1. Premesse della problematica e cenni sulla soluzione espressa dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea
La Corte di Giustizia europea, con il responso del 7 aprile 2016 reso nella causa C-546/14, ha trattato lo spinoso argomento della falcidiabilità (o meno) del debito per l’IVA nell’ambito di una procedura di concordato preventivo estranea alla transazione fiscale, giungendo ad una conclusione, sostanzialmente affermativa, che indica l’insussistenza di conflitti della normativa nazionale con le direttive comunitarie e che, quindi, non esclude la possibilità del pagamento parziale del debito accumulato dal contribuente intorno a tal tipo di imposta ed in tale fattispecie. La questione incide sostanzialmente il rapporto tra gli artt. 160, secondo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), 182-ter della medesima fonte e 2778 c.c., laddove la prima disposizione prevede il pagamento parziale dei crediti privilegiati (purché in misura non inferiore a quella realizzabile con la procedura fallimentare), mentre la seconda indica la possibilità della sola dilazione dell’intera IVA. La norma civilistica ex art. 2278 c.c. costituisce una ulteriore complicanza poiché colloca al diciannovesimo posto, nella graduazione del concorso, il credito per l’IVA.
In dottrina ed in giurisprudenza da tempo si discuteva se il credito per l’IVA fosse assistito da una sorta di “superprivilegio” di valenza generale o se fosse, invece, limitato al solo caso dell’utilizzo della transazione fiscale; la questione veniva devoluta alla soluzione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea da una ordinanza di rimessione, per questioni pregiudiziali interpretative ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), nella versione consolidata in GUCE C-326 del 26 ottobre 2012, emessa dal Tribunale di Udine (1) al fine di richiedere di accertare se i principi e le norme contenuti nell’art. 4, par. 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), nella medesima versione consolidata, e negli artt. 250 e 273 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio europeo dovessero essere interpretati nel senso di rendere incompatibile una normativa interna (gli artt. 160 e 182-ter della legge fallimentare italiana) indirizzata ad ammettere una proposta di concordato preventivo basata, in riferimento alla liquidazione del patrimonio del debitore e senza l’utilizzo dello strumento della transazione fiscale, sul pagamento soltanto parziale del debito per l’IVA, per un importo maggiore a quello ottenibile in caso di liquidazione fallimentare.
Nella causa C-546/14 la Corte di Giustizia dell’Unione europea non ha tuttavia sancito la indiscriminata possibilità di falcidia dell’IVA, subordinando la legittimità delle proposte di concordato, contenenti previsioni di pagamento parziale del debito per l’IVA, alla medesima condizione già prevista dalla normativa fallimentare; infatti, ai fini dell’omologazione del concordato preventivo occorrerà, d’ora in avanti, l’attestazione – da parte di un esperto indipendente – di un trattamento deteriore del relativo credito nell’ambito, alternativo allo stesso concordato preventivo, della procedura fallimentare.
2. Dottrina, giurisprudenza e prassi: il quadro pregresso
La Corte di Lussemburgo – che, tra l’altro, perviene ad una soluzione sostanzialmente anticipata dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere (2) – ha così emesso una pronuncia che si contrappone all’indirizzo raggiunto dalla Corte Costituzionale (3), nonché dalla giurisprudenza maggioritaria (4) e alle conclusioni univoche dei documenti di prassi emessi dall’Agenzia delle entrate (5), che non ammettevano la falcidia de qua attribuendo al regime di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare un carattere sostanziale e di generale applicazione, con l’ulteriore precisazione (6) che la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento al trattamento del credito per l’IVA dovesse intendersi come condizione di ammissibilità della proposta di concordato preventivo, a prescindere dalla presentazione o meno della domanda di transazione fiscale ai sensi del predetto art. 182-ter.
A seguito della pronuncia del giudice europeo, viene svilita la tesi secondo cui, nella procedura di concordato preventivo, l’erario non potrebbe rinunciare al pagamento integrale del credito per l’IVA in quanto tale imposta deve qualificarsi come risorsa propria dell’Unione europea; va, al riguardo, rammentato che in coerenza con tale tipo di interpretazione restrittiva si registrava un ampio consenso giurisprudenziale (7), moderato (dopo le prime oscillazioni giurisprudenziali) dal legislatore che integrava l’art. 182-ter della legge fallimentare consentendo per l’IVA la sola dilazione del pagamento così come introdotta dall’art. 32 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2) (8).
