1. La regola generale dell’inerenza, sulla quale è incentrata l’annotata sentenza, si presta ad essere esaminata da un duplice punto di vista, allo scopo di tenere conto ora del suo profilo strettamente giuridico (vale a dire “di diritto”), ora del suo profilo fattuale.
Riferire l’inerenza “al diritto” significa ragionare sulla curvatura della regola, vale a dire sulla sua consistenza o, se vogliamo, sulla sua declinazione. Significa, in altre parole, intercettare la norma e delimitarne il campo di operatività (1).
Da tale angolo visuale appartengono al diritto, e non al fatto, le affermazioni, oramai cristallizzate sul piano dottrinale e sul piano giurisprudenziale, secondo le quali l’inerenza esprime il collegamento tra l’operazione effettuata e il programma dell’impresa.
Non è richiesto che il costo sia indispensabile per lo svolgimento dell’attività. Ci si accontenta di qualcosa di meno. V’è invero inerenza quando il costo sia stato sostenuto, in termini più ampi, in funzione della realizzazione del programma economico, indipendentemente dal fatto che si tratti di attività già esercitata dall’imprenditore oppure di attività che quest’ultimo soggetto sta cercando di avviare (start up).
Il costo inerente non deve manifestare un puntuale collegamento con i ricavi o con altre componenti positive di reddito ascrivibili all’imprenditore e fiscalmente rilevanti, potendo reputarsi inerente anche il componente negativo che, a causa di errori di valutazione del mercato o nella programmazione dell’attività commerciale, si sia rivelato infruttuoso se non addirittura controproducente sul piano dei risultati economici. Il Lettore pensi a un cattivo affare caratterizzato dal pagamento di prezzi inadeguati rispetto al valore corrente dei beni o dei servizi acquisiti. Oppure pensi a una campagna pubblicitaria che, nell’urtare la sensibilità del pubblico (per motivi razziali, religiosi, sessuali e così via), abbia peggiorato l’immagine aziendale senza perciò assicurare, de plano, un incremento del fatturato e della redditività.
Con formula estremamente sintetica e sulla base di un ragionamento che abbiamo sviluppato anche in altra sede (2), si potrebbe affermare che i costi sono inerenti se sono sostenuti “per” l’impresa, non già “attraverso” l’impresa. Come avremo modo di dire tra poco, non basta registrare una fattura di acquisto per assicurarsi l’inerenza. A tale ultima regola è infatti assegnata la funzione di vagliare le operazioni contabilizzate, al fine di separare, come nella parabola del grano e della zizzania, quelle che presentano un radicamento nell’attività economica da quelle che, invece, rappresentano un mero impiego di redditi già formatisi.
La regola dell’inerenza è pertanto marcatamente connotata sul piano funzionale. È una regola che agisce come un setaccio il quale accoglie, in fondo al recipiente, le componenti negative di reddito: indipendentemente dalla struttura dell’imprenditore (ditta individuale o società; società o ente; società di persone o di capitali; società residente in Italia oppure all’estero), l’inerenza mira ad espungere dal procedimento di determinazione del reddito d’impresa quelle operazioni che, pur avendo dato origine ad indebitamenti o ad esborsi, sono estranee al programma operativo e declinano nel soddisfacimento di interessi personali. Tali interessi possono riguardare, di volta in volta, l’imprenditore, i soci, gli amministratori oppure soggetti che, rispetto ai primi, siano legati da rapporti di parentela, di coniugio, di affinità e finanche di amicizia. L’elenco non è, ovviamente, tassativo.
[-protetto-]
2. Come abbiamo poc’anzi rilevato, la regola generale dell’inerenza esprime anche una dimensione fattuale.
Stabilito, invero, che essa presuppone un legame tra un’operazione e un’attività economica, è evidente che tale regola dovrà essere calata sul caso concreto al fine di stabilire se, con riguardo alla fattispecie che si sta esaminando, il suddetto collegamento sussista.
Il lettore avrà già capito che «calare la regola sul caso concreto» significa svolgere un giudizio: il giudizio di inerenza, appunto, che è un giudizio sul fatto.
Si tratta di stabilire se, con riferimento a questo o a quell’imprenditore, il costo di cui si sta discutendo possa dirsi proiettato sull’attività economica o se esso rappresenti soltanto una modalità di impiego della ricchezza che, mercé l’esercizio dell’impresa, si sia incapsulata nel patrimonio aziendale. Detto altrimenti, il giudizio di inerenza impone di stabilire, caso per caso, se un determinato componente negativo attenga per davvero all’attività oppure se, attraverso quel costo, non si stiano in verità soddisfacendo interessi personali del management, dei soci o di altri soggetti ad essi collegati. Per tale ragione, la questione dell’inerenza non si pone con riguardo al pagamento dei dividendi oppure riguardo al pagamento dell’IRPEF o dell’IRES, dato che tali operazioni comportano il versamento ai finanziatori (soci) o all’ente impositore (Stato) di una quota della ricchezza incorporata nel reddito (3). In breve, si tratta di operazioni che, pur caratterizzate da un’uscita monetaria e da un conseguente depauperamento del patrimonio aziendale, non servono a produrre ricchezza e rappresentano, per converso, meri atti di erogazione di redditi già formatisi per effetto dello svolgimento dell’attività economica. In conclusione, si tratta di operazioni che, rispetto alla rilevazione della ricchezza, intervengono ex post, non ex ante.
Il giudizio di inerenza è, talvolta, assai rapido, se non addirittura impercettibile.
Ci riferiamo alle situazioni nelle quali i beni o i servizi acquistati possono reputarsi, per le loro caratteristiche, immediatamente e inequivocabilmente riferibili al programma imprenditoriale, senza richiedere, in detta prospettiva, particolari indagini da parte dell’imprenditore o da parte dell’amministrazione finanziaria.
