6 Ottobre, 2017

LA CONFESSIONE NEL PROCESSO TRIBUTARIO

1. Premessa concettuale

Nel processo tributario l’istituto della confessione (giudiziale e stragiudiziale) rappresenterà un problema fin tanto che, attraverso l’integrale allineamento delle regole del rito speciale a quelle civilistiche, non sarà stato dato spazio alla prova testimoniale oggi espressamente vietata ex art. 7, quarto comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Solo in tal modo potrà dirsi realizzata nella sua pienezza la parità delle armi tra i contendenti (1).
Al momento, nella nostra branca il mezzo della confessione – pacificamente ammesso, pur in assenza di una previsione formale (2) – continua a costituire un nodo di estrema delicatezza perché, nella lettura che ne è stata data, ha offerto il pretesto per falsare irrimediabilmente l’iter accertativo, vuoi endoprocedimentale vuoi contenzioso, squilibrandolo a favore della mano pubblica. Infatti, restringendo il discorso al campo d’azione di nostro attuale e stretto interesse, sostenere che la definizione di confessione fornita dal codice civile (art. 2730: «1. La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte. 2. La confessione è giudiziale o stragiudiziale») possa agire in maniera bidirezionale, cioè a potenziale favore di entrambe le parti (negoziali o litiganti), è una sovrana ipocrisia, atteso che solo la parte contribuente può, di fatto, subirne le conseguenze, non certo i simmetrici benefìci (e già questo dovrebbe indurre alla cautela).
Non a caso la giurisprudenza, nel silenzio della legge, si è sempre e solo esercitata sugli esiti della confessione a carico del privato, bensì talora lodevolmente circoscrivendone la portata negativa ma pur sempre senza potere istituire un significativo pendant (anzi, come vedremo, negandolo come postulato giuridico).

