1. Premessa
La sentenza annotata è la prima, a quel che risulta, che si esprime sui limiti di applicabilità della confisca tributaria di cui all’art. 12-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, introdotto dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
Norma quest’ultima che lascia irrisolto il vero punctum dolens che riguarda l’estinzione del debito tributario e il profitto oggetto della confisca penale tributaria e, quindi, come inevitabile conseguenza, il sistema del doppio binario fondato sull’autonomia e indipendenza del giudizio penale e del procedimento amministrativo.
La sentenza, nel confermare gli approdi giurisprudenziali della Suprema Corte sui limiti di applicabilità della confisca (e del prodromico sequestro preventivo), precisa che per l’ipotesi di rateizzazione del debito tributario, anche a seguito del citato intervento normativo, la confisca non opera limitatamente all’effettivo pagamento, senza tenere in alcun conto l’impegno formalmente assunto di versare all’erario quanto concordato (1).
2. Fattispecie
Il caso deciso prende le mosse da una richiesta di sequestro preventivo per equivalente in conseguenza del reato, contestato al legale rappresentante di una società per azioni, previsto dall’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000 per omesso versamento di ritenute alla fonte per un importo di euro 362.810,32 in luogo degli originari euro 409.969,72.
Si è opposto all’ordinanza il ricorrente lamentando che, a fronte della intervenuta rateizzazione del debito erariale e per effetto delle speciali procedure conciliative previste dall’ordinamento fiscale, la confisca e il sequestro non avrebbero più potuto operare.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso ribadendo che «solo l’integrale pagamento del debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso, può condurre alla non operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fine, essendo invece insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento».
Né, continua la Suprema Corte, può giungersi a conclusioni diverse rispetto agli approdi giurisprudenziali per l’introduzione del nuovo art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000 secondo cui «“la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario” aggiungendosi, subito dopo, che “nel caso di versamento la confisca è sempre disposta” … deve necessariamente ritenersi che la locuzione “non opera” non significa affatto che la confisca, a fronte dell’accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata ma che la stessa non divenga, più semplicemente, efficace con riguardo alla parte coperta da tale impegno salvo ad essere disposta, come recita il comma 2 dell’art. 12-bis cit., allorquando l’impegno non venga rispettato e il versamento promesso non si verifichi; e proprio tale ultima previsione finale pare, anzi, dimostrare che la funzione del sequestro, pur a fronte di impegno a versare in toto la somma dovuta, sarebbe proprio quella di garantire l’efficacia della confisca una volta constatato l’eventuale inadempimento di quanto in precedenza promesso».
La sentenza massimata, nonostante il dato testuale della nuova norma ne anticipi gli effetti, nega ogni funzione ostativa all’impegno del contribuente, come risulta dalla concessa rateizzazione del debito tributario, e suggerisce un’interpretazione del tutto conforme al precedente orientamento giurisprudenziale (2), trascurando ogni verifica circa l’eventuale diversa natura della nuova confisca tributaria.
La decisione costituisce, anche in ragione del principio di diritto secondo cui «la confisca per equivalente … non debba sempre e comunque trovare applicazione (nel caso di accertamento della responsabilità), quando l’indagato abbia provveduto a sanare il suo debito verso l’erario giacché con l’adempimento … dell’obbligazione tributaria, viene meno quel profitto del reato che la misura ablatoria è destinata ad aggredire», utile spunto per riflettere sulla questione del pagamento del debito tributario e della sua funzione solutoria della misura confiscatoria.
Premesso che la questione non ha trovato finora una base normativa, le presenti note, pur dovendo necessariamente fare cenno ai molteplici e irrisolti problemi che il sistema del doppio binario pone, si limitano a proporre delle riflessioni sull’impatto del nuovo secondo comma dell’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000 (e degli artt. 13 e 13-bis dello stesso decreto), così come modificati dal già citato D.Lgs. n. 158/2015, quale causa ostativa della confisca (e del sequestro preventivo), in ragione della piena autonomia del procedimento penale e amministrativo di cui all’art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000.
In particolare, merita indagare se il quantum da pagare (o promettere) per impedire la confisca (e il sequestro preventivo) vada determinato solo ed esclusivamente sull’importo definito dal procedimento amministrativo, con l’effetto che null’altro l’indagato sarà tenuto a corrispondere in conseguenza del giudizio penale.
3. Principio del doppio binario e strumenti ablativi e recuperatori del debito
La totale autonomia e indipendenza del giudizio penale rispetto a quello tributario, sancita dal citato art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000, secondo cui «Il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione», ha posto non poche (e tuttora irrisolte) questioni sul rapporto tra l’accertamento dell’imposta evasa (e relative sanzioni parametrate sulla maggiore imposta) – funzionalmente assegnata all’apparato amministrativo – e l’apparato repressivo penale che non è strutturalmente deputato al recupero della maggiore imposta evasa.
L’autonomia e il parallelo svolgimento dei due giudizi (che risale all’abrogazione della pregiudiziale tributaria operata dal D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516) comporta lo sganciamento dell’accertamento del reato rispetto alle regole e ai termini dell’azione amministrativa, con possibile esito difforme, anche riguardo l’ammontare dell’imposta evasa.