In tale contesto, non mancavano comunque prospettive diverse e, in particolare, assumeva una posizione “possibilista” larga parte della dottrina; veniva, fra l’altro, osservato che l’art. 182-ter della legge fallimentare esclude i soli tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, mentre la quota IVA, così come la c.d. “quarta risorsa” della quota del Prodotto Nazionale Lordo, assume rilievo come mero trasferimento finanziario (rispetto al quale la base di calcolo è convenzionale e macrofinanziaria) e non come tributo costituente risorsa propria dell’Unione europea (9).
A parte però le osservazioni formulate da gran parte della dottrina, il fronte dei pronostici che finivano con il manifestare un certo scetticismo sulla possibilità di una dichiarazione di apertura alla falcidia dell’IVA rimaneva, almeno inizialmente, molto nutrito; invero, l’ipotesi che la Corte di Giustizia dell’Unione europea potesse decretare l’intangibilità del credito per l’IVA, in funzione di una asserita natura di risorsa europea dell’imposta che impone allo Stato membro di garantirne l’integrale riscossione, veniva avanzata sulla scorta della esperienza maturata con le due pronunce della stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea (10) riguardanti la sanzione inflitta all’Italia per infrazione agli obblighi di cui alla Direttiva 2006/112/CE (artt. 2 e 193-273) per la rinuncia generalizzata e indiscriminata all’accertamento delle operazioni e alla riscossione dell’IVA per effetto delle disposizioni recate dagli artt. 8 e 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che regolavano la dichiarazione integrativa e la definizione automatica di annualità pregresse.
Il caso di specie, che ha offerto poi lo spunto per lo scrutinio da parte della Corte del Lussemburgo, consisteva in una proposta di concordato, presentata senza prevedere la transazione fiscale di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare (norma che consente solo la dilazione del pagamento del debito per l’IVA), ma corredata da una relazione giurata di un professionista indipendente ex art. 160, secondo comma, della medesima legge fallimentare, attestante il trattamento deteriore in ipotesi di fallimento e la necessaria degradazione dei creditori privilegiati, compresi i crediti erariali per l’IVA (11).
Ebbene, il segnale di un esito diverso da quello prospettato giungeva però dalle conclusioni rilasciate, proprio nel giudizio rimesso alla Corte comunitaria, dall’Avvocato Generale (Eleanor Sharpston), con le quali si argomentava che il sistema comune dell’IVA non impone agli stessi Stati membri di accordare ai crediti per l’IVA un trattamento preferenziale rispetto alle altre categorie di crediti e che al sistema comune dell’IVA non ostano norme nazionali che consentano ad uno Stato membro di accettare un pagamento parziale del debito per l’IVA da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria.
3. Il contenuto sostanziale della decisione
La comprensibile attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea trovava così il suo epilogo con l’ammissione di un pagamento parziale del credito per l’IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, che è una fattispecie diversa da quella relativa alle già citate cause C-174/07 e C-132/06 (10), poiché non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA e quindi non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’imposta nel loro territorio e la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione europea. Per giungere a questa conclusione, l’organo decidente ha preliminarmente rimarcato che in materia di riscossione dell’IVA e delle risorse proprie dell’Unione europea gli Stati incontrano un limite nella necessità di assicurarne l’effettività senza l’introduzione di differenze significative tra i contribuenti, dovendosi interpretare la direttiva comunitaria sull’IVA secondo i canoni, e in conformità, del principio di neutralità fiscale, cioè dovendosi rispettare il fatto che gli operatori economici che effettuano operazioni uguali non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell’IVA. In altre parole, l’applicazione di una aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati garantisce e costituisce quelle entrate che rappresentano le risorse proprie dell’Unione europea, e in tal modo si realizza un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA, così come assunto nel diritto della medesima Unione europea, e la relativa effettiva disponibilità delle corrispondenti risorse IVA, così come risultanti dal bilancio dell’Unione stessa.
