LE IMPUGNAZIONI NEL PROCESSO TRIBUTARIO
Orientamenti della Corte di Cassazione in merito alla rilevanza delle omesse comunicazioni dell’avviso di trattazione e del dispositivo della sentenza rispetto alla decorrenza del termine “lungo”
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. L’art. 38 del D.Lgs. n. 546/1992. Il termine “lungo” per l’impugnazione delle sentenze tributarie – 3. Il tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità. Irrilevanza, ai fini dell’inizio della decorrenza del termine “lungo” di impugnazione, delle omesse comunicazioni dell’avviso di trattazione e del dispositivo della sentenza – 4. L’“apertura” della Corte di Cassazione alla rimessione in termini nei casi di omessa comunicazione alla parte costituita dell’avviso di trattazione e del dispositivo della sentenza – 5. La generale ammissibilità dell’impugnazione tardiva nei casi di mancata conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione della data di trattazione – 6. Osservazioni – 7. Conclusioni.
1. Premessa
Com’è noto, tre sentenze della Corte di Cassazione (1) hanno formulato il seguente principio di diritto, secondo cui:«In tema di processo tributario, nelle controversie cui non risulti applicabile l’art. 153, comma 2 (2),c.p.c. (introdotto dalla L. n. 69 del 2009), il termine “lungo” per l’impugnazione delle sentenze di cui al primo comma dell’art. 327 c.p.c. decorre per la parte cui non sia stato debitamente comunicato né l’avviso di trattazione di cui all’art. 22 [rectius 31, n.d.r.] del D.Lgs. n. 546 del 1992, né il dispositivo della sentenza (ai sensi dell’art. 37 del medesimo decreto), dalla data in cui essa ha avuto conoscenza di tali sentenze».
Le pronunce in questione – emesse, come chiarito nella parte motiva, «in dissenso rispetto all’orientamento tradizionale di questa Corte secondo cui il termine entro cui il contribuente deve proporre appello avverso la sentenza di primo grado che rigetti il suo ricorso decorre inesorabilmente dalla data di deposito della sentenza stessa in quanto egli è a conoscenza della pendenza della controversia» – offrono l’occasione per lo svolgimento di alcune considerazioni in merito alla disciplina del termine “lungo” per l’impugnazione, in assenza di notificazione ad istanza di parte, delle sentenze delle Commissioni tributarie.
Nel prosieguo, dopo un inquadramento normativo della fattispecie, verrà illustrata la giurisprudenza di legittimità che si è espressa su tale problematica, dando conto dell’orientamento tradizionale finora consolidato e del recente cambio di rotta sul tema operato dal Collegio di nomofilachìa, prima di svolgere alcune considerazioni finalizzate essenzialmente all’individuazione di regole che possano orientare l’attività degli operatori della materia processuale tributaria.
2. L’art. 38 del D.Lgs. n. 546/1992. Il termine “lungo” per l’impugnazione delle sentenze tributarie
L’art. 38 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, stabilisce al primo comma che ciascuna parte «può richiedere alla segreteria copie autentiche della sentenza» e, al comma successivo, che le parti «hanno l’onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma dell’articolo 16» (3).
Il terzo comma del medesimo art. 38 prevede poi:
• al primo periodo, che laddove nessuna delle parti abbia provveduto alla notificazione della sentenza «si applica l’art. 327, comma 1, del codice di procedura civile», norma quest’ultima in base alla quale, «Indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell’articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza»;
• al secondo periodo – sulla falsariga di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 327 c.p.c. che, in deroga alla previsione del precedente primo comma, sancisce che quest’ultima disposizione «non si applica quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa» – che la regola fissata dal periodo immediatamente precedente «non si applica se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza».
Tanto premesso, occorre chiedersi, fermo restando che la regola generale è quella fissata nel primo periodo del terzo comma dell’art. 38 in parola, in quali casi è consentito all’interessato di procedere all’impugnazione di una sentenza dopo il decorso del termine “lungo” (oggi di sei mesi, in passato di un anno) (4) fissato a pena di decadenza dalla legge in assenza di notificazione della pronuncia.