È naturale, per esempio, che un costruttore di automobili acquisti acciaio, gomma, plastica e attrezzature industriali da impiegare nella fabbricazione dei beni-merce. È del pari naturale che un commerciante di carne e di salumi si approvvigioni di capi di bestiame da mandare alla macellazione, oppure che un imprenditore dedito al trasporto di beni e di persone acquisti vettori (aerei, treni, autoveicoli) e sostenga, dipoi, le correlate spese di manutenzione dei mezzi. Nei casi qui sopra menzionati, i costi sono indispensabili per lo svolgimento dell’impresa. Qui non vi è ragione per dubitare dell’inerenza, a meno che non si dimostri che i volumi di acquisto sono abnormi rispetto alla struttura aziendale (4).
Tuttavia, quanto più la spesa sostenuta si presenta disallineata, sul piano economico-funzionale, rispetto all’oggetto dell’attività o, comunque, troppo generica, tanto maggiore è l’esigenza di verificare, caso per caso, se esista il collegamento tra la suddetta spesa e il programma imprenditoriale. In altre parole, qualora il costo non sia indispensabile ma soltanto “utile” all’esercizio dell’attività economica, è necessario un più intenso approfondimento circa il legame tra il citato costo e la suddetta attività. Tale approfondimento è a maggior ragione richiesto in presenza di costi in apparenza “superflui”. Per rimanere agli esempi sopra riportati, una consulenza resa al costruttore di automobili potrebbe di certo riferirsi ad uno o più aspetti del ciclo produttivo, ma potrebbe anche celare una prestazione di servizi richiesta dal suddetto imprenditore a titolo puramente personale, oppure a beneficio dei familiari o dei soci.
È agevole comprendere, a questo punto del nostro discorso, che l’indagine cui si è testé fatto riferimento e, in termini più ampi, quello che noi abbiamo chiamato “giudizio di inerenza”, non possa essere effettuato soltanto sulla base delle scritture contabili o dei documenti che hanno consentito, a monte, di effettuare le registrazioni concernenti l’acquisizione dei fattori produttivi.
Le fatture, i contratti e tutte le altre “pezze giustificative” sono semplici anelli di collegamento tra la realtà aziendale e la contabilità, perché nei libri obbligatori (segnatamente, nel libro giornale) non si registrano atti, fatti od operazioni economiche, bensì documenti. La contabilità ed il bilancio offrono una visione “cartolare” della realtà.
Le citate fatture ed i citati contratti, che costituiscono, per quanto sin qui rilevato, il punto di partenza per la tenuta delle scritture contabili, possono essere utili per dimostrare che, ad una certa data, l’imprenditore ha acquistato merci, macchinari, consulenze e così via. Attraverso le fatture o i contratti si possono altresì individuare le caratteristiche quali-quantitative dei beni acquisiti al patrimonio dell’imprenditore o dei servizi erogati a favore dell’azienda, in linea con quanto stabilito dall’art. 21 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Su di un punto, tuttavia, è necessario intendersi bene.
La prova dell’avvenuto acquisto non declina, da sola, in prova dell’inerenza. È necessario distinguere. Qualora ci si trovi al cospetto di beni indispensabili per lo svolgimento dell’attività economica, la fattura o il contratto potrebbero essere sufficienti per dimostrare il collegamento tra quella operazione e l’impresa. Qui l’inerenza sarebbe il risultato di una presunzione, come si evince, per l’appunto, dagli esempi riportati sopra, dove si è fatto riferimento all’acquisto di beni o di servizi dei quali l’imprenditore non può fare a meno.
Ma dove le presunzioni non arrivano, vale a dire in presenza di acquisti utili ma non necessari, dunque non immediatamente collegabili all’attività esercitata o da esercitare, dovranno entrare nel circuito dimostrativo ulteriori documenti volti a comprovare, in ragione della tipologia di costo del quale si discute: l’entrata in funzione dei beni; gli utilizzatori del bene o del servizio; le movimentazioni delle merci o delle attrezzature all’interno dell’azienda (per esempio, nel magazzino) o al di fuori di essa (per esempio, a fronte di contratti di deposito, di comodato, locazione e così via); l’avvenuta cessione dei beni; il concreto impiego dei beni strumentali o dei servizi (per esempio, attraverso tabulati, carte carburanti, fatture comprovanti gli interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria). Insomma, una serie di informazioni che, sommate ad altre informazioni, possono condurre al convincimento circa l’esistenza del legame tra costo ed attività.
In definitiva, si tratta di documentare una pluralità di situazioni, allo scopo di appurare se gli acquisti si trovino in posizione servente rispetto all’attività esercitata dall’imprenditore e a quest’ultima, per l’appunto, connessi.
Per rappresentare quest’ultimo concetto, i giudici milanesi hanno evocato il «vincolo di “pertinenzialità” fra il costo portato in deduzione e il reddito imponibile». Si sono serviti di una formulazione inadeguata per esprimere un’intuizione corretta: il concetto civilistico di pertinenza richiama, infatti, l’idea di cose poste al servizio di altre cose (artt. 817 e segg. c.c.), mentre l’inerenza evoca, in termini significativamente diversi, un’operazione che sia stata posta al servizio di un’attività.
3. Arriviamo così alla parte conclusiva del nostro breve ragionamento.
Da quanto sin qui esposto si evince come il giudizio di inerenza verta non già su di un singolo fatto (l’acquisto di un bene o l’acquisto di un servizio), né su di un singolo documento (una fattura oppure un contratto) rappresentativo di una spesa. Verte, invece, su di una pluralità di situazioni: si tratta invero di un giudizio sul ruolo svolto da determinati beni e servizi rispetto al programma imprenditoriale oltre che sul comportamento dell’imprenditore quanto alle modalità di utilizzo dei citati beni e dei citati servizi. In altre parole, un giudizio che impone di declinare l’articolato argomentativo in senso cronologico, lungo l’asse di svolgimento del processo produttivo.
Tale schema di ragionamento è stato applicato anche nel caso affrontato dall’annotata sentenza, nel quale si trattava di stabilire se potesse o meno reputarsi inerente il costo sostenuto dalla società, sulla base di contratti stipulati in forma scritta, al fine di garantire ai propri amministratori le più efficaci e riservate condizioni di trasporto.