La decisione nel caso C-546/14 di cui all’annotata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea fonda le sue considerazioni preliminari sulla rigorosità dei presupposti che sovrintendono all’applicabilità della procedura di concordato preventivo e al regime di garanzie che si indirizzano al recupero dei crediti privilegiati, compresi, quindi, quelli afferenti all’IVA; la Corte del Lussemburgo ha richiamato, infatti, il contenuto dell’art. 160, secondo comma, della legge fallimentare, secondo cui il pagamento parziale di un credito privilegiato può essere ammesso soltanto se un esperto indipendente – in possesso dei requisiti previsti dall’art. 67, terzo comma, lett. d), della stessa legge fallimentare – fornisca la formale attestazione che tale credito non appare suscettibile di un trattamento migliore nel caso di fallimento del debitore, in ragione della collocazione preferenziale, «avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione».
In particolare, il giudice europeo ha sottolineato come la proposta concordataria – essendo soggetta al voto di tutti i creditori ai quali il debitore non proponga un pagamento integrale del loro credito, ed essendo altresì soggetta all’approvazione dei creditori che rappresentino la maggioranza del totale dei crediti ammessi al voto – consenta all’Agenzia delle entrate (o all’agente della riscossione) di votare contro la proposta di pagamento parziale del credito per l’IVA (qualora non concordi con le determinazioni dell’esperto indipendente) e, successivamente, di opporsi all’omologazione della proposta, poiché nel caso di approvazione della proposta concordataria grazie alla maggioranza di cui all’art. 177 della legge fallimentare resta salva la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di opporsi all’omologazione da parte del Tribunale competente, qualora – diversamente da quanto contenuto nell’omologazione – il rappresentante erariale ritenga sussistente la possibilità di soddisfare il predetto credito tributario in misura superiore a quella indicata nella proposta di concordato preventivo per effetto delle alternative concretamente praticabili (art. 180, quarto comma, della legge fallimentare).
4. Le prossime attese
È inevitabile, a questo punto, verificare gli eventuali adeguamenti del legislatore e, in attesa di questi, della giurisprudenza.
La decisione della Corte di Cassazione che, per prima, ha menzionato la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea qui annotata è la sentenza n. 8804 del 4 maggio 2016 (13), riguardante l’inammissibilità di un ricorso proposto contro un decreto del Tribunale di Biella (14) che – vista la compressione del credito per l’IVA in violazione dell’ordine delle cause di prelazione e un limite allo stesso classamento del credito per l’IVA, ingiustificatamente escluso, unitamente all’inclusione in un’apposita classe, dall’accesso al voto per la parte non soddisfatta – aveva dichiarato inammissibile la proposta di concordato preventivo, con parziale cessione dei beni, avanzata da una società di capitali in liquidazione. Tale arresto ha sostanzialmente decretato l’impossibilità di escludere gli accessori dell’IVA, ovvero le sanzioni e gli interessi connessi al debito per l’IVA, nella transazione fiscale.
Nell’occasione, la Suprema Corte ha sottolineato le differenze tra il caso “Degano Trasporti S.a.s. di Ferruccio Degano & Co. in liquidazione” (cioè quello sul quale si fondava la decisione del giudice europeo), e quello trattato dal Collegio “nazionale” di legittimità, ove per alcuni crediti di natura tributaria quali i ricordati accessori dell’IVA (sanzioni e interessi), anch’essi assistiti da privilegio, non veniva invece «riportata alcuna previsione nella proposta, e cioè né nel programma del debitore (che ne ha fatto invece l’obiettivo di una mera rinuncia dell’Agenzia delle entrate ovvero del Concessionario), né nelle attestazioni del professionista di cui all’art. 161 l.f. (non riportate), realizzandosi un’omissione che non può fuoriuscire dal controllo del tribunale, come correttamente deciso, posto che, prima ancora che un debito a connotazione privilegiata, tale condotta aveva vulnerato la completezza della proposta e la corretta rappresentazione di un credito. Già il primo rilievo del giudice di merito va dunque condiviso, in punto di limite di ammissibilità della proposta ai sensi dell’art. 160, comma 2 l.f., ove la società S. s.r.l. non ha prefigurato un trattamento a siffatti crediti, neanche ipotizzandone un alternativo statuto non prelatizio mediante integrazione di essi in una delle classi pur merceologicamente raccolte attorno ai creditori non finanziari».
