Circolare 23 luglio 2018, n. 16/E, dell’Agenzia delle entrate
INDICE:
PREMESSA
1 LA GIURISPRUDENZA SUL TRATTAMENTO DEL CREDITO IVA NEL CONCORDATO PREVENTIVO
1.1 Il trattamento del credito IVA nel concordato preventivo senza transazione fiscale – La sentenza della Corte di giustizia del 7 aprile 2016, causa C-546/14
1.2 Il trattamento del credito IVA nel concordato preventivo contenente domanda di transazione fiscale
2 LA GIURISPRUDENZA SUL TRATTAMENTO DELLE RITENUTE NEL CONCORDATO PREVENTIVO
3 LA GIURISPRUDENZA SUL TRATTAMENTO DEL CREDITO IVA NELLE PROCEDURE DI ESDEBITAZIONE
4 LA GIURISPRUDENZA SUI RAPPORTI TRA CONCORDATO PREVENTIVO E REATI PER OMESSO VERSAMENTO
5 LE MODIFICHE NORMATIVE
5.1 Il trattamento dei crediti tributari
5.1.1 La domanda di concordato preventivo
5.1.2 L’attestazione del professionista terzo e indipendente
5.1.3 Il consolidamento del debito tributario
5.1.4 Il voto
5.1.5 Il trattamento dei tributi oggetto di contenzioso
5.2 Il trattamento dei crediti tributari nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis della L.F.
5.3 Decorrenza della nuova disciplina ed effetti sui procedimenti pendenti
6 LA DISCIPLINA DEL SOVRAINDEBITAMENTO.
“PREMESSA
La circolare n. 40/E del 18 aprile 2008 ha illustrato l’istituto della transazione fiscale, disciplinato dall’articolo 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare, di seguito L.F.), nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti.
La circolare n. 19/E del 6 maggio 2015 ha fornito ulteriori chiarimenti in materia, con particolare riguardo agli effetti delle sentenze 4 novembre 2011, n. 22931 e n. 22932, con cui la Corte di cassazione ha affermato che è ammissibile un concordato preventivo con falcidia dei crediti tributari, pur in assenza della domanda di transazione fiscale (1), ma che, “a prescindere dalla presenza o meno di una transazione fiscale, il credito IVA deve sempre essere pagato per intero” (2).
L’istituto della transazione fiscale è stato successivamente interessato da significativi interventi del legislatore e da recenti pronunce della giurisprudenza comunitaria e nazionale, che ne hanno modificato l’originaria configurazione.
Si fa riferimento, in particolare:
– alle modifiche apportate alla L.F. dal decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2015, n. 132, che ha introdotto “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”;
– alla sentenza del 7 aprile 2016 pronunciata dalla Corte di giustizia europea nella causa C-546/14, con cui tale organo giurisdizionale si è discostato dagli orientamenti sino a quel momento espressi dalla giurisprudenza nazionale, costituzionale e di legittimità, ed ha affermato la falcidiabilità dell’IVA nell’ambito di un concordato preventivo non accompagnato da una domanda di transazione fiscale;
– alla sentenza 22 settembre 2016, n. 18561, con cui la Corte di cassazione ha affermato l’intangibilità dell’IVA nelle ipotesi di concordato preventivo contenente una domanda di transazione ai sensi dell’articolo 182-ter L.F., ritenendo non applicabili nella fattispecie i principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia del 7 aprile 2016, stante l’espresso divieto legislativo contenuto nella citata disposizione; tale orientamento è stato successivamente ribadito dalla Cassazione a sezioni unite con le sentenze 27 dicembre 2016, n. 26988 e 13 gennaio 2017, n. 760;
– alla sentenza 19 gennaio 2017, n. 1337, con la quale la Corte di cassazione ha mutuato le argomentazioni delle sezioni unite e ha ammesso il pagamento in misura ridotta del credito per ritenute nella sola ipotesi di concordato preventivo non accompagnato da una domanda di transazione fiscale;
– alla modifica, infine, del citato articolo 182-ter ad opera dell’articolo 1, comma 81, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio per il 2017), in vigore dal 1° gennaio 2017, finalizzata a rimuovere gli ostacoli posti dalla lettera della norma ad una generale falcidia dell’IVA e delle ritenute nella transazione fiscale.
La presente circolare, nella prima parte, illustra i principi affermati dalle pronunce giurisprudenziali che hanno inciso maggiormente sulle procedure di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti e, nella seconda parte, fornisce chiarimenti relativamente alle novità introdotte dalla legge n. 232 del 2016, applicabile, come meglio specificato in seguito, con riferimento alle suddette procedure, avviate dal 1° gennaio 2017 o comunque a tale data non ancora votate o sottoscritte per adesione.
1 LA GIURISPRUDENZA SUL TRATTAMENTO DEL CREDITO IVA NEL CONCORDATO PREVENTIVO
La disciplina del concordato preventivo, nell’assetto previgente alle modifiche recate dalla legge di bilancio per il 2017, come delineato dalla Corte di cassazione con le sentenze n. 22931 e n. 22932 del 2011, consentiva al debitore di proporre il pagamento, parziale o dilazionato, del debito tributario sia chiedendo di essere ammesso ad un concordato preventivo non contenente la domanda di cui all’articolo 182-ter, comma 1, della L.F. (3), sia accedendo alla procedura della transazione fiscale.
Più precisamente, la transazione fiscale costituiva un subprocedimento che il debitore aveva la facoltà di attivare e che, ove inclusa in un concordato preventivo addivenuto ad omologazione, assicurava gli effetti del consolidamento del debito tributario e dell’estinzione dei giudizi concernenti i tributi oggetto del concordato (4).
Con particolare riguardo al trattamento del credito IVA, la Suprema Corte ne aveva ravvisato la intangibilità, oltre che nell’ambito della transazione fiscale ove sussisteva un espresso divieto del legislatore, anche con riguardo al concordato non contenente la predetta domanda di transazione, in ragione del carattere di norma sostanziale dell’articolo 182-ter L.F. e della natura di imposta armonizzata dell’IVA (5).
1.1 Il trattamento del credito IVA nel concordato preventivo senza transazione fiscale – La sentenza della Corte di giustizia del 7 aprile 2016, causa C-546/14. La tesi della non falcidiabilità dell’IVA nella procedura di concordato preventivo non accompagnato da una domanda di transazione fiscale è stata superata dalla pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea resa il 7 aprile 2016 nella causa C-546/14.
Più precisamente, il giudice rimettente (6) – al fine di esaminare la domanda di concordato preventivo con cui il debitore aveva proposto la liquidazione dell’intero patrimonio e il pagamento parziale dei propri debiti, tra i quali rientravano anche somme dovute a titolo di IVA – ha chiesto alla Corte di giustizia di accertare se la normativa comunitaria osti a disposizioni nazionali che consentano la soddisfazione parziale del credito IVA, “qualora non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito – sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente e all’esito del controllo formale del Tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare”.
La Corte di giustizia, nella citata sentenza, ha affermato l’ammissibilità, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo senza transazione fiscale, di una domanda contenente la falcidia del credito IVA, qualora un esperto indipendente attesti che tale credito non sarebbe soddisfatto in misura maggiore nel caso di fallimento.
In via preliminare, il giudice comunitario ha ribadito che l’ordinamento europeo, pur ponendo, in capo agli Stati membri, l’obbligo di adottare tutte le misure idonee ad assicurare la integrale riscossione dell’IVA, lascia i predetti Stati liberi nei mezzi da utilizzare a tal fine, con i soli limiti posti dai principi di effettività della riscossione delle risorse proprie dell’Unione e di non discriminazione tra i contribuenti (7).
Proseguendo nell’analisi, la Corte di giustizia ha rilevato che la procedura italiana di concordato preventivo è soggetta a presupposti di applicazione rigorosi, in quanto:
– “comporta che l’imprenditore in stato di insolvenza liquidi il suo intero patrimonio per saldare i propri debiti. Se tale patrimonio non è sufficiente a rimborsare tutti i crediti, il pagamento parziale di un credito privilegiato può essere ammesso solo se un esperto indipendente attesta che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di fallimento del debitore”;
– “offre allo Stato membro interessato la possibilità di votare contro una proposta di pagamento parziale di un credito IVA qualora, in particolare, non concordi con le conclusioni dell’esperto indipendente”;
– “consente allo Stato membro interessato di contestare ulteriormente, mediante opposizione, un concordato che preveda un pagamento parziale di un credito IVA e a detto giudice di esercitare un controllo”.
Alla luce delle esaminate garanzie che la procedura di concordato preventivo offre per il recupero dei crediti privilegiati, la Corte europea ha concluso che ammettere un imprenditore in stato di insolvenza ad effettuare, nella procedura in esame, un pagamento soltanto parziale del credito IVA, con la conseguente degradazione a rango di chirografo della parte di credito non soddisfatta, non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA e, pertanto, non si pone in contrasto con la richiamata normativa comunitaria (8).
In altri termini, al fine di non integrare una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA, occorre che restino ferme le garanzie procedurali previste dall’articolo 160, secondo comma, L.F.
Più precisamente:
1) la soddisfazione del credito IVA non deve essere inferiore a quella che, secondo la relazione giurata del professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lett. d), della L.F., sarebbe realizzabile dalla liquidazione, al valore di mercato, dei beni sui quali grava il diritto di prelazione;
2) va in ogni caso rispettato l’ordine delle cause legittime di prelazione, così da non alterare la par condicio creditorum.
I principi espressi dalla pronuncia in esame con riferimento ad un concordato liquidatorio devono ritenersi, altresì, validi per il concordato con continuità aziendale, in quanto, nonostante le rilevanti differenze intercorrenti tra i due tipi di concordato (9), ciò che la Corte di giustizia ha inteso significativamente valorizzare sono le circostanze eccezionali della impossibilità di recupero del credito IVA (10).
1.2 Il trattamento del credito IVA nel concordato preventivo contenente domanda di transazione fiscale. Nell’ipotesi di concordato preventivo contenente una domanda di transazione fiscale, l’intangibilità dell’IVA era espressamente disposta dall’articolo 182-ter, primo comma, della L.F., nella formulazione previgente al 1° gennaio 2017, secondo cui “con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”.
A fronte dell’apertura segnata dalla sentenza della Corte di giustizia del 7 aprile 2016, la giurisprudenza nazionale, con le sentenze di seguito richiamate, è stata indotta a valutare l’estensibilità al concordato contenente la domanda di transazione ai sensi dell’articolo 182-ter della L.F. dei principi espressi nella giurisprudenza comunitaria con riferimento al concordato preventivo senza transazione fiscale.
In merito, la Corte di cassazione, dapprima, con la sentenza 22 settembre 2016, n. 18561, ha affermato la non falcidiabilità dell’IVA in sede di transazione fiscale, ritenendo ininfluente l’eventuale incapienza totale o parziale dei beni mobili su cui grava il privilegio che assiste il credito IVA.
In particolare, la Corte di cassazione ha concluso che, quand’anche il credito IVA risultasse “interamente degradato al chirografo per mancanza assoluta di beni su cui soddisfarsi”, la possibilità di offrire con la proposta di transazione fiscale il pagamento del predetto tributo in misura falcidiata resterebbe comunque esclusa in ragione del disposto testuale dell’articolo 182-ter della L.F.