I due sistemi sono spesso in aperta collisione con effetti distorsivi cui contribuisce anche la confisca (e il sequestro preventivo) che alimenta il rischio di una doppia ablazione in base a titoli differenti, proprio per l’assenza di un reciproco condizionamento tra il procedimento fiscale e quello penale che potenzialmente incidono sulla medesima ricchezza.
Sul punto, nonostante il recente intervento di riforma, l’obiettivo di una convivenza coerente mi pare ampiamente frustrato e, allo stato attuale, non facilmente raggiungibile (3).
Qualche segnale di insofferenza sul criterio di separatezza tra il procedimento penale e quello tributario, oltre la nozione di imposta evasa (con evidente sovrapposizione tra i due procedimenti che, sebbene diversi, tendono ad accertare l’imposta evasa), lo ha fornito, di recente, lo stesso legislatore. Questi prevedendo, rispettivamente agli artt. 13 e 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000, una causa di non punibilità e una circostanza attenuante mediante l’integrale pagamento del debito tributario (comprese sanzioni e interessi), determinato anche a seguito delle procedure definitorie previste dall’ordinamento fiscale (conciliazione, accertamento con adesione e ravvedimento per l’ipotesi dell’art. 13-bis), pare avere chiaramente indicato che causa ostativa della confisca (e del prodromico sequestro preventivo) sia il pagamento del tributo (sanzioni e interessi) come determinato in via amministrativa o nel processo tributario.
4. Confisca tributaria obbligatoria
Come accennato il D.Lgs. n. 158/2015 (Revisione del sistema sanzionatorio) ha introdotto l’art. 12-bis nel D.Lgs. n. 74/2000 che disciplina l’istituto della confisca obbligatoria (in forma diretta o per equivalente) per i reati tributari.
È questa una previsione del tutto nuova anche se, per la pronuncia in rassegna, non risulta avere, rispetto al sistema previgente, alcun rilevante impatto applicativo.
In precedenza la confisca (4), in ambito penal-tributario, era possibile per effetto del rinvio dell’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, all’art. 322-ter c.p. le cui disposizioni “in quanto applicabili” andavano osservate per i reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del D.Lgs. n. 74/2000.
Il restyling dell’istituto, che pur riproduce tratti caratterizzanti della confisca delineata dal citato art. 322-ter c.p., non è, tuttavia, solo formale.
In primis la confisca (diretta o per equivalente), divenuta fattispecie autonoma, è estesa a tutti i reati tributari, compreso quello di distruzione e occultamento delle scritture contabili di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000.
Nel qual ultimo caso, tenuto conto che il profitto derivante dai reati tributari dà sostanzialmente luogo ad un risparmio di spesa (sebbene commisurata alle imposte evase, sanzioni e interessi) (5), e non ad un accrescimento patrimoniale, restano le perplessità circa l’individuazione del profitto del reato ai fini della confisca, preso atto che, all’evidenza, si tratta di un reato di mero pericolo (6).
Del tutto nuovo, e foriero di futuri contrasti interpretativi, è poi il secondo comma dell’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000, che disciplina il rapporto tra confisca e recupero del tributo evaso disponendo che «la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro», e che «nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta».
Già abbiamo visto che la Suprema Corte, con la sentenza in esame, perviene ad una sostanziale neutralizzazione della nuova norma che pur consentirebbe all’impegno giuridicamente qualificato del contribuente di anticipare l’effetto del pagamento ed evitare la misura confiscatoria (questione che nel presente intervento non verrà affrontata).
Purtuttavia la nuova disposizione del citato secondo comma dell’art. 12-bis, secondo cui «la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario», pare offrire una soluzione alla controversa vicenda che si pone allorquando il quantum oggetto di (asserita) evasione in sede penale sia di ammontare differente e – in ipotesi – superiore a quello accertato (o comunque ritenuto) in sede amministrativa (in ossequio al principio del doppio binario ex art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000).
In tale caso parrebbe, come di seguito proposto, che il pagamento (ovvero secondo il dato testuale della nuova norma «l’impegno a versare all’erario») del debito tributario sia sufficiente nella prospettiva penale, così da costituire una causa estintiva della confisca.
5. Confisca tributaria e doppio binario processuale
La confisca, in quanto diretta a privare il reo del vantaggio economico derivante dalla commissione del reato fiscale (consistente nel risparmio di spesa connesso all’imposta sottratta al fisco comprensivo di sanzioni e interessi) (7), per effetto del sistema del doppio binario, rischia di sovrapporsi e confliggere con la funzione di accertamento assegnata all’apparato amministrativo tributario preposto al recupero dell’imposta evasa.
Sul punto, la soluzione avanzata, secondo cui la definitività dell’atto impositivo anche a seguito di un accordo tra fisco e contribuente (accertamento con adesione e conciliazione), privando il reo del vantaggio economico, farebbe venir meno la condizione legittimante l’adozione della confisca (8), non regge all’obiezione che la definitività dell’obbligazione tributaria non è in grado di assicurare l’adempimento (9).