Nel contempo, i Supremi Giudici hanno anche spiegato come sia irrilevante il fatto della contestazione dei crediti per l’IVA, poiché rimane necessario «il loro doveroso inserimento in una delle classi omogenee previste dalla proposta, ovvero in apposita classe ad essi riservata, assolvendo tale adempimento, ricadente sul debitore ed oggetto di controllo critico sulla regolarità della procedura quale assolto direttamente dal tribunale, ad una fondamentale esigenza di informazione dell’intero ceto creditorio: da un lato, infatti, tale omissione pregiudicherebbe gli interessi di coloro che al momento non dispongono ancora dell’accertamento definitivo dei propri diritti (ma che possono essere ammessi al voto, ex art. 176 l.f., con previsione di specifico trattamento per l’ipotesi che le pretese siano confermate o modificate in sede giurisdizionale) e, dall’altro, essa altererebbe le previsioni del piano di soddisfacimento degli altri creditori certi, non consentendo loro di esprimere valutazioni prognostiche corrette e di atteggiarsi in modo pienamente informato circa il proprio voto (Cass. 13284 e 13285/2012, in una fattispecie relativa a crediti erariali, relativi a proposta di transazione fiscale non oggetto di adesione nel concordato preventivo da parte del creditore)».
5. Conclusioni
Possiamo quindi chiudere le presenti riflessioni con le condivisibili parole tratte dalle “Conclusioni dell’Avvocato Generale” Eleanor Sharpston, presentate in data 14 gennaio 2016 alla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella causa decisa dall’annotata pronuncia, la quale ha sostenuto che «34. L’argomento che i crediti IVA debbano avere precedenza su tutti gli altri crediti per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione non trova alcun supporto nei principi [richiamati]. È vero che la libertà degli Stati membri nel garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi è limitata dall’obbligo di garantire l’effettiva riscossione delle risorse proprie dell’Unione, compresa l’IVA. Il sistema comune dell’IVA non impone tuttavia agli Stati membri di accordare ai crediti IVA un trattamento preferenziale su tutte le altre categorie di crediti. … 36. In talune circostanze, pertanto, uno Stato membro può ragionevolmente ritenere legittima la rinuncia al pagamento integrale di un credito IVA, purché siffatte circostanze siano eccezionali, puntuali e limitate e purché lo Stato membro non crei significative differenze nel modo in cui sono trattati i soggetti d’imposta nel loro insieme e, pertanto, non pregiudichi il principio di neutralità fiscale. 37. In tale contesto, gli Stati membri devono godere di un livello di flessibilità quanto alla riscossione dei crediti IVA quando – come nel procedimento principale – il soggetto passivo si trova in stato di difficoltà finanziaria. Detta situazione è specifica perché il patrimonio del soggetto passivo non è sufficiente a soddisfare tutti i creditori. In tali circostanze, poiché nel diritto dell’Unione non vi sono norme di armonizzazione relative al rango dei crediti IVA, gli Stati membri devono essere liberi di ritenere che altre categorie di crediti (quali gli stipendi o i contributi previdenziali – o, nel caso di soggetti passivi singoli –, gli alimenti) meritino una tutela maggiore. 38. Inoltre, una procedura come quella di cui trattasi nel procedimento principale è coerente con l’obbligo degli Stato membri di garantire l’effettiva riscossione delle risorse dell’Unione … 45. Sono pertanto del parere che la Corte debba risolvere come segue la questione sollevata dal Tribunale di Udine (Italia): né l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, né la direttiva 2006/12/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, … ostano a norme nazionali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, qualora tali norme debbano essere interpretate nel senso di consentire ad un’impresa in difficoltà finanziaria di effettuare un concordato preventivo che comporta la liquidazione del suo patrimonio senza offrire il pagamento integrale dei crediti IVA dello Stato, a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento e che il concordato sia omologato dal giudice».
In conclusione, l’orientamento che per numerosi anni ha attribuito al primo comma dell’art. 182-ter della legge fallimentare il rango di “norma inderogabile”, in quanto strumento di adeguamento del nostro ordinamento al «principio sovranazionale dell’intangibilità dell’IVA», si è alla fine rivelato del tutto infondato a fronte di un quadro normativo e giurisprudenziale che avrebbe consentito di ritenere che non vigesse, per ogni Stato membro, un «obbligo assoluto di riscossione integrale dell’IVA dovuta sul suo territorio», soprattutto alla luce dei numerosi altri “interessi comunitari”, espressamente contemplati dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sempre afferenti il complesso sistema delle imprese in costante evoluzione, tra i quali ricordiamo, per tutti, la piena occupazione, l’instaurazione di un mercato interno, l’incoraggiamento dello sviluppo sostenibile, la promozione della coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri, obbiettivi la cui tutela e il cui perseguimento non possono che avvenire in un’ottica d’insieme, integrata e globale, in linea quindi con l’interpretazione e con i principi enucleati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza sopra commentata, a cui va dunque riconosciuto il nostro pieno ed incondizionato consenso.
