico-fattuale dell’avviso di accertamento oggetto della lite, sicché non ne risulta la c.d. “prova di resistenza”, pur necessaria ai fini della obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale per quest’imposta».
3. Inquadramento.
Individuiamo gli aspetti rilevanti della vicenda.
In primo luogo, il fatto che il contribuente interessato sia un soggetto titolare di un’impresa individuale spiega perché gli vengano notificati avvisi di accertamento riguardanti tributi diversi, diretti e indiretti, consentendo alla Corte di Cassazione di ribadire i suoi ragionamenti su questa sorta di “doppio binario” tra tributi armonizzati e non, che essa stessa ha creato.
L’accertamento che è stato effettuato, in base a ciò che si legge nella pronuncia, sarebbe di tipo “misto” (5). Si tratterebbe, cioè, del meccanismo delineato nel primo comma, lett. d), dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 (e, in termini più specifici rispetto al tributo, nell’art. 54, secondo e terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972) che deriva dall’incrocio del metodo analitico – con riguardo alla determinazione del reddito complessivo – e induttivo – rispetto alla determinazione degli elementi attivi e passivi che lo compongono, e che possono essere desunti anche mediante presunzioni gravi, precise e concordanti. Nel corso degli anni, per aiutare gli Uffici finanziari in questa parte induttiva, sono stati elaborati diversi strumenti di cui gli studi di settore costituiscono l’esempio più recente.
Nel caso in esame, in realtà, l’elemento induttivo appare di duplice matrice: si evince chiaramente che è stato fondato sia sugli studi di settore sia, soprattutto, sul protratto comportamento imprenditoriale antieconomico del contribuente.
Relativamente a un ipotizzabile diritto del contribuente a un contraddittorio endoprocedimentale, in tema di studi di settore, il comma 3-bis dell’art. 10 della legge 23 aprile 1998, n. 149, introdotto con la legge 30 dicembre 2004, n. 311, ha stabilito l’obbligo di attivare il contraddittorio con il contribuente prima della notifica dell’atto di accertamento consentendogli, così, di provare che gli esiti degli studi di settore non sono applicabili alla propria situazione effettiva, imponendo, di tal guisa, all’Amministrazione finanziaria di tenere conto delle ragioni che lo stesso addurrà.
Successivamente, nel 2009, le Sezioni Unite (6), oltre a confermare che l’accertamento mediante studi di settore ha natura di presunzione semplice (7) e, quindi, non consente di gravare il contribuente dell’onere della prova ma può costituire un punto di riferimento solo se è grave, preciso e concordante, hanno, anche, riconosciuto l’importanza del contraddittorio preventivo, affermando che un accertamento siffatto che non sia preceduto dal contraddittorio è invalido. Si è, tuttavia, chiarito che se il contribuente non accoglie l’invito o, riscontrandolo, non apporta contestazioni e controprove adeguate, l’Ufficio finanziario può motivare l’accertamento basandosi solo ed esclusivamente sullo scostamento dallo standard individuato negli studi di riferimento. La Sezione Tributaria della Suprema Corte (8) ha, peraltro, affermato che all’accertamento mediante parametri e studi di settore non si può ritenere applicabile l’art. 12, settimo comma, del già citato Statuto dei diritti del contribuente, e cioè l’obbligo di rispettare il termine dilatorio di sessanta giorni ivi previsto (decorrente dalla consegna del processo verbale di constatazione). Le sentenze del 2009 avrebbero, infatti, sottolineato come, in questo caso, sia stata prevista un’autonoma fase necessaria di contraddittorio procedimentale che garantisce in modo adeguato la partecipazione del contribuente all’accertamento e il confronto di quest’ultimo con gli Uffici.
In relazione, invece, «al comportamento imprenditoriale costantemente antieconomico del contribuente, come tale fondante la presunzione di sottrazione di materia imponibile oggetto della ripresa fiscale», in assenza di una disposizione ad hoc, diversamente da quanto accade per gli studi di settore, per dare spazio al contraddittorio endoprocedimentale bisogna necessariamente investigare l’esistenza o meno di un principio generale in tal senso all’interno del nostro ordinamento.