2. Il valore di “piena prova” riconosciuto alla confessione giudiziale e stragiudiziale

Due le regole salienti reperibili nel diritto positivo di riferimento: a) quella per cui la confessione giudiziale, tale perché “resa in giudizio” (art. 2733, primo comma, c.c.), «forma piena prova contro colui che l’ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili» (art. 2733, secondo comma, c.c.); e b) quella per cui la confessione stragiudiziale «fatta alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia di quella giudiziale. Se è fatta a un terzo o se è contenuta in un testamento è liberamente apprezzata dal giudice» (art. 2735, primo comma, c.c.).
A questo punto, la domanda investe il significato di “piena prova”.
Muoviamo da un orientamento radicato nel magistero della Suprema Corte. Ancora di recente essa ha affrontato la tipica fattispecie, quella del rappresentante della società che rende agli accertatori dichiarazioni a discapito della stessa, alla quale egli è (e in quanto egli è) legato dal vincolo di immedesimazione organica (3); è nell’occasione ribadito «il principio logico-giuridico che la accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una data percentuale di ricarico può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante proprio dal processo verbale sottoscritto e, quindi, tale da legittimare l’accertamento dell’Ufficio. Così come ogni dichiarazione del legale rappresentante può costituire prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non bisognevole, come tale, di ulteriori riscontri» (4).
Così facendo (e non senza richiamare altri precedenti specifici) (5) la Corte regolatrice delle due l’una: o ha detto più di quanto intendeva o ha sbagliato.
Sbagliato, se non altro, lessicalmente. Il lemma “accettazione” (applicato nella circostanza a un valore numerico individuato dalla controparte come pertinente e corretto in luogo di quello denunciato, a cui si presta acquiescenza) rimanda a una dimensione negoziale (di scelta discrezionale, culmine della libertà dispositiva) (6) che prescinde da quel contesto di scienza e verità che connota invece, per sua intima indole, la confessione, in cui sono sufficienti la libertà e coscienza dell’atto dichiarativo.
Quest’ultima, infatti, va intesa come ammissione, come riconoscimento di un evento, di una situazione; essa appartiene al regno della scienza, della conoscenza (veritiera o fallace, sincera o sleale che sia), il cui tessuto sostanziale è dato dalla certezza storica che, per ciò stesso, in date occasioni si eleva a certezza giuridica (con implicazioni negative ei qui dicit).
Mi spiego meglio: ben posso, io contribuente, “concordare” con il mio accusatore (cioè “accettare”, aderendo alla sua visione, in buona sostanza alla sua proposta) su una certa percentuale di ricarico che mi viene contestata. Posso farlo, semplicemente, perché la cosa mi conviene, perché è il minore dei mali, perché non ho strumenti atti a dimostrare il contrario (ovverosia per una delle tante motivazioni che rientrano nella mia sfera giuridica e che non sono neppure tenuto ad esternare); non necessariamente perché l’oggetto della mia “accettazione” corrisponde alla effettiva verità storica. Quindi, se accetto, vuol dire che convengo, contraggo; nulla a che fare con l’attestazione in cui si radica la confessione (confiteor: cioè cum-fateri, parlare insieme). Paradossalmente meglio, per quanto sgangherato e orripilante, il sostantivo “concordamento” usato dalla Corte di Cassazione in entrambe le pronunce.
Come è stato esemplarmente scritto, «Nella terminologia tecnico-giuridica confessare significa riconoscere esplicitamente e volontariamente di fronte ad altri la verità di un fatto giuridico contrario al proprio interesse; e confessione è l’atto unilaterale e personale della parte in causa, che dichiari o abbia dichiarato esplicitamente e volontariamente di fronte ad altri di riconoscere la verità di un fatto giuridico sfavorevole al suo interesse e rilevante ai fini della decisione del merito della controversia in senso favorevole all’avversario» (7). «Esplicitamente e volontariamente», si noti.
Immediato corollario: può concedersi che la dichiarazione del rappresentante ridondi sulle spalle del rappresentato come «prova non già indiziaria, ma diretta» (a parte l’ossimoro racchiuso nell’espressione spesa, atteso che, nel nostro diritto, prova e indizio si collocano su fronti antitetici) (8), purché suoni chiaro che «prova diretta … non bisognevole, come tale, di ulteriori riscontri» (a sostegno del provvedimento lesivo) non significa che il contribuente non possa confutare poi vittoriosamente l’assunto in sede contenziosa, ivi adducendo elementi di segno diverso (9). Tutto il ragionamento, insomma, si potrebbe riaprire davanti al giudice, senza preclusioni o sbarramenti.
Altrimenti detto: le affermazioni del rappresentante legale di una società sono presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. (alla cui stregua il giudice «non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti») o – “ammettiamo” pure – addirittura legali ex art. 2728 c.c. (tali cioè da dispensare da un ulteriore corredo di prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite, vedi l’Ufficio procedente); ciò nonostante non sono irreversibili per il giudice. Non appare pertanto corretta la conclusione cui approda chi ne trae il convincimento che «le circostanze sfavorevoli sono definitivamente accertate senza che il confidente possa dare prova contraria: la confessione determina una presunzione iuris et de iure [ergo non opponibile] di corrispondenza al vero» (10).
Se non si fa muro su questa prima linea concettuale, il fronte tutto sarà presto sfondato. Pericolosissimamente.
E, infatti, sfondato il muro lo è già stato, quando – saltando con doppia torsione da un presunto dato implicito a un altro dato implicito (in spreto alla definizione di “presunzione” data dall’art. 2727 c.c.) (11) – si sostiene la praticabilità della cosiddetta “confessione tacita” (nemmeno in campo penale ci si spinge a tanto), per cui la mera sottoscrizione del verbale di constatazione – che dovrebbe corrispondere a presa di conoscenza dell’operato della mano pubblica (finalità cui obbedisce la redazione del verbale anche alla luce dello Statuto dei diritti del contribuente, si vedano gli artt. 6 e 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212) (12) – causa, laddove non immediatamente combattuta con osservazioni pertinenti, la ricezione del suo contenuto, esattamente come la confessione stragiudiziale (13).

3. Praticabilità o meno della confessione giudiziale in ragione della disponibilità o meno del rapporto tributario

C’è poi un altro aspetto che merita di essere esplorato.
Si è già ricordato che, ai sensi del secondo comma dell’art. 2733 c.c., la confessione resa in giudizio forma piena prova solo ove verta su fatti relativi a diritti disponibili. Di qui l’interrogativo: è quello tributario un diritto disponibile?
Senza farsi distrarre dalla figura della conciliazione giudiziale di cui agli artt. 48, 48-bis e 48-ter del D.Lgs. n. 546/1992, da cui si deduce che le parti possono addivenire a reciproche concessioni negoziali, certo non è disponibile il tributo per l’Amministrazione finanziaria, ma è dubbio che lo sia pure per il contribuente, se non altro per via di quell’ineludibile parametro della “capacità contributiva” istituito dall’art. 53 Cost. (primo comma) a fondamento del prelievo tributario e su cui è modulato quello della “progressività” (secondo comma) (14).
Dubbio che però non attraversa la mente del giudice della legittimità, costante nella conclusione contraria. Con ciò che ne consegue in tema di confessione (15).