In ogni caso, anche questa soluzione non impedisce la convivenza delle due misure, imposta dalla dualità dei procedimenti, che può condurre a determinare l’imposta evasa in via amministrativa o in esito al processo tributario in misura differente dal giudizio penale, e arriva a concludere che «la confisca può bensì essere disposta, ma limitatamente alla differenza tra ammontare dell’imposta costituente vantaggio economico, determinata dal giudice penale, e ammontare dell’imposta costituente oggetto dell’obbligazione impositiva, consacrata nell’avviso di accertamento definitivo o nella sentenza, del pari definitiva, del giudice tributario o negli altri atti … [accertamento con adesione e conciliazione, n.d.r.] ugualmente connotati da definitività» (10).
Vale a dire che «la finalità di assicurare allo Stato i proventi dei reati ipotizzati» non risulta «assorbita nel pagamento dell’importo, stabilito all’esito del procedimento di accertamento per adesione», potendosi ancora ritenere «sussistente un margine di profitto, in relazione al quale sarebbe eventualmente attivabile il vincolo cautelare a fini di futura confisca» (11).
In senso contrario è stato sostenuto che se l’ordinamento tributario ammette una riduzione del debito, a fronte di accordi fra fisco e contribuente, tale rideterminazione della pretesa erariale non potrà che riflettersi anche sul profitto del reato; in tali termini si è espressa anche la sentenza che si annota, secondo cui dalla «confisca per equivalente [non, n.d.r.] può discendere la conclusione che essa debba sempre e comunque trovare applicazione (nel caso di accertamento della responsabilità), anche quando l’indagato abbia provveduto a sanare il suo debito verso l’erario giacché con l’adempimento … dell’obbligazione tributaria, viene meno quel profitto del reato che la misura ablatoria è destinata ad aggredire» (12).
Questa la contraddittoria situazione secondo cui se il profitto del reato tributario non corrisponde alla quantificazione amministrativa dell’imposta evasa, effettuato il pagamento del debito tributario (comprensivo di sanzioni amministrative e interessi), è giustificato, per l’eccedenza, il permanere del sequestro preventivo e della successiva confisca.
Resta, quindi, il problema di quale debba essere l’ammontare di riferimento per il pagamento. Vale a dire di come debba essere determinato il quantum che consenta la riduzione o impedisca l’emanazione del provvedimento di confisca (e del sequestro preventivo).
6. Natura della confisca tributaria
Considerato il complesso quadro normativo si deve prendere atto che, nell’attuale realtà dell’ordinamento penale tributario, la confisca presenta, quanto meno, una fisionomia ibrida e polivalente.
Può fungere, senza peraltro che sia agevole distinguere con chiarezza, da misura di sicurezza, di prevenzione, da pena accessoria ovvero da mezzo ripristinatorio e sussidiario per il recupero del tributo.
Sebbene, come ritengono dottrina e giurisprudenza prevalenti, la confisca (diretta e per equivalente) vada considerata una misura afflittiva (13), occorre considerare la tesi che la confisca possa intervenire quale misura non tanto afflittiva ma in funzione recuperatoria e sussidiaria del debito tributario, ovvero come «espressione di un principio di alternatività tra misura confiscatoria e recupero del tributo» (14).
In tale senso, quanto agli effetti, sebbene qualifichi la confisca di natura sanzionatoria, sembra esprimersi la sentenza annotata secondo cui «né dalla natura sanzionatoria della confisca per equivalente può discendere la conclusione che … debba … comunque trovare applicazione (nel caso di accertamento della responsabilità), anche quando l’indagato abbia provveduto a sanare il suo debito verso l’erario giacché con l’adempimento … dell’obbligazione tributaria, viene meno quel profitto del reato che la misura ablatoria è destinata ad aggredire».
Andando oltre è, pertanto, possibile leggere la scelta del legislatore come l’introduzione nel sistema di una confisca di natura “sussidiaria e riparatoria”, con l’intento prioritario di assicurare l’assolvimento del debito tributario secondo i criteri e le modalità fissate dalla legge fiscale.
Vale a dire che il nuovo art. 12-bis, secondo comma, del D.Lgs. n. 74/2000, disponendo che «la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario», ben sottintende che il pagamento, in funzione solutoria della misura di sicurezza patrimoniale, vada determinato in base al quantum accertato, concordato o deciso dal giudice tributario, ferma restando la confisca (e il sequestro preventivo) come misura di garanzia dell’assolvimento del debito fiscale.
Natura meramente recuperatoria, quindi, che assolverebbe l’esigenza di risolvere il contrasto tra i due procedimenti, nel senso di individuare il quantum da pagare (o da promettere) solo con riguardo al tributo deciso o concordato in via amministrativa o nel giudizio tributario (con eventuale revoca della parte eccedente oggetto della misura confiscatoria) (15).
In tal senso militano anche i nuovi artt. 13 e 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000 che, come già detto, riconoscendo rispettivamente una causa di non punibilità o una circostanza attenuante all’integrale pagamento del debito tributario (comprese sanzioni amministrative e interessi) determinato anche in base alle speciali procedure conciliative, di adesione all’accertamento o di ravvedimento operoso, implicitamente individuano come unico riferimento l’importo determinato in via amministrativa o nel processo tributario.