Dal nostro punto di vista, ed anche in considerazione di quanto affermato sopra a proposito della vicinanza tra tipologia della spesa e oggetto dell’attività, i contratti in questione potevano senz’altro reputarsi utili per lo svolgimento dell’impresa. “Utili”, abbiamo detto, ma non “indispensabili” o “necessari” (in modo provocatorio, potremmo qui osservare che il nostro Papa si sposta con un’utilitaria e che il Presidente del Consiglio si serve, non di rado, di mezzi di linea).
È ravvisabile una concreta utilità perché quei contratti avrebbero consentito agli amministratori di spostarsi in modo più rapido, di incrementare la propria efficienza e, de plano, di irrobustire le perfomances aziendali (il lettore consideri – e tale aspetto non è sfuggito ai giudici milanesi – che stiamo parlando degli amministratori di una società di grandi dimensioni e di viaggi non programmabili con largo anticipo, talvolta concentrati in giornate non lavorative e/o in orari proibitivi).
C’era pertanto da aspettarsi che l’amministrazione finanziaria, trovandosi al cospetto di un costo utile ma – come rilevato – non strettamente necessario, avrebbe cercato di approfondire meglio i profili fattuali, adagiando il giudizio di inerenza sul caso concreto e investigando sia sui nominativi delle persone che avevano beneficiato dei voli, sia sull’elenco delle località raggiunte.
La metodologia operativa ci sembra corretta, ma richiede alcune puntualizzazioni.
Non basta dimostrare che il volo avrebbe interessato alcune località turistiche per negare l’inerenza del costo. Nemmeno è decisivo, al riguardo, sapere se l’amministratore era accompagnato e, in caso positivo, quali fossero i nominativi degli accompagnatori. Si ribadisce il concetto: l’inerenza non dipende dalla natura del componente negativo, ma dalla sua relazione con l’attività economica. Anche un volo presso località balneari o montane potrebbe reputarsi inerente se, tramite quel viaggio, l’amministratore abbia potuto esercitare la propria funzione. Non rileva il luogo di destinazione, bensì la ragione per la quale quella destinazione è stata raggiunta. Parimenti, una vacanza in compagnia dei propri cari potrebbe dare luogo a costi connessi all’attività economica, qualora si dimostri, ad esempio, che la presenza di persone non riconducibili al management non ha alterato il costo di trasporto e che il viaggio dell’amministratore rispondeva, in ogni caso, ad esigenze di servizio.
Nel caso esaminato dalla sentenza, dopo avere riscontrato l’impiego promiscuo dei velivoli e la mancata indicazione dei beneficiari del servizio (dato, quest’ultimo, peraltro non richiesto dal codice della navigazione), pare che l’agenzia delle entrate abbia ripreso a tassazione l’intera spesa sostenuta dalla società, ribaltando su quest’ultima il compito di dimostrare il legame tra quel componente negativo di reddito e l’attività economica esercitata. A tale riguardo, la sentenza conclude, con specifico riferimento ai voli effettuati verso «luoghi di vacanza», nel senso che «l’ufficio avrebbe potuto … riprendere a tassazione esclusivamente i costi relativi a tali specifici voli e non riprendere l’intero importo delle spese di viaggio in questione». Una statuizione, dunque, su ciò che il fisco avrebbe dovuto fare (ma che non ha fatto), con conseguente, pieno accoglimento dei ricorsi. Su tale aspetto rinviamo a quanto detto sopra, dove abbiamo sottolineato che l’inerenza non dipende dal luogo di destinazione dell’aereo o dell’elicottero, ma dall’attività che, una volta completato il viaggio, l’amministratore abbia svolto in quel luogo.
A ciò si aggiunga che, nell’inquadramento dell’intera vicenda, sembra non sia stato considerato un aspetto del rapporto contrattuale che avrebbe consentito di evitare la contestazione di indeducibilità. Ci riferiamo al fatto che, nel caso in esame, non esistono costi “specificamente” sostenuti per l’effettuazione dei voli verso località di vacanza.
Infatti, stando alla sentenza, alla società non erano stati per nulla addebitati, con criterio analitico, i costi per servizi di trasporto concretamente resi, bensì i canoni fronteggianti una situazione di mera disponibilità dei vettori (un aereo e un elicottero) indicati nell’accordo: ciò per tutta la durata del periodo d’imposta e per un monte-ore prestabilito. Detto altrimenti, nel caso esaminato dai giudici milanesi il componente negativo di reddito fronteggiava una situazione di potenziale utilizzo dei mezzi, non già il loro effettivo impiego. Per tale motivo, la sentenza dà atto del carattere «meramente programmatico» del contratto.
Emerge con particolare evidenza, in suddetto frangente, il relativismo del giudizio di inerenza e come tale giudizio non possa non essere profondamente influenzato dalle caratteristiche del caso concreto (5).
Stiamo dicendo che nella fattispecie in esame, contrariamente a quanto abbiamo affermato sopra, in termini generali, quanto alla conformazione della regola dell’inerenza, il giudizio potrebbe anche non svilupparsi lungo l’asse temporale di svolgimento dell’attività economica. Tale riscontro appare in effetti superfluo qualora il costo sia prestabilito nel suo ammontare e fronteggi, come detto, una situazione di mera disponibilità del servizio.
Anche il riferimento al “monte-ore” è importante: l’addebito in base alla durata del trasporto e non in base al numero dei passeggeri, infatti, consente di considerare inerenti i viaggi che gli amministratori abbiano effettuato unitamente ai propri congiunti.
Ne discende che, a nostro modo di vedere, in assenza di addebiti analitici, l’impiego di taluni voli per scopi non aziendali non poteva incrementare il costo sopportato dalla società, perché, all’interno del monte-ore fissato dal contratto, la dimensione del citato costo non dipendeva né dal numero dei viaggi effettuati né dalla loro durata. La società sarebbe stata obbligata a pagare il corrispettivo pattuito anche nell’ipotesi in cui, in ragione di modifiche apportate al programma imprenditoriale, il numero dei citati viaggi si fosse considerevolmente ridotto.