Avv. Valdo Azzoni

(1) Aggiornate, sul tema qui trattato (in particolare sui valori che lo dovrebbero improntare), le panoramiche di LOCATELLI, La disciplina della prova dichiarativa nel processo tributario, in Boll. Trib., 2016, 726; COLLI VIGNARELLI, Ancora incertezze giurisprudenziali in tema di dichiarazioni di terzi nel processo tributario, ibidem, 805; ID., Dichiarazioni di terzi e parità delle parti processuali, ivi, 2015, 565; ID., Le dichiarazioni di terzi possono, da sole, fondare la decisione del giudice tributario?, ibidem, 300, in nota a Cass., sez. trib., 23 dicembre 2014, n. 27314, ibidem, 298. Si veda pure la nota redazionale a Comm. trib. reg. dell’Emilia Romagna, sez. VIII, 5 gennaio 2016, n. 21, ivi, 2016, 881.
(2) Tre gli argomenti a suffragio del suo ingresso: il rinvio in bianco di cui all’art. 1, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992; la mancanza di una proibizione esplicita (a differenza della testimonianza); e l’economia processuale che innesca.
(3) Si ricordi l’art. 2731 c.c. (Capacità richiesta per la confessione): «La confessione non è efficace se non proviene da persona capace di disporre del diritto, a cui i fatti confessati si riferiscono. Qualora sia resa da un rappresentante, è efficace solo se fatta entro i limiti e nei modi in cui questa vincola il rappresentato». Cfr., da ultimo, Cass., sez. VI, 24 ottobre 2014, ord. n. 22616, in Boll. Trib. On-line, a detta della quale il vincolo non viene meno quand’anche la dichiarazione dell’amministratore sia riconducibile ad abuso di potere e non rientri nella sua competenza. Conformi, in precedenza, Cass., sez. trib., 12 dicembre 2013, n. 27833, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. I, 5 dicembre 2011, n. 25946, in Foro it., 2012, I, 1843; Cass., sez. trib., 26 maggio 2008, n. 13482, e Cass., sez. trib., 21 dicembre 2005, n. 28316, quest’ultime due in Boll. Trib. On-line.
(4) L’orientamento è il frutto di una sedimentata tradizione giurisprudenziale. Basti pensare a Comm. trib. centr., sez. X, 15 giugno 1988, n. 4929, in Boll. Trib. On-line; e a Cass., sez. I, 9 giugno 1990, n. 5628, in Boll. Trib., 1990, 1582; più indietro ancora, va ricordata Comm. trib. centr., sez. XIV, 7 dicembre 1984, n. 10648, ivi, 1985, 1694, ove si afferma che il contribuente che, con la sottoscrizione del verbale, implicitamente ammetta l’esattezza della percentuale di ricarico calcolata dai militari verbalizzanti, non può più contestarla giudizialmente. Non sfuggirà l’enormità di eleggere il dato “implicito” a fonte di prova legale.
(5) Cfr. Cass. n. 5628/1990, cit.; e Cass., sez. trib., 26 gennaio 2004, n. 1286, in Boll. Trib., 2004, 1098, con nota critica.
(6) Cfr. l’art. 1326 c.c. (Conclusione del contratto): «Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte». La confessione è talmente poco “negoziale” che le sue conseguenze giuridiche, ove non contrastate dall’avente interesse, seguono ope legis, prescindono dalla sua volontà.
(7) Cfr. FURNO, Confessione (dir. proc. civ.), in Encicl. dir., 1961, 872, il quale ne ricava che «Non si può ricercare né tanto meno riconoscere nella confessione, sia giudiziale sia stragiudiziale, un contenuto volitivo o normativo: il valore, l’intrinseca essenza della dichiarazione contra se non appartiene all’ordine negoziale, ma soltanto all’ordine probatorio». Conforme COMOGLIO, Confessione: II – Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, 1988, 3, secondo cui «come si induce dall’art. 2730 c.c., la confessione stragiudiziale non tollera alcuna assimilazione ad ipotesi negoziali di accertamento».
(8) Cfr. Cass., sez. VI, 12 marzo 2015, ord. n. 5018, in Boll. Trib., 2015, 629.