Pertanto bisogna prendere in considerazione gli ultimi sviluppi in tema di contraddittorio (9) riconducibili alla nota sentenza n. 24823 del 2015 emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Esse, sfruttando un input della Sezione Tributaria, si pronunciarono in materia di contraddittorio manifestando una posizione che ha dato corpo a un ampio dibattito in quanto estremamente restrittiva. La Sezione predetta (10) si era trovata a dipanare un caso in tema di indagini a tavolino, cioè sostanzialmente di attività che gli Uffici effettuano presso le proprie sedi – senza procedere ad accessi – confrontando dati in proprio possesso con risultanze provenienti dal contribuente già acquisite o di facile acquisizione. Le Sezioni Unite si soffermarono sul caso concreto trovando il modo di farne il mezzo per esporre i propri convincimenti sulla possibilità o meno di riconoscere al contribuente una possibilità di partecipare, in via difensiva, alla fase procedimentale. Esse hanno affermato che non si riscontra, nel nostro ordinamento tributario, un principio generale del contraddittorio endoprocedimentale. Vi sono, bensì, alcune disposizioni specifiche che ne disciplinano l’applicabilità condizionata ad alcune fattispecie. Tra queste si individuano il già richiamato art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, e il più recente art. 10-bis in tema di abuso del diritto. Vi è, poi, la maturazione di un principio del contraddittorio endoprocedimentale in ambito tributario a livello comunitario che tuttavia, secondo le Sezioni Unite, interessa solo i tributi armonizzati (11). Di conseguenza, in quel caso, al contribuente deve essere riconosciuto tale diritto in quanto riconducibile a una fonte gerarchicamente superiore. Viceversa, nel caso in cui si dibatta di tributi non armonizzati, solo l’esistenza di una disposizione ad hoc può giustificare una tutela siffatta in capo al contribuente. In tutte le ipotesi che mancano di previsioni specifiche il contribuente non potrà fare riferimento a un principio generale che non esiste.
Tali conclusioni della Suprema Corte, nel suo più alto Consesso, sono peraltro apparse in contrasto con quelle precedentemente formulate dalla Consulta nella sentenza n. 132 del 2015 (12).
La pronuncia della Corte Costituzionale affermava abbastanza inequivocabilmente che un principio del contraddittorio endoprocedimentale fosse immanente e operante nell’ordinamento tributario italiano, pur non riscontrandosi un’espressa previsione normativa. E, paradossalmente, la Consulta stessa ne ritrovava ampio fondamento in alcune sentenze della Corte di Cassazione.
I Supremi Giudici, peraltro, nel caso oggetto delle presenti riflessioni, hanno sottolineato come la questione riguardasse, anche, l’IVA costituente imposta armonizzata, ma che il disatteso contraddittorio non poteva assumere rilevanza in quanto il contribuente non aveva concretizzato la c.d. “prova di resistenza” necessaria ai fini della obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale per i tributi armonizzati, come chiarito dalla più volte citata sentenza n. 24823 del 2015 delle Sezioni Unite. Si tratta di un’impostazione mutuata dalla nota sentenza Kamino (13), nella quale si è affermato che il giudice nazionale, dovendo garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione europea, in caso di violazione del diritto al contraddittorio, può tenere conto del fatto che tale violazione determina l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza della predetta irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso. A tal fine si chiede al contribuente di fornire argomentazioni che non siano pretestuose ma che abbiano un minimo di consistenza in ordine alla fondatezza di una non corretta considerazione delle effettive circostanze che lo riguardano.
4. Considerazioni critiche
Le nostre osservazioni conclusive e critiche sulla vicenda riassunta e inquadrata nei suindicati riferimenti normativi e giurisprudenziali devono necessariamente prendere l’avvio dal metodo accertativo utilizzato.
Sia in tema di studi di settore sia di meno “strutturati” riferimenti induttivi non si è mai negato che la possibile divaricazione tra reddito presunto e reddito effettivo comporta un forte rischio di arrivare a conclusioni che possono violare il principio di capacità contributiva (14).
Per tale motivo il contraddittorio era stato considerato strumento indefettibile per assicurarsi che la situazione del contribuente corrispondesse quanto più possibile allo standard individuato.