Tale soluzione, sebbene non rispondente al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità (16), potrebbe evitare conseguenze contraddittorie, in special modo quando il pagamento, effettuato in base a procedure concordate (accertamento con adesione, conciliazione e transazione fiscale), risulti inferiore all’importo stabilito dal giudice penale.
Si tratta di una soluzione, ce ne rendiamo conto, contraria al principio del doppio binario, tanto che autorevole dottrina, per l’ipotesi di confisca disposta in base ad una sentenza penale definitiva e prima che sia stato definito l’accertamento tributario, al fine di evitare una duplice “ablazione” e un «indebito arricchimento dello Stato», conclude per «il venir meno … della potestà impositiva … pur se l’obbligazione d’imposta rimane giuridicamente non adempiuta» (sottintendendo, ci pare, che l’eventuale pagamento debba essere determinato sull’importo deciso dal giudice penale); ma poi aggiunge che «qualora non vi sia coincidenza tra quantum confiscato e maggiore imposta accertata» nel procedimento tributario la differenza può essere riscossa (17).
Tesi che, pur autorevolmente sostenuta, non esclude il rischio di un corto circuito tra i due procedimenti. Tanto è vero che imporre l’autonoma considerazione degli importi dei due procedimenti comporta, per il caso di procedimento tributario concluso prima dell’apertura del giudizio penale e con il riconoscimento dell’insussistenza dell’obbligazione tributaria, l’impossibilità del contribuente di avvalersi della causa di non punibilità di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 per mancanza di un importo di riferimento.
7. Conclusione
In conclusione il doppio binario, implicando l’autonomia dei procedimenti, è degno di tutela quando le due condotte (penale e amministrativa) presentano caratteri marcatamente difformi.
Qualora, invece, i fatti siano i medesimi, anche in ragione di un doppio binario dell’istruttoria dei due procedimenti, la loro reciproca autonomia rischia di provocare uno scontro frontale allorquando entrambi mirino al recupero dell’imposta evasa.
Tanto è vero che, pur escludendo un recupero, normativamente impossibile, di forme della pregiudizialità tributaria, le molte difficoltà provocate dalla reciproca autonomia dei due procedimenti hanno spesso generato, nei fatti, una “dipendenza” del giudizio penale dal procedimento tributario amministrativo.
Le brevi note del presente intervento, sebbene limitate alla determinazione dell’importo da pagare per escludere la confisca, costituiscono un segnale dell’instabilità del sistema dell’apparato punitivo e consentono di riflettere sull’esigenza di un raccordo tra il procedimento amministrativo tributario e quello penale per consentire un adeguato apprezzamento delle vicende attuative del tributo anche nella dimensione penale ed evitare irragionevoli spoliazioni ponendo seriamente in crisi la ragionevolezza e il funzionamento del sistema nel suo complesso.
Tale si presenta la situazione attuale che, come avvertito, «può apparire come sostanzialmente immutata nella propria adesione ad uno schema di sostanziale indifferenza fra i due procedimenti e processi … A fronte di questa apparente immutabilità, tuttavia, l’intera materia risulta percorsa da linee evolutive del tutto estranee al menzionato schema di assoluta autonomia. Non v’è dubbio, infatti, che il principio della rigida separazione dell’ambito penale e di quello tributario vive un momento di crisi o, comunque, una fase di (confusa) evoluzione» (18).
Avv. Silvio D’Andrea
(1) Con la recente sentenza resa da Cass., sez. III pen., 7 luglio 2016, n. 28225 (in Boll. Trib. On-line), la Suprema Corte ha fornito una diversa interpretazione, escludendo la confisca anche per gli importi rateizzati, indipendentemente, quindi, da quanto corrisposto o ancora da corrispondere.
(2) Cfr. Ufficio del Massimario e del Ruolo della Cassazione penale (Relazione di orientamento di giurisprudenza) 2 luglio 2013, n. 30/13, par. 9, in Boll. Trib. On-line.