Avv. Antonino Russo
(1) Trib. Udine, ord. 28 novembre 2014, inedita.
(2) Cfr. Trib. Santa Maria Capua Vetere, decr. 17 febbraio 2016, in Boll. Trib., 2016, 789, con nota di A. RUSSO, Segni di apertura alla falcidia parziale dell’IVA nel concordato preventivo senza transazione fiscale.
(3) Corte Cost. 25 luglio 2014, n. 225, in Boll. Trib., 2014, 1344, con nota di S. LA ROCCA, Il concordato preventivo e la transazione fiscale: la Corte Costituzionale conferma l’inammissibilità della falcidia dell’IVA; in tale occasione la Consulta dichiarava la legittimità del combinato disposto degli artt. 160 e 182-ter della legge fallimentare, in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., rappresentando la carenza di potere del legislatore italiano di rinunciare, in casi singoli, all’accertamento e alla riscossione dell’IVA in presenza dei principi, sanciti a livello UE, dal sistema comune dell’IVA.
(4) Sanciva l’inderogabilità dell’art. 182-ter della legge fallimentare (e quindi l’obbligo di pagamento integrale dell’IVA) anche Cass., sez. III pen., 31 marzo 2016, n. 12912, in Boll. Trib. On-line; in precedenza, la Corte di Cassazione – con due sentenze “gemelle” del 2011 rese da Cass., sez. trib., 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932 (la prima in Boll. Trib., 2012, 618, e la seconda in Boll. Trib. On-line) – aveva indicato il carattere sostanziale del disposto di cui allo stesso art. 182-ter estendendo la portata dell’indisponibilità del credito per l’IVA anche ai casi di domanda di concordato senza transazione fiscale. Sempre in argomento, inoltre, cfr. Cass., sez. I, 25 giugno 2014, n. 14447, in Boll. Trib. On-line.
(5) Per tutte cfr. la circ. 18 aprile 2008, n. 40/E, in Boll. Trib., 2008, 748.
(6) Cfr. circ. 6 maggio 2015, n. 19/E, par. 2, in Boll. Trib., 2015, 766.
(7) Trib. Lamezia Terme 23 giugno 2008, in Dir. fall., 2009, 224; e Trib. Piacenza 3 luglio 2008, in Il fallimento, 2009, 66.
(8) Per l’esclusione della falcidia e la facoltà di sola dilazione del relativo pagamento, cfr. Cass., sez. trib., 16 maggio 2012, n. 7667, in Boll. Trib. On-line; Cass. n. 14447/2014, cit.; e Cass., sez. I, 13 ottobre 2015, n. 20559, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cfr. L. DEL FEDERICO – S. ARIATTI, Esdebitazione ed IVA: tra equivoci e vincoli europei, a margine dell’infalcidiabilità del tributo nel concordato preventivo, in Il fallimento, 2016, 448.
(10) Cfr. Corte Giust. CE, sez. grande, 17 luglio 2008, causa C-132/06, in Boll. Trib., 2008, 1389, con nota di F. BRIGHENTI, La Corte di Giustizia europea boccia il condono IVA, ma i contribuenti stiano tranquilli; e Corte Giust. CE, sez. V, 11 dicembre 2008, causa C-174/07, in Boll. Trib. On-line.
(11) In particolare il debitore proponeva di liquidare l’intero attivo sociale con lo scopo di pagare i propri creditori, con degradazione del credito privilegiato in chirografo a causa dell’insufficienza del patrimonio.
(12) Cfr. nota 8.
(13) In Boll. Trib. On-line.
(14) Trib. Biella, ord. 30 giugno 2010, inedita.
IVA – Procedure concorsuali – Concordato preventivo senza transazione fiscale – Falcidia del debito per l’IVA – Ammissibilità, qualora un esperto indipendente attesti che il credito per l’IVA non riceverebbe un trattamento migliore in caso di fallimento.
Imposte e tasse – Riscossione – Procedure concorsuali – Concordato preventivo senza transazione fiscale – Falcidia del debito per l’IVA – Ammissibilità, qualora un esperto indipendente attesti che il credito per l’IVA non riceverebbe un trattamento migliore in caso di fallimento.