Ad avviso di chi scrive tale affermazione appare imprescindibile sia che si faccia riferimento a strumenti predisposti specificamente come gli studi di settore che a valutazioni presuntive di carattere più generale come la condotta antieconomica. Sembra doveroso fare cenno alla recente crisi che molti imprenditori individuali stanno attraversando in questi anni per dare una semplice ragione dell’importanza del confronto: in siffatte ipotesi non è facile fornire la cosiddetta prova di resistenza se non viene data la possibilità di dialogare con gli Uffici finanziari. D’altra parte è la stessa sentenza Kamino a usare la formula possibilista e a non imporre l’applicazione del meccanismo della prova predetta. Alla luce di quanto argomenteremo più avanti, il nostro Paese, come altri, potrebbe scegliere di riconoscere una dimensione più ampia al contraddittorio anche in ragione di circostanze contingenti che legittimerebbero quest’impostazione.
L’altro aspetto di non relativa rilevanza è dato dall’improvvida creazione di questo doppio binario tra tributi armonizzati e non che mai come in un caso come questo manifesta la sua più evidente incongruenza, sia in termini di violazione del principio di capacità contributiva (seppure in presenza di una negazione del diritto al contraddittorio anche per il tributo armonizzato, perché manca questa famigerata prova di resistenza), sia di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 97 Cost.
Più volte, su queste pagine, si è sottolineata l’importanza della fiducia del contribuente nei confronti degli Uffici finanziari: non si comprende, pertanto, quale utilità ci sia a limitare il contraddittorio piuttosto che ad enfatizzarlo.
Sull’affermazione della Suprema Corte dell’assenza di un generale principio del contraddittorio nel nostro ordinamento in quanto mancherebbe una disposizione specifica, abbiamo più volte manifestato le nostre perplessità posto che ci sono, nell’ordinamento giuridico italiano in generale e nel diritto tributario in particolare, molti principi non codificati considerati imprescindibili. Accade, talvolta, che la codificazione sia solo successiva a un riconoscimento che si sedimenta via via fino ad affermarne l’immanenza. Questo è certamente accaduto con l’abuso del diritto.
Pertanto, anche se si volesse riconoscere che il diritto al contraddittorio, per i tributi armonizzati, discende dai riferimenti normativi e giurisprudenziali comunitari, è innegabile che per quelli non armonizzati se ne possa trovare il fondamento in numerosi principi costituzionali come quelli già individuati nei citati artt. 53 e 97 e, quantomeno, quelli desumibili dagli artt. 24 e 111 Cost., oltreché in buona parte delle norme dello Statuto dei diritti del contribuente così come, a nostro avviso, nella più generale legge che regola il procedimento amministrativo e che non può essere considerata irrilevante per il procedimento tributario. In quella legge, peraltro, si rafforza l’istanza di applicazione dei principi comunitari all’interno del nostro ordinamento che, peraltro, è pienamente legittimata da una supremazia gerarchica delle fonti comunitarie stesse.
Non sembra, poi, leggendo le disposizioni della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, che ci fosse una volontà di effettuare una differenziazione in capo al cittadino comunitario a seconda che fosse interessato da un potenziale provvedimento lesivo in tema di tributi armonizzati e non armonizzati. Anche la giurisprudenza comunitaria ha, inoltre, immediatamente (15) configurato il diritto al contraddittorio come imprescindibile ogniqualvolta gli interessi del cittadino comunitario siano sensibilmente messi in discussione da una decisione presa da una pubblica Autorità con riferimento a tutte le procedure che legittimano l’emissione di una misura lesiva.
In forza di tutto quanto premesso, questa evidente chiusura della Corte di Cassazione rispetto a un’ampia applicazione del diritto al contraddittorio è incomprensibile, posto che gli Uffici finanziari stessi mostrano un’evidente e crescente apertura. Basti pensare al recentissimo impegno per rafforzare il contraddittorio concretizzato dall’invio ai contribuenti di lettere di compliance in cui si chiede la collaborazione mediante un dialogo che viene addirittura reso più semplice con la possibilità di utilizzare i più svariati mezzi (telematici, telefonici e vis à vis), in cui si prospettano soluzioni alternative al contenzioso tributario e in seguito alla quale il contribuente può interagire producendo documentazione a sostegno della propria tesi (circostanza certamente inquadrabile in un trend di partecipazione difensiva).