(9) La soglia della difesa dovrebbe essere spostata più indietro, come è nelle aspettative di chi esclude «alcuna giustificazione razionale a una simile compressione dei diritti del contribuente … privato del potere di correggere una dichiarazione di scienza, in chiaro spregio ai principi costituzionali che reggono l’imposizione tributaria. Senza trascurare come una simile lettura si porrebbe in insanabile contrasto con il principio di proporzionalità, di derivazione comunitaria, che dovrebbe informare gli ordinamenti degli Stati membri, anche al di là della materia propriamente armonizzata»: così LOVECCHIO, Emendabilità della dichiarazione: si rafforza la tutela del contribuente, in Boll. Trib., 2016, 143, in nota favorevole a Cass., sez. VI, 1° aprile 2015, ord. n. 6665.
(10) Cfr. GIUA – CORRADINI, Le dichiarazioni della parte e dei terzi nel procedimento amministrativo tributario, in il Finanziere, aprile 2016, 78.
(11) Art. 2727 c.c. : «Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato».
(12) Per una riflessione di più ampio respiro cfr. CHINDEMI, Il principio di non contestazione nel giudizio tributario, in Boll. Trib., 2015, 1373.
(13) Per Cass. n. 1286/2004, cit., «La partecipazione alle operazioni di verifica senza contestazioni equivale sostanzialmente ad accettazione delle stesse e dei loro risultati. Non occorre per questo un’accettazione espressa, ma soltanto la mancanza di contestazioni». Nel caso in cui il contribuente volesse obiettare o contestare qualcosa (limitatamente alla «materialità dei fatti e non considerazioni tecniche o giuridiche»), lo stesso dovrebbe formulare immediatamente il proprio dissenso e pretendere che le proprie contestazioni vengano riportate nell’atto. L’assunto è osteggiato a monte da VOGLINO, L’irrilevanza della mancata contestazione immediata delle operazioni di verifica tributaria da parte del contribuente, in Boll. Trib., 2004, 1058; e da FIACCADORI, Le conseguenze della mancata partecipazione del contribuente al contraddittorio nell’accertamento da studi di settore: una illegittima penalizzazione, ivi, 2015, 178.
(14) Cfr. Cass., sez. trib., 11 giugno 2004, n. 11170, in Boll. Trib., 2005, 1497, con nota adesiva di VOGLINO, Ancora sul valore delle dichiarazioni e del comportamento del contribuente in sede di verifica, in materia di accertamento di violazioni amministrative di norme valutarie. Ivi, alle dichiarazioni rese dal privato sulle infrazioni ascrittegli è stata negata l’attribuzione di un valore pienamente probante, attesa la conclamata indisponibilità dell’interesse dedotto, fondato sulla potestà e rispettivamente sull’assoggettamento alla funzione punitiva. Nell’occasione si è ritenuto che le dichiarazioni raccolte dalla Guardia di finanza, da qualificarsi come controparte pubblica (cioè tutt’uno con l’Ufficio finanziario) ovvero, e più credibilmente, come terzo rispetto al rapporto in gioco, siano liberamente valutabili dal giudice ex art. 116 c.p.c.
(15) Cfr. Cass., sez. trib., 23 ottobre 2015, n. 21592, in Boll. Trib. On-line, che richiama una “consolidata giurisprudenza”. Voci di spicco della quale vanno individuate in Cass., sez. trib., 20 dicembre 2013, n. 28530, e Cass., sez. trib., 21 giugno 2004, n. 11521, entrambe in Boll. Trib. On-line.
I

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una determinata percentuale di ricarico – Può essere apprezzata come una confessione stragiudiziale – Ulteriori riscontri probatori – Non necessitano.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Dichiarazioni del contribuente o del suo legale rappresentante – Possono costituire una prova diretta del maggior imponibile accertato – Ulteriori riscontri probatori – Non necessitano.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Vizio di motivazione della sentenza impugnata previsto dall’art. 360, n. 5), c.p.c., nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40/2006 e antecedente alla riforma operata dal D.L. n. 83/2012 – Può riguardare l’omesso esame circa un fatto storico, principale o secondario, controverso e decisivo, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Vizio di motivazione della sentenza impugnata previsto dall’art. 360, n. 5), c.p.c., e vizio di nullità della sentenza o del procedimento previsto dall’art. 360, n. 4), c.p.c. – Differenze.