(3) Per non dire dei rilevanti profili di illegittimità del prefato sistema del doppio binario, in riferimento all’art. 4 del Prot. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1995, n. 848) e all’art. 50 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. “Carta di Nizza”), di recente ribaditi ed evidenziati dalla nota sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo 4 marzo 2014, n. 18640/10 [in Boll. Trib., 2015, 1014, con nota di V. AZZONI, Il sistema del doppio binario (amministrativo e penale) nel regime sanzionatorio tributario: è tutto l’edificio che sta scricchiolando?], nonché da significative pronunce dei giudici penali nazionali (cfr. Trib. pen. Bologna ord. 21 aprile 2015, ibidem, 1009; Trib. pen. Asti 7 maggio 2015, n. 717, ibidem, 1346) e della Suprema Corte (cfr. Cass., sez. trib., 21 gennaio 2015, ord. n. 950, ivi, 2016, 290, con nota di V. AZZONI, All’esame della Corte Costituzionale il sistema del doppio binario tra processo amministrativo e processo penale per la violazione del principio del ne bis in idem) che ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale la quale si è pronunciata con la sentenza 12 maggio 2016, n. 102 [in Boll. Trib., 2016, 1345, con nota di V. AZZONI, Brevi riflessioni sul “non liquet” della Corte Costituzionale sul presunto vulnus al principio comunitario del ne bis in idem da parte del sistema di “doppio binario” sanzionatorio dell’illecito amministrativo (e quindi anche tributario) e di quello penale previsto dall’ordinamento italiano: allo stato la questione di legittimità costituzionale è inammissibile], dichiarando «inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 187-bis, primo comma, del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, nella parte in cui prevede “Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato” anziché “Salvo che il fatto costituisca reato”, in tale modo consentendo l’applicabilità allo stesso illecito del doppio binario sanzionatorio, penale e amministrativo, in più occasioni censurato come illegittimo dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo in quanto contrario al dettato dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98, in quanto non rilevante nel giudizio a quo, atteso che essa concerne una disposizione, ossia il predetto art. 187-bis del D.Lgs. n. 58/1998, che ha già ricevuto definitiva applicazione dall’autorità amministrativa nel relativo procedimento, mentre il giudice rimettente è piuttosto chiamato a giudicare in riferimento al reato di cui all’art. 184, primo comma, lett. b), del medesimo D.Lgs. n. 58/1998». La Consulta ha altresì affermato che il divieto del bis in idem dettato dal citato art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali ha carattere processuale e non sostanziale, in quanto consente agli Stati aderenti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse sanzioni, ma richiede che ciò avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto della condizione che non si proceda per uno di essi quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa all’altro, precisando che sebbene non possa negarsi che un siffatto divieto possa di fatto risolversi in una frustrazione del sistema del doppio binario, nel quale alla diversa natura, penale o amministrativa, della sanzione si collegano normalmente procedimenti anch’essi di natura diversa, è chiaro che spetta anzitutto al legislatore stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che tale sistema genera tra l’ordinamento nazionale e la Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Ed invero, la Corte Costituzionale ha avuto buon gioco nell’emettere il suddetto giudizio di inammissibilità, in quanto il giudice rimettente ha proposto la questione di costituzionalità in maniera dubitativa e perplessa, senza quindi sciogliere previamente i dubbi da esso stesso formulati quanto alla compatibilità tra la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo ed i principi del diritto dell’Unione europea – sia in ordine all’eventuale non applicazione della normativa interna, sia sul possibile contrasto tra l’interpretazione del principio del ne bis in idem prescelta dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo e quella adottata nell’ordinamento dell’Unione europea, anche in considerazione dei principi delle direttive europee che impongono di verificare l’effettività, l’adeguatezza e la dissuasività delle sanzioni residue – mentre, a giudizio della Consulta, i dubbi devono invece essere necessariamente superati e risolti dal giudice rimettente per ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata. In dottrina si vedano V. AZZONI, Ne bis in idem in materia sanzionatoria: la miccia è stata accesa, in nota a Trib. pen. Asti n. 717/2015, cit., in Boll. Trib., 2015, 1351; e A. PERINI, La riforma dei reati tributari, in Dir. pen. proc., 2016, 11.
(4) Sulla confisca in materia tributaria si rinvia a S.B. TAVERRITI, Profili sostanziali e processuali della confisca nell’ambito dei reati tributari, in Boll. Trib., 2016, 384; G.L. SOANA, La confisca per equivalente nei reati tributari, ivi, 2014, 805; A. MARTONE, La confisca per equivalente in presenza di reati in materia tributaria, ivi, 2013, 1466; S. SERVIDIO, La confisca per equivalente in ambito penal-tributario, ibidem, 492; F. FURIA, Confisca e imposizione tributaria: due strumenti per colpire la ricchezza da attività criminali, ivi, 1990, 245.
(5) Cfr. ex multis Cass., sez. un. pen., 23 aprile 2013, n. 18374, e Cass., sez. III pen., 13 marzo 2013, n. 11836, entrambe in Boll. Trib. On-line.
(6) Può, infatti, derivare che il quantum della confisca sia determinato sull’ammontare dell’imposta accertata in base all’art. 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che ammette il ricorso a presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
(7) Cfr. Cass. n. 18374/2013, cit.; Cass. n. 11836/2013, cit.; Cass., sez. V pen., 17 gennaio 2012, n. 1843; e Cass., sez. III pen., 6 ottobre 2010, n. 35807; quest’ultime in Boll. Trib. On-line.
(8) Cfr. A. GIOVANNINI, Identità di oggetto dell’obbligazione d’imposta e della confisca nei reati di evasione, in Rass. trib., 2014, 1255.
(9) Cfr. T. TASSANI, La “nuova” confisca tributaria, in il fisco, 2015, 4130.
(10) Cfr. A. GIOVANNINI, op. cit., 1255.
(11) Cfr. Cass., sez. III pen., 10 gennaio 2013, n. 1256, e Cass., sez. III pen., 14 febbraio 2012, n. 5640, entrambe in Boll. Trib. On-line, secondo cui il giudice penale non risulta vincolato, nella determinazione del tributo evaso, all’imposta risultante a seguito dell’accertamento con adesione o del concordato fiscale.