In conclusione, la previsione di un costo di trasporto fisso permette che l’impiego dei beni per scopi puramente aziendali possa coesistere con l’impiego di beni per ragioni personali, senza che, solo per ciò, difetti il requisito dell’inerenza.
Diversa sarebbe stata la situazione nella quale, in ragione del superamento del monte-ore stabilito dal contratto, le prestazioni aggiuntive fossero state analiticamente addebitate alla società. Ci saremmo trovati al cospetto non più di costi fissi, bensì di costi variabili sostenuti, in parte, per consentire agli amministratori l’effettuazione degli spostamenti rispondenti ad esigenze personali o familiari. In tale caso, la ripresa a tassazione dei costi aggiuntivi sostenuti per esigenze extra-imprenditoriali dei suddetti amministratori sarebbe stata sacrosanta.
Parimenti sacrosanto sarebbe stato il recupero a tassazione del costo emergente dal più volte richiamato contratto qualora fosse emersa la radicale inutilità del servizio di trasporto e l’intento di soddisfare, attraverso quel contratto, le sole esigenze personali degli amministratori. In tale caso, l’inutilità del costo avrebbe di certo potuto rappresentare un indizio circa il difetto di collegamento tra spesa sopportata e oggetto sociale (6). Non è tale, tuttavia, la situazione rappresentata nella sentenza, cosicché non si può che aderire, per quanto sin qui esposto, alla soluzione indicata dai giudici.
Peraltro, nell’abbracciare le conclusioni raggiunte dalla commissione milanese, a noi sembra che si debbano in toto rifiutare gli argomenti, che pure hanno trovato spazio nel pronunciamento, secondo i quali il problema dell’inerenza riguarderebbe «un primario gruppo societario» e che, nei confronti delle società coinvolte, i recuperi in esame rappresenterebbero «una quisquilia o cosa simile».
Quisquilia o non quisquilia, la regola di inerenza va applicata secondo lo schema che abbiamo cercato di rappresentare nella nostra nota. Schema, quest’ultimo, che impone di condurre il ragionamento non tanto sulle dimensioni del contribuente o sul rapporto tra ammontare del costo e fatturato, bensì sulla connessione tra il componente di reddito e l’attività esercitata.
Prof. Mauro Beghin
Ordinario di diritto tributario
nell’Università di Padova
(1) Sembra che, in dottrina, alcuni autori si siano avventurati alla ricerca della disposizione dalla quale scaturirebbe la regola dell’inerenza. Non sappiamo se l’abbiano rintracciata. Nel frattempo segnaliamo come codesta regola scaturisca, prima ancora che dalla legge, dalla nozione economica di reddito. Il reddito è, per sua natura, un elemento differenziale. Se parliamo di reddito d’impresa, il reddito nasce dalla contrapposizione tra i proventi derivanti dall’attività esercitata e i costi sopportati nel contesto di quella attività. Di tali aspetti si occupa anche la disciplina civilistico-contabile del bilancio la quale, come tutti sanno, è alla base del principio di derivazione del reddito d’impresa dal risultato del conto economico. Per farsi un’idea della questione qui esaminata si legga, per tutti, G. Zizzo, L’imposta sul reddito delle società, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale. Il sistema delle imposte in Italia, Padova, 2014, 447 ss.
(2) Ci sia consentito di rinviare, sul punto, a M. Beghin, Il reddito d’impresa, Padova, 2014, 47 ss.
(3) Così anche R. Lupi, La valutazione tributaristica della ricchezza nel prisma della determinazione differenziale, in A. Vignoli, La determinazione differenziale della ricchezza ai fini tributari, Roma, 2012.
(4) L’acquisto di quantità abnormi di beni potrebbe segnalare l’esistenza di operazioni estranee all’oggetto sociale. Operazioni, dunque, passate “attraverso” l’impresa, non già effettuate per lo svolgimento dell’attività economica. I quantitativi di acquisto abnormi potrebbero inoltre essere indicativi anche di operazioni inesistenti sulle quali, però, non ci soffermiamo nel presente scritto.
(5) A. Vignoli, La determinazione differenziale della ricchezza a fini tributari, cit., 114 ss.
(6) A. Vignoli, op. cit., 116.
IRES – Redditi di impresa – Spese e altri componenti negativi – Art. 109, quinto comma, del TUIR – Requisito dell’inerenza dei costi – Spese di viaggio per trasferte dei vertici e dirigenti aziendali mediante aeromobile – Deducibilità – Compete.
In tema di imposte sui redditi, affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere un’attività potenzialmente idonea a produrre utile, e le spese di inerenza, pur non concorrendo alla materiale produzione del bene o servizio, risultano comunque strumentali al funzionamento e alla conservazione dell’impresa stessa, di talché i corrispettivi pagati da una primaria società quotata in Borsa a società di trasporto a fronte dei contratti stipulati con queste ultime per l’effettuazione degli spostamenti via aeromobile da parte dei membri della sua alta direzione soddisfano i requisiti di inerenza e sono, pertanto, deducibili dal reddito di impresa a norma dell’art. 109, quinto comma, del TUIR, qualora adeguatamente documentati.
[Commissione trib. provinciale di Milano, sez. XL (Pres. Lapertosa, rel. Chiametti), 4 giugno 2012, sent. n. 153, ric. Pirelli e C. s.p.a. c. Agenzia delle entrate – Direzione regionale della Lombardia]
Con ricorso depositato il 29 aprile 2010, la società ricorrente (Pirelli & C. S.p.A.) si opponeva all’avviso di accertamento di cui sopra.
Buy cheap Viagra online
Tale atto, notificato il 16 novembre 2009, traeva origine dalla verifica effettuata dai verificatori della stessa Agenzia delle Entrate – Ufficio Grandi Contribuenti, avente ad oggetto il periodo di imposta 2004.
Detta verifica si concludeva il 19 dicembre 2007 con la redazione del P.V.C., sulla cui base veniva emesso l’avviso di accertamento qui impugnato, ai fini IRAP, oltre ad un altro accertamento emesso ai fini IRES.