Successivamente, le sezioni unite della Corte di cassazione, con le sentenze 27 dicembre 2016, n. 26988 e 13 gennaio 2017, n. 760, hanno confermato che l’intangibilità del credito IVA trova applicazione solo nell’ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale.
Più precisamente, il Collegio ha configurato la transazione fiscale come una “speciale figura di concordato preventivo: sia perché viene ovviamente in rilievo solo quando vi siano debiti tributari; sia perché, anche in presenza di debiti tributari, è possibile un concordato preventivo senza transazione fiscale” e ha, quindi, concluso che il divieto di falcidia dell’IVA è limitato all’ipotesi del concordato preventivo accompagnato da transazione fiscale, mentre non è estensibile alla fattispecie generale del concordato senza transazione fiscale (11).
I principi statuiti dalla Corte di giustizia europea e dalla Corte di cassazione nelle sentenze sin qui esaminate, superando le linee interpretative contenute nella circolare n. 19/E del 2015 (12), consentono di considerare legittima la proposta di falcidia dell’IVA contenuta nelle domande di concordato preventivo non accompagnato da transazione fiscale, non ancora votata al 7 aprile 2016, data della sentenza emessa in relazione alla causa C-546/14.
I limiti alla falcidia dell’IVA nel concordato preventivo accompagnato dalla transazione fiscale posti dalla predetta giurisprudenza devono, invece, ritenersi superati in relazione alle procedure avviate, ma non ancora votate, al 1° gennaio 2017, data di entrata in vigore della modifica normativa operata con la legge n. 232 del 2016.
2 LA GIURISPRUDENZA SUL TRATTAMENTO DELLE RITENUTE NEL CONCORDATO PREVENTIVO
Ai sensi della precedente formulazione dell’articolo 182-ter della L.F., con riguardo alle ritenute operate e non versate, era ammessa la sola dilazione del debito in sede di transazione fiscale, restando esclusa la falcidia delle somme dovute (13).
La sentenza della Corte di giustizia del 7 aprile 2016 ha, tuttavia, imposto ai giudici nazionali di riesaminare anche il principio dell’intangibilità dei crediti per ritenute nell’ambito del concordato preventivo.
Con la sentenza 19 gennaio 2017, n. 1337, la Corte di cassazione ha riconosciuto la possibilità di falcidia del credito per ritenute nell’ipotesi di concordato non accompagnato da transazione fiscale, sulla base delle medesime argomentazioni esposte dalle sezioni unite con le citate sentenze n. 26988 del 2016 e n. 760 del 2017.
Il Supremo Collegio ha osservato che, per le ritenute operate e non versate dall’impresa in concordato, “la previsione dell’infalcidiabilità del credito di cui al novellato L. Fall., articolo 182-ter (14), possa trovare applicazione solo nell’ipotesi di proposta di concordato che sia accompagnata da una transazione fiscale”.
Tale considerazione trova fondamento nella natura facoltativa della transazione e, dunque, nella possibilità per il debitore di scegliere tra “due ipotesi di concordato preventivo: una principale, che prescinde da un previo accordo con il Fisco; l’altra speciale, che include la transazione fiscale”.
Al riguardo, il Collegio ha ritenuto che “se tra le due fattispecie di concordato preventivo v’è appunto un rapporto di specialità, non è possibile estendere alla fattispecie generale, id est quella del concordato senza transazione fiscale, la disciplina della fattispecie speciale, del concordato con transazione fiscale”.
I limiti posti dalla Suprema Corte relativamente al trattamento delle ritenute devono ritenersi superati anche con riguardo alle procedure di concordato preventivo con transazione fiscale, la cui proposta non sia ancora stata votata al 1° gennaio 2017, per effetto dell’entrata in vigore dalla medesima data delle modifiche recate dalla legge n. 232 del 2016.
3 LA GIURISPRUDENZA SUL TRATTAMENTO DEL CREDITO IVA NELLE PROCEDURE DI ESDEBITAZIONE
L’istituto dell’esdebitazione consente all’imprenditore commerciale fallibile, al debitore non imprenditore e all’imprenditore al quale sia precluso l’accesso alle procedure concorsuali (15) di conseguire la “dichiarazione giudiziale di inesigibilità dei crediti non soddisfatti integralmente attraverso la liquidazione del patrimonio” (16).
La relativa disciplina, dettata dagli articoli 142 e seguenti della L.F., con riguardo al fallito persona fisica (17), e dall’articolo 14-terdecies, comma 1, della legge 27 gennaio 2012, n. 3, in riferimento ai soggetti non fallibili (18), è stata oggetto di rimessione al vaglio della Corte di giustizia europea, avuto riguardo alla mancata esclusione del credito IVA dalla previsione della inesigibilità (19).
Segnatamente, la Corte di cassazione, con l’ordinanza di rimessione 1° luglio 2015, n. 13542, ha chiesto alla Corte di giustizia di valutare “se l’articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388 (…) devono essere interpretati nel senso che essi ostano all’applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l’estinzione dei debiti nascenti dall’IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dal R.D. n. 267 del 1942, articoli 142 e 143” e “se l’inderogabilità dell’IVA, da ultimo sottolineata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 225 del 25 luglio 2014, possa cedere o meno a fronte di un accertamento giudiziale di incapienza della procedura fallimentare, e di meritorietà dell’imprenditore fallito”.
I giudici comunitari, con la pronuncia del 16 marzo 2017, resa nella causa C-493/15, hanno rilevato che:
– gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva IVA e l’articolo 4, paragrafo 3, TUE impongono agli Stati membri l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio;
– la procedura di esdebitazione, nell’ambito delle finalità e dei limiti soggettivi fissati dalla normativa nazionale, si connota per la necessità di un rigoroso esame, condotto, con riferimento al caso concreto, da un organo giurisdizionale;
– ad ulteriore tutela degli interessi comunitari, l’istituto in esame consente alle competenti autorità nazionali, in presenza di un credito IVA, tanto di inoltrare al giudice incaricato il proprio parere sulla domanda del debitore interessato quanto di proporre ricorso contro l’eventuale pronuncia che dichiari inesigibile la parte non soddisfatta del suddetto credito, introducendo un doppio grado di giurisdizione.
In base alle considerazioni svolte, la Corte di giustizia ha concluso che “Il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, …, nonché le norme sugli aiuti di Stato, deve essere interpretato nel senso che non osta a che i debiti da imposta sul valore aggiunto siano dichiarati inesigibili in applicazione di una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede una procedura di esdebitazione con cui un giudice può, a certe condizioni, dichiarare inesigibili i debiti di una persona fisica non liquidati in esito alla procedura fallimentare cui tale persona è stata sottoposta.”.
4 LA GIURISPRUDENZA SUI RAPPORTI TRA CONCORDATO PREVENTIVO E REATI PER OMESSO VERSAMENTO
Con riferimento ai reati di omesso versamento delle ritenute e dell’IVA ai sensi, rispettivamente, degli articoli 10-bis e 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (20), la terza sezione penale della Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2017, n. 35786, ha ribadito che “l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’imposta, non esclude il reato in relazione al debito IVA scaduto e da versare (Sez. 3, n. 12912 del 04/02/2016, Rv. 266708; Sez. 3, n. 39101 del 24/04/2013, Mammi, Rv. 257285; Sez. 3, n. 44283 del 14/05/2013, Rv. 257484)”.
Secondo la Cassazione è, infatti, necessario che “l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, articolo 182-bis, ovvero della transazione fiscale di cui al successivo articolo 182-ter prevedano espressamente la dilazione del pagamento del debito tributario ad epoca successiva alla scadenza del termine previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, agli articoli 10-bis e 10-ter, e che l’omologa intervenga, a sua volta, prima di detta scadenza. Solo in tal caso, l’omologazione dell’accordo determinerebbe la modifica di un elemento strutturale della fattispecie penale, quale conseguenza di un provvedimento giurisdizionale, tale da incidere sulla sussistenza del reato al momento della scadenza in esso prevista”.
Il Collegio ha, inoltre, richiamato la sentenza della stessa sezione terza penale 16 aprile 2015, n. 15853 (21), precisando che “il contrasto è più apparente che reale”, in quanto l’indirizzo minoritario nella giurisprudenza di legittimità – a cui sembra ascrivibile la predetta pronuncia – “presuppone, in realtà, l’intervenuta omologazione del concordato preventivo prima della scadenza del termine previsto per il pagamento del debito tributario non la semplice ammissione alla relativa procedura” (22).
Successivamente la Suprema Corte, con sentenza della quarta sezione penale 17 novembre 2017, n. 52542, ha sottolineato “come sulla problematica attinente ai rapporti fra la disposizione contenuta nella fattispecie penale di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000, riguardante l’omesso versamento di IVA, e gli obblighi che incombono sul soggetto richiedente la definizione concorsuale dei propri debiti … tramite la procedura del concordato preventivo, si sono registrati, nella giurisprudenza penale di questa Corte, orientamenti discordanti”.
In forza del primo di detti orientamenti, “apparentemente maggioritario”, “l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’imposta, non esclude il reato previsto dall’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 in relazione al debito IVA scaduto e da versare”. Sulla base del secondo orientamento, non sarebbe, invece, configurabile il reato di omesso versamento dell’IVA “nel caso in cui il debitore sia stato ammesso al concordato preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il relativo versamento, per effetto della inclusione nel piano concordatario del debito d’imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative”.
In proposito, nella citata sentenza n. 52542 del 2017 si osserva che entrambi i descritti orientamenti muovono dall’assunto dell’infalcidiabilità dell’IVA, quale imposta armonizzata avente rilievo comunitario (23), assunto “smentito dalla sentenza della Corte di Giustizia U.E., sez. 2, del 7.4.2016” e dalla normativa ad essa conforme, “successivamente intervenuta – con decorrenza del 1.1.2017 -” che ha modificato l’art. 182-ter della L.F. “mediante l’eliminazione della previgente disposizione che prevedeva l’infalcidiabilità dell’IVA …”.
Dalle superiori considerazioni discende l’inevitabile superamento di quell’orientamento maggioritario della Terza Sezione della Corte di cassazione, dianzi citato, che riteneva la sostanziale irrilevanza della procedura di concordato preventivo rispetto alla consumazione del reato tributario di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, in quanto fondato su presupposti giuridici e argomentazioni non più attuali”.
Ad avviso della Suprema Corte deve dunque ritenersi che, venuto meno l’obbligo di pagamento integrale dell’IVA, il reato previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 non sussista, qualora l’omesso versamento si sia verificato successivamente all’ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo (24).
5 LE MODIFICHE NORMATIVE
Come chiarito nella premessa, gli arresti della giurisprudenza sin qui esaminata sono stati recepiti dal legislatore che, con il DL n. 83 del 2015 e con l’articolo 1, comma 81, della legge n. 232 del 2016, ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina delle procedure concorsuali applicabili alle imprese in crisi.