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Più precisamente, si deve verificare se l’unica ipotesi di deroga alla disciplina generale è esclusivamente quella positivizzata dal legislatore (nel riportato secondo periodo del terzo comma dell’art. 38 del D.Lgs. n. 546/1992) oppure se, in via interpretativa, possono emergere altre situazioni che giustificano una rimessione in termini dell’interessato ai fini di un’impugnazione tardiva.
3. Il tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità. Irrilevanza, ai fini dell’inizio della decorrenza del termine “lungo” di impugnazione, delle omesse comunicazioni dell’avviso di trattazione e del dispositivo della sentenza
Secondo la tradizionale e, allo stato, consolidata giurisprudenza di legittimità, l’omessa comunicazione alla parte costituita dell’avviso di trattazione (5) e del dispositivo della sentenza (6) non produce effetti sul decorso del periodo utile all’impugnazione, il cui momento iniziale viene comunque ricollegato alla data di pubblicazione della sentenza.
Questa tesi trova espressione, tra le altre, nell’ordinanza del 6 settembre 2010, n. 19112 (7), in cui la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha ribadito la regola iuris per la quale, in assenza di notificazione ad istanza di parte, il decorso del termine “lungo” previsto dall’art. 327, primo comma, c.p.c., «produce il passaggio in giudicato della sentenza, restando del tutto irrilevante qualunque eventuale pregresso vizio processuale».
Nell’occasione la Suprema Corte ha precisato che il termine di decadenza per proporre l’impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dalla comunicazione del relativo dispositivo da parte della segreteria (8) e senza che assuma rilievo né la nullità della predetta comunicazione né la mancata conoscenza, per omissione del relativo avviso, della data di fissazione dell’udienza di discussione (9).
Quest’ultima omissione, è stato in seguito precisato, comporta «la nullità della sentenza … la quale si converte, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. civ. (10), in motivo d’impugnazione esperibile nei termini di legge, la cui inosservanza determina il passaggio in giudicato della sentenza stessa (Cass. n. 12761 del 2011, n. 6375 del 2006; ed, inoltre, Cass. n. 12441 del 2011)» (11).
Sul punto è stato altresì evidenziato che l’art. 327 c.p.c., il quale «estendendo la propria efficacia all’intero ordinamento processuale, si applica anche alle sentenze delle commissioni tributarie di primo e secondo grado», costituisce «espressione di un principio di ordine generale, diretto a garantire certezza e stabilità dei rapporti giuridici (Cass. Sez. Un. 954/1994), che trova applicazione anche nei casi … in cui sia, tardivamente, dedotto un error in procedendo che comporti la nullità della sentenza …, senza che possa invocarsi l’applicazione analogica del comma 2, medesimo articolo – concernente soltanto la parte contumace, che dimostri di non aver avuto conoscenza del processo» (12).
4. L’“apertura” della Corte di Cassazione alla rimessione in termini nei casi di omessa comunicazione alla parte costituita dell’avviso di trattazione e del dispositivo della sentenza
Come detto in premessa, le citate sentenze nn. 6048, 6054 e 6055 del 2013 hanno consapevolmente inteso discostarsi dal tradizionale insegnamento di nomofilachìa riconoscendo a favore della parte costituita nei cui confronti siano stati irritualmente omessi sia l’avviso di trattazione di cui all’art. 31 del D.Lgs. n. 546/1992, sia la comunicazione del dispositivo della sentenza di cui al successivo art. 37, il diritto a computare il dies a quo del termine lungo d’impugnazione non dalla pubblicazione della sentenza ma dalla data in cui l’interessato ne ha avuto effettiva conoscenza.
Le pronunce in parola – dopo aver etichettato come “incresciosa” la situazione «che si crea ove questo duplice obbligo di comunicazione non sia rispettato e conseguentemente la parte non eserciti tempestivamente il diritto di impugnazione» – hanno così rinvenuto un idoneo salvacondotto, stabilito dall’ordinamento processuale in coerenza con i principi della Costituzione e della Carta europea dei diritti dell’uomo, nell’istituto della rimessione in termini dell’interessato.