Per tale motivo la società presentava anche istanza di assegnazione e riunione di procedimenti ex art. 29, D.Lgs. 546/1992.
In particolare, nell’atto qui impugnato, venivano contestate alla società le seguenti imposte:
1) Costi non documentati per €. 27.488,00.=
2) Costi non di competenza per €. 20.566,00.=
3) Costi non inerenti per €. 2.765.786,32.=
L’ufficio si costituiva in giudizio con controdeduzioni del 15 giugno 2010 e ribadiva la correttezza e la legittimità dell’atto emesso.
RILIEVI – 1) Costi non documentati per €. 27.488,00.» – Violazione dell’art. 109, D.P.R. 917/86 (TUIR)
(Omissis).
2) Costi non di competenza per €. 20.566,00.= – Violazione dell’art. 109, comma 1, D.P.R. 917/86 (TUIR)
(Omissis).
3) Costi non inerenti per €. 2.765.786,32.» – Violazione dell’art. 10», comma 5, D.P.R. 917/86 (TUIR)
Il rilievo in questione riguardava il conto n. 1491 denominato “Spese di viaggio”.
Con tale voce venivano contabilizzati gli spostamenti aerei effettuati dai dirigenti facenti parte della c.d. “Alta Direzione” della società ricorrente.
Nello specifico, la società aveva sottoscritto con due vettori addetti al trasporto aereo, due contratti di trasporto aereo di persone, uno con elicottero ed uno con aeromobile.
A seguito di ciò, la ricorrente poteva usufruire per 365 giorni all’anno di tali servizi, per un totale di ore prestabilito, e con la possibilità di sforare, versando però un importo fisso all’ora.
La somma prevista dal contratto veniva poi addebitata, al 50%, alla società Telecom Italia S.p.A., in quanto i soggetti che utilizzavano tale servizio (c.d. Alta Direzione) rivestivano le stesse cariche in entrambe le società.
Visto che le due società presentavano esigenze simili di mobilità, era necessario un servizio di trasporto aereo in comune.
Nell’avviso di accertamento l’Ufficio considerava, pertanto, non inerenti i costi di competenza della società ricorrente (€. 2.765.786,32=) in quanto non era stata prodotta, a suo dire, la documentazione idonea a comprovare che i viaggi erano stati effettuati effettivamente per esigenze lavorative dai componenti dell’Alta Direzione.
Contestava, infatti, l’assenza dei nominativi dei soggetti fruitori di tali prestazioni, sia nella documentazione extra contabile che nella relativa contrattualistica.
I verificatori, inoltre, avevano constatato che alcuni di tali voli erano diretti verso famose località turistiche italiane ed estere quali ad esempio: Olbia, Porto Cervo, Santorini, Kos, Portofino, ecc.
A parere dell’Ufficio, era dunque palese la mancata dimostrazione, da parte della società, dell’attinenza degli spostamenti in questione a specifiche e documentate esigenze d’impresa.
Conseguentemente, ai fini IRAP, ai sensi degli artt. 5 e 11-bis, del D.Lgs. 446/97, trattandosi di costi per servizi indebitamente dedotti dal valore della produzione netta, l’ufficio recuperava a tassazione l’importo di €. 2.765.786,32.=.
La società ricorrente si difendeva sostenendo, in primis, che non vi era nessuna norma che prevedeva l’obbligo di conservazione dell’elenco dei nominativi dei partecipanti ad ogni singolo volo.
Spiegava di avere dimostrato l’inerenza di detti costi mostrando ai verificatori l’elenco delle tratte percorse (luogo di partenza e di destinazione di detti spostamenti aerei), con documentazione allegata anche al presente ricorso.
Sosteneva, poi, che il sostenimento di detto costo non doveva porsi esclusivamente nei confronti del conseguimento del ricavo in un rapporto diretto e necessario di causa/effetto, ma era sufficiente, a suo dire, la correlazione di tale costo con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili.
La ricorrente spiegava inoltre che, dal momento che erano deducibili, in quanto inerenti, le c.d. spese generali (spese notarili, spese per assistenza amministrativa ed altro) erano sicuramente inerenti anche le suddette spese di trasporto aereo, per le quali vi erano appositi contratti con i vettori di trasporto.
Sottolineava, altresì, che a fronte di tali spese vi era anche un verbale del C.d.A. che deliberava l’approvazione di tali servizi per i membri dell’Alta Direzione.
La società ricorrente affermava pertanto di avere soddisfatto pienamente il requisito dell’inerenza e considerava quindi completamente deducibili detti costi.
L’ufficio, nelle proprie controdeduzioni, ribadiva il fatto che la documentazione giustificativa fornita dalla società non era stata ritenuta esaustiva in quanto non indicava i motivi degli spostamenti ed i nominativi dei soggetti che, in concreto, avevano usufruito dei servizi di trasporto aereo.
L’Ufficio sottolineava anche che i contratti sottoscritti con le due compagnie di trasporto avevano un contenuto meramente “programmatico” e necessario generico.
In merito poi all’inerenza, l’ufficio sosteneva che la dimostrazione della stessa del costo dedotto gravava sul contribuente.
La società eccepiva, inoltre, l’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 12, comma 5, Legge 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente), dal momento che la verifica fiscale si era protratta per un periodo superiore ai trenta giorni previsti per legge.
In conclusione, chiedeva l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato previa sospensione dell’esecutività dello stesso e della relativa cartella esattoriale, notificata alla società il 6 giugno 2010 e riportante l’importo di €. 73.000.= a titolo provvisorio.
L’Ufficio, in riferimento all’asserita violazione dell’art. 12 sopra citato, sosteneva che non vi era stata alcuna violazione in quanto esisteva l’autorizzazione alla proroga dei termini, da parte della Direzione Regionale della Lombardia, con l’indicazione dei motivi.
Pertanto, l’ufficio sosteneva che i verificatori avevano usufruito correttamente del periodo maggiorato di sessanta giorni.
(Omissis).