Ulteriore riflessione che riteniamo doveroso effettuare è che un’opportuna apertura al contraddittorio legittimata dal rispetto dei principi costituzionali – in particolare di quelli contenuti negli artt. 97 e 111 – richiederebbe il superamento del concetto di “prova di resistenza”. Se un diritto al contraddittorio immanente si è fatto strada all’interno del nostro ordinamento, maturando attraverso riferimenti normativi e giurisprudenziali interni e comunitari, il mancato rispetto dello stesso deve avere come conseguenza l’invalidità dell’atto solo e semplicemente in seguito alla sua mancata attivazione. Bisogna aggirare i rischi della prova che può diventare difficile o addirittura impossibile se si vuole garantire un’azione dell’Amministrazione leale e trasparente e ingenerare fiducia nel contribuente.
Ancora una volta non possiamo che concludere le nostre riflessioni auspicando un ripensamento della Corte di legittimità che sarebbe pienamente giustificato dal convergere di risultanze normative, giurisprudenziali e – per quanto sottolineato in ultimo – di prassi.
Avv. Patrizia Accordino
Università degli Studi di Messina
(1) Cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, in Boll. Trib., 2016, 222, con nota di B. AIUDI, Il contraddittorio? Non ce lo possiamo permettere!
(2) Viene richiamata Cass., sez. VI, 30 dicembre 2015, ord. n. 26036 (in Boll. Trib. On-line), nella quale la Corte ha ribadito che gli studi di settore costituiscono solo uno degli strumenti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile, il reddito reale del contribuente: tale accertamento, infatti, può essere presuntivamente condotto anche sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, a prescindere, quindi, dalle risultanze degli specifici studi di settore e dalla conformità alle stesse dei ricavi aziendali dichiarati. La Corte di Cassazione ha anche ribadito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, applicabile per estensione analogica anche in materia di IVA, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto configgente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente; in tali casi, pertanto, è consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente.
(3) Si cita Cass., sez. trib., 14 giugno 2013, n. 14941 (in Boll. Trib. On-line), nella quale si osserva che, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di un’operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, e il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatarne la regolarità cartacea. Qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri della ragionevolezza, riguardo all’antieconomicità del comportamento del contribuente, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente.
(4) I giudici si riportano a Cass. n. 24823/2015, cit., in cui si afferma che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.
(5) Cfr. G. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2016, 223 ss.
(6) Cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, in Boll. Trib., 2010, 302, con nota di M. PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite; nonché A. MARCHESELLI, Natura giuridica degli accertamenti mediante studi di settore e “giusto procedimento” tributario: quattro sentenze capitali delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, in Giur. it., 2010, 711 ss.
(7) Ribaltando il precedente orientamento che qualificava gli esiti degli studi come presunzioni legali e ne faceva un uso automatico: cfr. M. BEGHIN, Gli studi di settore, le “gravi incongruenze” ex art. 62-sexies del dl n. 331/1993 e l’insostituibile opera di adattamento del risultato di normalità economica alla fattispecie concreta, in Riv. dir. trib., 2007, II, 749 ss.
(8) Cfr. Cass., sez. trib., 4 aprile 2014, n. 7960, in Boll. Trib. On-line, e anche in Riv. giur. trib., 2014, 580, con commento di R. IAIA, Il diritto al “progetto di accertamento” nel regime dei c.d. studi di settore; e Cass., sez. VI, 26 marzo 2015, ord. n. 6054, in Boll. Trib., 2016, 968, con nota di P. ACCORDINO, Recenti orientamenti della Corte di Cassazione sul contraddittorio in tema di accertamento mediante gli studi di settore.