IVA – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Proposta concordataria di pagamento parziale del debito per l’IVA da parte dell’imprenditore in stato di insolvenza – Ammissibilità, qualora un esperto indipendente attesti che il credito per l’IVA non riceverebbe un trattamento migliore in caso di fallimento.
Imposte e tasse – Riscossione – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Proposta concordataria di pagamento parziale del debito per l’IVA da parte dell’imprenditore in stato di insolvenza – Ammissibilità, qualora un esperto indipendente attesti che il credito per l’IVA non riceverebbe un trattamento migliore in caso di fallimento.
L’art. 4, par. 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), nella versione consolidata in GUCE C-326 del 26 ottobre 2012, nonché gli artt. 2, 250, par. 1, e 273 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’IVA, non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana di cui agli artt. 160, 162 e 182-ter del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito per l’IVA attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento.
[Corte di Giustizia UE, sez. II (Pres. Ilešič, rel. Jarašiūnas), sent. 7 aprile 2016, causa C-546/14, ric. Tribunale di Udine nel proc. Degano Trasporti di F.D. & C. s.a.s. in liquidazione]
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE e della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»).
2. Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una proposta di concordato preventivo presentata dalla Degano Trasporti S.a.s. di Ferruccio Degano & C., in liquidazione (in prosieguo: la «Degano Trasporti»), dinanzi al Tribunale di Udine (Italia).
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a), c) e d), della direttiva IVA, sono soggette all’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisca in quanto tale, nonché le importazioni di beni.
4. L’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva IVA dispone quanto segue:
«Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione IVA in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare, compresi, nella misura in cui sia necessario per la determinazione della base imponibile, l’importo complessivo delle operazioni relative a tale imposta e a tali detrazioni, nonché l’importo delle operazioni esenti».
5. Ai sensi dell’articolo 273, primo comma, della direttiva IVA:
«Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».
Diritto italiano
6. Il Regio Decreto del 16 marzo 1942, n. 267, recante «Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa» (GURI n. 81 del 6 aprile 1942), nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: la «legge fallimentare»), disciplina la procedura di concordato preventivo agli articoli 160 e seguenti.
7. Con tale procedura, che mira a evitare una dichiarazione di fallimento, l’imprenditore che si trovi in stato di crisi o di insolvenza propone ai suoi creditori di mettere a disposizione il proprio patrimonio al fine di rimborsare integralmente i crediti privilegiati e parzialmente i crediti chirografari. Il concordato preventivo può, tuttavia, prevedere un pagamento parziale di talune categorie di crediti privilegiati, purché un esperto indipendente attesti che questi ultimi non riceverebbero un trattamento migliore nel caso di fallimento dell’imprenditore.
8. La procedura di concordato preventivo, cui partecipa il Pubblico Ministero, è avviata su domanda dell’imprenditore dinanzi al giudice competente. Quest’ultimo si pronuncia anzitutto sulla ricevibilità della domanda, dopo aver verificato la sussistenza dei presupposti di legge per il concordato preventivo. In seguito, i creditori ai quali il debitore non proponga un pagamento integrale del rispettivo credito sono chiamati a votare la proposta di concordato preventivo, che deve essere approvata da tanti creditori che rappresentino la maggioranza del totale dei crediti dei creditori ammessi al voto. Se infine tale maggioranza è raggiunta, il tribunale – decise eventuali opposizioni di creditori dissenzienti e comunque verificati nuovamente i presupposti di legge – omologa il concordato preventivo. Il concordato preventivo così omologato è vincolante per tutti i creditori.
9. Peraltro, l’articolo 182-ter della legge fallimentare, intitolato «Transazione fiscale», prevede che, con il piano di cui all’articolo 160 di tale legge, il debitore possa proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea. Con riguardo, tuttavia, all’IVA e alle ritenute operate e non versate, la proposta del debitore può solo prevedere la dilazione del pagamento.
Procedimento principale e questione pregiudiziale
10. Il 22 maggio 2014, la Degano Trasporti ha presentato al giudice del rinvio una domanda di concordato preventivo. Trovandosi in stato di crisi, essa intende liquidare in tal modo il suo patrimonio, al fine di provvedere al pagamento integrale di taluni creditori privilegiati e al pagamento in percentuale dei creditori chirografari e di creditori privilegiati di grado inferiore, per i cui crediti sostiene che non vi sarebbe comunque capienza, neppure in caso di fallimento. Tra questi ultimi vi è un debito di IVA che la Degano Trasporti propone di pagare parzialmente, senza vincolare tale proposta alla conclusione di una transazione fiscale.