L’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una determinata percentuale di ricarico può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante proprio dal processo verbale sottoscritto e, quindi, tale da legittimare l’accertamento dell’Ufficio finanziario, così come ogni dichiarazione del legale rappresentante può costituire prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non bisognevole, come tale, di ulteriori riscontri.

Il controllo della motivazione della sentenza impugnata innanzi alla Corte di Cassazione risultante dal testo dell’art. 360, n. 5), c.p.c., nel testo novellato dall’art. 2 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e antecedente alle modifiche successivamente introdotte dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), conduce a cassare la sentenza dalla quale emerga che il giudice non abbia esaminato il fatto storico che avrebbe potuto paralizzare l’avversa tesi, essendo stato da tempo chiarito che il controllo motivazionale può concernere l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di dibattito nel giudizio di merito e abbia carattere decisivo, e che il giudice di merito ha sì il potere discrezionale d’individuare le fonti del proprio convincimento, ma occorre comunque che questa scelta sia in qualche modo esternata o ricavabile dalla motivazione della decisione.

Il vizio di motivazione della sentenza censurabile innanzi alla Corte di Cassazione a norma dell’art. 360, n. 5), c.p.c., implica la soluzione del caso concreto da parte del giudice di merito in modo logicamente scorretto ovvero dimentico di fatti discussi e decisivi, mentre l’error in procedendo di natura omissiva di cui all’art. 360, n. 4), c.p.c., implica diversamente la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Piccininni, rel. Cirillo), 16 ottobre 2015, sent. n. 20979, ric. Agenzia delle entrate c. New Italtess s.r.l. in liquidazione]