(12) Cfr. sul punto anche Cass., sez. III pen., 12 luglio 2012, n. 46726, e Cass., sez. III pen., 24 luglio 2012, n. 30140, entrambe in Boll. Trib. On-line; in dottrina cfr. O. MAZZA, Il caso Unicredit al vaglio della Cassazione: il patrimonio dell’ente non è confiscabile per equivalente in caso di reati tributari commessi dagli amministratori a vantaggio della società, in www.penalecontemporaneo.it.; E. MUSCO – F. ARDITO, Diritto penale tributario, Bologna, 2010; e L. DELLA RAGIONE, La confisca per equivalente nel diritto penale tributario, in www.penalecontemporaneo.it., secondo cui «non avrebbe alcun senso l’applicazione della “sanzione” confisca dal momento che, tramite il versamento spontaneo dell’evasore ravveduto, è stato soddisfatto il credito erariale e, quindi, eliminata in radice l’offesa in precedenza arrecata agli interessi economici dello Stato».
(13) Cfr. Ufficio del Massimario e del Ruolo della Cassazione penale (Relazione di orientamento di giurispudenza), cit. in nota 2, par. 10.2; e Cass., sez. un. pen., 5 marzo 2014, n. 10561, in Boll. Trib. On-line; mentre in dottrina cfr. per tutti A. GIOVANNINI, op. cit., 1255.
(14) Cfr. T. TASSANI, op. cit.
(15) Cfr. T. TASSANI, op. cit.
(16) Cfr. Cass. n. 5640/2012, cit.; e Cass. n. 1256/2013, cit.
(17) Cfr. T. TASSANI, op. cit.
(18) Così M. DI SIENA, Doppio binario tra procedimenti tributario e penale: una metafora ferroviaria in crisi?, in il fisco, 2014, 4259.
Imposte e tasse – Sanzioni penali – Reati tributari – Confisca – Pagamento parziale o rateale del debito tributario – Non è sufficiente per evitare la misura ablatoria.
Imposte e tasse – Sanzioni penali – Reati tributari – Confisca – Pagamento integrale dell’imposta evasa – Comporta il venire meno del profitto del reato – Applicazione della confisca – Esclusione.
Imposte e tasse – Sanzioni penali – Reati tributari – Confisca – Ammissione dell’imputato alla rateazione del debito tributario – Effetto novativo – Limiti – Permanenza dell’elemento oggettivo del reato – Sussiste – Confisca per equivalente – Applicabilità.
Imposte e tasse – Sanzioni penali – Reati tributari – Confisca – Ammissione dell’imputato alla rateazione del debito tributario – Confisca per gli importi non ancora corrisposti – Applicabilità.
Solo l’integrale pagamento del debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso, può condurre alla non operatività della confisca penale e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fine, essendo invece insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo.
In virtù del fatto che il profitto suscettibile di confisca penale corrisponde all’ammontare dell’imposta evasa, col pagamento viene meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio, ovvero, in sostanza, la stessa ragione giustificatrice della confisca, da rinvenirsi proprio nella necessità di evitare che il conseguimento dell’indebito profitto del reato si consolidi in capo al reo; né dalla natura sanzionatoria della confisca per equivalente può discendere la conclusione che essa debba sempre e comunque trovare applicazione (nel caso di accertamento della responsabilità), anche quando l’indagato abbia provveduto a sanare il suo debito verso l’erario, giacché con l’adempimento, sia pure tardivo, dell’obbligazione tributaria, viene meno quel profitto del reato che la misura ablatoria è destinata ad aggredire.
Per quanto sia stato affermato che l’ammissione alla rateazione dei debiti tributari, rimodulando la scadenza dei debiti stessi e differendone l’esigibilità, dovrebbe implicare la sostituzione dell’originaria obbligazione a seguito dell’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio secondo i canoni della novazione oggettiva di cui agli artt. 1230 e seguenti c.c., tuttavia detta novazione non può certo comportare che le omissioni obiettivamente poste in essere dall’imputato vengano ad essere private di rilevanza penale, non potendo l’elemento oggettivo del reato, irreversibilmente perfezionatosi alle scadenze originariamente previste e non rispettate, venire meno per effetto di un provvedimento che, pur avendo effetto novativo sul piano civilistico, non può certo vanificare ex tunc il disvalore penale del fatto e, conseguentemente, la sanzione rappresentata dalla confisca per equivalente.
Anche in presenza di un piano rateale di pagamento del debito tributario la confisca penale continua ad essere consentita per gli importi che non siano stati ancora corrisposti, così continuando ad essere consentito anche il sequestro a tale confisca finalizzato.
[Corte di Cassazione, sez. III pen. (Pres. Fiale, rel. Andreazza), 11 febbraio 2016, sent. n. 5728]
RITENUTO IN FATTO – 1. O.F. ha proposto ricorso nei confronti dell’ordinanza del 14/07/15 con cui il Tribunale di Fermo, in parziale accoglimento di istanza di riesame, disponeva che il decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal G.i.p. dello stesso Tribunale per il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione al mancato versamento, quale legale rappresentante della M. S.p.a., delle ritenute alla fonte e degli emolumenti per l’anno d’imposta 2013, venisse eseguito su beni del valore complessivo di euro 362.810,32 in luogo degli originari euro 409.969,72 confermando per il resto l’impugnato decreto.