Con ricorso depositato il 5 luglio 2010, la società ricorrente, Pirelli S.p.a., in qualità di consolidata, contestava ed impugnava l’avviso di accertamento (di primo livello) in epigrafe, notificato il 16 novembre 2009 dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale della Lombardia – Ufficio Grandi Contribuenti ed avente ad oggetto, in relazione al periodo di imposta 2004, la rettifica della perdita dichiarata dalla società ai fini IRES, con conseguenti sanzioni.
L’atto impositivo de quo traeva origine dalla verifica fiscale effettuata dall’AdE, a seguito della quale veniva accertata, a’ sensi dell’art. 41-bis del D.P.R. 600/73, la maggiore imposta IRES “teorica” di €. 928.567,00.=, pari al 33% dei maggior imponibile accertato, pari a €. 2.813.841,00.=.
In particolare, con detto accertamento, l’ufficio accertava costi non documentati per €. 27.488,00.=; costi non di competenza per €. 20.566,00.= e costi non inerenti per €. 2.765.786,32.=.
Tali rilievi venivano pertanto contestati dalla società.
La ricorrente, pertanto, nel proprio ricorso eccepiva, in via preliminare, l’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 12, comma 5, Legge 212/2000 (Statuto del contribuente), causata dalla permanenza dei verificatori presso la sede della società per un periodo superiore i trenta giorni lavorativi previsti dalla normativa.
In secondo luogo, la società eccepiva l‘illegittimità dell’atto impugnato per violazione dell’art. 109, comma 5 del TUIR (costi non inerenti).
In riferimento al principale rilievo, riferito a costi non inerenti per €. 2.765.786.32.=, la Pirelli S.p.A. spiegava che tali spese erano rappresentate dai corrispettivi pagati dalla ricorrente alle società Air Corporate S.r.l. ed Eurofly Service S.p.A. a fronte dei contratti stipulati con queste ultime per l’effettuazione di spostamenti via aeromobile da parte dei membri della c.d. “Alta Direzione” della società.
Ribadiva, pertanto, come già spiegato ai verificatori, l’assoluta liceità della deducibilità di tali costi sostenuti per esigenze di rapidi spostamenti da parte dei vertici della società.
La ricorrente contestava, altresì, l’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 109 del TUIR, in riferimento ai presunti costi non documentati, riferiti all’acquisto di prodotti informatici.
Alla luce di quanto argomentato, la ricorrente chiedeva l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato.
Con controdeduzioni depositate il 15 giugno 2010, l’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio e contestava quanto esposto nel ricorso presentato dalla società; riteneva legittimo il proprio operato e chiedeva il rigetto del ricorso.
Riteneva del tutto infondate le motivazioni di controparte relativamente all’eccepito “sforamento” dei giorni lavorativi previsti per la verifica fiscale; sottolineava, a tal proposito, che era stata appositamente richiesta l’autorizzazione alla proroga dei termini di verifica, che poteva così usufruire di sessanta giorni complessivi.
Nel merito, l’ufficio ribadiva la non inerenza dei costi relativi ai contratti di trasporto aereo poiché la documentazione prodotta dalla parte non era stata ritenuta esaustiva in quanto non erano stati indicati i motivi degli spostamenti ed i nominativi dei soggetti che, in concreto, avevano usufruito dei servizi in questione.
Infine, in riferimento ai costi non documentati per €. 27.488,00.=, l’ufficio ribadiva che non essendo stati documentati gli elementi di certezza, determinabilità ed inerenza all’attività di impresa, i costi in questione dovevano ritenersi fiscalmente indeducibili.
Alla luce delle argomentazioni esposte, l’ufficio chiedeva il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto.
(Omissis).
Con ricorso depositato il 25 giugno 2010, la società ricorrente, Pirelli S.p.A., con il duplice ruolo di consolidante e di consolidata, contestava ed impugnava l’avviso di accertamento (di secondo livello) in epigrafe notificato il 29 dicembre 2009 dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale della Lombardia – Ufficio Grandi Contribuenti ed avente ad oggetto, in relazione al periodo di imposta 2004, la rettifica della perdita dichiarata ai fini IRES a livello consolidato, con conseguenti sanzioni.
La Pirelli S.p.A. esercitava, infatti, in qualità di consolidante, per l’anno 2004, l’opzione per la tassazione di gruppo ex art. 117 del TUIR, congiuntamente ad altre quattro società del Gruppo.
In riferimento allo stesso anno, l’ufficio, a seguito di verifica fiscale effettuata presso la ricorrente, provvedeva ad emettere, in capo a ciascuna società consolidata, un accertamento c.d. di primo livello, avente ad oggetto la rideterminazione del reddito di esercizio conseguito dalla singola società e trasferito poi in capo alla ricorrente, in qualità di consolidante, ai fini della determinazione della base imponibile consolidata complessiva.
Sulla base delle risultanze dei predetti avvisi di accertamento di primo livello, l’AdE notificava alla ricorrente, in qualità di consolidante, l’avviso di accertamento de quo, di c.d. secondo livello, rettificando, a’ sensi dell’art. 41-bis del D.P.R. 600/73, la perdita complessiva dichiarata nel modello CNM/2005, pari ad €. 169.926.594,00.=, in €. 167.112.753,00. determinando una variazione contabile di €. 2.813.841,00.=, da cui scaturiva una maggiore imposta IRES “teorica” di 928.567,00 = (pari al 33% di €. 2.813.841,00.=).
Gli avvisi di accertamento di primo livello, emesso nei confronti delle consolidate, assumevano carattere di definitività per effetto del perfezionamento di procedure di accertamento con adesione, ad eccezione di quello emesso nei confronti della stessa Pirelli S.p.A., in qualità di società consolidata (n. …, c.d. di primo grado) In riferimento a tale atto, infatti, i rilievi ivi contenuti non assumevano carattere di definitività.
In particolare, con detto accertamento, l’ufficio accertava costi non documentati per €. 27.488,00.= costi non di competenza per €. 20.566,00.= e costi non inerenti per 2.765.786,32.=
Tali rilievi, essendo stati integralmente recepiti nell’accertamento di secondo livello qui impugnato, venivano pertanto contestati dalla società.