RITENUTO IN FATTO – Con decisione n. 318 del 2006 – la commissione tributaria provinciale di Napoli annullava l’avviso di accertamento emesso in danno della Soc. New Italtess per l’anno 2001 e per il recupero di maggiori imposte dirette e la correlata imposizione sul valore aggiunto. Il primo giudice rilevava, infatti, che la determinazione della percentuale di ricarico, posta a fondamento delle pretese erariali, traeva origine da un documento extra contabile utilizzato dai verbalizzanti e non allegato al processo verbale né presente negli atti [di] causa.
Per la riforma di tale decisione il fisco ha proposto appello rilevando che non v’era alcuna scrittura extra contabile né alcun tabulato scomparso, perché quella utilizzata era solo una “stampa” ottenuta dalla interrogazione dei dati contabilizzati dalla società, che, però, non era stata allegata al processo verbale di constatazione perché lasciata in custodia alla stessa parte contribuente. Ha aggiunto che l’ufficio aveva sì applicato la percentuale di ricarico (20%) riportata dai verbalizzanti, ma ciò aveva fatto perché era stata concordata in contraddittorio con la parte nel corso della verifica fiscale.
Con decisione n. 78 del 23 marzo 2009 la commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello. Ha motivato la decisione affermando che: “Nel caso in esame l’ufficio ha motivato l’accertamento in questione con mero rinvio alle considerazioni sviluppate dalla Guardia di finanza, giungendo alle stesse conclusioni senza però sviluppare una propria autonoma valutazione delle medesime, procedendo alla rettifica di singole componenti reddituali in base alla applicazione di una diversa percentuale di ricarico, desunta dai verbalizzanti da un tabulato – di cui non vi è traccia – riportante la situazione delle merci destinate alla rivendita e giacenti in azienda dedotta dai dati contabilizzati”.
Per la cassazione delle sentenza d’appello, l’Agenzia delle entrate propone ricorso affidato a due motivi; la contribuente resiste con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO – Il ricorso è fondato.
La difesa erariale, coi due motivi, fondatamente denuncia errori di giustificazione della decisione di merito sul fatto laddove il giudice d’appello trascura fatti principali e secondari risultanti dagli atti e addotti nel processo a riprova della legittimità degli accertamenti.
In effetti, dalle parti salienti del processo verbale di constatazione trascritte in ricorso risulta con sufficiente chiarezza che il volume d’affari della società contribuente è stato determinato “considerando quale percentuale di ricarico il 20% così come concordato in contraddittorio con il sig. G.M.G. amministratore unico della Italtess s.r.l.”.
Tale concordamento risulta, dunque, dal processo verbale sottoscritto senza riserve dall’amministratore unico della Italtess s.r.l. e costituente atto fidefacente sino a querela di falso, riguardo alla effettività delle operazioni dei verbalizzanti e di quanto accaduto e/o dichiarato alla loro presenza.
Vale, pertanto, il principio logico-giuridico che l’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una data percentuale di ricarico può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante proprio dal processo verbale sottoscritto e, quindi, tale da legittimare l’accertamento dell’ufficio (Cass. 5628/1990 (1) e 1286/2004 (2)). Così come ogni dichiarazione del legale rappresentante può costituire prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non bisognevole, come tale, di ulteriori riscontri (Cass. 28316/2005 (3), 9320/2003 (4), 7964/1999 (5)).
Orbene, si tratta di fatti che, se apprezzati, avrebbero potuto avere carattere decisivo per escludere la tesi sostenuta dalla società contribuente, per l’appunto rappresentata dall’inesistenza di elementi fondativi del ricarico.
Il rilievo formulato dinanzi al giudice di legittimità è in linea col controllo della motivazione risultante dal n. 5 dell’art. 360 cod. prov. civ., nel testo novellato nel 2006 e applicabile “ratione temporis”, non avendo il giudice d’appello esaminato il fatto storico che avrebbe potuto paralizzare l’avversa tesi.
Del resto si è, da tempo, chiarito che il controllo motivazionale può concernere l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di dibattito nel giudizio di merito e abbia carattere decisivo.
Trattasi di caratteri sussistenti nella specie (v. la sentenza d’appello e i quesiti di fatto in ricorso), poiché il giudice di merito ha sì il potere discrezionale d’individuare le fonti del proprio convincimento, ma occorre comunque che questa scelta sia in qualche modo esternata o ricavabile dalla motivazione della decisione.
Sulla scorta di tali assorbenti considerazioni, risultano superate le censure difensive della controricorrente anche con riguardo alla prospettata sindacabilità delle valutazioni esposte dal giudice d’appello non quale vizio motivazionale, ma quale “error in procedendo” di natura omissiva (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.).
L’uno, infatti, implica la soluzione del caso concreto in modo logicamente scorretto ovvero dimentico di fatti discussi e decisivi.
L’altro implica, diversamente, la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (Cass. 13866/2014); il che non ricorre nella fattispecie in esame.
Dall’accoglimento del ricorso deriva la cassazione della sentenza impugnata con rinvio dinanzi alla commissione tributaria regionale della Campania per nuovo esame e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e rinvia la causa, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.

(1) Cass. 9 giugno 1990, n. 5628, in Boll. Trib., 1990, 1582.
(2) Cass. 26 gennaio 2004, n. 1286, in Boll. Trib., 2004, 1098.
(3) Cass. 21 dicembre 2005, n. 28316, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 11 giugno 2003, n. 9320, in Boll. Trib., 2003, 1755.
(5) Cass. 23 luglio 1999, n. 7964, in Boll. Trib., 2000, 73.

II

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una determinata percentuale di ricarico – Può essere apprezzata come una confessione stragiudiziale – Ulteriori riscontri probatori – Non necessitano.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Dichiarazioni del contribuente o del suo legale rappresentante – Possono costituire una prova diretta del maggior imponibile accertato – Ulteriori riscontri probatori – Non necessitano.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Vizio di motivazione della sentenza impugnata previsto dall’art. 360, n. 5), c.p.c., nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40/2006 e antecedente alla riforma operata dal D.L. n. 83/2012 – Può riguardare l’omesso esame circa un fatto storico, principale o secondario, controverso e decisivo, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali.

Procedimento – Giudicato esterno – Capacità espansiva del giudicato ad altri periodi d’imposta – Sentenza con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta – Accertamento di elementi costitutivi della fattispecie comuni ad una pluralità di periodi d’imposta con carattere tendenzialmente permanente – Estensione del giudicato esterno – Consegue.