(9) Per una disamina completa e aggiornata delle tesi dottrinarie e dell’evoluzione giurisprudenziale relativi al contraddittorio endoprocedimentale, anche in ambito comunitario, i contributi più recenti sono di A. COLLI VIGNARELLI, Il contraddittorio endoprocedimentale e l’“idea” di una sua “utilità” ai fini dell’invalidità dell’atto impositivo, in Riv. dir. trib., 2017, I, 21 ss.; e F. BENINCASA, Osservazioni sul contraddittorio nel procedimento di accertamento tributario, in Boll. Trib., 2017, 1005 ss. Sempre in argomento, inoltre, cfr. in questa Rivista P. ACCORDINO, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari concepito come un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato, ivi, 2014, 1749 ss.; B. AIUDI, Il Contraddittorio? Non ce lo possiamo permettere!, cit., 232 ss.; ID., La neutralità dell’IVA e l’utilità del contraddittorio anticipato, ivi, 2017, 654 ss.; V. AZZONI, Dialogo tra un antico e un moderno intorno ai diritti dei contribuenti sottoposti a verifica fiscale secondo il pensiero della Suprema Corte (sentenza n. 24823/2015), ivi, 2016, 184 ss.; ID., L’applicazione generalizzata del principio del contraddittorio endoprocedimentale ed i profili di incostituzionalità dell’art. 12, settimo coma, della legge n. 212/2000: alla Corte Costituzionale l’ardua sentenza, ibidem, 966 ss.; F. BRIGHENTI, La nullità per violazione del contraddittorio: «rigore c’è quando arbitro fischia», ivi, 2014, 1335; D. CARNIMEO, Il contraddittorio endoprocedimentale è obbligatorio per tutti gli accertamenti standardizzati, ivi, 2011, 552 ss.; M. CICALA, Attività di accertamento e contraddittorio amministrativo: verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite, ivi, 2015, 86 ss.; L. LOVECCHIO, La nullità del controllo formale non preceduto dal contatto con il contribuente e la centralità del principio del contraddittorio preventivo, ivi, 2014, 1492 ss.; M.V. SERRANÒ, Innovativo e sostanziale contributo della Corte di Giustizia europea in tema di contraddittorio endoprocedimentale tributario, ivi, 2015, 466 ss.; M. TORTORELLI, Il contraddittorio endoprocedimentale e il modello di partecipazione attiva accolto nello Statuto dei diritti del contribuente, ivi, 2012, 890 ss.; ID., La violazione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale e il vaglio del giudice tributario, ivi, 2015, 1265 ss.; A. VOGLINO, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie, ibidem, 146 ss.
(10) Con l’ordinanza n. 527 resa in data 14 gennaio 2015, in Boll. Trib., 2015, 138, con nota di A. VOGLINO, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie, cit.
(11) Cioè, in atto, le imposte indirette.
(12) Cfr. Corte Cost. 7 luglio 2015, n. 132, in Boll. Trib., 2015, 1272, con nota di V. AZZONI, Elusione fiscale e tutela del contribuente nell’accertamento ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973; si veda anche G. RAGUCCI, Il principio del contraddittorio nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Rass. trib., 2015, 1217 ss.
(13) Cfr. Corte Giust. UE, sez. V, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financiën, in Boll. Trib., 2015, 457, con nota di M.V. SERRANÒ, Innovativo e sostanziale contributo della Corte di Giustizia europea in tema di contraddittorio endoprocedimentale tributario, cit.
(14) Cfr. F. GALLO, Ancora sulla questione reddito normale reddito effettivo: la funzione degli studi di settore, in Atti del Convegno di studi. I nuovi studi di settore, allegato a il fisco, 2000, 39 ss.
(15) Cfr. Corte Giust. CEE 23 ottobre 1974, causa C-17/74, Transocean Maritime Paint Association v Commission, in Boll. Trib. On-line.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento per presunzioni – Comportamento antieconomico del contribuente in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile – Determinazione del reddito a mezzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti – Legittimità – Inversione dell’onere della prova – Consegue.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento analitico-induttivo ex artt. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973 e 54, secondo e terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972 – Comportamento antieconomico del contribuente in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile – Determinazione del reddito a mezzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti – Legittimità – Inversione dell’onere della prova – Consegue.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Contestazione di un comportamento antieconomico del contribuente perché basato su contabilità complessivamente inattendibile – Onere del contribuente di dimostrare la liceità e regolarità fiscale delle operazioni effettuate – Sussiste – Inversione dell’onere della prova – Consegue.