La ricorrente, pertanto, nel proprio ricorso eccepiva, in via preliminare, l’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art 12, comma 5, Legge 212/2000 (Statuto del contribuente), causata dalla permanenza dei verificatori presso la sede della società per un periodo superiore i trenta giorni lavorativi previsti dalla normativa.
In secondo luogo, la società eccepiva l’illegittimità dell’atto impugnato per violazione dell’art. 109, comma 5 del TUIR (costi non inerenti).
In riferimento al principale rilievo, riferito a costi non inerenti per €. 2.765.786,32.=, la Pirelli S.p.A. spiegava che tali spese erano rappresentate dai corrispettivi pagati dalla corrispondente alla società Air Corporate S.r.l. ed Eurofly Service S.p.A. a fronte dei contratti stipulati con queste ultime per l’effettuazione di spostamenti via aeromobile da parte dei membri della c.d. “Alta Direzione” della società.
Ribadiva, pertanto, come già spiegato ai verificatori, l’assoluta liceità della deducibilità di tali costi sostenuti per esigenze di rapidi spostamenti da parte dei vertici della società.
La ricorrente contestava, altresì, l’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 109 del TUIR, in riferimento ai presunti costi non documentati, riferiti all’acquisto di prodotti informatici.
Alla luce di quanto argomentato, la ricorrente chiedeva l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato.
Con controdeduzioni depositate il 29 luglio 2010, l’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio e contestava quanto esposto nel ricorso presentato dalla società; riteneva legittimo il proprio operato e chiedeva il rigetto del ricorso.
Riteneva del tutto infondate le motivazioni di controparte relativamente all’eccepito “sforamento” dei giorni lavorativi previsti per la verifica fiscale; sottolineava, a tal proposito, che era stata appositamente richiesta l’autorizzazione alla proroga dei termini di verifica, che poteva così usufruire di sessanta giorni complessivi. Nel merito, l’ufficio ribadiva la non inerenza dei costi relativi ai contratti di trasporto aereo poiché la documentazione prodotta dalla parte non era stata ritenuta esaustiva in quanto non erano stati indicati i motivi degli spostamenti ed i nominativi dei soggetti che, in concreto, avevano usufruito dei servizi in questione. Infine, in riferimento ai costi non documentati per €. 27.488,00.=, l’ufficio ribadiva che non essendo stati documentati elementi di certezza, determinabilità ed inerenza all’attività di impresa, i costi in questione dovevano ritenersi fiscalmente indeducibili. Alla luce delle argomentazioni esposte, l’ufficio chiedeva il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto.
Presenti all’udienza le parti che hanno insistito nelle loro richieste ed eccezioni.
La Sezione giudicante, riuniti i ricorsi, cosi decide.
A) ILLEGITTIMITÀ DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO PER VIOLAZIONE DELL’ART. 12, COMMA 5, DELLA LEGGE 7 LUGLIO 2000, N. 212.
Parte ricorrente ha richiamato la norma che dispone espressamente che la presenza dei verificatori presso la sede del contribuente non possa superare trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’attività accertativa, individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio che procede alla verifica. A giudizio del Collegio giudicante, le eccezioni sopra riportate sono infondate e pretestuose e devono essere quindi rigettate. L’ufficio nei propri atti di “controdeduzioni” ha illustrato il tempo in cui la verifica si è protratta, indicando la data di inizio e quella in cui è terminata (con qualche sospensione).
La fase di effettiva permanenza dei verificatori presso la sede della società è rimasta (con date alla mano) sempre circoscritta in un periodo di sessanta giorni consecutivi. L’ufficio ha ben calendarizzato il periodo di durata della verifica stessa, che come appurato dal Collegio giudicante, è in perfetta sintonia con quanto disposto dall’art. 12, comma 5, legge n. 212/2000. L’operato dell’ufficio quindi risulta legittimo.
B) COSTI NON INERENTI – ASSERITA VIOLAZIONE DELL’ArT. 109, COMMA 5 D.P.R. 917/86.
Sul punto il Collegio così decide. In merito a tale rilievo, le spese in esame sono rappresentate dai corrispettivi pagati dalla ricorrente alle società “Air Corporate” e “Eurofly Service S.p.A.” a fronte dei contratti stipulati con queste ultime per l’effettuazione del servizio di spostamenti via aeromobile da parte di membri della c.d. “Alta Direzione” della capogruppo e delle società sottostanti.
In particolare, in base al “Contratto di trasporto aereo con elicottero” stipulato l’1 ottobre 2002 Air Corporate metteva a disposizione l’elicottero Eurocopter Dauplin AS365 N 3 per 365 giorni all’anno a fronte di un corrispettivo di € 587.500 per un numero massimo di 125 ore di volo annuali (per l’anno 2004, l’importo dovuto dalla ricorrente aumentava per detto elicottero a € 601.334,20).
In data 30 giugno 2000 la società ricorrente aveva stipulato un contratti con Eurofly che prevedeva la messa a disposizione dell’aeromobile Falcon 2000 I – FLYP per 365 giorni all’anno per esigenze di trasporto, sempre della c.d. “Alta Direzione” a fronte di un corrispettivo di € 3.750.251,77 per un numero massimo di 600 ore di voli annuali.
Al ricorso risulta allegato l’elenco nominativo dei componenti della c.d. “Alta Direzione”, fra cui ad altri dirigenti vi era inclusa la persona del dr. M.T.P. e del dr. C.B. che ricoprivano rispettivamente le cariche di Presidente e di Amministratore Delegato sia presso la società Pirelli sia presso Telecom Italia S.p.A., a cui veniva riaddebitato il 50% dei costi derivanti dal contratto Eurofly, sulla base di un contratto concluso in data 11 febbraio 2002.
L’importo versato dalla ricorrente per le prestazioni ricevute nel 2004, in base al contratto Eurofly ammontava a € 3.750.251,17 di cui € 1.875.543,69 riaddebitati a Telecom Italia S.p.A. e € 303.418,41 riaddebitati a Pirelli & C. reale estate S.p.A.