Procedimento – Giudicato esterno – Capacità espansiva del giudicato ad altri periodi d’imposta in materia di IVA – Soggezione a norme comunitarie imperative – Estensione del giudicato esterno – Esclusione.

L’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una determinata percentuale di ricarico può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante proprio dal processo verbale sottoscritto e, quindi, tale da legittimare l’accertamento dell’Ufficio finanziario, così come ogni dichiarazione del legale rappresentante può costituire prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non bisognevole, come tale, di ulteriori riscontri.

Il controllo della motivazione della sentenza impugnata innanzi alla Corte di Cassazione risultante dal testo dell’art. 360, n. 5), c.p.c., nel testo novellato dall’art. 2 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e antecedente alle modifiche successivamente introdotte dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), conduce a cassare la sentenza dalla quale emerga che il giudice non abbia esaminato il fatto storico che avrebbe potuto paralizzare l’avversa tesi, essendo stato da tempo chiarito che il controllo motivazionale può concernere l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di dibattito nel giudizio di merito e abbia carattere decisivo, e che il giudice di merito ha sì il potere discrezionale d’individuare le fonti del proprio convincimento, ma occorre comunque che questa scelta sia in qualche modo esternata o ricavabile dalla motivazione della decisione.

La sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli.

Le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale e dall’eventuale sua proiezione anche oltre il periodo d’imposta che ne costituisce specifico oggetto.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Piccininni, rel. Cirillo), 16 ottobre 2015, sent. n. 20980, ric. Agenzia delle entrate c. New Italtess s.r.l. in liquidazione]