2. Lamenta con un unico motivo la violazione degli artt. 321 e 322-ter c.p.p., e 1, comma 143, l. n. 244 del 2007 alla luce della intervenuta rateizzazione del debito erariale. Deduce infatti, dopo avere premesso che la M. S.p.a. ha provveduto al versamento delle prime due rate previste dal dilazionamento previsto dalla Agenzia delle Entrate, che il carattere sanzionatorio della confisca per equivalente comporta che col versamento dell’imposta evasa viene meno la funzione sanzionatoria della confisca di valore sì che una volta che vi sia stato pagamento del debito tributario anche nelle sole forme delle speciali procedure conciliative previste dall’ordinamento fiscale o dell’adesione all’accertamento così come previsto del resto, con riguardo a circostanza attenuante e pene accessorie, dall’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, la confisca ed il sequestro non possono più operare (come deriverebbe del resto anche dalla necessità di tenere conto della possibilità di osservare in caso di reati tributari le disposizioni dell’art. 322-ter c.p. “solo ove applicabili”). Quanto poi alla rateizzazione del debito d’imposta, la stessa comporta la sostituzione del debito tributario originario con uno diverso, conseguendone un effetto novativo non dissimile da quello originato dall’accoglimento della domanda di condono, come anche statuito da Cass. civ., n. 16984 del 2012 (1) e dal Consiglio di Stato in adunanza plenaria n. 15 del 5/6/2013, confermativa delle sentenze n. 15 n. 1633 del 22/3/2013 e n. 6084 del 18/11/2012.
Nella specie, dunque, stante l’avvenuta ammissione alla rateazione del debito erariale tra l’aprile ed il maggio del 2014, ovvero prima dell’emissione del decreto di sequestro preventivo, deve ritenersi che fossero insussistenti ab origine i presupposti della misura cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO – 3. Il ricorso è infondato.
È incontroverso che, nella specie, a seguito dell’ammissione della M. S.p.a. alla rateizzazione dell’importo dovuto per omesso versamento delle ritenute d’acconto, sia stato versato, a titolo di prime tre rate, una complessiva somma di euro 47.159,04 tanto che il Tribunale del riesame ha corrispondentemente ridotto l’importo assoggettato a sequestro sino alla somma di euro 362.810,32 pari alla differenza tra il debito originario e la somma versata con ciò facendo corretta applicazione dei principi sul punto affermati in più occasioni da questa Corte.
Infatti, anche da ultimo, si è ribadito che solo l’integrale pagamento del debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso, può condurre alla non operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fine, essendo invece insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 5681 del 27/11/2013 (2), Crocco, Rv. 258691).
Si è più precisamente sottolineato, a tale riguardo, che, in virtù del fatto che il profitto suscettibile di confisca corrisponde all’ammontare dell’imposta evasa, col pagamento viene meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio, ovvero, in sostanza, la stessa ragione giustificatrice della confisca, da rinvenirsi proprio nella necessità di evitare che il conseguimento dell’indebito profitto del reato si consolidi in capo al reo; né dalla natura sanzionatoria della confisca per equivalente può discendere la conclusione che essa debba sempre e comunque trovare applicazione (nel caso di accertamento della responsabilità), anche quando l’indagato abbia provveduto a sanare il suo debito verso l’erario giacché con l’adempimento, sia pure tardivo, dell’obbligazione tributaria, viene meno quel profitto del reato che la misura ablatoria è destinata ad aggredire.
È per tal ragione, pertanto, che il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca, nonostante l’intervenuta sanatoria fiscale, darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato (Sez. 3, n. 46726 del 12/7/2012 (3), Lanzalone, Rv. 253851; Sez. 6, 17.3.09 n. 26176, Sez. 23.11.2010 n. 45504).
Allo stesso tempo, però, come già precisato in inizio, proprio in virtù della necessaria corrispondenza tra pagamento del debito ed elisione del profitto, solo l’integrale pagamento può condurre alla inoperatività in toto della confisca per equivalente e, corrispondentemente, del sequestro ad essa finalizzato.
Di qui, dunque, da un lato, la legittimità dell’ordinanza impugnata che, come già detto, ha correttamente applicato i principi appena ricordati e, dall’altro, la infondatezza degli assunti difensivi volti nella sostanza a rimettere in discussione questi stessi principi sulla base di assunti tuttavia inconferenti rispetto alla ratio che ha condotto questa Corte ad una siffatta elaborazione.
Se, infatti, da un lato, la sottolineata natura di sanzione “accessoria” della confisca per equivalente non può condurre a conclusioni contrarie a quanto appena ricordato ma è anzi, come detto, il presupposto logico da cui le pronunce di questa Corte hanno mosso in vista della necessità di evitare duplicazioni afflittive, dall’altro, la invocata “novazione” della obbligazione tributaria che, secondo la ricorrente, confortata da pronunce della giurisprudenza civile ed amministrativa, deriverebbe dall’ammissione al piano rateale non può che restare rilevante ai soli fini tributari. Infatti, è ben vero che si è affermato come l’ammissione alla rateizzazione, rimodulando la scadenza dei debiti e differendone l’esigibilità, dovrebbe implicare la sostituzione dell’originaria obbligazione a seguito dell’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio secondo i canoni della novazione oggettiva di cui all’art. 1230 e ss. c.c. (cfr. Consiglio di Stato in adunanza plenaria n. 15 del 5/6/2013; Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 1633 del 22/3/2013; Consiglio di Stato, Sez. 5, n. 6084 del 18/11/2011); e tuttavia, come già affermato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 32598 del 16/5/2014, P.G. contro Guercio, non massimata, sia pure in tema di contributi previdenziali), detta novazione non può certo comportare che le omissioni obiettivamente poste in essere dall’imputato vengano ad essere private di rilevanza penale, non potendo l’elemento oggettivo del reato, irreversibilmente perfezionatosi alle scadenze originariamente previste e non rispettate, venire meno per effetto di un provvedimento che, pur avendo effetto novativo sul piano civilistico, non può certo vanificare ex tunc il disvalore penale del fatto e, conseguentemente, la sanzione nella specie rappresentata dalla confisca per equivalente.