11. Dovendosi pronunciare in merito alla ricevibilità della domanda della Degano Trasporti, il giudice del rinvio rileva, in particolare, che l’articolo 182-ter della legge fallimentare pone il divieto di concordare, nell’ambito di una transazione fiscale, un pagamento parziale dei crediti dello Stato relativi all’IVA – ai quali la legge riconosce il rango di crediti privilegiati di grado 19° –, ammettendone soltanto un pagamento dilazionato nel tempo.
12. Esso precisa che, secondo la giurisprudenza della Corte suprema di cassazione (Italia), tale divieto – seppure posto dall’articolo 182-ter della legge fallimentare, che disciplina la transazione fiscale – vale in ogni caso e rimane inderogabile anche nell’ambito di una proposta di concordato preventivo. Tale interpretazione del diritto nazionale s’impone, secondo detto giudice, alla luce del diritto dell’Unione, in particolare dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE e della direttiva IVA, come interpretati nelle sentenze Commissione/Italia (C 132/06, EU:C:2008:412), Commissione/Italia (C 174/07, EU:C:2008:704) e Belvedere Costruzioni (C 500/10, EU:C:2012:186).
13. Il giudice del rinvio si domanda, tuttavia, se l’obbligo degli Stati membri di adottare tutte le misure legislative e amministrative necessarie a garantire il prelievo integrale dell’IVA, obbligo previsto dal diritto dell’Unione, impedisca effettivamente di ricorrere a una procedura concorsuale alternativa al fallimento, nel cui ambito l’imprenditore in stato di insolvenza liquidi tutto il proprio patrimonio per pagare i propri creditori e preveda pagamenti dei crediti IVA non deteriori rispetto all’ipotesi alternativa del fallimento.
14. Il Tribunale di Udine ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se i principi e le norme contenuti nell’[articolo] 4, paragrafo [3, TUE] e nella direttiva [IVA], così come già interpretati nelle sentenze della Corte [Commissione/Italia (C 132/06, EU:C:2008:412), Commissione/Italia (C 174/07, EU:C:2998:704) e Belvedere Costruzioni (C 500/10, EU:C:2012:186)], debbano essere altresì interpretati nel senso di rendere incompatibile una norma interna (e, quindi, per quanto riguarda il caso qui in decisione, un’interpretazione degli [articoli] 162 e 182-ter [della legge fallimentare]) tale per cui sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all’IVA, qualora non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito – sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente e all’esito del controllo formale del Tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare».
Sulla questione pregiudiziale
15. Dato che il giudice del rinvio precisa di sollevare il presente rinvio pregiudiziale in fase di valutazione della ricevibilità della domanda di cui è stato investito – sebbene la fase propriamente contenziosa della procedura di concordato preventivo abbia inizio solamente dopo l’approvazione di un siffatto concordato quando i creditori messi in minoranza possono proporre formale opposizione – occorre, in via preliminare, rilevare che tali elementi non ostano alla competenza della Corte a conoscere della presente domanda di rinvio pregiudiziale.
16. I giudici nazionali possono, infatti, adire la Corte se al loro cospetto pende una lite e se sono stati chiamati a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale (sentenze Grillo Star Fallimento, C 443/09, EU:C:2012:213, punto 21, nonché Torresi, C 58/13 e C 59/13, EU:C:2014:2088, punto 19), e la scelta del momento più idoneo per interrogare la Corte in via pregiudiziale è di loro esclusiva competenza (v., in tal senso, sentenze X, C 60/02, EU:C:2004:10, punto 28, e AGM-COS.MET, C 470/03, EU:C:2007:213, punto 45).
17. La Corte è quindi competente a conoscere della presente domanda di rinvio pregiudiziale, sebbene sia stata presentata dal giudice del rinvio in fase di esame non contraddittorio della ricevibilità della domanda di cui è stato investito, domanda diretta ad aprire una procedura di concordato preventivo che, come emerge dalle norme procedurali nazionali citate al punto 8 della presente sentenza, sfocia, se ricevibile, in una decisione di tipo giurisdizionale, adottata in presenza del Pubblico Ministero, dopo che il giudice abbia eventualmente statuito sulle opposizioni sollevate dai creditori messi in minoranza.