In particolare, secondo le sentenze de quibus, la rimessione in termini per l’impugnazione tardiva da parte di chi sia incorso in decadenza per causa non imputabile si realizza:
• per le controversie instaurate dopo la data di entrata in vigore della legge 18 giugno 18 giugno 2009, n. 69, applicando la disposizione del novellato art. 153, secondo comma, c.p.c., costituente «espressione del principio della effettività della tutela giurisdizionale scolpito sia nell’art. 111 Cost., sia nell’art. 6 della CEDU (sentenza delle Sezioni Unite n. 15144 dell’11 luglio 2011; ordinanza n. 14627 del 17 giugno 2010 della seconda sezione civile)»;
• per le controversie di cui all’art. 153, secondo comma, non risulta applicabile ratione temporis, sulla base del principio di diritto riportato in premessa.
5. La generale ammissibilità dell’impugnazione tardiva nei casi di mancata conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione della data di trattazione
Per quanto esposto sinora, il primo periodo del terzo comma dell’art. 38 del D.Lgs. n. 546/1992 concerne esclusivamente le ipotesi in cui la parte costituita, per quanto irritualmente non informata della prosecuzione del giudizio e della sua conclusione, è comunque a conoscenza della sua pendenza; fattispecie ontologicamente diversa, e logicamente incompatibile, è quella disciplinata dal secondo periodo del medesimo terzo comma in parola, la quale presuppone invece che la parte che intende impugnare tardivamente fosse incolpevolmente ignara della pendenza del processo, a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo.
Al riguardo, con indirizzo interpretativo consolidato, la Corte di Cassazione (13) ritiene che, nel processo tributario, per stabilire se in queste ultime situazioni sia ammissibile un’impugnazione proposta oltre il termine “lungo”, occorre distinguere due ipotesi:
• se la notificazione del ricorso (o dell’appello) è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario dell’atto si presume iuris tantum, ed è onere dell’altra parte dimostrare che l’impugnante ha avuto, comunque, contezza del processo;
• se invece la notificazione dell’atto è nulla, si presume iuris tantum la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ultimo a provare che la nullità gli ha impedito la materiale conoscenza dell’atto (14).
Precisato che, in ordine alla distinzione tra nullità e inesistenza giuridica della notificazione degli atti processuali, la Corte di Cassazione ha anche da ultimo ribadito che l’inesistenza ricorre quando vi sia un’assoluta difformità della notificazione posta in essere rispetto al suo modello legale, «tale cioè da non consentire per la sua abnormità che s’inserisca in alcun modo nello sviluppo del processo…. Sicché è inesistente unicamente la notificazione fatta a soggetto o in luogo totalmente estranei al destinatario, mentre è nulla e suscettibile di sanatoria quella effettuata in luogo o a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla norma processuale, abbiano un qualche riferimento con il destinatario dell’atto» (15), ai fini che qui interessano, è stata ad esempio ritenuta:
– nulla la notificazione effettuata al difensore presso il domicilio inizialmente indicato per il giudizio, mediante consegna a persona dichiaratasi abilitata a riceverlo quale collaboratore, a nulla rilevando la circostanza che il difensore stesso avesse nel frattempo comunicato la variazione dello studio, tenuto conto della circostanza che le attestazioni della relata di notifica indicavano la conservazione di una relazione, tale da autorizzare la presunzione che il difensore medesimo fosse stato informato del contenuto dell’atto notificato (16);
– inesistente la notificazione di un atto di appello mai pervenuto a controparte in quanto notificato secondo modalità difformi da quelle prescritte dalla legge processuale, senza consegna ad alcuno e in un luogo privo di collegamento con il destinatario (17). In questi casi, il giudice dell’appello o del ricorso per cassazione – ancorché adito dopo la scadenza del termine “lungo” d’impugnazione – il quale rilevi che il precedente grado di giudizio non poteva essere proseguito per inammissibilità dell’impugnazione derivante da inesistenza della relativa notificazione, preso atto di tale vizio deve dichiarare la nullità della sentenza dinanzi ad esso censurata (18).
6. Osservazioni
A. Sulla fattispecie di cui all’art. 38, terzo comma, secondo periodo, del D.Lgs. n. 546/1992
Da quanto esposto, emerge in maniera evidente che, nei casi in cui ricorra una delle due illustrate ipotesi di cui al secondo periodo del terzo comma dell’art. 38 del D.Lgs. n. 546/1992, almeno in astratto può giustificarsi l’impugnazione tardiva da parte di chi, incolpevolmente, abbia addirittura ignorato la pendenza di un processo che lo riguardava.
Ciò sempre che, nel caso di inesistenza della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio a quo, controparte non dimostri che la parte che impugna tardivamente era a conoscenza della pendenza del giudizio; e, nel caso di mera nullità della notificazione del medesimo atto introduttivo, quando l’impugnante tardivo dimostri che il vizio in questione gli aveva comunque impedito la conoscenza del giudizio.
In entrambe tali situazioni occorre peraltro anche verificare in concreto la tempestività dell’impugnazione rispetto al termine “lungo” computato dal momento della conoscenza della sentenza in capo all’impugnante. In proposito infatti la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, anche nelle ipotesi in questione, l’interessato decade dal diritto di impugnazione, per l’inutile decorso del termine “lungo”, «qualora si accerti (anche d’ufficio, in considerazione della natura pubblicistica della decadenza) che, nonostante la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, egli abbia avuto comunque conoscenza del processo, e il termine sia decorso con inizio non già dalla data di pubblicazione della sentenza, bensì dal giorno della detta presa di conoscenza, se successiva alla sentenza medesima (v. sez. un. n. 4196-90)» (19).
A fronte di un’impugnazione tardiva, astrattamente ammissibile, sarà pertanto onere della controparte opporre circostanze oggettive dalle quali si possa evincere l’intervenuta decorrenza del termine utile per l’impugnazione, in quanto spirato pur quando lo stesso sia stato computato (non dal giorno della pubblicazione della sentenza, ma) dal momento dell’intervenuta conoscenza di questa da parte dell’interessato.
Per fare un esempio, a contrasto di un’impugnazione, tardiva rispetto alla data di pubblicazione della sentenza, ma astrattamente proponibile ex art. 38, terzo comma, secondo periodo, del D.Lgs. n. 546/1992, l’Ufficio tributario potrà validamente opporsi dimostrando – sulla base di documenti formalmente a conoscenza dell’interessato, quali ad esempio la cartella di pagamento notificata sul presupposto dell’intervenuta definitività della sentenza che si intenda impugnare con ritardo – l’intervenuta decadenza dal termine d’impugnazione computato a decorrere dal giorno di tale conoscenza.
B. Sulla fattispecie di cui all’art. 38, terzo comma, primo periodo, del D.Lgs. n. 546/1992
Quanto alle fattispecie ricadenti nella previsione dell’art. 38, terzo comma, primo periodo, del D.Lgs. n. 546/1992, si può ritenere che le citate sentenze nn. 6048, 6054 e 6055 del 2013, almeno allo stato, non possono essere considerate indice di un effettivo revirement del consolidato orientamento per cui, rispetto alla decorrenza del termine “lungo” di impugnazione, non possono venire in rilievo (se non quali motivi d’impugnazione, e nel rispetto dei relativi termini), l’omessa comunicazione alla parte costituita dell’avviso di trattazione e del dispositivo della sentenza, ancorché tali omissioni si verifichino contemporaneamente.
Pur se, a parere di chi scrive, va salutato con favore – in quanto ispirato ai principi sanciti dall’art. 111 Cost. e all’ineludibile esigenza di non far gravare su chi chiede giustizia eventuali inefficienze delle strutture amministrative di supporto agli apparati giurisdizionali – l’approdo interpretativo delle più volte citate sentenze nn. 6048, 6054 e 6055 del 2013, sta di fatto che, al momento non si rinvengono pronunce di legittimità che ne abbiano ribadito in modo esplicito le conclusioni (20).
Piuttosto deve essere rimarcato che la Suprema Corte ha ritenuto di ribadire l’orientamento tradizionale, superando quanto affermato nelle tre ridette pronunce del mese di marzo 2013. In particolare, con la sentenza del 15 ottobre 2013, n. 23323 (21), il Collegio di nomofilachia, nel prendere atto del principio di diritto formulato in tali pronunce ha peraltro ritenuto di «non discostarsi dall’orientamento consolidato perché conforme al principio dell’intangibilità del giudicato e della certezza delle situazioni giuridiche e coerente sia ai principi costituzionali che a quelli dell’ordinamento comunitario».
Per completezza deve altresì evidenziarsi un profilo formale che potrebbe condurre a ridimensionare l’impatto di dette pronunce sulla futura produzione del Giudice di nomofilachia.
Invero le tre sentenze di marzo dello scorso anno, nonostante l’autorevolezza del Collegio da cui provengono, sembrano aver ecceduto l’ambito della competenza funzionale fissato dalla legge per l’esercizio del potere di jus dicere delle diverse sezioni della Corte di Cassazione.
La VI Sezione infatti è istituzionalmente deputata ad assolvere la funzione, assegnata dal legislatore, di «consentire una rapida definizione dei ricorsi che non coinvolgono l’esercizio della funzione nomofilattica» (22).
Essa, in particolare, a seguito dell’assegnazione del ricorso, provvede a verificare (art. 376, primo comma, primo periodo, c.p.c.) «se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5)» e, alternativamente:
• o pronuncia (art. 375 c.p.c.) «con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere: 1) dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto…; … 5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza»;
• oppure (art. 376, primo comma, secondo periodo, c.p.c.), se non definisce il giudizio, rimette «gli atti … al primo presidente, che procede all’assegnazione alle sezioni semplici».
7. Conclusioni
Se la perentorietà del termine per l’impugnazione di una pronuncia giurisdizionale è posta a presidio della certezza delle situazioni giuridiche, è anche vero che tale fondamentale esigenza deve essere bilanciata con il diritto alla effettività della tutela giurisdizionale nelle ipotesi in cui l’interessato, senza sua colpa, non sia stato posto in condizione di conoscere la pendenza di un giudizio che lo riguarda.
Per queste ipotesi (che poi sono quelle che ricadono sotto la disciplina del secondo periodo del terzo comma dell’art. 38 che si è commentato) risulta necessario, e coerente con i principi costituzionali, privilegiare – laddove ne ricorrano i presupposti, che rapporti giuridici dovranno essere attentamente valutati dal giudice, al fine di evitare un utilizzo non giustificato dell’istituto normativo – il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.
Per quanto riguarda le situazioni che, invece, ricadono sotto la disciplina del primo periodo del terzo comma dell’art. 38 del D.Lgs. n. 546/1992, a fronte di un quadro giurisprudenziale attualmente (dopo le sentenze nn. 6048, 6054 e 6055) in cerca di assestamento, occorre necessariamente attendere nuove pronunce da parte della Corte di Cassazione.
A parere di chi scrive, nonostante quanto esposto in precedenza in ordine ad un probabile “eccesso” di competenza da parte della VI Sezione della Suprema Corte nell’enunciazione del principio di diritto di cui si è dato conto nella premessa del presente articolo, è verosimile attendersi un revirement dell’orientamento tradizionale, le cui conclusioni – basate anche sull’affermata ragionevolezza del termine d’impugnazione, ritenuto congruo per consentire all’interessato di non incappare in decadenze non imputabili – dovranno necessariamente essere ripensate.
Se infatti, in passato, l’ampiezza del termine lungo di impugnazione (di un anno, oltre i consueti quarantasei giorni della “sospensione feriale”, termine ridotto, da ultimo, a soli 26 giorni «dal 6 al 31 agosto di ciascun anno» ad opera dell’art. 16 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, dopo 45 anni dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742) poteva effettivamente considerarsi idonea a garantire il diritto di difesa dell’interessato, chiamato ad adempiere un onere non eccessivamente gravoso di vigilanza sulle vicende del processo, l’attuale dimidiazione di detto lasso temporale (tra l’altro, soggetto soltanto in via eventuale al beneficio della “sospensione feriale”) priva l’approdo ermeneutico tradizionale di una delle ragioni fondamentali che ne sorreggevano le conclusioni, imponendo un’ulteriore riflessione che possa armonizzare le esigenze di certezza dei rapporti giuridici con il fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale.
Dott. Massimo Cancedda
(1) Cfr. Cass., sez. VI, 11 marzo 2013, nn. 6048, 6054 e 6055, tutte in Boll. Trib. On-line, e tutte emesse, per fattispecie identica, dal medesimo Consesso giurisdizionale in uguale composizione (Presidente e relatore Cicala) all’esito della pubblica udienza del 28 novembre 2012. Per migliore comprensione si evidenzia che, nella specie, l’interessato aveva impugnato in sede di legittimità le sentenze della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna nn. 102, 103 e 104/1/09 che, rigettando gli appelli dell’istante, avevano ciascuna confermato la sentenza di prime cure che a sua volta aveva riconosciuto l’avvenuto passaggio in giudicato di altra pronuncia, sfavorevole al contribuente, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna. Specificamente le pronunce impugnate dinanzi alla Suprema Corte avevano ritenuto che l’originaria sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bologna dovesse considerarsi passata in giudicato «per effetto del mancato gravame dei vizi procedurali che andava proposto con rituale ricorso nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge. Nel caso in esame la [società “Alfa spa”, n.d.r.] risultava costituita in giudizio avendo introdotto il processo proponendo il ricorso avverso l’avviso di accertamento e la sua posizione, pertanto, non si inquadra in quanto previsto dall’art. 38, comma 3, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 546 del 1992, … e, quindi, il gravame della più volte citata sentenza va rigettato perché proposto oltre il termine previsto dal comma 1, dell’art. 327 c.p.c., termine che decorre dal deposito della sentenza, non assumendo, nel caso in esame, alcun rilievo la comunicazione da parte della segreteria della Commissione tributaria, poiché la società non ha potuto dimostrare di essere contumace involontaria ed incolpevole, e non poteva dimostrarlo proprio perché era a conoscenza del ricorso dalla medesima proposto».
(2) Il secondo comma (aggiunto dall’art. 45, comma 19, della legge 18 giugno 2009, n. 69) dell’art. 153 c.p.c. dispone che «La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma». In base al successivo art. 58, primo comma, la riferita modifica normativa si applica ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data (4 luglio 2009) di entrata in vigore della legge stessa. Sulla novella del 2009 e i suoi riflessi nel processo dinanzi alle Commissioni tributarie, si vedano i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate con circ. 31 marzo 2010, n. 17/E, in Boll. Trib., 2010, 527; in parte qua, nel punto 2.15 del citato documento di prassi è stato affermato che, con l’introduzione del secondo comma all’art. 153 c.p.c., «viene generalizzata la possibilità, per la parte che dimostri di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, di ottenere la rimessione in termini a proprio favore», così implicitamente ritenendosi che la rimessione in termini opera anche in relazione a decadenze maturate esternamente al processo, come ad esempio quella relativa al termine per impugnare.
(3) In caso di notificazione della sentenza, il secondo comma dell’art. 38 prevede che il notificante depositi, «nei successivi trenta giorni, l’originale o copia autentica dell’originale notificato, ovvero copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale unitamente all’avviso di ricevimento nella segreteria, che ne rilascia ricevuta e l’inserisce nel fascicolo d’ufficio».
(4) Si ricorda che il termine di decadenza dall’impugnazione, in assenza di notificazione della pronuncia, è stato ridotto da un anno a sei mesi – decorrenti dalla pubblicazione del provvedimento giurisdizionale – ad opera dell’art. 46, comma 17, della legge n. 69/2009. Anche in questo caso, per quanto esposto in nota 2, il nuovo termine si applica ai giudizi instaurati in primo grado dopo il 4 luglio 2009.
(5) Il primo comma dell’art. 31 del D.Lgs. n. 546/1992 prevede che «La segreteria dà comunicazionealle parti costituite della data di trattazione almeno trenta giorni liberi prima». Al riguardo, è stato rilevato che l’omissione di tale comunicazione «determina la nullità dei successivi atti processuali e della sentenza, a norma dell’art. 101 c.p.c., e art. 156, comma 2, c.p.c., essendo detta comunicazione indispensabile per assicurare il contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa delle parti (Cass. nn. 8133/2001, 906/2006)», così Cass., sez. trib., 28 ottobre 2010, n. 22098, in Boll. Trib. On-line.
(6) In base al secondo comma dell’art. 37 del D.Lgs. n. 546/1992, il dispositivo della sentenza «è comunicatoalle parti costituite entro dieci giorni dal deposito».
(7) In Boll. Trib. On-line.
(8) Al riguardo Cass., sez. VI, 8 aprile 2014, ord. n. 8175, in Boll. Trib. On-line: ha riconfermato il consolidato indirizzo giurisprudenziale «secondo il quale: Il termine annuale di decadenza dall’impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza, ossia dal deposito in cancelleria della stessa, a nulla rilevando l’omissione della comunicazione di cancelleria di avvenuto deposito,la quale può dare solamente luogo a conseguenze disciplinari a carico del responsabile” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 15778 del 16/07/2007; Cass. Sez. L, Sentenza n. 11910 del 7/08/2003)».
(9) Negli stessi termini la Corte di Cassazione ha ritenuto non ammissibile l’impugnazione tardiva – proposta dalla parte che aveva introdotto il giudizio a quo sul presupposto della mancata conoscenza dell’udienza di trattazione e della sentenza impugnata – rilevando che tale soluzione «non risulta comportare una eccessiva ed irragionevole compressione del diritto di difesa e del contraddittorio, … ben potendo la parte che sia a conoscenza dell’esistenza del processo (per averlo, nella specie, addirittura introdotto con la notifica del ricorso) informarsi dello sviluppo del medesimo facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis», così Cass., sez. trib., 31 gennaio 2011, n. 2251, in Boll. Trib. On-line.
(10) Il principio per il quale i vizi di nullità della sentenza si convertono in motivi di impugnazione, fissato dall’art. 161 c.p.c., è pacificamente ritenuto applicabile anche al contenzioso tributario in virtù del generale rinvio alle disposizioni del codice di rito civile operato dal secondo comma dell’art. 1 del D.Lgs. n. 546/1992: sull’argomento cfr. Cass., sez. trib., 26 novembre 2008, n. 28190; e Cass., sez. trib., 10 marzo 2006, n. 5356; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(11) Cfr. Cass., sez. trib., 31 gennaio 2013, n. 2357; e anche Cass., sez. VI, 29 ottobre 2012, ord. n. 18602; entrambe in Boll. Trib. On-line. Sul punto si è altresì osservato che il principio per cui, convertendosi le ragioni di nullità in motivi di gravame, si verifica la decadenza dall’impugnazione ed è preclusa la deducibilità della stessa nullità, «è stato ritenuto conforme al dettato costituzionale, in ragione della congruità del termine ex
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art. 327 c.p.c. … e del dovere di vigilanza della parte costituita in giudizio, in quanto coerentemente ispirato al necessario bilanciamento dell’inviolabile diritto di difesa con l’ineludibile principio di certezza delle situazioni giuridiche (cfr. C. cost. 297/08)», così Cass., sez. trib., 15 dicembre 2010, n. 25320, in Boll. Trib. On-line.
(12) Così Cass., sez. trib., 16 novembre 2012, n. 20118, in Boll. Trib. On-line, la quale proseguendo dispone che quanto sopra precedentemente affermato si pone in contrasto con i parametri degli artt. 3 e 24 Cost. dal momento che per un verso, «le situazioni poste a confronto sono significativamente differenti, concernendo l’una un soggetto il quale, per quanto irritualmente non informato della prosecuzione del giudizio, è comunque informato della pendenza dello stesso e vi ha partecipato, l’altra, invece, il contumace del tutto ignaro, senza sua colpa, del processo»; per altro verso, che «l’interessato, proprio perché informato del processo, può comunque attivarsi diligentemente per conoscerne lo stato senza essere sorpreso dal formarsi del giudicato»; e ved. anche Cass., sez. trib., 30 novembre 2011, n. 25516, ivi.
(13) Si vedano, tra le altre, Cass., sez. trib., 12 luglio 2013, n. 17236; Cass., sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2907; Cass., sez. VI, 17 dicembre 2012, ord. n. 23290; Cass., sez. trib., 13 ottobre 2011, n. 21131; Cass., sez. trib., 28 ottobre 2010, ord. n. 22103; Cass., sez. trib., 31 agosto 2009, ord. n. 18933; e Cass., sez. trib., 28 maggio 2009, n. 12623; tutte in Boll. Trib. On-line.
(14) Cass. n. 16720/2014, cit., ha da ultimo ricordato che, per insegnamento giurisprudenziale consolidato, per poter proporre l’impugnazione tardiva ai sensi dell’art. 327, secondo comma, c.p.c., «la parte rimasta contumace sia tenuta a dimostrare non solo la causa di nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, ma anche il fatto che, a causa di quel vizio, essa non abbia potuto acquisire conoscenza dell’atto e del processo: con la conseguenza della inammissibilità dell’impugnazione, qualora non venga fornita la prova della mancata conoscenza del processo a causa del dedotto vizio della notificazione introduttiva del giudizio di appello (Cass. 20 novembre 2012, n. 20307). E tale prova, spettante al contumace, può essere data anche tramite il ricorso a presunzioni (Cass. 14 settembre 2007, n. 19225)».
(15) Cfr. Cass. n. 2907/2013, cit.
(16) Cfr. Cass. n. 2907/2013, cit.
(17) Cfr. Cass., sez. trib., 5 febbraio 2009, n. 2817, in Boll. Trib. On-line; nella fattispecie, il messo comunale, una volta rilevata la “momentanea irreperibilità” del destinatario, tale da imporre l’utilizzo del procedimento notificatorio ex art. 140 c.p.c., aveva invece provveduto a depositare copia dell’atto presso la casa comunale e ad affiggere l’avviso di tale deposito per otto giorni nell’albo pretorio. Al riguardo la Suprema Corte ha rilevato che «trattasi di modalità di notificazione tale da far presumere … la mancata conoscenza della pendenza del processo da parte del destinatario, in quanto eseguita senza consegna ad alcuno ed in luogo privo di collegamento con il destinatario medesimo (né può rilevare, in contrario, che una siffatta modalità è prevista – peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non nella ipotesi di momentanea irreperibilità del destinatario – per la notificazione degli avvisi tributari, dall’art. 60, lett. e), del D.P.R. n. 600 del 1973, essendo sufficiente rilevare che trattasi di disciplina attinente ad atti di natura sostanziale e non processuale e, quindi, a materia alla quale non sono, in linea di principio, applicabili le più rigorose garanzie specificamente connesse al regime degli atti processuali».
(18) Cfr. Cass. n. 2817/2009, cit.; e Cass. n. 19112/2010, cit.
(19) Così Cass. n. 17236/2013, cit.; nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto che il momento di avvenuta conoscenza della sentenza, in capo alla parte che ne affermava l’ignoranza, doveva essere ricollegato (con contestuale inizio della decorrenza del termine “lungo” di impugnazione) alla data di notifica della cartella di pagamento con la quale l’Ufficio, «facendo espresso riferimento [alla sentenza tardivamente impugnata da controparte, n.d.r.] … – e invero citandone gli estremi – aveva ingiunto il pagamento della somma dovuta in base alla sentenza stessa».
(20) Per completezza, si evidenzia che il principio di diritto in parola è stato dichiarato condivisibile dalla giurisprudenza di legittimità, peraltro in via meramente incidentale, da Cass. n. 17236/2013, cit.
(21) In Boll. Trib. On-line.
(22) In questi termini, si esprime la “Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2012”, reperibile all’indirizzo http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione_anno_giudiziario_2012.pdf, ove si legge altresì che la sesta sezione civile è stata istituita «per verificare se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio (sussistenza di ipotesi di inammissibilità, manifesta infondatezza o manifesta fondatezza dei ricorsi) ovvero per la rimessione alle sezioni ordinarie».