4. Né a conclusioni diverse rispetto agli approdi giurisprudenziali di questa Corte già ricordati potrebbe giungersi per effetto delle modifiche intervenute in punto di confisca per equivalente, ove ritenute suscettibili di applicazione anche ai sequestri già in essere, a seguito della recente introduzione del d.lgs. n. 158 del 2015, entrato in vigore il 22/9/2015.
Tale intervento normativo è stato caratterizzato sotto un primo, generale, profilo, reso necessario da una più coerente collocazione, dalla abrogazione della previsione dell’art. 1 comma 143, della l. 24/12/2007, n. 244 e dalla sua pressochè integrale riproposizione all’interno del novellato art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 secondo cui, infatti, al comma 1, “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca dei beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”.
Sotto un secondo profilo, poi, il legislatore del 2015 ha precisato, al comma 2 dell’art. 12-bis cit., che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, aggiungendosi, subito dopo, che “nel caso di versamento la confisca è sempre disposta”.
È in particolare tale disposizione, proprio laddove la stessa appare contemplare la “non operatività” della confisca in caso di “impegno” a versare all’erario il debito d’imposta formatosi a seguito dell’evasione, che potrebbe far ritenere, a prima vista, non più sostenibile l’approdo giurisprudenziale rammentato in particolare, per quanto qui rilevante, in punto di sequestro; ma così, ad avviso del Collegio, non può ritenersi.
Un primo chiarimento si impone a proposito della nozione di “impegno”: la dizione, con tutta evidenza atecnica, utilizzata dalla norma, potrebbe suggerire come sufficiente ai fini dell’esclusione della confisca (nei termini di cui subito dopo si dirà) la mera esternazione unilaterale del proposito di adempiere al pagamento svincolata da ogni scadenza e da ogni obbligo formale nei confronti della controparte; ma una tale conclusione condurrebbe a far dipendere la operatività della sanzione, in contrasto con i criteri di logicità e ragionevolezza che devono sempre presiedere all’operazione interpretativa, e in maniera tale da condurre ad una sostanziale neutralizzazione generalizzata dell’istituto, da propositi unilaterali e per di più sforniti di ogni sanzione in caso di mancato rispetto dell’impegno assunto.
È per tale motivo, dunque, che non può non privilegiarsi una possibile seconda opzione interpretativa, ovvero quella volta a circoscrivere l’area di applicabilità della previsione ai soli casi di un obbligo assunto in maniera formale e nei quali non potrebbe non rientrare l’ipotesi di specie di un accordo per il pagamento rateale del debito d’imposta intervenuto con l’Agenzia delle Entrate.
Ciò che, tuttavia, escluderebbe che, nella specie, si possa giungere, come invocato dalla ricorrente, all’obliterazione del sequestro operato riposa, a ben vedere, nel secondo aspetto della norma analizzata, laddove cioè la stessa ammette che la confisca “non operi”, così letteralmente recitando il testo, pur “in presenza di sequestro”: ora, escluso per evidenti ragioni discendenti dalla necessità di attribuzione di un senso logico alla norma, che il legislatore abbia inteso costruire una disposizione intrinsecamente contraddittoria, ammettendo da un lato il sequestro e tuttavia, dall’altro, negando la ragione dello stesso posto che la confisca in vista della quale il sequestro ex art. 321, comma 2, c.p.p. sarebbe disposto non potrebbe essere adottata, deve necessariamente ritenersi che la locuzione “non opera” non significa affatto che la confisca, a fronte dell’accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata ma che la stessa non divenga, più semplicemente, efficace con riguardo alla parte “coperta” da tale impegno salvo ad essere “disposta”, come recita il comma 2 dell’art. 12-bis cit., allorquando l’impegno non venga rispettato e il versamento “promesso” non si verifichi; e proprio tale ultima previsione finale pare, anzi, dimostrare che la funzione del sequestro, pur a fronte di impegno a versare in toto la somma dovuta, sarebbe proprio quella di garantire l’efficacia della confisca una volta constatato l’eventuale inadempimento di quanto in precedenza promesso.
Da tutto ciò esposto, dunque, deriva che, anche in presenza di piano rateale di versamento, la confisca continua ad essere consentita per gli importi che non siano stati ancora corrisposti così continuando ad essere consentito anche il sequestro a detta confisca finalizzato.
5. In definitiva, dunque, il ricorso, infondato, va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M. – Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
(1) Cass. 5 ottobre 2012, n. 16984, in Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib. On-line.