A seguito di ciò, a carico della società rimaneva l’importo di complessivi € 2.765.786,32.
Fatta la premessa di cui sopra, l’ufficio contestava per l’importo sopra citato la mancanza di inerenza dei costi in esame, a causa dell’assenza dell’indicazione dei singoli nominativi dei soggetti fruitori degli spostamenti via aeromobile, nonché in considerazione dell’ulteriore circostanza, che dai prospetti forniti dalla società, alcuni dei voli indicati risultavano effettuati verso località turistiche. Per questo Giudice, il rilievo in esame è illegittimo ed infondato in quanto basato sull’errata interpretazione ed applicazione del principio dell’inerenza.
Si parla di “inerenza” quando esiste un vincolo di “pertinenzialità” fra il costo portato in deduzione e il reddito imponibile; la sussistenza di quanto sopra va appurata alla luce dell’esistenza di un rapporto di connessione tra componenti negativi e positivi di reddito.
L’inerenza va interpretata “come una relazione tra due concetti – la spesa e l’impresa – che implica un accostamento contrattuale fra due circostanze”, ed ancora “si presenta come un requisito oggettivo dei componenti economici ed è espressione del rapporto di causa ed effetto che intercorre tra componenti economici ed esercizio di impresa”.
Vi è di più “il sostenimento del costo non deve peraltro porsi nei confronti del conseguimento del ricavo in un rapporto diretto e necessario di causa/effetto, essendo invece sufficiente la correlazione di siffatto costo con una attività potenzialmente idonea a produrre utili”.
Ed ancora: “In tema di imposte sui redditi, affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utile”.
Se questo è quanto si può dire in modo “succinto” sull’istituto dell’inerenza, le spese di inerenza, pur non concorrendo alla materiale produzione del bene o servizio, risultano comunque strumentali al funzionamento e alla conservazione dell’impresa stessa,
Il trasporto per via aeromobile sostenuto dalla ricorrente per l’anno de quo soddisfa pienamente i requisiti di inerenza sopra descritti, in quanto al fascicolo processuale sono state prodotte:
• le copie dei due rispettivi contratti stipulati fra la ricorrente e le due compagnie; contratto di riaddebito fra la ricorrente e Telecom Italia;
• delibere di consiglio di Amministrazione della società ricorrente (in particolare verbale del 5 settembre 2003) laddove veniva specificato che per alcuni alti dirigenti, in considerazione del fatto che i loro spostamenti aerei erano numerosi e difficilmente programmabili, concentrati anche in ore e giorni non lavorativi, necessitava per questo, (sicurezza e riservatezza comprese), l’uso di un mezzo privato di trasporto aereo e terrestre, a carico della società;
• oltre a ciò, il privilegio dell’utilizzo dei mezzi di cui sopra era limitato solo ad alti dirigenti della società (in tutto alcune decine di persone), il cui nominativo faceva parte di un dettaglio ben preciso, allegato al fascicolo processuale;
• elenco delle località toccate da ogni singolo volo (ad esempio Milano/Trento) con specifica data di utilizzo del mezzo;
• dettaglio degli accordi con le consociate per la ripartizione delle spese di viaggio.
A giudizio del Collegio giudicante, la società ha svolto l’onere probatorio a proprio carico dimostrando l’inerenza della spesa per il trasporto via aeromobile sostenuto nel 2004. Per questo Giudice, la documentazione allegata al fascicolo processuale sopperisce alla mancata produzione di un dettaglio che documenta il nominativo o i nominativi delle persone fruitrici di tali servizi. La mancanza di tale elenco non fa venir meno l’inerenza delle spese viaggio sopra citate, in quanto, l’elenco dei dirigenti che godevano dell’utilizzo di tali mezzi, è la prova tangibile che solo l’Alta Direzione e che solo alcuni dirigenti potevano beneficiare del servizio così strutturato dalla società ricorrente. A tale punto, con memoria depositata prima dell’udienza la società ricorrente specificava che sul giornale di bordo, la cui tenuta è obbligatoria a’ sensi della lett. d) dell’art. 771 del codice della Navigazione relativo alla documentazione dì bordo, non andavano annotati i nominativi dei passeggeri, a’ sensi del combinato disposto dell’art. 772 e dell’art. 835 del codice della Navigazione.
Sul problema di alcuni voli che sono stati effettuati verso destinazioni che notoriamente sono anche “luoghi di vacanza”, l’ufficio avrebbe potuto, semmai, riprendere a tassazione esclusivamente i costi relativi a tali specifici voli e non riprendere l’intero importo delle spese di viaggio in questione.
Alla luce delle argomentazioni e motivazioni sopra descritte, la ripresa sopra citata viene annullata perché il principio di “inerenza” è stato provato in modo dettagliato da un primario gruppo societario, quotato in Borsa, fra i più noti in Italia e nel mondo, quale Pirelli.
L’ammontare globale dell’intero fatturato del gruppo Pirelli (holding e consociate) hanno convinto questo Giudice a voler considerare tale costo totalmente deducibile, che, in percentuale, in confronto all’intero ammontare dei ricavi (attorno a circa 7,11 miliardi di euro), costituisce per l’anno 2004 una quisquilia, o cosa simile. Tale concetto non può essere sottovalutato, tenuto conto che il costo complessivo delle spese di trasporto aeree, così svolto, ha portato ad un risparmio di costo rispetto invece al costo specifico di ogni singolo viaggio che la società avrebbe dovuto sborsare in assenza del servizio stipulato con le due compagnie. Per tali ragioni la ripresa dell’ufficio viene annullata “tout court”.
C) COSTI NON DOCUMENTATI E NON DI COMPETENZA IN VIOLAZIONE DELL’ART. 109 DPR. 917/86
(Omissis).
Alla stregua di ciò le spese di giudizio vengono compensate fra le parti.
P.Q.M. – accoglie i ricorsi riuniti. Spese compensate.