RITENUTO IN FATTO – Con decisione n. 616-2009-24 la commissione tributaria provinciale di Napoli annullava l’avviso di accertamento emesso in danno della Soc. New Italtess emesso per l’anno 2004 per il recupero di maggiori imposte dirette e la correlata imposizione sul valore aggiunto.
Il primo giudice aderiva alle tesi della contribuente laddove affermava che la determinazione della percentuale di ricarico, posta a fondamento della pretesa erariale, traeva origine da un fantomatico tabulato e trascurava che nel 2004 la società era stata posta in liquidazione con vendita di obsolete rimanenze di magazzino a grossisti e a prezzi inferiori a quelli di acquisto onde evitare ulteriori perdite.
Per la riforma di tale decisione il fisco ha proposto appello rigettato con sentenza n. 71-2012-46 del 6 marzo 2012. La commissione tributaria regionale della Campania ha motivato la decisione affermando che l’ufficio ha motivato l’accertamento in ragione del contenuto del processo verbale di constatazione della Guardia di finanza che non costituiva, però, mezzo di prova e si rifaceva ad un preteso tabulato asseritamente esibito dall’amministratore della società e non allegato agli atti.
Ha rilevato, inoltre, che la contribuente nel 2004 era stata posta in liquidazione, pertanto non aveva più effettuato alcun acquisto e, per evitare ulteriori perdite, aveva iniziato a esitare la rimanenze di magazzino vendendole a due soli grossisti e a prezzi inferiori a quello di acquisto.
Ha osservato, infine, che gli avvisi di accertamento per gli anni pregressi erano stati annullati dal giudice tributario.
Per la cassazione delle sentenza d’appello, l’Agenzia delle entrate propone ricorso affidato a tre motivi; la contribuente non spiega attività difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO – Il ricorso è fondato.
La difesa erariale censura la sentenza d’appello (1) per violazione di norme di diritto (artt. 39 d.p.r. 600/73, 2729 e 2697 cod. civ.) laddove disconosce efficacia probatoria al processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, (2) per insufficiente motivazione laddove trascura che l’accertamento e in particolare la percentuale di ricarico sono basati sui dati forniti dall’azienda stessa e sui documenti offerti dal suo amministratore, (3) per violazione di norme di diritto (artt. 2909 cod. civ. e 7 d.p.r. 917/86) laddove invoca l’autorità di decisioni su altri anni d’imposta e non ancora definitive.
In effetti, dalle parti salienti del processo verbale di constatazione trascritte in ricorso risulta con sufficiente chiarezza che quella utilizzata era una “stampa” dei dati contabilizzati dalla società e che il volume d’affari della contribuente è stato determinato considerando quale percentuale di ricarico il 30,47% così come emerso in contraddittorio con il sig. M.G. amministratore unico della Italtess s.r.l. e sulla scorta del “tabulato” da lui esibito. In particolare, risulta che la percentuale di ricarico è stata calcolata sulla rimanenze aziendali con riferimento ai dati forniti dall’amministratore unico della Italtess s.r.l. riguardo al costo di acquisto e al prezzo di vendita delle merci giacenti in azienda.
Tale procedimento risulta, dunque, dal processo verbale sottoscritto senza riserve dell’amministratore unico della Italtess s.r.l. e costituente atto fidefacente sino a querela di falso, riguardo alla effettività delle operazioni dei verbalizzanti e di quanto accaduto e/o dichiarato alla loro presenza.
Il giudice d’appello trascura, invece, il principio logico e giuridico che l’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una data percentuale di ricarico può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante proprio dal processo verbale sottoscritto e, quindi, tale da legittimare l’accertamento dell’ufficio (Cass. 5628/1990 (1) e 1286/2004 (2)). Così come ogni dichiarazione del legale rappresentante può costituire prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non bisognevole, come tale, di ulteriori riscontri (Cass. 28316/2005 (3), 9320/2003 (4), 7964/1999 (5)).
Orbene, si tratta di fatti che, se apprezzati, avrebbero potuto avere carattere decisivo per escludere la tesi sostenuta dalla società contribuente, per l’appunto rappresentata dall’inesistenza di elementi fondativi del ricarico.
La sentenza d’appello non è in linea con i richiamati principi di diritto, avendo tentato di giustificare la decisione con affermazioni che, sostanzialmente, si pongono in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte. Il rilievo formulato dinanzi giudice di legittimità non solo è fondato in punto di diritto (motivo 1) ma è in linea anche col controllo della motivazione risultante dal n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., nel testo applicabile “ratione temporis”, non avendo il giudice d’appello esaminato il fatto storico che avrebbe potuto paralizzare l’avversa tesi (motivo 2).
Si è chiarito che il controllo motivazionale può concernere l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di dibattito nel giudizio di merito e abbia carattere decisivo.
Trattasi di caratteri sussistenti nella specie (v. la sentenza d’appello e le sintesi esplicative dei primi due motivi di ricorso), poiché il giudice di merito ha sì il potere discrezionale d’individuare le fonti del proprio convincimento, ma occorre comunque che questa scelta sia in qualche modo esternata o ricavabile dalla motivazione della decisione.
A tali considerazioni si aggiunga l’errato rilievo dato dal giudice d’appello a decisioni di merito favorevoli per la contribuente e relative a precedenti annualità (motivo 3). È assolutamente pacifico, infatti, che si tratta delle sentenze nn. 318, 317 e 316 del 2006 (6) sugli avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2001, 2002 e 2003, cassate tutte con rinvio in accoglimento dei ricorsi del fisco nn. 11101, 11290 e 11748 del 2010, chiamati tutti all’odierna pubblica udienza. Nella sentenza n. 71-2012-46 del 6 marzo 2012 è, dunque, richiamata l’autorità di decisioni non ancora definitive perché non passate in cosa giudicata ed ora pure cassate.
Peraltro, per pura completezza, si rammenta che la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli (Cass. 20029/2011 (7)). Inoltre, le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto (C. giust., 3/9/2009, in causa C-2/08 (8); Cass. 16996/2012 (9)).
Dall’accoglimento del ricorso deriva la cassazione della sentenza impugnata con rinvio dinanzi alla commissione tributaria regionale della Campania per nuovo esame e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e rinvia la causa, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, da atto della non sussistenza dei presupposti per i versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

(1) Cass. 9 giugno 1990, n. 5628, in Boll. Trib., 1990, 1582.
(2) Cass. 26 gennaio 2004, n. 1286, in Boll. Trib., 2004, 1098.
(3) Cass. 21 dicembre 2005, n. 28316, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 11 giugno 2003, n. 9320, in Boll. Trib., 2003, 1755.
(5) Cass. 23 luglio 1999, n. 7964, in Boll. Trib., 2000, 73.
(6) Cass. 11 gennaio 2006, nn. 316, 317 e 318, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cass. 30 settembre 2011, n. 20029, in Boll. Trib. On-line.
(8) In Boll. Trib. On-line.
(9) Cass. 5 ottobre 2012, n. 16996, in Boll. Trib. On-line.

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