Gli interventi in esame si collocano nel più ampio percorso, legislativo e giurisprudenziale, inaugurato con il decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, di riforma della disciplina fallimentare, volto a promuovere il ricorso alla rideterminazione concordata del debito, al fine di favorire la conservazione dell’impresa e, con essa, la salvaguardia dei livelli occupazionali e la tutela dei creditori (25).
In particolare, nell’epigrafe del DL n. 83 del 2015 si legge che l’intervento normativo risponde, tra l’altro, alla “straordinaria necessità e urgenza di rafforzare le disposizioni sull’erogazione di provvista finanziaria alle imprese in crisi, di promuovere la contendibilità delle imprese in concordato preventivo in modo da incentivare condotte virtuose dei debitori in difficoltà e favorire esiti efficienti ai tentativi di ristrutturazione, di rafforzare i presidi a garanzia della terzietà ed indipendenza degli incaricati che affiancano il giudice nelle gestione delle procedure concorsuali, di prevedere la possibilità di concludere nuove tipologie di accordo di ristrutturazione del debito”.
Tra le modifiche apportate alla disciplina del concordato preventivo dal DL n. 83 del 2015, di specifico interesse in questa sede si segnalano l’introduzione della percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari, la previsione di un piano, allegato alla domanda di concordato, che descriva analiticamente le modalità e i tempi di adempimento della proposta, nonché la disciplina dei rapporti processuali pendenti al momento di presentazione della domanda di concordato preventivo e della dichiarazione di fallimento (26).
Con l’articolo 1, comma 81, della legge n. 232 del 2016, il legislatore ha inteso allineare la disciplina normativa del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione al contesto interpretativo della giurisprudenza comunitaria e nazionale. A tal fine, la revisione legislativa ha inciso su taluni aspetti della disciplina previgente che comportavano sensibili differenze tra i creditori al fine di favorire la proficua conclusione degli accordi aventi ad oggetto la rideterminazione del debito complessivo.
Le novità più significative sono rappresentate dalla obbligatorietà del procedimento previsto dall’articolo 182-ter della L.F. in tutte le ipotesi di concordato preventivo e dall’introduzione della possibilità di falcidiare, all’interno del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, anche i debiti relativi all’IVA e alle ritenute operate e non versate, con il limite della quota realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione (27).
Altre novità interessano l’approvazione della proposta presentata dal debitore, in quanto, nella procedura di concordato preventivo, è prevista un’apposita classe in cui collocare la parte di credito privilegiato degradato a chirografario. Sono, inoltre, diversamente ripartiti, tra l’Agenzia delle entrate e l’agente della riscossione, l’espressione del voto nel concordato preventivo e la manifestazione dell’assenso all’accordo di ristrutturazione.
Rispetto alla previgente disciplina del trattamento dei crediti tributari, infine, è stato espunto il riferimento agli effetti del c.d. consolidamento del debito tributario e della cessazione della materia del contendere con riguardo alle liti fiscali pendenti sui tributi oggetto della proposta di concordato.
5.1 Il trattamento dei crediti tributari. La procedura disciplinata dal nuovo articolo 182-ter della L.F. ha assunto una portata trasversale, dovendo essere esperita ogniqualvolta si intenda proporre il pagamento ridotto o dilazionato dei debiti tributari, inclusi quelli relativi all’IVA e alle ritenute.
L’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza che intenda definire, d’intesa con le agenzie fiscali, il trattamento dei crediti tributari deve quindi farlo attraverso la domanda di concordato preventivo o nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis della L.F., seguendo la procedura dettata dal nuovo articolo 182-ter della L.F.
In tal senso dispongono il comma 1 dell’articolo 182-ter della L.F., secondo cui, nell’ambito del piano di concordato preventivo di cui all’articolo 160 della L.F., il debitore può proporre il pagamento, parziale o dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori “esclusivamente mediante proposta presentata ai sensi del presente articolo”, nonché il comma 5, secondo cui “Il debitore può effettuare la proposta di cui al comma 1 anche nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis”.
In altri termini, al fine di proporre il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari, non sussiste più l’alternativa, descritta dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla previgente disciplina, tra la procedura generale del concordato preventivo e quella speciale della transazione fiscale.
Al debitore è, al contrario, riconosciuta un’unica possibilità, quella di specificare, nella proposta di concordato preventivo, il “trattamento dei crediti tributari” che intende effettuare.
Analogamente, il debitore potrà proporre il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione dell’accordo di ristrutturazione.
Si attiva, in tal modo, la nuova procedura prevista dal citato articolo 182-ter della L.F., che ha perso le connotazioni e gli effetti peculiari del previgente istituto della transazione fiscale, per uniformarsi ai tratti della procedura di concordato preventivo senza transazione fiscale o di accordo di ristrutturazione, nei termini che saranno meglio specificati di seguito (28).
La riformulazione della rubrica dell’articolo 182-ter della L.F. (“Trattamento dei crediti tributari”) risponde, pertanto, al nuovo ruolo che l’istituto ha assunto rispetto al passato. Coerente appare, altresì, l’eliminazione delle disposizioni riguardanti il consolidamento del debito tributario e la cessazione della materia del contendere nelle liti concernenti i tributi oggetto della procedura in esame.
L’ambito di applicazione soggettivo del nuovo articolo 182-ter della L.F. è rimasto invariato e, sul punto, si rinvia ai chiarimenti già forniti con le circolari n. 40/E del 2008 (29) e n. 19/E del 2015 (30).
Risulta, invece, ampliato l’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto, fino a ricomprendere, in presenza delle condizioni che saranno meglio specificate nei paragrafi successivi, l’IVA e le ritenute operate e non versate, che nella previgente disciplina potevano essere esclusivamente dilazionate.
5.1.1 La domanda di concordato preventivo. L’imprenditore che intenda accedere al concordato preventivo propone la relativa domanda mediante ricorso al tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa. Di regola (31) la domanda contiene la proposta, rivolta a tutti i creditori, del piano di ristrutturazione dei debiti e soddisfacimento dei crediti di cui all’articolo 160 della L.F. e gli altri allegati previsti dall’articolo 161 della L.F.
Per quanto attiene, in particolare, al contenuto della proposta, il nuovo articolo 182-ter della L.F. ammette il pagamento parziale dei crediti tributari, compresi quelli relativi all’IVA e alle ritenute fiscali, in qualsivoglia ipotesi di concordato preventivo.
Nell’assetto delineato dalla nuova norma, quindi, tutti i crediti tributari sono falcidiabili, ferme restando le garanzie previste dal secondo comma dell’articolo 160 della L.F. – espressamente richiamate anche nella nuova norma – , tra le quali appare, in particolare, rimarcato il ruolo dell’attestazione di un professionista terzo e indipendente, da cui risulti che la proposta concordataria è maggiormente satisfattiva per l’Amministrazione finanziaria rispetto all’alternativa fallimentare.
Inoltre, se i crediti vantati dalle agenzie fiscali o dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie sono assistiti da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento, nonché le eventuali garanzie, proposti per i crediti tributari e previdenziali non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei.
Qualora sussistano le predette condizioni, la domanda di concordato preventivo potrà prevedere la soddisfazione non integrale del credito tributario privilegiato, mentre la parte del suddetto credito falcidiata degraderà a credito chirografario e sarà inserita in una classe apposita (32).
Con riguardo ai crediti chirografari, il trattamento del credito tributario o contributivo non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori non muniti di alcun diritto di prelazione o, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole.
I predetti principi trovano applicazione anche con riferimento ai crediti privilegiati divenuti chirografari per effetto della degradazione.
Il DL n. 83 del 2015 ha, inoltre, previsto che, salvo il caso del concordato preventivo con continuità aziendale, la proposta debba, in ogni caso, assicurare il pagamento dei crediti chirografari nella misura di almeno il 20% dell’ammontare complessivo (33).
In applicazione della predetta disposizione, pertanto, la parte di credito tributario degradata a chirografo troverà soddisfazione, unitamente agli altri crediti chirografari, nella percentuale prevista dall’articolo 160, quarto comma, della L.F.
La proposta di concordato, infine, secondo la modifica normativa introdotta con il DL n. 83 del 2015, deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile procurata in favore di ciascun creditore (34).
5.1.2 L’attestazione del professionista terzo e indipendente. Come esposto al paragrafo precedente, la nuova formulazione dell’articolo 182-ter della L.F. ha rafforzato il ruolo centrale dell’attestazione resa da un professionista terzo e indipendente.
Il legislatore della riforma, nell’ammettere la falcidiabilità dei crediti tributari, ha rimandato al piano di cui all’articolo 160 della L.F. ponendo, come condizione indefettibile, la sussistenza di una relazione di stima del tutto analoga a quella prevista dall’articolo 160 della L.F. per l’ipotesi di incapienza dell’attivo rispetto alla massa dei creditori muniti di una causa di prelazione.
In particolare, al fine di consentire il pagamento parziale del debito tributario, il nuovo articolo 182-ter della L.F. richiede la relazione di un professionista da cui emerga, all’esito della comparazione tra il pagamento proposto con la domanda di concordato e la soddisfazione ricavabile nell’alternativa fallimentare, che la proposta concordataria sia maggiormente satisfattiva dei crediti tributari e previdenziali.
Qualora, dunque, l’attivo patrimoniale sia insufficiente a soddisfare integralmente tutti i crediti privilegiati ed il piano concordatario preveda la falcidia dei crediti tributari e previdenziali, l’attestatore si dovrà fare carico non solo del giudizio di veridicità dei dati aziendali e di sostenibilità prospettica del piano, ma anche del confronto tra i prevedibili esiti delle ipotesi alternative del concordato e della liquidazione fallimentare e tra i relativi gradi di soddisfacimento dei suddetti crediti.
Ai fini del confronto, l’attestatore dovrà tenere conto anche del maggiore apporto patrimoniale, rappresentato dai flussi o dagli investimenti generati dalla eventuale continuità aziendale oppure ottenuto all’esito dell’attività liquidatoria gestita in sede concordataria, che non costituisce una risorsa economica nuova, ma deve essere considerato finanza endogena, in quanto, ai sensi dell’articolo 2740 c.c., l’imprenditore è chiamato a rispondere dei debiti assunti con tutti i propri beni, presenti e futuri (35).
La valutazione comparativa con l’ipotesi della totale liquidazione dei beni del debitore può essere effettuata dal medesimo professionista che redige la più generale relazione giurata di cui all’articolo 160 della L.F. ovvero da altro professionista comunque in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), della L.F.
L’articolo 182-ter della L.F., inoltre, non richiede che l’attestazione in esame sia redatta distintamente dalla relazione di accompagnamento al piano e ai documenti allegati alla proposta di cui all’articolo 161, terzo comma, della L.F. e dalla relazione giurata prevista dall’articolo 160 della L.F.. Il professionista può, pertanto, eventualmente redigere un unico documento nel quale sia effettuato il confronto tra l’ipotesi concordataria e quella liquidatoria e da cui emerga, come detto, che la prima soddisfi l’Amministrazione finanziaria in misura superiore rispetto alla seconda.
L’attestazione del professionista circa la convenienza della proposta concordataria rispetto all’alternativa liquidatoria non vincola l’Amministrazione finanziaria ad esprimere un voto favorevole. Analogamente agli altri creditori, infatti, l’Agenzia delle entrate potrà votare negativamente, ad esempio, nelle ipotesi in cui i valori di liquidazione contenuti nella relazione del professionista appaiano sottostimati o incompleti (36) o qualora più in generale il piano non appaia fattibile (37).
5.1.3 Il consolidamento del debito tributario. La domanda di concordato redatta secondo i criteri sin qui esposti deve essere depositata presso la cancelleria del Tribunale territorialmente competente e consegnata, unitamente alla relativa documentazione, agli uffici dell’Agenzia delle entrate e dell’agente della riscossione competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore.
L’onere di consegnare la domanda agli uffici dell’Amministrazione finanziaria sussisteva, per il debitore che accedeva alla transazione fiscale, già sotto il vigore della previgente disciplina.
In particolare, il legislatore aveva previsto che, nel caso di concordato con transazione fiscale, la domanda dovesse essere consegnata all’Agenzia delle entrate e all’agente della riscossione contestualmente al deposito presso il Tribunale, in modo da sollecitare l’attività dell’Amministrazione finanziaria di certificazione del debito tributario (38).
La predetta certificazione, per espressa previsione normativa, era strumentale al consolidamento della pretesa erariale, ossia alla rappresentazione del debito tributario complessivo, volta a consentire una più attendibile valutazione circa la congruità della proposta di concordato avanzata (39).
Funzionale al completamento del citato quadro d’insieme del debito fiscale e, quindi, strettamente connessa al consolidamento era, altresì, la previsione di cui al comma 5 dell’articolo 182-ter della L.F., con cui il legislatore aveva disposto la cessazione della materia del contendere nei giudizi aventi ad oggetto i tributi oggetto della proposta di concordato.
In proposito, la Suprema Corte (40) aveva sottolineato come dal consolidamento e dalla cessazione della materia del contendere nei giudizi pendenti derivassero alcune conseguenze peculiari della transazione fiscale. Più precisamente, il debitore, da un lato, sortiva il vantaggio di “una maggiore trasparenza e leggibilità della proposta con conseguente maggiore probabilità di ottenere, oltre all’assenso del fisco, anche quello degli altri creditori” e, dall’altro, sopportava il costo “dato dalla sostanziale necessità di accogliere tutte le pretese dell’Amministrazione, non essendo plausibile che la stessa, dopo aver indicato il proprio credito, accetti in questa sede di discuterlo e ridurlo”.
In altri termini, qualora il voto favorevole dell’Amministrazione finanziaria fosse decisivo ai fini del raggiungimento della maggioranza, il debitore doveva ricorrere alla transazione fiscale e, a tal fine, prestare acquiescenza alla pretesa erariale.
Al contrario, nel caso in cui la maggioranza risultasse integrata indipendentemente dal consenso del fisco, il debitore poteva accedere al concordato senza transazione fiscale e contestare la pretesa tributaria.
Il legislatore della riforma ha, invece, eliminato la preesistente alternativa tra il concordato preventivo in cui veniva attivato il subprocedimento della transazione fiscale e quello senza la transazione medesima ed ha generalizzato il ricorso al concordato preventivo con le peculiarità della procedura di cui all’articolo 182-ter della L.F. nei casi di proposta di un pagamento parziale del debito tributario.
Coerentemente, dunque, dalla nuova formulazione dell’articolo 182-ter, comma 2, della L.F. è stato espunto l’inciso “al fine di consentire il consolidamento”.
Come si dirà meglio al paragrafo 5.1.5, è stato altresì eliso dalla norma in esame il comma quinto, che disponeva la cessazione della materia del contendere nei giudizi aventi ad oggetto i tributi concordati.
Rimane ferma, invece, anche nella nuova formulazione la previsione della certificazione del debito tributario alla data di pubblicazione del ricorso per l’ammissione alla procedura concordataria da parte dell’Amministrazione finanziaria.
A tal fine, pertanto, restano valide le indicazioni fornite con la circolare n. 40/E del 2008 in merito alle attività che gravano in capo agli uffici dell’Agenzia delle entrate e dell’agente della riscossione (41).
Rimangono, altresì, validi i chiarimenti contenuti nel predetto documento di prassi in ordine agli atti di cui gli Uffici devono tenere conto ai fini della certificazione (42).
In sede di certificazione, gli Uffici devono, inoltre, verificare le istanze di rimborso dei crediti presentate dal debitore negli anni precedenti alla domanda di concordato, nonché i crediti esposti dal medesimo debitore in dichiarazione. In entrambi i casi, ai fini della quantificazione del debito fiscale complessivo, dovrà ritenersi operante la compensazione delle somme chieste a rimborso o imputate a credito in dichiarazione con i debiti tributari.
Anche i crediti e le eccedenze di imposta nascenti dalle dichiarazioni fiscali del contribuente dovranno, pertanto, essere liquidate in occasione della certificazione.
Per quanto concerne, infine, gli effetti della certificazione, alla predetta attività non è riconducibile alcuna cristallizzazione del debito tributario.
Come già precisato nella circolare n. 40/E del 2008, paragrafo 5.2 (43), con riguardo al consolidamento del debito tributario operante sotto il vigore della precedente norma, “la disciplina normativa non dispone la preclusione di ulteriore attività di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria in caso di transazione fiscale. Ciò comporta che è sempre possibile per l’amministrazione finanziaria, ove ne ricorrano le condizioni, l’esercizio dei poteri di controllo, con la conseguente determinazione di un debito tributario, superiore rispetto a quello attestato nella certificazione rilasciata al debitore o altrimenti individuato al termine della procedura di transazione fiscale, che l’Amministrazione potrà far valere nei confronti dello stesso contribuente che ha ottenuto l’omologazione del concordato nonché degli obbligati in via di regresso”.
In altri termini, in ossequio ai principi generali del diritto, l’Agenzia delle entrate poteva, nonostante l’effetto del consolidamento connesso al perfezionamento del concordato, procedere ad accertare e ad iscrivere a ruolo le ulteriori somme dovute in relazione a fattispecie diverse da quelle che avevano generato il debito oggetto di transazione, sebbene riferibili ai medesimi periodi d’imposta.
Le predette considerazioni, già svolte per l’ipotesi del consolidamento, risultano sicuramente valide nell’attuale assetto normativo, che prevede esclusivamente l’attività di certificazione del debito fiscale.
Nonostante la certificazione del debito tributario, pertanto, l’Amministrazione finanziaria può, qualora ne sussistano le condizioni, emettere ulteriori atti di controllo.
Nella disciplina delineata dalla nuova norma, la quantificazione del complessivo debito d’imposta vale, pertanto, ai soli fini della determinazione del voto spettante all’Amministrazione finanziaria in sede di adunanza dei creditori, nonché del quantum da soddisfare in moneta concordataria a seguito dell’omologazione del concordato.
5.1.4 Il voto. L’articolo 1, comma 81, della legge n. 232 del 2016 ha, altresì, modificato i commi 3 e 4 dell’articolo 182-ter della L.F. che disciplinavano le manifestazioni di consenso o dissenso espresse dall’Agenzia delle entrate e dall’agente della riscossione.
Sotto la vigenza del precedente testo dell’articolo 182-ter della L.F., il voto alla proposta di concordato era espresso dall’Agenzia delle entrate, relativamente ai tributi non ancora iscritti a ruolo o non ancora affidati all’agente della riscossione, e da quest’ultimo con riguardo a quelli già iscritti a ruolo o consegnati (44).
Il legislatore del 2016 ha inteso semplificare il predetto meccanismo di manifestazione dell’assenso, riconoscendo il voto al soggetto direttamente interessato alla tutela del proprio credito.
L’attuale formulazione dell’articolo 182-ter, commi 3 e 4, della L.F., dispone, pertanto, che “Relativamente al credito tributario complessivo, il voto sulla proposta concordataria è espresso dall’ufficio, previo parere conforme della competente direzione regionale, in sede di adunanza dei creditori, ovvero nei modi previsti dall’articolo 178, quarto comma.
Il voto è espresso dall’agente della riscossione limitatamente agli oneri di riscossione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112”.
In altri termini, l’Agenzia è legittimata ad esprimere il proprio voto sulla proposta concordataria relativamente al credito tributario complessivo, residuando la legittimazione dell’agente della riscossione con esclusivo riguardo agli oneri di riscossione.
Come si è anticipato al paragrafo 5.1.1, il legislatore del 2016 ha previsto, all’ultimo periodo del comma 1, che, “Nel caso in cui sia proposto il pagamento parziale di un credito tributario o contributivo privilegiato, la quota di credito degradata al chirografo deve essere inserita in un’apposita classe”.
Pertanto, il debitore che, nella domanda di concordato, propone il pagamento parziale del credito tributario o contributivo privilegiato e che opta per la suddivisione dei creditori in classi (45), deve formare una classe creditoria apposita, nella quale confluirà la parte del predetto credito privilegiato non soddisfatta e degradata al rango di chirografo.
Ad esempio, se tra i creditori muniti di diritto di prelazione, vi è anche l’Agenzia delle entrate e il debitore propone il pagamento del debito tributario nella misura del 30%, il residuo credito, pari al 70%, degraderà al chirografo e confluirà in una apposita classe.
Detto credito, per la percentuale del 70%, sarà ammesso al voto e sarà soddisfatto, ai sensi dell’articolo 160, quarto comma, della L.F., come modificato con DL n. 83 del 2015, con il limite minimo del 20% (id est, 20% del 70% residuo).
Con riferimento alle modalità di adesione alla proposta di concordato, infine, l’articolo 4, comma 1, lett. f), del DL n. 83 del 2015, ha sostituito il quarto comma dell’articolo 178 della L.F. ed ha abrogato il periodo della previgente norma che disponeva l’operatività del meccanismo del silenzio-assenso nel caso di mancato esercizio del diritto di voto da parte dei creditori.
In particolare, la precedente disposizione – introdotta dall’articolo 33, comma 1, lett. d-bis), n. 3), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – aveva previsto che i creditori, i quali, pur avendo ricevuto l’avviso di fissazione dell’adunanza, non avevano esercitato il proprio voto in quella sede né avevano espresso l’eventuale dissenso nei giorni successivi, erano considerati consenzienti ai fini del computo della maggioranza dei crediti (46).
l fine di adeguare il procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento alla predetta disciplina, il legislatore aveva altresì introdotto, in calce al primo comma dell’articolo 11, della legge 27 gennaio 2012, n. 3, analoga previsione di presunzione del consenso dei creditori (47).
Successivamente, con le modifiche apportate alla legge fallimentare dal DL n. 83 del 2015, è stato espunto dalla formulazione dell’articolo 178 della L.F. qualsiasi riferimento all’assenso presunto.
L’attuale quarto comma dell’articolo 178 della L.F. – che si applica ai procedimenti di concordato introdotti successivamente al 21 agosto 2015 (48) – ha, infatti, disposto che “I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire lo stesso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. Le manifestazioni di voto sono annotate dal cancelliere in alce al verbale”.
Nessun analogo intervento legislativo ha, invece, interessato la legge n. 3 del 2012. Pertanto, il meccanismo del silenzio-assenso, abrogato con riferimento al concordato preventivo, resta operante nella composizione della crisi da sovraindebitamento.
5.1.5 Il trattamento dei tributi oggetto di contenzioso. Per quanto concerne i tributi oggetto di contenzioso, la previgente versione dell’articolo 182-ter, comma 5, della L.F., nel disciplinare gli effetti della domanda di transazione fiscale presentata nell’ambito del concordato preventivo, statuiva che “La chiusura della procedura di concordato ai sensi dell’articolo 181 determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma”.
La disposizione in esame si poneva quale deroga alla disciplina generale dei crediti contestati nel concordato preventivo contenuta nell’articolo 176 della L.F., che prevede, al contrario, la prosecuzione dei giudizi pendenti tra i creditori e l’impresa in crisi (49).
Come si è anticipato al paragrafo 5.1.3, secondo la giurisprudenza di legittimità (50), l’estinzione dei giudizi in corso aventi ad oggetto i tributi concordati discendeva, quale effetto legale, dalla scelta del debitore di presentare la domanda di transazione ai sensi dell’articolo 182-ter della L.F. nell’ambito del concordato preventivo.
Più precisamente, nella ricostruzione operata dalla Suprema Corte, il debitore poteva scegliere se accedere alla generale procedura del concordato preventivo senza transazione fiscale o alla speciale procedura del concordato contenente la domanda di transazione fiscale, la quale implicava gli effetti peculiari del consolidamento del debito tributario e della cessazione della materia del contendere.
Ai predetti effetti erano collegati, da un lato, la maggiore trasparenza della proposta e la conseguente maggiore probabilità di ottenere l’assenso dei creditori, dall’altro, la necessità di aderire alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria nella sua interezza.
Il legislatore della riforma, generalizzando il ricorso alla procedura di cui all’articolo 182-ter della L.F. in tutti i casi di proposta di un pagamento parziale del debito tributario, ha eliminato la preesistente alternativa tra le due procedure di concordato e, coerentemente, ha escluso il consolidamento del debito tributario e la cessazione della materia del contendere nei giudizi aventi ad oggetto i tributi concordati, quali effetti peculiari dell’istituto della transazione fiscale.
Precisamente, l’articolo 1, comma 81, della legge n. 232 del 2016 ha abolito la disposizione contenuta nel precedente comma 5 dell’art. 182-ter della L.F. e non ha introdotto ulteriori disposizioni volte a disciplinare, in deroga all’articolo 176 della L.F., gli effetti processuali di una proposta di concordato preventivo avente ad oggetto anche i crediti tributari in contenzioso.
A fronte di siffatte modifiche normative, si riespande, pertanto, l’operatività della regola generale dettata dall’articolo 176 della L.F. e il trattamento dei crediti tributari viene ricondotto a quello degli altri creditori concorsuali, rispetto ai quali i contenziosi pendenti proseguono sino alla decisione che statuisce definitivamente nel merito.
Il debitore che intenda presentare una proposta di concordato preventivo vertente sui tributi può, pertanto, intraprendere o proseguire i contenziosi aventi ad oggetto i tributi medesimi (51).
La proposta di concordato deve, in ogni caso, individuare il credito tributario complessivo, rappresentato sia dai debiti certi che dalle pretese in contestazione.
In proposito, la Corte di cassazione, con la sentenza 7 marzo 2017, n. 5689, ha ribadito “il principio da questa Corte già affermato, secondo cui la sussistenza di crediti oggetto di contestazione giudiziale non preclude, nel concordato preventivo, il loro doveroso inserimento in una delle classi omogenee previste dalla proposta, ovvero in apposita classe a essi riservata, assolvendo tale adempimento, ricadente sul debitore e oggetto di controllo critico sulla regolarità della procedura che il tribunale deve assolvere direttamente, a una fondamentale esigenza di informazione dell’intero ceto creditorio (v. Cass. n. 13284-12 e n. 13285-12).
La ragione del principio, non colta dal giudice a quo, sta appunto nel fatto che l’omissione pregiudicherebbe gli interessi di coloro che al momento non dispongono ancora dell’accertamento definitivo dei propri diritti, ma che possono essere ammessi al voto, L. Fall., ex art. 176, con previsione di specifico trattamento per l’ipotesi che le pretese siano confermate o modificate in sede giurisdizionale.
Inoltre la stessa omissione altererebbe le previsioni del piano di soddisfacimento degli altri creditori certi, non consentendo loro di esprimere valutazioni prognostiche corrette e di atteggiarsi in modo pienamente informato circa il proprio voto”.
In altri termini, il debitore deve includere nella proposta di concordato anche i crediti oggetto di accertamento giudiziale, al duplice scopo di:
– consentire l’ammissione dell’Amministrazione finanziaria al voto anche per l’ammontare dei crediti incerti;
– rendere noto ai creditori l’intero ammontare dei debiti, certi e incerti, che gravano sulla massa attiva.
All’esito del contenzioso, i crediti giudizialmente accertati saranno soddisfatti secondo le percentuali offerte nel concordato omologato.
Il trattamento del debito tributario proposto in sede di concordato si applicherà, pertanto, al credito contestato, non nella misura della originaria pretesa emergente dall’atto, ma nell’ammontare risultante dalla pronuncia che definisce il giudizio.
Il predetto trattamento sarà riconosciuto indipendentemente dal voto favorevole o contrario espresso dall’Amministrazione finanziaria.
Invero, i crediti oggetto di contenzioso pendente, benché incerti, sono crediti anteriori all’apertura della procedura e non possono che essere soddisfatti nella misura riconosciuta al relativo creditore in sede di concordato, a pena di una inammissibile violazione della par condicio creditorum.
L’Amministrazione finanziaria può chiedere che il debitore accantoni prudenzialmente un importo pari alla percentuale di soddisfacimento del credito contestato, offerta nella proposta di concordato.
Infine, con il DL n. 83 del 2015, nella disciplina del fallimento è stata introdotta una disposizione relativa ai giudizi pendenti all’atto dell’ammissione dell’impresa al concordato preventivo. Segnatamente, l’articolo 43, quarto comma, della L.F. ha disposto che “Le controversie in cui è parte un fallimento sono trattate con priorità”; ai sensi del richiamo operato dall’articolo 169, secondo comma, della L.F., la disposizione in esame è, altresì, applicabile con riferimento all’impresa ammessa al concordato preventivo (52).
5.2 Il trattamento dei crediti tributari nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis della L.F. L’articolo 1, comma 81, della legge n. 232 del 2016, nel sostituire il previgente articolo 182-ter della L.F., ha altresì modificato la disciplina del trattamento dei crediti tributari nell’ambito degli accordi di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis della L.F., che è attualmente dettata dai commi 5 e 6 della disposizione in esame.
Più precisamente, il comma 5 del nuovo articolo 182-ter della L.F. consente al debitore di proporre il pagamento ridotto o dilazionato dei debiti tributari, compresi quelli relativi all’IVA e alle ritenute, anche nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione dell’accordo di ristrutturazione, mediante il deposito della proposta presso i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate e dell’agente della riscossione, unitamente alla documentazione di cui all’articolo 161 della L.F., alla relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), e alla dichiarazione sostitutiva circa la veridicità e completezza dei documenti allegati (53).
In merito alla proposta, il legislatore della riforma ha richiamato il comma 1 dello stesso articolo 182-ter della L.F. Il debitore che intenda falcidiare i crediti tributari nelle trattative che precedono un accordo di ristrutturazione è tenuto, pertanto, a presentare una proposta del tutto analoga a quella prevista nell’ambito del concordato preventivo.
Ne discende l’applicabilità in sede di accordo di ristrutturazione dei medesimi principi che regolano la proposta di concordato preventivo, ivi compreso il divieto di trattamento deteriore del credito tributario rispetto a quello offerto ai creditori di pari o inferiore rango in funzione della qualità del credito.
Inoltre, il vigente articolo 182-ter, comma 5, della L.F. prevede che l’attestazione di cui al precedente articolo 182-bis, primo comma, “relativamente ai crediti fiscali deve inerire anche alla convenienza del trattamento proposto rispetto alle alternative concretamente praticabili; tale punto costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale”.
Pertanto, in ordine ai crediti fiscali, l’attestazione del professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lett. d) della L.F. deve riguardare non soltanto la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo, con specifico riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, ma anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Si tratta di una previsione più onerosa rispetto a quella che regola la relazione del terzo indipendente nell’ambito del concordato preventivo (54).
Nel caso degli accordi di ristrutturazione il professionista effettua, infatti, una valutazione comparativa non limitata all’ipotesi fallimentare, ma estesa a tutte le alternative possibili.
In altri termini, la comparazione richiesta all’attestatore in questa sede consta dell’accertamento previsto dal primo comma dell’articolo 182-bis della L.F. (55), nonché della valutazione circa la attuabilità di qualunque soluzione diversa rispetto a quella proposta.
Quale “alternativa” deve, dunque, intendersi sia la nuova iniziativa assunta nell’ambito del medesimo accordo di ristrutturazione, sia l’eventuale ricorso ad altri strumenti, come la liquidazione fallimentare, le procedure concordataria e liquidatoria ordinaria, nonché le eventuali azioni esecutive individuali.
La predetta alternativa sarà, poi, considerata “concretamente praticabile” qualora risulti non solo astrattamente perseguibile, ma effettivamente realizzabile in considerazione della specifica situazione in cui versa l’impresa debitrice.
Il confronto in esame riveste un peculiare rilievo, in quanto il legislatore della riforma ha previsto che l’attestazione circa la convenienza del trattamento proposto rispetto alle alternative concretamente praticabili costituisca oggetto di specifica valutazione del tribunale.
La norma ha introdotto, dunque, accanto al vaglio di legittimità della domanda, un ulteriore sindacato del giudice delegato avente ad oggetto il descritto profilo di merito.
Per quanto concerne la procedura di adesione alla proposta, il precedente testo della norma prevedeva che l’assenso dell’Amministrazione finanziaria intervenisse entro il termine di trenta giorni dal deposito della predetta proposta presso gli uffici competenti e che la formazione della sottoscrizione dell’accordo discendesse, quale conseguenza implicita, dall’avvenuta espressione dell’assenso.
L’articolo 182-ter della L.F. attualmente vigente ha, invece, eliso il termine entro il quale l’assenso deve essere espresso e ha richiesto, ai fini dell’adesione alla proposta, la sottoscrizione da parte del direttore dell’ufficio, nonché dell’agente della riscossione in ordine al trattamento dei relativi oneri (56).
Il legislatore ha, quindi, abbandonato il criterio basato sulla distinzione fra i tributi non iscritti a ruolo o non ancora affidati all’agente della riscossione, da un lato, e quelli già iscritti a ruolo o già consegnati all’agente della riscossione, dall’altro, e ha adottato, in maniera speculare rispetto alla procedura attualmente dettata per l’espressione del voto nel concordato preventivo, un criterio riconducibile alla titolarità del credito oggetto della proposta.
Con la disposizione vigente, inoltre, il legislatore si è espresso nel senso della natura privatistica degli accordi di ristrutturazione.
La attuale formulazione, infatti, qualifica l’accordo di ristrutturazione come “atto negoziale” e non fa più riferimento alla prestazione dell’assenso, ma alla “adesione” alla proposta avanzata (57).
Coerentemente, il sesto comma della norma in esame dispone la risoluzione di diritto della transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis della L.F. “se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”.
La disposizione in commento ha riprodotto, nella sostanza, quella previgente. Tuttavia, qualificando gli accordi di ristrutturazione come dei veri e propri atti negoziali, il legislatore ha fatto riferimento all’istituto della risoluzione, piuttosto che a quello della revoca di cui alla precedente formulazione, per il caso di mancato pagamento, integrale e tempestivo, degli importi dovuti in dipendenza dell’accordo.
Occorre, da ultimo, chiarire la sorte dei crediti contestati nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, in seguito all’eliminazione della previgente disposizione di cui all’articolo 182-ter, quinto comma, della L.F., che disponeva la cessazione della materia del contendere come effetto della proposta di transazione avanzata in sede di concordato preventivo (58).
Sotto il vigore della precedente formulazione, la giurisprudenza di legittimità – chiamata a valutare l’estensibilità della disposizione in commento alle ipotesi di transazione fiscale conclusa nell’ambito di un accordo di ristrutturazione – aveva escluso l’applicabilità del predetto quinto comma dell’articolo 182-ter della L.F., in quanto “il comma 6 del citato articolo 182 ter – che ha esteso la possibilità per il debitore di stipulare la transazione fiscale anche nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti
non ripete la disposizione di cui al comma 5, né contiene un suo richiamo” (59).
L’art. 1, comma 81, della legge n. 232 del 2016 ha abolito la previsione normativa in esame e non ha introdotto disposizioni volte a disciplinare gli effetti processuali di un accordo di ristrutturazione che include i debiti tributari in contenzioso.
Neppure può ritenersi applicabile alla fattispecie la disposizione di cui all’articolo 176 della L.F., in quanto dettata in tema di concordato preventivo e non specificamente richiamata con riferimento agli accordi di ristrutturazione.
Gli effetti di un accordo di ristrutturazione sui giudizi tributari pendenti devono, pertanto, ritenersi regolati dai generali criteri dettati in materia processuale, con particolare riguardo alla cessazione della materia del contendere.
In proposito, la Corte di cassazione ha evidenziato che, qualora le parti del giudizio chiedano la declaratoria di cessazione della materia del contendere a seguito dell’omologa di un accordo di ristrutturazione contenente crediti tributari, si può configurare la “sopravvenuta carenza di interesse delle parti “ad una pronuncia sul merito dell’impugnazione” (Cassazione civile sez. trib. 11 giugno 2004 n. 11176; n. 15081 del 2004; Sez. Un. n. 368/2000 nonchè Cass. n. 1205/2003)” (60).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, inoltre, che alla pronuncia di cessata materia del contendere “consegue, per un verso, la caducazione di tutte le sentenze emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, per altro verso, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del processo in corso (cfr. Cass. 4714/2006; 19160/2007; 12887/2009; 10553/2009; 7185/2010).)” (61).
Dunque, la pronuncia di cessata materia del contendere non travolge la pretesa tributaria, ma il giudizio instaurato avverso la pretesa medesima, in quanto è venuto meno l’interesse delle parti alla coltivazione del processo.
Come sopra chiarito, tuttavia, l’accordo raggiunto in ordine ai debiti tributari si risolve di diritto nel caso in cui il debitore non assolva, integralmente e tempestivamente, ai pagamenti dovuti in adempimento dell’accordo medesimo (62).
La predetta risoluzione fa rivivere la pretesa tributaria nella misura originaria, in quanto la rideterminazione del credito tributario nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione non realizza un effetto novativo dell’obbligazione tributaria.
Pertanto, in considerazione della natura non novativa dell’accordo di ristrutturazione, nonché alla luce dell’orientamento espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte in ordine alla declaratoria di cessata materia del contendere, la eventuale risoluzione, ai sensi dell’art. 182-ter, comma 6, della L.F., dell’accordo concernente i debiti tributari determina la reviviscenza della originaria pretesa fiscale anche con riferimento ai crediti in contestazione, per i quali la cessazione della materia del contendere sia stata dichiarata dopo l’omologazione.
5.3 Decorrenza della nuova disciplina ed effetti sui procedimenti pendenti. L’articolo 19, comma 1, della legge n. 232 del 2016 ha fissato al “1° gennaio 2017” l’entrata in vigore delle disposizioni contenute nel relativo testo normativo, facendo salva l’eventuale diversa previsione legislativa (63).
L’articolo 1, comma 81, della legge n. 232 del 2016, nel sostituire l’articolo 182-ter della L.F., non ha dettato alcuna disposizione in merito alla decorrenza delle modifiche apportate.
La nuova disciplina del trattamento dei crediti tributari e previdenziali deve ritenersi, pertanto, applicabile a tutti i procedimenti avviati dal 1° gennaio 2017 e ai procedimenti la cui proposta, al 1° gennaio 2017, non sia ancora stata votata o sottoscritta per adesione.
In altri termini, la proposta avanzata dal debitore potrà essere emendata prevedendo anche la falcidia dei debiti fiscali afferenti all’IVA e alle ritenute fiscali, purché, alla data del 1° gennaio 2017, la proposta di concordato non fosse già stata votata e la proposta di accordo di ristrutturazione non fosse già stata sottoscritta per adesione da parte della competente articolazione dell’Amministrazione finanziaria (64).
6 LA DISCIPLINA DEL SOVRAINDEBITAMENTO
Le modifiche introdotte dal DL n. 87 del 2015 e dalla legge n. 232 del 2016 non hanno inciso le norme che regolano le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
In merito, restano, pertanto, operanti la previsione del silenzio-assenso per il caso di mancata dichiarazione di voto da parte di alcuno dei creditori (65) e la disposizione sulla mera dilazionabilità dell’IVA (66) e delle ritenute operate e non versate.
Quanto agli adempimenti degli Uffici dell’Agenzia delle entrate e dell’Agente della riscossione, restano valide le istruzioni fornite al paragrafo 4.3 della circolare n. 19/E del 2015”.
NOTE:
(1) Cfr. par. 2.4 della circolare n. 19/E del 2015, in cui si descrivono le argomentazioni sostenute dalla Suprema Corte nelle sentenze n. 22931 e n. 22932 del 2011, relativamente alla facoltatività della domanda di transazione fiscale.
(2) Cfr. par. 2.5 della circolare n. 19/E del 2015.
(3) La precedente formulazione del primo comma, primo periodo, dell’articolo 182-ter della L.F. prevedeva, infatti, che “Con il piano di cui all’articolo 160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea; con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento.”. La domanda di transazione fiscale poteva essere presentata, altresì, nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti. In merito, l’articolo 182-ter, sesto comma, primo periodo, della L.F. statuiva che “Il debitore può effettuare la proposta di cui al primo comma anche nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis”.
(4) L’articolo 182-ter, secondo comma, della L.F. prevedeva, in particolare, che “Ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, copia della domanda e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione ed all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda, al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale”. Il quinto comma del medesimo articolo disponeva che “La chiusura della procedura di concordato ai sensi dell’articolo 181, determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma”. Al riguardo, la Corte di cassazione, con la sentenza 28 febbraio 2017, n. 5101, ha precisato che “Dalla disciplina … emerge chiaramente che la dichiarazione di estinzione delle controversie aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma per cessazione della materia del contendere è subordinata alla chiusura della procedura di concordato. Poiché, nella specie, tale condizione non risulta verificata, avendo la ricorrente depositato la domanda di transazione fiscale da essa presentata, la dichiarazione di voto favorevole dell’Agenzia delle Entrate e quella dell’Agente della riscossione, e non anche la prova della chiusura della procedura di concordato, non può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere. Tuttavia, alla documentazione prodotta dalla ricorrente e alle conclusioni dalla stessa formulate non può non essere riconosciuto il valore di una dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione della causa, con conseguente inammissibilità del ricorso”.
(5) Cfr. paragrafo 2.5 della circolare n. 19/E del 2015, ove si legge che “Le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza di legittimità trovano rispondenza nell’orientamento successivamente manifestato dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 225 del 2014, ha chiarito che “la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento alla transazione fiscale avente ad oggetto il credito IVA deve essere intesa come il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo””. Secondo la Corte di cassazione, “non avrebbe alcuna giustificazione logica […] che il legislatore abbia inteso lasciare alla scelta discrezionale del debitore assoggettarsi all’onere dell’integrale pagamento dell’IVA, imposta armonizzata a livello comunitario sulla cui gestione, si ribadisce, gli Stati non sono esenti da vincoli (si veda Corte giustizia CE, sez. 5^, 11/12/2008, n. 174), optando per la transazione fiscale oppure avvalersi della possibilità di proporne un pagamento parziale decidendo per il concordato senza transazione”.
(6) La decisione in esame trae origine dall’ordinanza del 28 novembre 2014, con cui il Tribunale di Udine, nell’ambito di una proposta di concordato preventivo presentata da una società in liquidazione, ha sollevato domanda di pronuncia pregiudiziale, vertente sull’interpretazione dell’articolo 4, par. 3, TUE e della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune IVA.
(7) La Corte osserva che “dagli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA nonché dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE emerge che gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio (sentenze Commissione/Italia, C 132/06, EU:C:2008:412, punto 37; Belvedere Costruzioni, C 500/10, EU:C:2012:186, punto 20; Åkerberg Fransson, C 617/10, EU:C:2013:105, punto 25, e WebMindLicenses, C 419/14, EU:C:2015:832, punto 41)”. I giudici comunitari precisano, altresì, che “Nell’ambito del sistema comune dell’IVA, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, al riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione (sentenze Commissione/Italia, C 132/06, EU:C:2008:412, punto 38, e Belvedere Costruzioni, C 500/10, EU:C:2012:186, punto 21)”.Infine la Corte rileva che “Tale libertà è tuttavia limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme dei medesimi”.
(8) Il dispositivo della sentenza in esame ha statuito che “L’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell’imposta sul valore aggiunto attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento”.
(9) Nel concordato con continuità aziendale non si effettua una cessione di tutti i beni facenti capo all’impresa, con la conseguenza che non appare immediatamente evidente l’alternativa fallimentare, né il grado di soddisfacimento che sarebbe ivi ritraibile.Il concordato in continuità, inoltre, presuppone una prosecuzione dell’attività d’impresa sul mercato, con maggiori rischi di alterazione della concorrenza nel caso in cui la parziale rinuncia alla riscossione del credito IVA dovesse apparire ingiustificata.
(10) Cfr., altresì, le conclusioni presentate nella causa C-546/14 dall’avvocato generale Eleanor Sharpston il 14 gennaio 2016, secondo cui la falcidia dell’IVA nel concordato sarebbe giustificata dall’obiettivo di “concedere ai soggetti passivi in difficoltà finanziaria una seconda opportunità attraverso la ristrutturazione collettiva del loro debito” e, sebbene il caso di specie riguardi un concordato di tipo liquidatorio, “Altri concordati potrebbero comportare il permanere in essere delle attività del debitore in regime di continuità aziendale. In tali casi, come fa presente il governo spagnolo, l’obiettivo che interessa è coerente con la raccomandazione della Commissione agli Stati membri di eliminare gli ostacoli all’efficace ristrutturazione di imprese sane in difficoltà finanziaria, promuovendo in tal modo l’imprenditoria, gli investimenti e l’occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno”.
(11) Nelle pronunce richiamate, la Corte ha formulato, altresì, delle considerazioni in ordine agli effetti che l’intangibilità del credito IVA in sede di transazione fiscale determina sull’ordine delle cause di prelazione. In particolare, ha osservato che l’intangibilità non si estende ai crediti privilegiati di rango superiore, i quali subiranno la falcidia nei limiti di cui all’articolo 160, secondo comma, della L.F. Tuttavia, mentre tale deroga all’ordine dei privilegi trova giustificazione nel “necessario consenso degli altri creditori, anche privilegiati, al cui voto sarebbe sottoposta l’intera proposta di concordato, inclusiva della transazione fiscale”, l’estensione dell’intangibilità del credito IVA anche al concordato senza transazione apparirebbe censurabile, qualunque effetto si intendesse connettere a tale favor per il credito IVA. Infatti, ove all’intangibilità di tale credito si accompagnasse anche quella dei crediti poziori, si vanificherebbe il riconoscimento della falcidiabilità dei crediti privilegiati, introdotto dalla riforma della legge fallimentare di cui al citato D.Lgs. n. 169 del 2007. Qualora, invece, non si riconoscessero tali effetti nei confronti degli altri creditori privilegiati, con il predetto favor “si finirebbe … per attribuire al credito per IVA una sorta di superprivilegio, per di più riconosciuto in un contesto del tutto eccentrico rispetto a quello della disciplina dell’ordine dei privilegi”.
(12) Cfr. paragrafo 2.5 della circolare n. 19/E del 2015, ove si evidenzia che “Pertanto, deve ribadirsi che -in considerazione della normativa e della giurisprudenza attualmente vigenti – la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento al trattamento del credito IVA costituisce condizione di ammissibilità della proposta di concordato preventivo, a prescindere dalla presentazione o meno della domanda di transazione fiscale ai sensi dell’articolo 182-ter della L.F.”.
(13) Nella circolare n. 19/E del 2015, al paragrafo 1, si è precisato che “Si tratta, invero, di somme che attengono non all’imprenditore (sostituto d’imposta), il quale può trattenerle al solo scopo di riversarle allo Stato, ma al lavoratore dipendente (sostituito), che può utilizzarle in detrazione”.
(14) Nel citare il “novellato” articolo 182-ter della L.F., i giudici fanno riferimento a “L’articolo 182-ter 1. fall., nel testo introdotto dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, come novellato prima dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, poi dal DL 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2, e infine dal d.1., 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”. Benché la pronuncia sia successiva all’entrata in vigore delle modifiche operate con la legge di bilancio per il 2017, la sentenza in commento non contiene alcun richiamo alla formulazione dell’articolo 182-ter della L.F. attualmente vigente.
(15) Nel paragrafo 4.1 della circolare n. 19/E del 2015 sono individuati i soggetti non fallibili, che possono accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
(16) Cfr. circolare n. 19/E del 2015, paragrafo 5.4.
(17) Id est, l’imprenditore individuale o il socio illimitatamente responsabile.
(18) Al paragrafo 5.4 della circolare n. 19/E del 2015 sono stati illustrati i tratti caratteristici della disciplina dell’esdebitazione introdotta dalla legge n. 3 del 2012.
(19) La controversia devoluta alla Corte di giustizia trae origine dalla concessione al contribuente, con decreto del Tribunale competente per territorio, del beneficio dell’esdebitazione ex articolo 142 della L.F. conseguentemente al fallimento di una società della quale lo stesso era socio accomandatario. La cartella di pagamento a titolo di Iva e Irap notificata al contribuente dall’Agenzia delle entrate viene annullata nei due gradi di merito, inducendo l’Ente impositore ad adire i giudici di legittimità.
(20) L’articolo 10-bis stabilisce che “E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”. L’articolo 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 prevede che “La disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.”
(21) Nella circolare n. 19/E del 2015 è stata commentata la citata pronuncia con cui il Collegio aveva affermato che, nell’ipotesi di ammissione al concordato preventivo anteriore alla scadenza del termine per il versamento IVA, non si configura la fattispecie penale di cui all’articolo 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, ove l’inosservanza del predetto termine consegua alla previsione, nel piano concordatario, della dilazione del pagamento del debito.
(22) In questo senso, anche Cass., sez. terza pen., 16 dicembre 2015, n. 3541, nella quale, con riguardo al reato di omesso versamento delle ritenute, si evidenzia che si tratta di un “reato omissivo a carattere istantaneo”, che “si perfeziona con l’omesso pagamento delle somme alla scadenza del termine di legge”; talché “ogni vicenda successiva in ordine alla sistemazione delle obbligazioni tributarie dell’ente … alla presenza di garanti e di controllori …, come il concordato preventivo, non elide le conseguenze patrimoniali del delitto e la responsabilità di colui che l’ha commesso (Sez. 3^, n. 39101 del 24/4/2013 …)”. Analogamente, con riferimento al reato di omesso versamento dell’IVA, Cass., sez. terza pen., 13 febbraio 2017, n. 6591, ha affermato che “la transazione fiscale omologata successivamente alla scadenza del termine per il versamento dell’imposta non estingue il reato ormai già consumato e ciò anche se la proposta è stata fatta in epoca antecedente” (sul carattere istantaneo del reato di omesso versamento dell’IVA, cfr. Cass., sez. terza pen., 14 maggio 2018, n. 21274). Si configurano, secondo il Supremo Collegio, effetti diversi qualora la transazione sia omologata prima della scadenza del termine, atteso che, in tale ipotesi, la transazione “incide, invece, sulla struttura della fattispecie incriminatrice in modo profondo perché ne muta gli elementi costitutivi e, in particolare, il termine del pagamento, che può essere dilazionato ovvero frazionato in più rate, e, nel caso di imposte diverse dall’IVA e da quelle armonizzate, addirittura ridotto (con eventuale rimodulazione del debito al di sotto della soglia di punibilità), sostituendo lo stesso titolo del pagamento, costituito non più ormai dalla dichiarazione annuale di sostituto di imposta o dai certificati rilasciati ai sostituiti, bensì dalla transazione fiscale”.
(23) Più esattamente, nella sentenza n. 52542 del 2017 si precisa che il primo orientamento si fonda sul presupposto che “Non essendo … possibile “falcidiare” l’imposta in sede di concordato … il debitore concordatario è sempre tenuto a rispettare le scadenze IVA anche (e soprattutto) ai fini penali …, senza che sia violato il principio di uguaglianza tra i creditori ove il tributo sia versato pur dopo la presentazione della domanda di concordato”. Il secondo orientamento, “Partendo sempre dal presupposto che il debito IVA non è falcidiabile in sede di concordato, … osserva che comunque in tale sede è consentita la dilazione del pagamento dell’imposta, sicché, qualora la dilazione del pagamento del debito IVA rientri nell’ambito del piano concordatario, e considerato che il concordato preventivo non è una manifestazione di autonomia negoziale, bensì un istituto prevalentemente pubblicistico, è illogico considerare tutto ciò tamquam non esset ai fini penali”.
(24) Secondo la citata sentenza n. 52542 del 2017 sarebbe, infatti, “contraddittorio ritenere la persistente vigenza dell’obbligo di versamento integrale del debito IVA, …, nonostante l’intervenuta ammissione del debitore ad una procedura di concordato preventivo, avente indubbio valore pubblicistico”, per cui “è indubbio che la suddetta contraddizione fra norme concorrenti di pari valore ed efficacia possa e debba essere risolta nel senso della insussistenza del reato, cui potrebbe giungersi sia sul piano dell’assenza dell’elemento soggettivo che anima la condotta; sia sul piano dell’insussistenza dell’elemento materiale costituito dal venire meno dell’obbligo di versamento al di fuori della procedura concorsuale; sia sul piano della possibile applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen., (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, n.d.r.), sotto il profilo dell’adempimento, da parte del debitore concordatario, del dovere di non effettuare pagamenti relativi a crediti sorti anteriormente alla procedura.”. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha posto in rilievo che “l’indagato si è trovato di fronte ad una situazione in cui, da una parte, a seguito della avanzata richiesta di concordato preventivo, è stato destinatario di un ordine del giudice che gli imponeva di non pagare crediti sorti in data anteriore alla proposta di concordato del 2.7.2015, fra cui il credito tributario costituito dall’importo dovuto per l’IVA dichiarata nell’anno 2015 …; dall’altra, la norma di cui all’art. 10-ter cit. gli imponeva l’obbligo di pagare il debito IVA entro la data del 28.12.2015, ma se così avesse fatto avrebbe violato l’ordine del giudice e le norme poste a tutela della par condicio.”.
(25) Sulle rationes sottese alla riforma della legge fallimentare operata con il suddetto D.Lgs. n. 5 del 2006, la circolare 18 aprile 2008, n. 40/E, nella premessa, ha chiarito che “Come risulta dalla relazione illustrativa al D.Lgs. n. 5 del 2006, con la delega di cui all’articolo 1, comma 5, della legge n. 80 del 2005, il legislatore “ha inteso allinearsi agli altri Stati membri dell’Unione europea ed introdurre una nuova disciplina concorsuale per la regolamentazione dell’insolvenza che semplifichi le procedure attualmente esistenti e sopperisca in modo agile e spedito alla conservazione dell’impresa e alla tutela dei creditori”, seguendo la tendenza a considerare preminente, ove possibile, la conservazione dei mezzi organizzativi dell’impresa”. Tra i successivi interventi normativi, posti in essere al fine di favorire il superamento dello stato di crisi mediante il ricorso a procedure concordate di composizione, si segnala il decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, che ha ammesso il ricorso all’istituto della transazione fiscale anche nel caso di imprese in crisi che ricorrono agli accordi di ristrutturazione del debito ai sensi dell’articolo 182-bis della L.F. e ha introdotto l’ammissibilità di un concordato preventivo con pagamento parziale dei creditori privilegiati, oltre al decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e alla legge 27 gennaio 2012, n. 3, che hanno esteso la disciplina prevista per l’imprenditore commerciale fallibile rispettivamente all’imprenditore agricolo e ai soggetti non fallibili.
(26) Oltre alle suddette novità, che saranno approfondite nel corpo della presente circolare, l’intervento legislativo in esame ha, altresì, interessato l’obbligo di trasmissione degli atti al p.m. (articolo 161, quinto comma, della L.F.), il termine per omologare il concordato (articolo 181 della L.F.), il termine per la convocazione dei creditori (articolo 163 c. 2 n. 2 della L.F.) e l’ordine al ricorrente di consegnare al commissario giudiziale entro 7 giorni copia informatica o su supporto analogico delle scritture contabili e fiscali obbligatorie (articolo 163 c. 2 n. 4-bis della L.F.), i compiti del commissario giudiziale (articoli 172, c. 1, e 165, c. 5, della L.F.), l’istituzione, presso il Ministero della giustizia, del registro nazionale dei provvedimenti di nomina dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali e dei provvedimenti di omologazione del concordato (articolo 28, c. 4, della L.F.).
(27) L’introduzione di tale limite, a garanzia del creditore Erario, ricalca quello posto in favore dei creditori privilegiati dalla più generale disciplina del concordato preventivo, in coerenza con gli indirizzi interpretativi della Corte di giustizia europea.
(28) L’istituto non si presenta più come un autonomo accordo che impone l’acquisizione preventiva dell’assenso dell’Amministrazione finanziaria in funzione dell’adunanza dei creditori.
(29) Cfr. circolare n. 40/E del 2008, paragrafi 2 e 4.1.
(30) Cfr. circolare n. 19/E del 2015, paragrafo 2.1.
(31) Ciò non accade nell’ipotesi del c.d. concordato in bianco di cui all’articolo 161, comma 6, della L.F.
(32) Ai sensi del nuovo articolo 182-ter, secondo comma, ultimo periodo, della L.F., “Nel caso in cui sia proposto il pagamento parziale di un credito tributario o contributivo privilegiato, la quota di credito degradata al chirografo deve essere inserita in un’apposita classe”.
(33) Cfr. articolo 160, quarto comma, della L.F., comma aggiunto dall’articolo 4, comma 1, lett. a), del DL n. 83 del 2015. Tale disposizione si applica, ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del DL n. 83 del 2015, alle domande di concordato proposte successivamente al 21 agosto 2015. Per i concordati introdotti fino al 21 agosto 2015 non sussiste, invece, un limite minimo di soddisfacimento dei creditori chirografari.
(34) Cfr. articolo 161, secondo comma, lett. e), della L.F., come modificata dall’articolo 4, comma 1, lett. b), n. 1), del DL n. 83 del 2015. Tale disposizione, ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del medesimo DL n. 83 del 2015, si applica ai procedimenti di concordato introdotti successivamente al 21 agosto 2015.
(35) L’articolo 2740 c.c. dispone che “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”. In merito, la Corte di cassazione, con sentenza 28 giugno 2012, n. 9373, ha affermato che “il terzo finanziatore può intervenire con mezzi propri a pagare i debiti del fallito senza dover sottostare alle regole del concorso. Ma ciò è vero alla condizione che l’intervento non comporti alcuna variazione dello stato patrimoniale del debitore, né all’attivo – giacché in tal caso i creditori non potrebbero essere privati dei diritti che in base alla legge essi vantano sul patrimonio del debitore – e neppure al passivo, con la creazione di poste passive per il rimborso del finanziamento, sia pure postergato e con esclusione del voto”.
(36) Oltre alle ipotesi in cui è configurabile il reato di falso in attestazioni e relazioni ai sensi dell’articolo 236-bis della L.F.
(37) In questo senso si era espressa anche la Corte di cassazione, con le sentenze n. 22931 e n. 22932 del 2011, secondo cui “non può negarsi al fisco la facoltà di non aderire alla proposta vuoi perché ritiene non soddisfacente il trattamento prospettato e più favorevole l’ipotesi fallimentare, vuoi perché giudica non fattibile il piano”.
(38) L’articolo 182-ter, comma 2, primo periodo, della L.F., nella formulazione in vigore dal 31 maggio 2010 al 31 dicembre 2016, statuiva che, “Ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, copia della domanda e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione ed all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda, al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale”.
(39) Al riguardo, al paragrafo 2.4 della circolare n. 19/E del 2015, si è precisato che il consolidamento è “la rappresentazione del “quadro di insieme” di detto debito, “tale da consentire di valutare la congruità della proposta con riferimento alle risorse necessarie a far fronte al complesso dei debiti
certamente utile a fronteggiare l’incognita fiscale che normalmente grava sui concordati.” (cfr. citate Cass. n. 22931 e n. 22932 del 2011)”.
(40) Cfr. citate Cass. n. 22931 e n. 22932 del 2011.
(41) In particolare, la citata circolare n. 40/E del 2008, al paragrafo 5.2., ha chiarito che, entro il termine non perentorio di 30 giorni dalla presentazione della domanda di concordato preventivo, l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate territorialmente competente deve verificare il rispetto dei requisiti per l’ammissibilità, effettuare l’attività di controllo – consistente nella liquidazione delle dichiarazioni, nella notifica delle debite comunicazioni di irregolarità e degli eventuali avvisi di accertamento – e trasmettere al debitore e al Commissario giudiziale la certificazione attestante il complessivo debito fiscale non ancora affidato all’agente della riscossione e non iscritto a ruolo. Contestualmente, l’agente della riscossione, ricostruita la parte di debito tributario affidato o iscritto a ruolo, ha l’onere di trasmettere la relativa certificazione al debitore, al Direttore del competente Ufficio dell’Agenzia delle entrate e al Commissario giudiziale.
(42) Cfr. circolare n. 40/E del 18 aprile 2008, paragrafo 5.2.
(43) Il medesimo chiarimento è stato ribadito nella circolare n. 19/E del 2015.
(44) I commi terzo e quarto dell’articolo 182-ter della L.F., previgente formulazione, disponevano, infatti, che “Relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, l’adesione o il diniego alla proposta di concordato è approvato con atto del direttore dell’ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, ed è espresso mediante voto favorevole o contrario in sede di adunanza dei creditori, ovvero nei modi previsti dall’articolo 178, primo comma. Relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, quest’ultimo provvede ad esprimere il voto in sede di adunanza dei creditori, su indicazione del direttore dell’ufficio, previo conforme parere della competente direzione regionale”.
(45) La previsione di una classe apposita in cui inserire la parte del credito tributario degradata a credito chirografario rimane comunque subordinata alla scelta del debitore di suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei. Resta, invero, immutata la formulazione dell’articolo 160, primo comma, lett. c), della L.F., che riconosce al debitore in concordato preventivo la predetta facoltà di formazione di classi creditorie.
(46) Ai sensi dell’articolo 178, quarto comma, della L.F., nella versione in vigore dal 12 agosto 2012 al 21 agosto 2015, “I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. In mancanza, si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti. Le manifestazioni di dissenso e gli assensi, anche presunti a norma del presente comma, sono annotati dal cancelliere in calce al verbale”.
(47) L’articolo 11, comma 1, della legge n. 3 del 2012, come modificato dall’articolo 18, comma 1, lett. l), n. 1, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, dispone, infatti, che “I creditori fanno pervenire, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, all’organismo di composizione della crisi, dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, come eventualmente modificata almeno dieci giorni prima dell’udienza di cui all’articolo 10, comma 1. In mancanza, si ritiene che abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata”.
(48) Cfr. articolo 23, comma 1, terzo periodo del DL n. 83 del 2015, secondo il quale “Le disposizioni … di cui all’articolo 4”, recante, al comma 1, lettera f), le modifiche all’articolo 178, quarto comma, della L.F., “si applicano ai procedimenti di concordato preventivo introdotti successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
(49) Ai sensi del predetto articolo 176 della L.F., “Il giudice delegato può ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi”.
(50) Cfr., tra le altre, Cass. n. 22931 e n. 22932 del 2011.
(51) Resta ferma la possibilità, per il debitore, di prestare acquiescenza, in tutto o in parte, alle pretese in contestazione e di chiedere l’estinzione del relativo giudizio per la cessata materia del contendere.
(52) L’articolo 169, secondo comma, della L.F. e l’articolo 43, quarto comma, della L.F. sono stati aggiunti in sede di conversione del DL n. 83 del 2015.
(53) Ai sensi dell’articolo 182-ter, comma 5, prima parte, “Il debitore può effettuare la proposta di cui al comma 1 anche nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis. In tali casi l’attestazione di cui al citato articolo 182-bis, primo comma, relativamente ai crediti fiscali deve inerire anche alla convenienza del trattamento proposto rispetto alle alternative concretamente praticabili; tale punto costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale. La proposta di transazione fiscale, unitamente alla documentazione di cui all’articolo 161, è depositata presso gli uffici indicati al comma 2 del presente articolo. Alla proposta di transazione deve altresì essere allegata la dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell’articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che la documentazione di cui al periodo precedente rappresenta fedelmente e integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio”.
(54) Con riferimento al concordato preventivo, il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari è consentito solo se il piano ne preveda “la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione” indicata nella relazione del professionista; con riferimento, invece, all’accordo di ristrutturazione dei debiti, l’attestazione deve inerire anche alla convenienza del trattamento dei crediti tributari proposto “rispetto alle alternative concretamente praticabili”.
(55) Il raffronto con l’alternativa liquidatoria conferma l’applicabilità agli accordi di ristrutturazione dei principi, tipicamente concorsuali, dettati in materia di concordato preventivo, quali il rispetto delle prelazioni e della loro graduazione.
(56) Ai sensi dell’articolo 182-ter, comma 5, seconda parte, “L’adesione alla proposta è espressa, su parere conforme della competente direzione regionale, con la sottoscrizione dell’atto negoziale da parte del direttore dell’ufficio. L’atto è sottoscritto anche dall’agente della riscossione in ordine al trattamento degli oneri di riscossione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112. L’assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione”.
(57) In tal modo, il legislatore sembra richiamare il contratto a formazione progressiva.
(58) Cfr. paragrafo precedente.
(59) Precisamente, la Corte di cassazione con le sentenze 31 maggio 2016, n. 11316, n. 11317, n. 11318, n. 11319 e n. 11320, ha chiarito che “la cessazione della materia del contendere è formula terminativa prevista espressamente dalla L. Fall., articolo 182 ter, comma 5, ma limitatamente all’ipotesi di transazione fiscale conclusa nell’ambito “della procedura di concordato ai sensi dell’articolo 181″. Tale disposizione pertanto non è applicabile all’ipotesi in cui la transazione venga conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui alla L. Fall., articolo 182-bis, giacché il comma 6 del citato articolo 182 ter – che ha esteso la possibilità per il debitore di stipulare la transazione fiscale anche nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti
non ripete la disposizione di cui al comma 5, né contiene un suo richiamo”.
(60) Cfr. Cass. 31 maggio 2016, n. 11316, n. 11317, n. 11318, n. 11319 e n. 11320.
(61) Cfr. citate Cass. 31 maggio 2016, n. 11316, n. 11317, n. 11318, n. 11319 e n. 11320, nonché Cass. 31 marzo 2015, n. 6515 e n. 6516.
(62) Ai sensi dell’art. 182-ter, comma 6, della L.F., “La transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis è risolta di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”.
(63) Ai sensi dell’articolo 19, comma 1, della legge n. 232 del 2016, “La presente legge, salvo quanto diversamente previsto, entra in vigore il 1º gennaio 2017”.
(64) In questo senso, cfr. Cass. 15 settembre 2017, n. 21474.
(65) Cfr. paragrafo 5.1.4 della presente circolare.
(66) Con ordinanza del 14 maggio 2018, il Tribunale di Udine ha rimesso alla Corte costituzionale “la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 1, terzo periodo, L. n° 3/12, limitatamente alle parole <