Imposte e tasse – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, riguardo ai tributi non armonizzati – Non sussiste, se non nelle sole ipotesi specificamente previste dalla legge – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, riguardo ai tributi armonizzati – Sussiste – Violazione – Invalidità dell’atto impositivo – Consegue, ma solo se il contribuente assolva l’onere di enunciare in giudizio le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere nel contraddittorio e se l’opposizione di tali ragioni si riveli non pretestuosa.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, riguardo ai tributi non armonizzati – Non sussiste, se non nelle sole ipotesi specificamente previste dalla legge – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, riguardo ai tributi armonizzati – Sussiste – Violazione – Invalidità dell’atto impositivo – Consegue, ma solo se il contribuente assolva l’onere di enunciare in giudizio le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere nel contraddittorio e se l’opposizione di tali ragioni si riveli non pretestuosa.
In materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 54, secondo e terzo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni.
Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di un’operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea, atteso che è consentito all’Amministrazione finanziaria dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità.
In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, secondo un principio che opera esclusivamente per i tributi armonizzati, mentre per quelli non armonizzati non è rinvenibile nella legislazione nazionale un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.
[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Schirò, rel. Manzon), 22 agosto 2017, ord. n. 20267]
Rilevato che:
Con sentenza in data 14 dicembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 16100/6/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso di M.E. contro l’avviso di accertamento IRAP, IRPEF ed altro, IVA ed altro 2008. La CTR osservava in particolare che trattavasi di accertamento reddituale di tipo “misto” ossia basato sugli studi di settore, ma anche sulla protratta condotta antieconomica del contribuente; che a fronte delle contestazioni contenute nell’atto impositivo impugnato il contribuente non aveva fornito giustificazioni e contro prove adeguate; che non sussisteva l’eccepito vizio procedimentale eccepito dal M. (mancato invito a presentarsi). Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi.
L’intimata Agenzia delle entrate non si è difesa.
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’omessa attivazione del contraddittorio endoprocedimentale; con il secondo motivo si duole di vizio motivazionale in ordine alla asserita fondatezza della pretesa erariale.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, ai limiti dell’inammissibilità per a-specificità, sono infondate.
Vi è anzitutto da rilevare che la CTR ha qualificato l’avviso di accertamento impugnato come “analitico-induttivo” ex art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 600/1973, in quanto basato non tanto sugli studi di settore, quanto sul comportamento imprenditoriale costantemente antieconomico del contribuente, come tale fondante la presunzione di sottrazione di materia imponibile oggetto della ripresa fiscale.
Conseguentemente ha, correttamente, applicato principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali «In materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015 (1), Rv. 638203 – 01); «Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità» (Sez. 5, Sentenza n. 14941 del 14/06/2013 (2), Rv. 627156 – 01).
In particolare la CTR ha affermato che il M. non ha assolto in modo adeguato il proprio onere di controprovare le circostanze indiziarie fondanti la ripresa fiscale.
Quanto all’eccepita mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, il giudice tributario di appello ha correttamente negato la sussistenza di un obbligo generale derivante dalla legge 212/2000, che peraltro risulta altresì consolidato arresto della giurisprudenza di legittimità («In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito» (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 9/12/2015 (3), Rv. 637604 – 01).
Sebbene nel caso di specie si controverta anche in materia di IVA (imposta armonizzata), deve comunque considerarsi corretta la sentenza impugnata sul punto decisionale de quo, posto che la difesa del contribuente si è incentrata meramente sulla non sufficienza dello scostamento dallo studio di settore, ma non ha negativamente riscontrato la vera, diversa, base giuridico fattuale dell’avviso di accertamento oggetto della lite, sicché non ne risulta la c.d. “prova di resistenza”, pur necessaria ai fini della obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale per quest’imposta, come chiarito dalla citata sentenza delle SU di questa Corte.
Il ricorso va dunque rigettato.
Nulla per le spese stante la mancata difesa dell’agenzia fiscale.
P.Q.M. – La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib., 2016, 222.