18. Con la sua questione il giudice del rinvio domanda, sostanzialmente, se l’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA ostino a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito IVA attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore in caso di proprio fallimento.
19. A tale riguardo occorre ricordare che dagli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA nonché dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE emerge che gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio (sentenze Commissione/Italia, C 132/06, EU:C:2008:412, punto 37; Belvedere Costruzioni, C 500/10, EU:C:2012:186, punto 20; Åkerberg Fransson, C 617/10, EU:C:2013:105, punto 25, e WebMindLicenses, C 419/14, EU:C:2015:832, punto 41).
20. Nell’ambito del sistema comune dell’IVA, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, al riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione (sentenze Commissione/Italia, C 132/06, EU:C:2008:412, punto 38, e Belvedere Costruzioni, C 500/10, EU:C:2012:186, punto 21).
21. Tale libertà è tuttavia limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme dei medesimi. La direttiva IVA deve essere interpretata in conformità al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA, in base al quale operatori economici che effettuino operazioni uguali non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell’IVA. Ogni azione degli Stati membri riguardante la riscossione dell’IVA deve rispettare tale principio (v., in tal senso, sentenze Commissione/Italia, C 132/06, EU:C:2008:412, punto 39; Commissione/Germania, C 539/09, EU:C:2011:733, punto 74, e Belvedere Costruzioni, C 500/10, EU:C:2012:186, punto 22).
22. Le risorse proprie dell’Unione comprendono, in particolare, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU L 163, pag. 17), le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione. Sussiste quindi un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, poiché qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde (sentenza Åkerberg Fransson, C 617/10, EU:C:2013:105, punto 26 nonché giurisprudenza ivi citata).
23. Alla luce di tali elementi occorre esaminare se l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo come prevista dalla normativa nazionale di cui al procedimento principale, sia contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione.
24. Al riguardo occorre constatare che, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 38 a 42 delle conclusioni, la procedura di concordato preventivo, come descritta dal giudice del rinvio ed esposta ai punti da 6 a 8 della presente sentenza, è soggetta a presupposti di applicazione rigorosi, allo scopo di offrire garanzie per quanto concerne, in particolare, il recupero dei crediti privilegiati e pertanto dei crediti IVA.
25. In tal senso, anzitutto, la procedura di concordato preventivo comporta che l’imprenditore in stato di insolvenza liquidi il suo intero patrimonio per saldare i propri debiti. Se tale patrimonio non è sufficiente a rimborsare tutti i crediti, il pagamento parziale di un credito privilegiato può essere ammesso solo se un esperto indipendente attesta che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di fallimento del debitore. La procedura di concordato preventivo appare quindi tale da consentire di accertare che, a causa dello stato di insolvenza dell’imprenditore, lo Stato membro interessato non possa recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore.
26. Inoltre, dato che la proposta di concordato preventivo è soggetta al voto di tutti i creditori ai quali il debitore non proponga un pagamento integrale del loro credito e che deve essere approvata da tanti creditori che rappresentino la maggioranza del totale dei crediti dei creditori ammessi al voto, la procedura di concordato preventivo offre allo Stato membro interessato la possibilità di votare contro una proposta di pagamento parziale di un credito IVA qualora, in particolare, non concordi con le conclusioni dell’esperto indipendente.
27. Infine, supponendo pure che, nonostante tale voto negativo, detta proposta sia adottata e che, di conseguenza, il concordato preventivo debba essere omologato dal giudice adito, dopo che quest’ultimo abbia eventualmente statuito sulle opposizioni sollevate dai creditori in disaccordo con la proposta di concordato, la procedura di concordato preventivo consente allo Stato membro interessato di contestare ulteriormente, mediante opposizione, un concordato che preveda un pagamento parziale di un credito IVA e a detto giudice di esercitare un controllo.
28. Tenuto conto di tali presupposti, l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo che, a differenza delle misure di cui trattasi nelle cause che hanno dato origine alle sentenze Commissione/Italia (C 132/06, EU:C:2008:412) e Commissione/Italia (C 174/07, EU:C:2008:704) cui fa riferimento il giudice del rinvio, non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA, non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione.
29. Di conseguenza occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito IVA attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento.
(Omissis).
PER QUESTI MOTIVI, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
L’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell’imposta sul valore aggiunto attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento.