Circolare 6 maggio 2015, n. 19/E, dell’Agenzia delle entrate
INDICE:
PREMESSA
1 LE MODIFICHE NORMATIVE IN TEMA DI TRANSAZIONE FISCALE
2 LA GIURISPRUDENZA IN TEMA DI TRANSAZIONE FISCALE
2.1 Natura dell’istituto della transazione fiscale
2.2 Non impugnabilità dell’assenso o del diniego alla proposta di transazione
2.3 Principio di indisponibilità della pretesa tributaria
2.4 Facoltatività della transazione fiscale
2.5 Trattamento del credito IVA
3 LE FATTISPECIE PENALI
4 LA COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO
4.1 Presupposti di accesso alla procedura
4.2 Procedure di composizione della crisi
4.3 Adempimenti dell’Agente della riscossione e degli Uffici dell’Agenzia delle entrate
4.4 Omologazione dell’accordo
4.5 Omologazione del piano del consumatore
4.6 Reclamabilità del decreto di omologazione
4.7 Esecuzione dell’accordo e del piano del consumatore
4.8 Annullamento e risoluzione dell’accordo – Revoca e cessazione degli effetti dell’omologazione del piano
5 LA LIQUIDAZIONE DEL PATRIMONIO
5.1 Conversione della procedura di composizione in liquidazione
5.2 Apertura della liquidazione
5.3 Esecuzione della liquidazione
5.4 Esdebitazione
6 GLI ORGANISMI DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI
7 GLI ASPETTI PENALI DEL SOVRAINDEBITAMENTO.
“PREMESSA
La circolare n. 40/E del 18 aprile 2008[1] ha illustrato i profili fiscali del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, come regolati dalle disposizioni concernenti la transazione fiscale, prevista dall’articolo 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito: L.F.).
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Ulteriori chiarimenti sono stati forniti con risoluzione n. 3/E del 5 gennaio 2009 (1) e con circolare n. 14/E del 10 aprile 2009 (2).
Successivamente, l’articolo 29, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha apportato alcune rilevanti modifiche all’articolo 182-ter della L.F.
Altre innovazioni alla disciplina della transazione fiscale sono intervenute per effetto dell’articolo 23, comma 43, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
La disposizione normativa da ultimo citata ha previsto che, “In attesa di una revisione complessiva della disciplina dell’imprenditore agricolo in crisi e del coordinamento delle disposizioni in materia, gli imprenditori agricoli in stato di crisi o di insolvenza possono accedere alle procedure di cui agli articoli 182-bis e 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni”.
Si registrano, inoltre, importanti interventi giurisprudenziali in materia da parte della Corte di cassazione, che si è pronunciata, in particolare, con le sentenze n. 22931 e n. 22932, entrambe depositate il 4 novembre 2011, nonché, in seguito, della Corte costituzionale che, con sentenza 25 luglio 2014, n. 225, ha dichiarato “non fondata la questione di legittimità costituzionale del disposto degli artt. 160 e 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, … sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione”, laddove dispongono che la proposta di concordato contenente una transazione fiscale, con riguardo all’IVA, possa prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento (3).
Si evidenzia infine che la legge 27 gennaio 2012, n. 3, rubricata “Disposizioni in materia di usura ed estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, ha introdotto una specifica normativa applicabile alle situazioni di crisi non assoggettabili alle procedure concorsuali.
In particolare, il Capo II di tale legge, modificato dall’articolo 18 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 (4), ha previsto tre possibili procedimenti per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione della L.F., consistenti nell’accordo di composizione della crisi, nel piano del consumatore e nella procedura alternativa di liquidazione dei beni.
Ciò premesso, con la presente circolare si forniscono chiarimenti relativamente alle modifiche legislative e agli interventi giurisprudenziali in materia di transazione fiscale, nonché ai nuovi istituti riguardanti la crisi dei soggetti esclusi dall’ambito di applicazione delle procedure concorsuali.
1 LE MODIFICHE NORMATIVE IN TEMA DI TRANSAZIONE FISCALE
L’articolo 29, comma 2 del DL n. 78 del 2010 ha apportato alcune modifiche all’articolo 182-ter della L.F.
In primo luogo, la predetta norma ha espressamente contemplato la possibilità di “prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento” – già riferita all’IVA dal previgente testo dell’articolo 182-ter della L.F. – anche con riguardo alle “ritenute operate e non versate”, che non possono formare oggetto di falcidia.
Si tratta, invero, di somme che attengono non all’imprenditore (sostituto d’imposta), il quale può trattenerle al solo scopo di riversarle allo Stato, ma al lavoratore dipendente (sostituito), che può utilizzarle in detrazione.
L’articolo 29, comma 2 del DL n. 78 del 2010 ha modificato anche il sesto comma dell’articolo 182-ter della L.F., disponendo che la proposta di transazione fiscale formulata nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui al precedente articolo 182-bis va depositata presso l’Agente della riscossione e l’Ufficio territorialmente competenti “unitamente con la documentazione di cui all’articolo 161 (5)” della L.F. Inoltre, “Alla proposta di transazione deve essere … allegata la dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che la documentazione che precede rappresenta fedelmente ed integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio”.
Con tale dichiarazione il debitore assume personalmente la responsabilità di attestare la veridicità e la completezza dei dati aziendali risultanti dalla contabilità. A differenza che nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione manca, infatti, la figura del commissario giudiziale, che svolge attività di verifica dei crediti e debiti (6) e che, a norma dell’articolo 165 della L.F., “è, per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni, pubblico ufficiale”.
Infine, dopo il sesto comma dell’articolo 182-ter è stato inserito un ulteriore comma, per il quale “La transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis è revocata di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.”.
2 LA GIURISPRUDENZA IN TEMA DI TRANSAZIONE FISCALE
2.1 Natura dell’istituto della transazione fiscale. In via preliminare va osservato che, secondo la Corte costituzionale, la transazione fiscale “costituisce una peculiare procedura transattiva tra il contribuente e il fisco, che può autonomamente integrare il piano previsto dall’art. 160 della legge fallimentare (vale a dire il piano per il concordato preventivo, n.d.r.) e deve essere parimenti sottoposta al sindacato di fattibilità giuridica del Tribunale” (citata sentenza n. 225 del 2014) (7).
In altri termini, sebbene si tratti di una procedura autonoma rispetto al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione dei debiti, la transazione fiscale si inserisce comunque nell’ambito di tali procedimenti (8).
Peraltro, la collocazione della transazione fiscale all’interno della disciplina del concordato preventivo conferma che, in ordine ai requisiti soggettivi richiesti per la presentazione della proposta di transazione, è comunque necessaria la preliminare verifica dei presupposti stabiliti per l’accesso alla procedura del concordato preventivo ovvero a quella degli accordi di ristrutturazione dei debiti (cfr. punto 4.1 della circolare n. 40/E del 2008).
In tale ambito, come si dirà meglio a commento dell’orientamento espresso dalla Corte di cassazione, la presentazione della domanda di transazione fiscale con la relativa documentazione ha come scopo principale quello di consentire al competente Ufficio dell’Agenzia di porre in essere le attività indicate dall’articolo 182-ter della L.F., al fine di valutare la proposta transattiva e conseguentemente di esprimere l’eventuale adesione o il diniego alla stessa.
2.2 Non impugnabilità dell’assenso o del diniego alla proposta di transazione. Tenuto conto della natura endoprocedimentale della transazione fiscale, come inquadrata dalla Corte costituzionale, si sottolinea la non impugnabilità dell’assenso e del diniego alla proposta di transazione, i quali sono espressi – ai sensi dell’articolo 182-ter, terzo comma della L.F. – mediante voto comunicato in sede di adunanza dei creditori ovvero nei modi previsti dall’articolo 178, quarto comma (9), della L.F.
Gli interessi del debitore così come quelli degli altri creditori possono, infatti, trovare piena tutela attraverso i rimedi giurisdizionali previsti dalla L.F.
Nella specie, nelle ipotesi di approvazione del concordato preventivo a norma del primo comma dell’articolo 177 (10) della L.F., il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato possono partecipare all’udienza, fissata per il giudizio di omologazione ai sensi dell’articolo 180 (11) della L.F., e già in tale sede possono proporre eventuali opposizioni all’omologa del concordato stesso, incluse eccezioni aventi ad oggetto la legittimità del voto espresso dall’Agenzia delle entrate o dall’Agente della riscossione a norma dell’articolo 182-ter.
Di contro, nelle ipotesi in cui non si dovesse raggiungere la maggioranza richiesta per l’approvazione del concordato, l’articolo 179, primo comma della L.F. stabilisce che “il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che deve provvedere a norma dell’art. 162, secondo comma”.
Come noto, l’articolo 162, secondo comma della L.F. prevede che il Tribunale – qualora verifichi la non sussistenza dei presupposti per l’ammissione alla procedura di concordato, di cui agli articoli 160, primo e secondo comma, e 161 della L.F. – procede a dichiarare l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo “con decreto non soggetto a reclamo” e, “su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5 dichiara il fallimento del debitore”.
Ai sensi del terzo comma dell’articolo 162 della L.F., nel caso intervenga dichiarazione di fallimento, con il reclamo, proposto in base all’articolo 18 della L.F. avverso la sentenza di fallimento, possono farsi valere anche motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato (12).
In definitiva, deve ritenersi che, nel caso di mancato raggiungimento della maggioranza per l’approvazione del concordato e di successiva dichiarazione di fallimento, il debitore e gli altri creditori potranno tutelare la propria posizione mediante la proposizione del reclamo di cui all’articolo 18 della L.F.
2.3 Principio di indisponibilità della pretesa tributaria. Al punto 4 della circolare n. 40/E del 2008 si è osservato che “l’istituto della transazione, tipico nel diritto civile (articolo 1965 c.c.), appare del tutto innovativo nell’ordinamento tributario, dove è tradizionalmente vigente il principio di indisponibilità del credito tributario. Ne consegue che la relativa disciplina normativa, in quanto derogatoria di regole generali, è di stretta interpretazione”.
Tali principi hanno trovato conferma nella citata sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2014.
Secondo la Consulta, con l’istituto della transazione fiscale “? la cui applicazione all’ordinamento tributario è del tutto innovativa ? l’imprenditore in crisi può proporre alle agenzie fiscali o agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, il pagamento parziale ovvero dilazionato dei tributi o dei contributi e dei relativi accessori, in deroga al principio generale di indisponibilità e irrinunciabilità del credito da parte dell’amministrazione finanziaria” (13).
Va quindi confermata la speciale natura delle disposizioni in tema di transazione fiscale, che costituisce eccezionale deroga disposta dal legislatore al principio di indisponibilità della pretesa tributaria.
2.4 Facoltatività della transazione fiscale. Nelle citate sentenze n. 22931 e n. 22932 del 2011 la Corte di cassazione ha affrontato la questione dell’ammissibilità di un concordato preventivo contenente la falcidia dei crediti tributari, pur in assenza della domanda di transazione fiscale ai sensi dell’articolo 182-ter della L.F.
Sullo specifico punto, la Suprema Corte è giunta alla conclusione che la presentazione della domanda di transazione fiscale non costituisce un obbligo per il debitore che chiede la falcidia dei crediti tributari e, dunque, in tal caso non è condizione di ammissibilità della proposta di concordato preventivo.
A tal fine, nelle citate sentenze la Corte parte dall’individuazione di “quali variazioni all’ordinario procedimento concordatario comporti il ricorso al sub procedimento della transazione fiscale”, atteso che “Diversi sono gli obblighi imposti alle parti direttamente interessate e cioè al debitore e al fisco.”.
La Cassazione rileva che il debitore, qualora si attenga alla procedura dell’articolo 182-ter della L.F., “deve provvedere nei confronti dell’Amministrazione fiscale … ad una formalità alla quale non è tenuto nei confronti degli altri creditori e cioè alla comunicazione, contestualmente al deposito del ricorso per il concordato presso la cancelleria del tribunale, della copia della domanda e della relativa documentazione (14). Tale adempimento è finalizzato a sollecitare l’ufficio fiscale ad un’attività anch’essa peculiare che non è invece richiesta agli altri creditori e cioè a certificare l’ammontare complessivo del debito tributario mediante la comunicazione di quello già accertato e di quello conseguente alla liquidazione delle dichiarazioni …, al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale” (15).
Pertanto, diversi sono anche gli effetti dell’omologazione del concordato contenente la transazione fiscale, considerato che in tale ipotesi si verifica, a norma dell’articolo 182-ter, secondo comma della L.F., il consolidamento del debito tributario, vale a dire la rappresentazione del “quadro di insieme” di detto debito, “tale da consentire di valutare la congruità della proposta con riferimento alle risorse necessarie a far fronte al complesso dei debiti … certamente utile a fronteggiare l’incognita fiscale che normalmente grava sui concordati.” (cfr. citate Cass. n. 22931 e n. 22932 del 2011).
Detto consolidamento, precisa la Corte, costituisce un vantaggio per il debitore, determinando “una maggiore trasparenza e leggibilità della proposta con conseguente maggiore probabilità di ottenere, oltre all’assenso del fisco, anche quello degli altri creditori”.
Inoltre, a fronte della presentazione della domanda di transazione fiscale, l’articolo 182-ter della L.F. prevede – come conseguenza dell’omologazione dell’accordo – “l’estinzione dei giudizi in corso aventi ad oggetto i tributi concordati, effetto, questo, che non si verifica per gli altri creditori”.
Secondo la Suprema Corte “La ritenuta obbligatorietà della transazione fiscale, intesa come necessario interpello dell’erario, … presuppone la dimostrazione dell’esistenza di un interesse concreto e degno di tutela dell’Amministrazione ad essere comunque sollecitata a svolgere le attività previste dall’art. 182 ter, interesse che non è dato ravvisare, posto che l’ufficio, pur in assenza dell’interpello, non viene minimamente pregiudicato nel suo diritto di evidenziare compiutamente le sue pretese (anche in sede di adunanza e ai fini del voto) e di perseguirne l’accertamento prima e il soddisfacimento poi”.
Stante l’orientamento manifestato dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che la presentazione della domanda di transazione fiscale da parte del debitore non costituisce condizione di ammissibilità della proposta di concordato preventivo.
Sotto tale specifico aspetto, si intendono superate le indicazioni fornite con circolare n. 40/E del 2008, ove si è evidenziato che “la falcidia o la dilazione del credito tributario è ammissibile soltanto qualora il debitore si attenga puntualmente alle disposizioni disciplinanti la transazione fiscale di cui all’articolo 182-ter”.
2.5 Trattamento del credito IVA. L’articolo 32, comma 5, lettera a) del DL n. 185 del 2008 ha modificato il primo comma dell’articolo 182-ter della L.F., stabilendo l’estensione all’IVA della transazione fiscale limitatamente all’ipotesi della dilazione del pagamento.
Nella circolare n. 14/E del 2009 si è ribadito che:
“- la proposta di transazione fiscale può prevedere il pagamento dilazionato dell’IVA;
– non è ammessa la falcidia del credito tributario relativo all’IVA;
– limitatamente agli accessori all’IVA … il debitore può proporre il pagamento parziale o anche dilazionato del relativo credito (cfr. punto 4.2.1 della circolare n. 40/E del 2008)”.
Riguardo all’ambito temporale di applicazione della modifica sopra richiamata, la Corte di cassazione, nelle sentenze n. 22931 e n. 22932 del 2011, ha confermato l’impossibilità di riduzione dell’IVA anche nella vigenza del precedente testo dell’articolo 182-ter della L.F., precisando che la disposizione di cui all’articolo 32, comma 5, lettera a) del DL n. 185 del 2008 “ha troncato la discussione in corso circa la ricomprensione o no dell’IVA tra “i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea” esclusi dalla possibilità di falcidia fin dall’originaria formulazione della norma e ritiene il Collegio che la stessa, in realtà, si ponga su di un piano di continuità con il primitivo dettato legislativo” (cfr., nel medesimo senso, Cass. 6 maggio 2012, n. 7767, e Cass. 30 aprile 2014, n. 9541).
La Suprema Corte ha, inoltre, esaminato la questione “se l’intangibilità dell’IVA sussista solo se viene attivato” il procedimento della transazione fiscale “oppure se sia indipendente dall’opzione del debitore e quindi si imponga anche nel caso in cui la transazione … non venga perseguita ma la proposta tratti il fisco come ogni altro creditore” (Cass. n. 22931 e n. 22932 del 2011).
Secondo la Cassazione, “la disposizione che sostanzialmente esclude il credito IVA da quelli che possono formare oggetto di transazione, quanto meno in ordine all’ammontare del pagamento, è una disposizione eccezionale che, come si è osservato, attribuisce al credito in questione un trattamento peculiare e inderogabile”.
Inoltre, “ciò che convince dell’inderogabilità della disposizione qualunque sia l’opzione del creditore è la natura della stessa in quanto non si tratta di norma processuale come tale connessa allo specifico procedimento di transazione fiscale, ma di norma sostanziale in quanto attiene al trattamento dei crediti nell’ambito dell’esecuzione concorsuale dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi” (16).
La Corte di cassazione ha quindi ritenuto che, a prescindere dalla presenza o meno di una transazione fiscale, il credito IVA deve sempre essere pagato per intero (17).
Le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza di legittimità trovano rispondenza nell’orientamento successivamente manifestato dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 225 del 2014, ha chiarito che “la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento alla transazione fiscale avente ad oggetto il credito IVA deve essere intesa come il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo”.
Né varrebbe obiettare al divieto di falcidia dell’IVA la presunta alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione (18) e, quindi, anche della graduazione dei privilegi, posto che l’articolo 2778 del codice civile colloca il credito IVA al diciannovesimo grado, “nel concorso di crediti aventi privilegio generale o speciale sulla medesima cosa”.
Da un lato, nella citata sentenza n. 225 del 2014 la Corte costituzionale precisa che il credito IVA non è riconducibile a “nessuna delle tradizionali categorie di crediti privilegiati e chirografari”, poiché per esso “esiste una disciplina eccezionale attributiva di un “trattamento peculiare e inderogabile” …, che consentendo esclusivamente la transazione dilatoria è tesa ad assicurare il pagamento integrale di un’imposta assistita da un privilegio postergato (qual è appunto l’IVA), in deroga al principio dell’ordine legale delle cause di prelazione.”.
Dall’altro, la Corte di cassazione specifica ulteriormente che “l’art. 182-ter, attribuendo … al credito i.v.a. … un trattamento peculiare ed inderogabile dall’accordo delle parti, non produce per ciò solo l’effetto di incidere sul trattamento di tutti gli altri crediti (per i quali continua a valere l’ordine di graduazione), ma sul solo trattamento di quel credito, in quel particolare contesto procedurale.” (Cass. 25 giugno 2014, n. 14447).
Pertanto, deve ribadirsi che – in considerazione della normativa e della giurisprudenza attualmente vigenti – la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento al trattamento del credito IVA costituisce condizione di ammissibilità della proposta di concordato preventivo, a prescindere dalla presentazione o meno della domanda di transazione fiscale ai sensi dell’articolo 182-ter della L.F. (19).
3 LE FATTISPECIE PENALI
Il comma 4 dell’articolo 29 del DL n. 78 del 2010 ha modificato l’articolo 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, introducendo al comma 2 una nuova fattispecie penale, riferita alla presentazione della domanda di transazione fiscale. Detta disposizione prevede che:
“2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.
Per quanto attiene al reato di omesso versamento dell’IVA, contemplato dall’articolo 10-ter del medesimo D.Lgs. n. 74 del 2000 (20), la Corte di cassazione, relativamente all’ipotesi in cui la condotta omissiva sia stata posta in essere anteriormente all’apertura del concordato preventivo, ha affermato che “la presentazione di una proposta concordataria e la sua approvazione ed omologazione da parte del Tribunale” non può “far elidere la responsabilità penale dell’amministratore della società che non ha versato quanto dovuto all’Erario ai fini degli obblighi IVA” (Cass., sez. III pen., 23 settembre 2013, n. 39101).
Circa le ipotesi in cui l’ammissione al concordato preventivo è anteriore alla scadenza del termine per il versamento IVA, con la sentenza 16 aprile 2015, n. 15853, la sez. III penale della Corte di cassazione ha escluso la configurabilità del reato previsto dall’articolo 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, qualora l’inosservanza del predetto termine consegua alla previsione nel piano concordatario della dilazione del pagamento del debito.
In particolare, ad avviso dei Giudici di legittimità, in tale situazione, poiché “il concordato preventivo non è una manifestazione di autonomia negoziale, bensì un istituto prevalentemente pubblicistico …, è più che illogico considerare ciò tamquam non esset ai fini penali, dissociando settori parimenti pubblicistici dell’ordinamento, ovvero consentendo da un lato al giudice fallimentare di ammettere al concordato preventivo l’imprenditore che nel suo piano progetta di commettere un reato e poi di omologare la deliberazione con cui i creditori hanno approvato (anche) un siffatto progetto criminoso, e dall’altro al giudice penale di sanzionare il soggetto che ha eseguito un accordo omologato … condannandolo per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter”.
Pertanto, nella sentenza n. 15853 del 2015 si evidenzia che “Non appare a questo punto condivisibile … l’impostazione adottata” dalla precedente sentenza “Cass. sez. III, 14 maggio 2013 n. 44283, per quanto concerne la sussistenza del fumus commissi delicti, dovendosi in conclusione ritenere che il fumus commissi delicti del reato di cui all’articolo 10 ter d.lgs. n. 74/2000 non è compatibile – nel caso di ammissione al concordato preventivo anteriore alla scadenza del termine per il relativo versamento ovvero anteriore alla consumazione del reato – con l’inclusione del debito Iva nel piano concordatario, nel senso di mera dilazione, senza incidenza sul quantum e in particolare senza conseguenze sul quantum della dilazione stessa, in forza della previsione del pagamento degli interessi”.
4 LA COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO
Il Capo II della legge n. 3 del 2012 ha istituito apposite procedure volte a gestire le situazioni di crisi che investono i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione degli istituti disciplinati dalla L.F.
Le disposizioni di cui si tratta riguardano tutti coloro che, pur rivestendo la qualifica di imprenditori commerciali, non superino le soglie oggettive di cui all’articolo 1 della L.F., nonché tutti gli imprenditori non commerciali.
In particolare, sono interessati alla composizione della crisi da sovraindebitamento:
• gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, sia in forma individuale sia in forma societaria, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
- aver avuto, negli ultimi tre esercizi o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
- aver realizzato, negli ultimi tre esercizi o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
- avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila;
• gli imprenditori agricoli;
• le associazioni professionali;
• le start up innovative(21), ai sensi dell’articolo 31(22) del DL n. 179 del 2012.
Inoltre, la legge n. 3 del 2012 ha esteso la composizione della crisi da sovraindebitamento al “consumatore”, ossia al soggetto, persona fisica, che ha assunto debiti per scopi estranei all’attività di carattere imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
E’ stata, dunque, prevista la possibilità di ristrutturazione del debito per i soggetti persone fisiche non imprenditori, gli imprenditori agricoli e le imprese di ridotte dimensioni, alle quali non si estendono le opportunità offerte dalle tradizionali procedure concorsuali.
Si tratta, quindi, di procedure dal vasto ambito di applicazione, che presentano alcuni aspetti riconducibili al concordato preventivo, come anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti, di cui all’articolo 182-bis della L.F.
Invero, anche l’innovativa disciplina della legge n. 3 del 2012 valorizza il ruolo dell’autonomia privata nella gestione della crisi, attraverso il riconoscimento della possibilità per il soggetto interessato di depositare presso il Tribunale territorialmente competente una proposta che preveda la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione, anche parziale, dei crediti attraverso qualsiasi forma, eventualmente mediante cessione dei crediti futuri.
Nei debiti risanabili attraverso la composizione della crisi da sovraindebitamento rientrano anche quelli di natura tributaria.
Analogamente a quanto stabilito dall’articolo 182-ter della L.F., anche in tal caso è comunque esclusa la possibilità di falcidiare l’IVA e le ritenute operate e non versate. L’articolo 7, comma 1, terzo periodo, della legge n. 3 del 2012 statuisce, infatti, che “In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento.”.
Infine, diversamente da quanto previsto dall’articolo 182-ter della L.F., che opera con riferimento ai “tributi amministrati dalle agenzie fiscali”, nel campo di applicazione della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento rientrano anche i tributi locali (23).
4.1 Presupposti di accesso alla procedura. L’articolo 6, comma 1, della legge n. 3 del 2012 stabilisce che “Al fine di porre rimedio alle situazioni da sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo, è consentito al debitore concludere un accordo con i creditori nell’ambito della procedura di composizione della crisi disciplinata dalla presente sezione.
Con le medesime finalità, il consumatore può anche proporre un piano fondato sulle previsioni di cui all’articolo 7, comma 1, ed avente il contenuto di cui all’articolo 8.”.
Per “sovraindebitamento” si intende “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente” [articolo 6, comma 2, lettera a), della legge n. 3 del 2012].
La normativa in commento fornisce, dunque, un’articolata definizione dello stato economico dei soggetti che possono accedere alle procedure di composizione della crisi, differenziandosi dalla definizione recata dall’articolo 5 della L.F. in ordine allo stato di insolvenza che dà luogo alla dichiarazione di fallimento (“Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”) e dall’articolo 160 della L.F. in merito allo stato di crisi che consente il ricorso al concordato preventivo (“per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”) (24).
Il sovraindebitamento può riferirsi a qualsiasi soggetto, sia esso imprenditore o meno, e, quindi, anche ai lavoratori autonomi o dipendenti e a coloro che non svolgono attività lavorativa.
Nell’ambito della generale categoria di debitori così delineata, l’articolo 6, comma 2, lettera b), della legge n. 3 del 2012 individua il “consumatore”, inteso come “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
Si evidenzia che mentre il consumatore può scegliere, ai fini della composizione della crisi, se ricorrere alla proposta di “accordo con i creditori” ovvero alla proposta di “piano” – meglio descritte nel prosieguo – il debitore non consumatore può fruire soltanto della proposta di accordo con i creditori (25).
Per entrambi i soggetti è prevista l’alternativa liquidatoria, disciplinata dagli articoli 14-ter e seguenti, collocati nella sezione seconda del Capo II della legge n. 3 del 2012, rubricata “Liquidazione del patrimonio”.
Una posizione particolare attiene agli imprenditori agricoli i quali, se in stato di sovraindebitamento, possono proporre ai creditori un accordo di composizione della crisi ai sensi dell’articolo 7, comma 2-bis, della legge n. 3 del 2012 oppure, se “in stato di crisi o di insolvenza”, a mente dell’articolo 23, comma 43, del DL n. 98 del 2011 citato in premessa, possono accedere alla procedura degli accordi di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis della L.F. e alla transazione fiscale.
In definitiva, l’imprenditore agricolo, anche se escluso dal fallimento a norma dell’articolo 1 della L.F., può alternativamente fruire della procedura di composizione della crisi in esame o degli accordi di ristrutturazione e della transazione fiscale.
Precisi limiti soggettivi sono prescritti dall’articolo 7, comma 2, della legge n. 3 del 2012, secondo cui “La proposta non è ammissibile quando il debitore, anche consumatore:
“a) è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo;
“b) ha fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti di cui agli articoli 14 e 14-bis”, concernenti, rispettivamente, annullamento e risoluzione dell’accordo del debitore e revoca e cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore;
“c) ha fornito documentazione che non consente di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale.”.
4.2 Procedure di composizione della crisi. Come anticipato, la composizione della crisi può realizzarsi attraverso gli strumenti della proposta di accordo o di piano.
La procedura di accordo si fonda su due elementi essenziali: l’iniziativa dello stesso soggetto interessato e il raggiungimento di un accordo con una parte qualificata della massa creditoria. In tal caso, come precisato nella relazione illustrativa della legge n. 221 del 2012 (26), “i creditori che non aderiscono alla proposta di accordo” non sono definibili “quali creditori estranei, come tali titolari del diritto ad essere soddisfatti integralmente ma” sono “vincolati dall’accordo, sempre che concluso con creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti complessivi.”.
In tema di omologazione dell’accordo, l’articolo 12, comma 2, della legge n. 3 del 2012 stabilisce, infatti, che “Quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell’accordo, il giudice lo omologa se ritiene che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda.”.
Relativamente al piano del consumatore, non è invece richiesta l’adesione dei creditori, in quanto il Tribunale fonda le proprie valutazioni sulla convenienza della proposta avanzata e sulla meritevolezza del soggetto interessato.
Le modalità di avvio della procedura di accordo sono descritte dall’articolo 7, comma 1, della legge n. 3 del 2012, che consente al debitore in stato di sovraindebitamento la possibilità di “proporre ai creditori, con l’ausilio degli organi di composizione della crisi di cui all’articolo 15 … un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che, assicurato il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili ai sensi dell’articolo 545 (27) del codice di procedura civile …, preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, indichi le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti e le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni.”.
I creditori possono, dunque, essere frazionati in classi, come avviene nel concordato preventivo, anche se per l’adesione alla proposta nella procedura del sovraindebitamento non è richiesta la doppia maggioranza di cui all’articolo 177 della L.F. (28), consistente nel voto favorevole del maggior numero di classi e nel voto favorevole della maggioranza di tutti i creditori ammessi al voto.
Come accennato in precedenza, il medesimo accordo può essere proposto dal consumatore, che tuttavia può optare anche per la proposta di piano.
Al riguardo, va richiamato l’articolo 7, comma 1-bis, il quale dispone che “Fermo il diritto di proporre ai creditori un accordo ai sensi del comma 1, il consumatore in stato di sovraindebitamento può proporre, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui all’articolo 15 …, un piano contenente le previsioni di cui al comma 1.”.
L’articolo 8 della legge n. 3 del 2012 afferma che “La proposta di accordo o di piano del consumatore prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti con qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri.”.
I soggetti che intendono avvalersi della procedura, a norma dell’articolo 9, comma 1, primo periodo, della legge n. 3 del 2012, depositano la proposta di accordo o di piano presso la cancelleria del Tribunale territorialmente competente in ragione del luogo di residenza o della sede principale dell’azienda.
Il terzo periodo del comma 1 del predetto articolo 9 dispone che “La proposta, contestualmente al deposito presso il tribunale, e comunque non oltre tre giorni, deve essere presentata, a cura dell’organismo di composizione della crisi, all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti in base all’ultimo domicilio fiscale del proponente e contenere la ricostruzione della sua posizione fiscale e l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti.”.
A norma del successivo comma 2, insieme alla proposta il debitore deve depositare “l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell’attestazione della fattibilità del piano, nonché l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia.”.
Qualora svolga attività d’impresa, il debitore è tenuto, altresì, a depositare le scritture contabili degli ultimi tre esercizi, corredate da dichiarazione che ne attesti la conformità all’originale.
A norma dell’articolo 9, comma 3-bis, della legge n. 3 del 2012, il consumatore è invece tenuto ad allegare alla proposta di piano una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi di cui all’articolo 15 della stessa legge (cfr. paragrafo 6), che deve contenere:
“a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;
b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;
c) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;
d) l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;
e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.”.
La necessità di questa ulteriore documentazione da allegare alla proposta di piano del consumatore trova rispondenza nella circostanza che in tal caso, diversamente da quanto accade per la proposta di accordo, la legge non richiede l’approvazione dei creditori, ma esclusivamente la valutazione, da parte del Tribunale, della convenienza del piano e della meritevolezza del debitore (29).
4.3 Adempimenti dell’Agente della riscossione e degli Uffici dell’Agenzia delle entrate. In merito alle pendenze fiscali, la legge n. 3 del 2012 si limita a disporre che per i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, per l’IVA e per le ritenute operate e non versate la proposta di accordo può prevedere soltanto la dilazione del pagamento (articolo 7, comma 1, terzo periodo) e che la proposta di accordo o di piano, non oltre tre giorni dal deposito presso la cancelleria del Tribunale, va presentata, a cura dell’organismo di composizione della crisi, all’Agente della riscossione e agli Uffici fiscali (articolo 9, comma 1, terzo periodo).
Da tali norme si desume che nell’ambito della composizione della crisi da sovraindebitamento è possibile proporre anche il pagamento dilazionato o ridotto (ad esclusione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, dell’IVA e delle ritenute) dei crediti tributari.
Non si rinvengono, tuttavia, disposizioni volte a disciplinare i conseguenti adempimenti a carico dell’Agente della riscossione e degli Uffici dell’Agenzia delle entrate.
Ad avviso della scrivente, analogamente a quanto richiesto dall’articolo 182-ter per la transazione fiscale proposta nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, l’Ufficio competente in relazione all’ultimo domicilio fiscale dell’interessato è tenuto – nel più breve tempo possibile – alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni, alla notifica degli avvisi di irregolarità e degli avvisi di accertamento, nonché a predisporre e trasmettere al debitore una certificazione attestante il complessivo debito tributario. Come chiarito ai paragrafi 4.2.1 e 5.2 della circolare n. 40/E del 2008, nella certificazione va indicato anche il debito tributario relativo all’IVA, che comunque può essere soltanto oggetto di dilazione e non di falcidia. Le stesse precisazioni valgono per le ritenute operate e non versate.
Ai fini della certificazione dell’Ufficio, vanno escluse le somme iscritte in ruoli già consegnati all’Agente della riscossione ovvero riferite ad avvisi di accertamento emessi ai sensi dell’articolo 29, comma 1 del DL n. 78 del 2010, per i quali la riscossione sia già stata affidata in carico all’Agente, alla data di presentazione della proposta da parte del contribuente.
L’Agente della riscossione è tenuto a trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso ovvero derivante dai predetti avvisi di accertamento, comprensivo di tributo, interessi e sanzioni, nonché degli interessi di cui all’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
In relazione ai tributi non iscritti a ruolo ovvero non ancora consegnati all’Agente della riscossione alla data di presentazione della proposta, l’assenso è espresso con atto del Direttore dell’Ufficio.
Per i tributi iscritti a ruolo o accertati ai sensi dell’articolo 29, comma 1 del DL n. 78 del 2010 e già consegnati all’Agente della riscossione alla data di presentazione della proposta, l’assenso è espresso dall’Agente della riscossione su indicazione dell’Ufficio competente.
4.4 Omologazione dell’accordo. L’articolo 10, comma 1, della legge n. 3 del 2012 afferma che “Il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli articoli 7, 8 e 9, fissa immediatamente con decreto l’udienza”.
Al fine di favorire la rapidità del procedimento, lo stesso articolo 10, comma 1, stabilisce che “Tra il giorno del deposito” della proposta “e l’udienza non devono decorrere più di sessanta giorni”.
Con il decreto di fissazione dell’udienza il Giudice dispone “la comunicazione, almeno trenta giorni prima del termine di cui all’articolo 11, comma 1 (30), ai creditori presso la residenza o la sede legale, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, della proposta e del decreto”. Ciò allo scopo di garantire alle parti della procedura il diritto a un pieno contraddittorio.
Inoltre, il Giudice stabilisce adeguata forma di pubblicità della proposta e del decreto stesso, nonché – qualora il proponente svolga attività d’impresa – la pubblicazione di tali atti nel registro delle imprese.
Nel caso in cui la proposta preveda la cessione o l’affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili registrati, il Giudice ordina la trascrizione del decreto, “a cura dell’organismo di composizione della crisi, presso gli uffici competenti”.
Infine, il Giudice ordina che “sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore” (articolo 10, comma 2, della legge n. 3 del 2012).
In tal modo, attraverso la statuizione del Giudice, gli “effetti protettivi del patrimonio del debitore vengono anticipati nella procedura di accordo … , allo scopo di impedire che tra la data del deposito della domanda e quella dell’udienza si determini una “corsa dei creditori” a munirsi di titoli di prelazione” (relazione illustrativa della legge n. 221 del 2012).
A norma dell’articolo 10, comma 4, della legge n. 3 del 2012, fino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.
Il decreto di fissazione dell’udienza è equiparato all’atto di pignoramento (articolo 10, comma 5), con la conseguenza che, dopo la fissazione dell’udienza, gli eventuali atti di disposizione non conformi al piano di risanamento sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al provvedimento.
Ai fini dell’omologazione, il Giudice è chiamato ad effettuare una verifica preliminare circa la fattibilità del piano e l’insussistenza di atti di frode (31).
Il procedimento si svolge secondo il rito camerale, previsto dal comma 6 dell’articolo 10 in esame attraverso l’espresso richiamo agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto di fissazione dell’udienza è reclamabile innanzi al Tribunale.
Le adesioni dei creditori, espresse mediante dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, devono giungere all’organismo di composizione della crisi anche per telegramma o raccomandata a/r o per telefax o per posta elettronica certificata, almeno dieci giorni prima dell’udienza. In caso di mancata dichiarazione da parte dei creditori, l’articolo 11, comma 1 della legge n. 3 del 2012 stabilisce che “si ritiene che abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata”.
In tal modo, analogamente a quanto previsto in tema di concordato preventivo dall’articolo 178, quarto comma della L.F., al silenzio del creditore si attribuisce valore di consenso.
Tutti i creditori, privilegiati o chirografari, hanno diritto di aderire all’accordo e, ai fini dell’omologazione, è necessario che l’accordo sia raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti. Inoltre, i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento “non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione” (articolo 11, comma 2 della legge n. 3 del 2012 (32)).
Il comma 5 dell’articolo 11 della legge n. 3 del 2012 prevede, infine, che la produzione di effetti dell’accordo cessa di diritto qualora il debitore non esegua “integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie. L’accordo è altresì revocato se risultano compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.”. Il Giudice provvede d’ufficio alla revoca dell’accordo con decreto “reclamabile, ai sensi dell’articolo 739 del codice di procedura civile, innanzi al tribunale”.
L’articolo 12 della legge n. 3 del 2012 stabilisce che, dopo il raggiungimento dell’accordo, il Giudice procede all’omologazione allorché:
1. rigetti le eventuali contestazioni dei creditori;
2. verifichi il raggiungimento della maggioranza, consistente nell’adesione dei creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti;
3. verifichi l’idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili nonché dei crediti tributari inerenti alle risorse proprie dell’UE, all’IVA e alle ritenute operate e non versate.
In presenza di contestazioni sulla convenienza dell’accordo, il Giudice dispone l’omologazione “se ritiene che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda” (articolo 12, comma 2).
Il comma 3-bis dell’articolo 12 in esame prevede che l’omologazione “deve intervenite nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta”.
Il successivo comma 4 stabilisce che l’obbligatorietà dell’accordo omologato viene meno in caso di risoluzione dell’accordo stesso o di mancato pagamento dei crediti impignorabili, nonché dei crediti relativi alle risorse proprie dell’UE, all’IVA e alle ritenute operate e non versate. L’accertamento del mancato pagamento di tali crediti è chiesto al Tribunale con ricorso da decidere in camera di consiglio, ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo avverso il conseguente provvedimento “si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.”.
4.5 Omologazione del piano del consumatore. Il procedimento di omologazione del piano del consumatore e i relativi effetti sono disciplinati dagli articoli 12-bis e 12-ter della legge n. 3 del 2012.
In base alla prima disposizione citata, il Giudice – dopo aver verificato la fattibilità del piano, la sua idoneità ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, “nonché dei crediti di cui all’articolo 7, comma 1, terzo periodo,” – dispone l’omologazione “quando esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali”.
Come sottolineato in precedenza, per il piano non è richiesto il consenso dei creditori e, dunque, il Giudice fonda le sue valutazioni sulla idoneità, sulla fattibilità del piano e sulla condotta tenuta dal soggetto interessato.
In presenza di contestazioni sulla convenienza del piano, il Giudice procede all’omologazione “se ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria” (articolo 12-bis, comma 4).
Il Giudice dispone un’idonea forma di pubblicità per il decreto di omologazione; qualora il piano preveda la cessione o l’affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili registrati, il decreto deve essere trascritto a cura dell’organismo di composizione della crisi.
L’omologazione deve intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta.
Nel caso del piano è prevista, ai sensi del comma 7 dell’articolo 12-bis, l’equiparazione al pignoramento del decreto di omologazione e non – come invece stabilito per l’accordo a norma dell’articolo 10, comma 5 della legge n. 3 del 2012 – del decreto di fissazione dell’udienza (33).
In merito agli effetti dell’omologazione, l’articolo 12-ter prevede che, dalla data di omologazione del piano, i creditori con causa o titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali e che, ad iniziativa degli stessi creditori, non possono iniziarsi o proseguirsi azioni cautelari né acquistarsi diritti di prelazione sul patrimonio del soggetto che ha presentato la proposta di piano.
Per espressa disposizione del comma 4 dell’articolo 12-ter in esame, tali effetti vengono meno a fronte del “mancato pagamento dei titolari di crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all’articolo 7, comma 1, terzo periodo”. Come previsto in tema di accordo ai sensi dell’articolo 12, comma 4, l’accertamento del mancato pagamento dei predetti crediti è chiesto al Tribunale con ricorso da decidere in camera di consiglio (articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile).
4.6 Reclamabilità del decreto di omologazione. Il comma 2 dell’articolo 12 della legge n. 3 del 2012 dispone che relativamente al decreto di omologazione dell’accordo “Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo, anche avverso il provvedimento di diniego, si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.”.
Le medesime disposizioni operano per l’omologazione del piano, dal momento che l’articolo 12-bis, comma 5, della legge n. 3 del 2012 prevede che “Si applica l’articolo 12, comma 2, terzo e quarto periodo.”.
Dunque, nei procedimenti sopra richiamati il Giudice si pronuncia in camera di consiglio con decreto motivato, reclamabile innanzi al Tribunale.
In mancanza della previsione di un termine specifico, si ritiene applicabile l’articolo 739 del codice di procedura civile (34), per il quale il reclamo al Tribunale si può proporre “nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti.”.
Si tratta di meccanismo processuale analogo a quello contemplato dall’articolo 183 della L.F., in base al quale il decreto con cui il Tribunale provvede sul giudizio di omologazione del concordato preventivo è reclamabile innanzi “alla corte di appello, la quale pronuncia in camera di consiglio” (35).
Su tale ultima disciplina, la Suprema Corte, con la sentenza n. 22932 del 2011, ha precisato che il decreto con il quale la Corte d’appello decide sul reclamo avverso il decreto del Tribunale che omologa la proposta di concordato preventivo, avendo natura di sentenza, è impugnabile per cassazione nel termine di sessanta giorni dalla notificazione, previsto dall’articolo 325, secondo comma, del codice di procedura civile o, in mancanza di notificazione, nel termine di sei mesi dalla pubblicazione, di cui all’articolo 327, primo comma, del medesimo codice.
In considerazione delle argomentazioni svolte dalla Corte di cassazione (36), a parere della scrivente è possibile ritenere che anche il decreto con il quale il Tribunale decide sul reclamo proposto avverso il decreto di omologazione ai sensi dell’articolo 12, comma 2 e dell’articolo 12-bis, comma 3 della legge n. 3 del 2012 sia impugnabile per cassazione nei termini previsti, rispettivamente, dagli articoli 325 e 327 del codice di procedura civile (37).
4.7 Esecuzione dell’accordo e del piano del consumatore. L’articolo 13, comma 1 della legge n. 3 del 2012 dispone che, se per la soddisfazione dei crediti sono “utilizzati beni sottoposti a pignoramento ovvero se previsto dall’accordo o dal piano del consumatore, il giudice, su proposta dell’organismo di composizione della crisi, nomina un liquidatore che dispone in via esclusiva degli stessi e delle somme incassate.” (38).
Inoltre, il comma 4-bis dell’articolo 13 in esame contempla un diritto di prelazione per i crediti insorti in occasione o in funzione dei procedimenti di risoluzione della crisi da sovraindebitamento; tali crediti sono, quindi, soddisfatti con preferenza rispetto agli altri.
Infine, il successivo comma 4-ter introduce la possibilità per il debitore e per il consumatore di modificare l’accordo o il piano se l’esecuzione di questi ultimi diviene impossibile per ragioni a loro non imputabili.
4.8 Annullamento e risoluzione dell’accordo – Revoca e cessazione degli effetti dell’omologazione del piano. L’articolo 14 della legge n. 3 del 2012 prevede l’annullamento dell’accordo di composizione della crisi quando:
• sia stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo;
• siano state dolosamente simulate attività inesistenti.
Tenuto conto che l’articolo 14, comma 1 della legge n. 3 del 2012 precisa che “Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento”, deve ritenersi che le ipotesi sopra indicate, in presenza delle quali i creditori possono attivare il procedimento di annullamento dell’accordo, si configurano tassative.
Il ricorso per l’annullamento può essere proposto da ciascun creditore al Tribunale nel termine di sei mesi dalla scoperta del fatto doloso o colposo e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dall’accordo.
Ciascun creditore può chiedere, altresì, la risoluzione dell’accordo qualora:
• il debitore non adempia agli obblighi assunti;
• le garanzie promesse non vengano costituite o l’esecuzione dell’accordo divenga impossibile per ragioni non imputabili allo stesso debitore.
La risoluzione va chiesta con ricorso al Tribunale da proporre entro sei mesi dalla scoperta delle circostanze sopra elencate e, in ogni caso, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dall’accordo.
Sia nel caso della risoluzione che in quello dell’annullamento dell’accordo, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile e il reclamo “si propone al tribunale” (articolo 14, comma 5 della legge n. 3 del 2012).
Analogamente, per quanto concerne il piano del consumatore, l’articolo 14-bis contempla la possibilità, per ciascun creditore, di chiedere la cessazione degli effetti dell’omologazione quando:
1. sia stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo;
2. siano state dolosamente simulate attività inesistenti;
3. il debitore non adempia agli obblighi assunti;
4. le garanzie promesse non vengano costituite o l’esecuzione del piano divenga impossibile per ragioni non imputabili allo stesso debitore.
In relazione ai motivi di cui ai punti 1. e 2., il ricorso per la cessazione degli effetti dell’omologazione va proposto entro sei mesi dalla scoperta del fatto doloso o colposo e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dallo stesso piano.
A fronte dei motivi indicati ai punti 3. e 4., il ricorso va proposto entro sei mesi dalla scoperta delle circostanze ivi indicate e, in ogni caso, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto (39).
L’annullamento e la risoluzione dell’accordo, nonché la dichiarazione di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in buona fede.
5 LA LIQUIDAZIONE DEL PATRIMONIO
In alternativa all’accordo e al piano del consumatore, il soggetto in stato di sovraindebitamento può attivare il procedimento di liquidazione del patrimonio, che riguarda tutti i suoi beni (40) ad eccezione di quelli elencati dall’articolo 14-ter, comma 6 (41) della legge n. 3 del 2012.
Dal contenuto del comma 1 (42) del medesimo articolo 14-ter emerge che non può accedere alla liquidazione il debitore che:
• è soggetto a procedure concorsuali diverse dall’accordo, dal piano e dalla liquidazione del patrimonio;
• ha fatto ricorso, nei cinque anni precedenti, alle procedure relative all’accordo, al piano e alla liquidazione del patrimonio.
Al fine di avviare la procedura di liquidazione, il debitore propone ricorso al Tribunale del luogo ove ha la residenza o la sede principale, corredato dalla documentazione di cui all’articolo 9, commi 2 e 3 (vedi paragrafo 4.2.). Al ricorso vanno inoltre allegati l’inventario di tutti i beni del debitore, oltre ad una relazione particolareggiata (43) dell’organismo di composizione della crisi.
Ai sensi del comma 4 dell’articolo 14-ter, “L’organismo di composizione della crisi, entro tre giorni dalla richiesta di relazione, ne dà notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante”.
La domanda è inammissibile qualora la documentazione prodotta non consenta di ricostruire la situazione patrimoniale ed economica del debitore. Il deposito della domanda sospende il corso degli interessi convenzionali o legali per i crediti senza diritto di prelazione.
5.1 Conversione della procedura di composizione in liquidazione. L’articolo 14-quater della legge n. 3 del 2012 prevede che, in ipotesi di annullamento o di risoluzione dell’accordo o di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano, il Giudice, su istanza del debitore o di uno dei creditori può disporre, con apposito decreto, la conversione della procedura di composizione della crisi in quella di liquidazione del patrimonio.
Tale conversione è, inoltre, disposta dal Giudice nel caso in cui l’accordo o il piano cessano di diritto ai sensi dell’articolo 11, comma 5, ossia nel caso in cui “il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie. L’accordo è altresì revocato se risultano compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni dei creditori”.
5.2 Apertura della liquidazione. Se il ricorso proposto dal debitore al Tribunale risulta ammissibile, il Giudice apre la procedura con decreto e nomina un liquidatore (44), da individuare tra i professionisti in possesso dei requisiti richiesti dall’articolo 28 (45) della L.F.; dispone, inoltre, le idonee forme di pubblicità della domanda e del decreto stesso e ordina lo spossessamento, in favore del liquidatore, dei beni da sottoporre alla procedura.
In modo analogo a quanto previsto per il decreto di fissazione dell’udienza relativa alla proposta di accordo e per il decreto di omologazione del piano, il decreto di apertura della procedura di liquidazione è equiparato all’atto di pignoramento.
Una volta eseguita la pubblicità prevista dall’articolo 14-quinquies, comma 2 (46), i creditori con titolo o causa posteriori non possono aggredire i beni sottoposti a liquidazione. Tuttavia, i crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione o del procedimento relativi all’accordo o al piano sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno e ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti (articolo 14-duodecies della legge n. 3 del 2012).
L’articolo 14-quinquies, comma 4 della legge n. 3 del 2012 fissa la durata minima della procedura, che rimane aperta fino alla completa esecuzione del programma di liquidazione “e, in ogni caso, ai fini di cui all’articolo 14-undecies (47), per i quattro anni successivi al deposito della domanda” (48).
5.3 Esecuzione della liquidazione. Il liquidatore forma l’inventario e comunica ai creditori la data entro la quale vanno presentate le domande di ammissione al passivo e la data entro la quale lo stato passivo sarà comunicato al debitore e ai creditori.
Esaminate le domande presentate dai creditori (49) per la partecipazione alla procedura, il liquidatore redige un progetto di stato passivo, che comprende l’elenco dei titolari di diritti sui beni di proprietà o in possesso del debitore, lo comunica agli interessati e, in mancanza di osservazioni, lo approva, dandone comunicazione alle parti.
A fronte di osservazioni che ritiene fondate, il liquidatore, entro il termine di quindici giorni dall’ultima osservazione, redige un nuovo progetto e lo comunica agli interessati. Quando si tratta di contestazioni non superabili, il liquidatore rimette gli atti al Giudice, che provvede alla definitiva formazione del passivo.
La liquidazione si svolge in base al programma predisposto dal liquidatore, al quale, a norma dell’articolo 14-novies, comma 2 della legge n. 3 del 2012, è attribuita l’amministrazione dei beni oggetto della procedura.
Le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in attuazione del programma di liquidazione sono effettuati dal liquidatore tramite procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime da parte di operatori esperti, assicurando la massima informazione e partecipazione dei soggetti interessati.
Il Giudice dispone con decreto la chiusura della procedura soltanto dopo aver accertato la completa esecuzione del piano e, in ogni caso, non prima che siano decorsi quattro anni dalla data di deposito della domanda (articolo 14-novies, comma 5).
5.4 Esdebitazione. L’esdebitazione si concreta nella dichiarazione giudiziale di inesigibilità dei crediti non soddisfatti integralmente attraverso la liquidazione del patrimonio.
Per espressa disposizione dell’articolo 14-terdecies, comma 1 della legge n. 3 del 2012, l’esdebitazione riguarda il “debitore persona fisica” ed è condizionata alla sussistenza di una serie di requisiti riferiti ai precedenti e al comportamento del debitore stesso (50).
Il successivo comma 2 esclude l’esdebitazione quando il sovraindebitamento del soggetto interessato “è imputabile ad un ricorso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle sue capacità patrimoniali” e quando il medesimo soggetto, “nei cinque anni precedenti l’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, ha posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti o altri atti dispositivi del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri”.
Infine, a norma del comma 3 dell’articolo 14-terdecies, l’esdebitazione non opera per i debiti derivanti da obblighi di mantenimento o alimentari, da risarcimento dei danni per illecito extracontrattuale, per le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti, nonché per i debiti fiscali che – pur avendo causa anteriore al decreto di apertura delle procedure relative all’accordo, al piano e alla liquidazione del patrimonio – sono stati successivamente accertati a seguito della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
Se i descritti presupposti e limiti dell’esdebitazione risultano osservati, il Giudice, con decreto adottato su ricorso presentato dal debitore entro l’anno successivo alla chiusura della liquidazione, dichiara l’inesigibilità dei crediti non soddisfatti integralmente.
Avverso il predetto decreto, i creditori non soddisfatti integralmente possono proporre reclamo al Tribunale, ai sensi dell’articolo 739 del codice di procedura civile.
In ogni caso, il decreto di esdebitazione può essere revocato in qualsiasi momento, su istanza dei creditori, qualora sia stato concesso nonostante il debitore, nei cinque anni antecedenti all’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, abbia posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti o atti di disposizione o simulazione di titoli di prelazione, per favorire alcuni creditori a danno di altri. Il decreto è altresì revocabile quando il debitore, con dolo o colpa grave, abbia aumentato o diminuito il passivo ovvero sottratto o dissimulato una parte rilevante dell’attivo o, infine, simulato attività inesistenti.
6 GLI ORGANISMI DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI
Gli organismi di composizione della crisi, iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia, svolgono rilevanti funzioni di ausilio al debitore, ai creditori e al Giudice e assumono tutte le iniziative dirette alla predisposizione del piano di ristrutturazione, del programma di liquidazione e alla relativa esecuzione.
L’articolo 15, comma 1 della legge n. 3 del 2012 prescrive che possono costituire tali organismi:
a. gli enti pubblici dotati di requisiti di indipendenza e professionalità, determinati ai sensi del regolamento adottato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell’economia e delle finanze, 24 settembre 2014, n. 202, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 21 del 27 gennaio 2015 (51) ;
b. gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (52) ;
c. il segretario sociale costituito ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera a), della legge 8 novembre 2000, n. 328 (53) ;
d. gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai.
I soggetti di cui ai punti b), c) e d) “sono iscritti di diritto, a semplice domanda”, nell’apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia.
Il comma 9 del medesimo articolo 15 prevede che i compiti e le funzioni dell’organismo di composizione della crisi possono essere svolti anche da un professionista o da una società tra professionisti che possieda i requisiti richiesti dall’articolo 28 della L.F. ovvero da un notaio, nominati dal Presidente del Tribunale o dal Giudice da lui delegato.
7 GLI ASPETTI PENALI DEL SOVRAINDEBITAMENTO
L’articolo 16 della legge n. 3 del 2012 configura specifici reati a carico del debitore e dei componenti dell’organismo di composizione della crisi ovvero del professionista di cui all’articolo 15, comma 9.
In particolare, il comma 1 del predetto articolo 16 dispone che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro il debitore che:
a. al fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi … aumenta o diminuisce il passivo ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simula attività inesistenti;
b. al fine di ottenere l’accesso alle procedure di cui alle sezioni prima e seconda (54) del presente capo produce documentazione contraffatta o alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile;
c. omette l’indicazione di beni dell’inventario di cui all’articolo 14-ter, comma 3;
d. nel corso della procedura” di composizione della crisi da sovraindebitamento “effettua pagamenti in violazione dell’accordo o del piano del consumatore”.
Il successivo comma 2 stabilisce che il componente dell’organismo di composizione della crisi o il professionista “di cui all’articolo 15, comma 9, che rende false attestazioni in ordine alla veridicità dei dati contenuti nella proposta o nei documenti ad essa allegati, alla fattibilità del piano ai sensi dell’articolo 9, comma 2 (55), ovvero nella relazione di cui gli articoli 9, comma 3-bis, 12, comma 1 e 14-ter, comma 3 (56), è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro.”.
La medesima pena si applica qualora il componente dell’organismo di composizione della crisi o il professionista di cui all’articolo 15, comma 9, della legge n. 3 del 2012 arrechi danno ai creditori “omettendo o rifiutando senza giustificato motivo un atto del suo ufficio”.
NOTE:
- Nella risoluzione n. 3/E del 2009 [in Boll. Trib., 2009, 117] sono state trattate alcune questioni inerenti ai termini di presentazione della proposta di transazione fiscale.
- Con la circolare n. 14/E del 2009 [in Boll. Trib., 2009, 621] sono stati forniti chiarimenti in relazione alle modifiche apportate, all’articolo 182-ter della L.F., dall’articolo 32, comma 5 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.
- Secondo il Giudice rimettente, gli articoli 160 e 182-ter della L.F. avrebbero violato l’articolo 97 della Costituzione “poiché, conducendo alla declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato”, non avrebbero consentito “all’amministrazione finanziaria di valutare, in concreto, la convenienza del piano che prospetti un grado di soddisfazione del credito tributario in misura pari al valore delle attività del debitore e non inferiore a quanto ricavabile dalla vendita in sede di liquidazione fallimentare, così ledendo il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione”. In ordine all’asserita violazione dell’articolo 3 della Costituzione, il Giudice rimettente ha dedotto che “la disciplina impugnata riserverebbe all’amministrazione finanziaria un trattamento deteriore rispetto agli altri creditori privilegiati, non consentendole di poter accettare, in relazione al credito IVA, un pagamento inferiore all’importo del tributo ma superiore a quanto ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore.”.
- Le modifiche in questione si applicano, a norma dell’articolo 18, comma 2, del DL n. 179 del 2012, ai procedimenti instaurati dal 18 gennaio 2013, vale a dire “dal trentesimo giorno successivo a quello della data di entrata in vigore (19 dicembre 2012, n.d.r.) della legge di conversione del presente decreto.”.
- La documentazione di cui all’articolo 161, secondo comma, della L.F. consiste in:“a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa; b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione; c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili; e) un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta.”.
- Cfr. articolo 173, primo comma, della L.F., secondo cui “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori.”.
- Al riguardo si ricorda che nella premessa della circolare n. 40/E del 2008 si è affermato che “l’istituto della transazione fiscale costituisce una particolare procedura “transattiva” tra il fisco ed il contribuente, esperibile in sede di concordato preventivo, potendo essere parte integrante del piano di risanamento di cui all’articolo 160 della L.F. e della domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, nonché delle trattative che precedono la stipula degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis della L.F.”.
- La Corte di cassazione ha invero definito la transazione fiscale come un “sub procedimento” rispetto “all’ordinario procedimento concordatario” (sentenze n. 22931 e n. 22932 del 2011).
- L’articolo 178, quarto comma della L.F. – come modificato dall’articolo 33, comma 1, lettera d-bis), n. 2) del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – stabilisce che “I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. In mancanza, si ritengono consenzienti ai fini del computo della maggioranza dei crediti.”.
- L’articolo 177, primo comma della L.F. afferma che “Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi.”.
- L’articolo 180, primo comma della L.F. prevede che “Se il concordato è stato approvato a norma dell’articolo 177, il giudice delegato riferisce al tribunale il quale fissa un’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale, disponendo che il provvedimento venga pubblicato a norma dell’articolo 17 e notificato, a cura del debitore, al commissario giudiziale e agli eventuali creditori dissenzienti.”.
- Dal combinato disposto degli articoli 162, terzo comma e 18, primo comma della L.F. risulta che contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della Corte d’appello entro il termine perentorio di trenta giorni. Tale termine decorre, per il debitore, dalla data di notificazione della sentenza stessa e, per tutti gli altri interessati, dalla data dell’iscrizione nel registro delle imprese, prevista dall’articolo 17, secondo comma della L.F. Si applica in ogni caso la disposizione dell’articolo 327 c.p.c., secondo cui “Indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell’articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.”.
- Al punto 1.2. della sentenza n. 225 del 2014, si osserva inoltre che “l’art. 182-ter, comma 1, della legge fallimentare … prevede, in base alla natura ed alle garanzie che assistono i crediti tributari e contributivi, una triplice delimitazione legale del contenuto della transazione fiscale. In particolare: 1) i crediti tributari (o contributivi), «limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria», possono costituire oggetto di transazione fiscale remissoria (pagamento parziale) o dilatoria (pagamento dilazionato), con l’eccezione (prevista sin dalla prima introduzione dell’istituto) dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, e purché il trattamento non sia differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole; 2) per i crediti tributari (o contributivi) assistiti da privilegio «la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie»; 3) con riguardo all’imposta sul valore aggiunto (ed alle ritenute operate e non versate) la proposta di transazione fiscale «può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento»”.
- Ai sensi dell’articolo 182-ter, secondo comma, primo periodo della L.F., “Ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, copia della domanda e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione ed all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda, al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale.”.
- A tal proposito, l’articolo 182-ter, secondo comma, secondo e terzo periodo della L.F., stabilisce che “Il concessionario, non oltre trenta giorni dalla data della presentazione (della domanda di transazione fiscale, n.d.r.), deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso. L’ufficio, nello stesso termine, deve procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente ad una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati ma non ancora consegnati al concessionario.”.
- Secondo la Suprema Corte, inoltre, “non avrebbe alcuna giustificazione logica … che il legislatore abbia inteso lasciare alla scelta discrezionale del debitore assoggettarsi all’onere dell’integrale pagamento dell’IVA, imposta armonizzata a livello comunitario sulla cui gestione, si ribadisce, gli Stati non sono esenti da vincoli (si veda Corte giustizia CE, sez. 5^, 11/12/2008, n. 174), optando per la transazione fiscale oppure avvalersi della possibilità di proporne un pagamento parziale decidendo per il concordato senza transazione e quindi rimanendo vincolato solo all’obbligo di pagare integralmente il debito nei limiti del valore dei beni sui quali grava la garanzia, peraltro spesso insussistenti come nel caso di imposta gravante sul valore della prestazione di servizi”.
- Tale posizione ha trovato conferma anche in successive pronunce della Cassazione: la III sezione penale, con la sentenza 31 ottobre 2013, n. 44283, ha ritenuto che “la legislazione vigente impone che nel concordato preventivo il debito IVA debba essere sempre pagato per intero, a prescindere dalla presenza o meno di una transazione fiscale, poiché la norma che lo stabilisce va considerata inderogabile e di ordine pubblico economico internazionale (cfr. Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006; Corte di Giustizia 29 marzo 2012, nella causa C-500/10, Belvedere Costruzioni srl, secondo la quale “ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio”)” (cfr., sullo specifico punto dell’infalcidiabilità dell’IVA, anche Cass., sez. III pen., 12 giugno 2014, n. 24875, e 16 aprile 2015, n. 15853).
- Ai sensi dell’articolo 160, secondo comma della L.F., la proposta di concordato preventivo “può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d). Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.”.
- Sul punto si segnala che la Corte di giustizia dell’Unione europea è stata investita dell’esame relativo alla possibilità di falcidia dell’IVA nell’ambito del concordato preventivo senza transazione fiscale (causa C-546/14). In particolare, il Tribunale di Udine, con ordinanza del 30 ottobre 2014, ha rimesso ai Giudici europei la questione pregiudiziale inerente alla compatibilità dell’articolo 182-ter della L.F. con il diritto comunitario e all’ammissibilità di “una proposta di concordato preventivo che preveda, con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all’IVA, qualora non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito … un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare.”.
- L’articolo 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 prevede che “La disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.” L’articolo 10-bis stabilisce, a sua volta, che “E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.
- A norma dell’articolo 25 del DL n. 179 del 2012, la start up innovativa “è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Società Europea, residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione”, che possiede determinati requisiti elencati dalla medesima norma.
- L’articolo 31, comma 1, del DL n. 179 del 2012 dispone che “La start up innovativa non è soggetta a procedure concorsuali diverse da quelle previste dal capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3.”.
- Cfr. articolo 9, comma 1, secondo periodo della legge n. 3 del 2012, in base al quale la proposta va presentata “all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del proponente”.
- Dalle definizioni operate dalla legge si può desumere che lo stato di crisi corrisponde a uno stato di insolvenza temporanea, nel senso che si può razionalmente ritenere che, in seguito ad una adeguata attività di pianificazione, l’insolvenza potrà superarsi. Dal contenuto dell’articolo 6 della legge n. 3 del 2012 emerge, invece, che il sovraindebitamento costituisce una situazione non transitoria che determina, come nell’insolvenza, l’incapacità del soggetto interessato di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
- Come si dirà più diffusamente in seguito, l’accordo richiede il consenso dei creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti complessivi; il piano prescinde, invece, dall’accordo con i creditori.
- Cfr. premessa della presente circolare, ove si espone che la legge n. 221 del 2012 attiene alla conversione, con modificazioni, del DL n. 179 del 2012.
- L’articolo 545 del codice di procedura civile stabilisce che “Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto.Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza.Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato.Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre alla metà dell’ammontare delle somme predette.Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge.”.
- Al paragrafo 2.2 della circolare n. 40/E del 2008 si è precisato che, ai sensi dell’articolo 177 della L.F., “la maggioranza richiesta per l’approvazione deve essere sia quella dei creditori nel loro complesso sia quella dei creditori nelle singole classi; … la maggioranza riportata in ciascuna classe non è sufficiente all’approvazione del concordato, se la maggioranza non si verifica anche con riguardo a tutti i creditori ammessi al voto.”.
- Nella relazione illustrativa della legge n. 221 del 2012 si osserva che la procedura diretta all’omologazione del piano del consumatore “è, essenzialmente, contrassegnata dall’assenza di un procedimento volto ad acquisire l’adesione o il dissenso dei creditori rispetto al piano proposto ma si basa esclusivamente su di una valutazione giudiziale di fattibilità della proposta e di meritevolezza della condotta d’indebitamento adottata dal consumatore, ciò in forza della considerazione che non sia rintracciabile alcun interesse economico dei creditori ad operare il “salvataggio” del soggetto di consumo”.
- In pratica, quaranta giorni prima della data dell’udienza, considerato che l’articolo 11, comma 1, della legge n. 3 del 2012 richiede che i creditori facciano pervenire “all’organismo di composizione della crisi, dichiarazione sottoscritta del proprio consenso … almeno dieci giorni prima dell’udienza di cui all’articolo 10, comma 1.”.
- Cfr. in proposito l’articolo 10, comma 3, della legge n. 3 del 2012, secondo cui, in presenza di iniziative o atti in frode ai creditori, va disposta la revoca del decreto di fissazione dell’udienza e la cancellazione della relativa trascrizione, nonché la cessazione delle forme di pubblicità ordinate a norma del precedente comma 2.
- In base allo stesso articolo 11, comma 2 della legge n. 3 del 2012, sono in ogni caso esclusi dal diritto di esprimersi sulla proposta “il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta.”.
- Nella relazione illustrativa della legge n. 221 del 2012 si sottolinea che “I generali effetti protettivi del patrimonio del consumatore sono ricondotti al provvedimento di omologazione, senza prevederne un’anticipazione in via ordinaria, stante il carattere di maggiore semplificazione del procedimento nonché l’assenza delle esigenze di conservazione dell’unità produttiva, propria esclusivamente dei debitori non consumatori; il giudice può comunque sospendere specifici procedimenti di esecuzione forzata che possono pregiudicare la fattibilità del piano.”.
- In forza dell’articolo 742-bis del codice di procedura civile, le “Disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio”, di cui al Capo VI del Titolo II del Libro IV, “si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio, ancorché non regolati dai capi precedenti o che non riguardano materia di famiglia o di stato delle persone”.
- Anche per il decreto di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti vale un analogo procedimento di impugnazione, sia pure caratterizzato dalla previsione di uno specifico termine. Invero, il quinto comma dell’articolo 182-bis della L.F. afferma che “Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’art. 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.”.
- In particolare, nella sentenza n. 22932 del 2011 si afferma che “non vi può essere … dubbio in ordine alla ricorribilità del provvedimento ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto il decreto della corte d’appello ha natura di sentenza, avendo l’attitudine alla definitività ed incidendo su diritti soggettivi, dal momento che, se comporta l’omologazione del concordato, determina un diverso assetto dei diritti di credito coinvolti nella procedura”. Nella stessa sentenza n. 22932 del 2011 si specifica, infine, che “il procedimento di omologazione (del concordato preventivo, n.d.r.) si svolge secondo il comune rito camerale di cui all’art. 737 c.p.c. e ss., e di conseguenza … il termine per il ricorso per cassazione è quello ordinario di sessanta giorni; in tale fattispecie, detto termine decorre dalla data di notificazione”. Nella pronuncia in commento si precisa, infatti, che – sulla base del principio di diritto già enunciato nella precedente sentenza 4 dicembre 2003, n. 18514 – “anche il termine per proporre ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso i decreti pronunziati in camera di consiglio decorre dalla notificazione del provvedimento: ad un tal riguardo, ai fini della decorrenza del termine breve ex art. 325 c.p.c., occorre che la notificazione sia eseguita ad istanza di parte, non essendo sufficiente che la notificazione sia stata effettuata a cura della cancelleria del giudice, nel qual caso il ricorso per cassazione resta soggetto al termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c.”.
- Il terzo comma dell’articolo 739 del codice di procedura civile statuisce, infatti, che “Salvo che la legge disponga altrimenti, non è ammesso reclamo contro i decreti della corte d’appello e contro quelli del tribunale pronunciati in sede di reclamo.”.
- A mente del secondo periodo del comma 1 in questione, il liquidatore deve essere in possesso dei requisiti di cui all’articolo 28 della L.F., vale a dire dei requisiti richiesti per la nomina a curatore fallimentare (cfr. nota 45).
- L’articolo 14-bis prevede al comma 1 la revoca e la cessazione di diritto dell’efficacia dell’omologazione del piano ricorrendo i presupposti indicati nell’articolo 11, comma 5, per la cessazione di diritto degli effetti dell’accordo (cfr. par. 4.4)
- Compresi gli accessori, le pertinenze e i frutti prodotti (cfr. articolo 14-novies, comma 2, secondo periodo della legge n. 3 del 2012). Inoltre, rientrano nella liquidazione anche i beni sopravvenuti (cfr. articolo 14-undecies, secondo cui i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione costituiscono oggetto della stessa, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione degli stessi beni).
- Vale a dire: “a) i crediti impignorabili ai sensi dell’articolo 545 del codice di procedura civile; b) i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice; c) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall’articolo 170 del codice civile; d) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.”
- L’articolo 14-ter, comma 1, della legge n. 3 del 2012 dispone che “In alternativa alla proposta per la composizione della crisi, il debitore, in stato di sovraindebitamento e per il quale non ricorrono le condizioni di ammissibilità di cui all’articolo 7, comma 2, lettere a) e b), può chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni.”
- La relazione deve contenere l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza del debitore persona fisica nell’assumere le obbligazioni, le ragioni della sua incapacità ad adempiere le obbligazioni assunte, il resoconto sulla sua solvibilità negli ultimi cinque anni, l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori e il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata (articolo 14-ter, comma 3 della legge n. 12 del 2012)
- Sempre che il liquidatore non sia stato già nominato ai sensi dell’articolo 13, comma 1 della legge n. 3 del 2012.
- L’articolo 28 della L.F., recante i requisiti per la nomina a curatore fallimentare, dispone che “Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore: avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all’atto dell’accettazione dell’incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura; coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento”. Inoltre, “Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.”
- Il comma 2 dell’articolo 14-quinquies prevede: alla lettera c) che il Giudice “stabilisce idonea forma di pubblicità della domanda e del decreto nonché, nel caso in cui il debitore svolga attività di impresa, l’annotazione nel registro delle imprese”; alla lettera d) che “quando il patrimonio comprende beni immobili o beni mobili registrati, la trascrizione del decreto a cura del liquidatore”.
- Come riportato in precedenza nella nota 44, in base all’articolo 14-undecies, nella procedura di liquidazione rientrano anche i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda.
- Nella relazione illustrativa della legge n. 221 del 2012 si specifica che “Al fine di evitare l’abusivo accesso alla procedura liquidatoria con conseguente beneficio esdebitatorio, viene prevista, in linea con i modelli di altri paesi, una durata minima della procedura (4 anni), con acquisizione al patrimonio di liquidazione dei beni sopravvenuti nel predetto arco temporale”.
- L’articolo 14-septies dispone che “1. La domanda di partecipazione alla liquidazione, di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili è proposta con ricorso che contiene: l’indicazione delle generalità del creditore ;la determinazione della somma che si intende far valere nella liquidazione, ovvero la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione o la rivendicazione; la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda; l’eventuale indicazione di un titolo di prelazione; l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, del numero di telefax o l’elezione di domicilio in un comune del circondario ove ha sede il tribunale competente. 2. Al ricorso sono allegati i documenti dimostrativi dei diritti fatti valere.”.
- Il debitore: a) deve aver cooperato ai fini dell’efficace e proficuo svolgimento della procedura; b) non deve aver in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura; c) non deve aver beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni antecedenti alla domanda; d) non deve essere stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno dei reati previsti dall’articolo 16 della stessa legge n. 3 del 2012; e) deve aver svolto, nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione, un’attività produttiva di reddito adeguata alle proprie competenze e alla situazione di mercato o, in ogni caso, deve aver cercato un’occupazione, non rifiutando proposte di impiego senza giustificato motivo. Infine, devono essere stati soddisfatti, almeno parzialmente, i creditori per titolo e causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione.
- In applicazione delle disposizioni recate dal comma 3 dell’articolo 15 della legge n. 3 del 2012, il DM n. 202 del 2014 disciplina, tra l’altro, i requisiti e le modalità di iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi, la formazione dell’elenco degli iscritti, la sospensione e la cancellazione dal registro, nonché la determinazione dei compensi e dei rimborsi spettanti ai medesimi organismi.
- La legge n. 580 del 1993 attiene al “Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”.
- Si tratta della “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, il cui articolo 22, comma 4, lettera a), stabilisce che le leggi regionali prevedono per ogni àmbito territoriale l’erogazione del “servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari”.
- Le procedure di cui alla sezione prima e seconda attengono, rispettivamente, alla composizione della crisi da sovraindebitamento e alla liquidazione del patrimonio.
- L’articolo 9, comma 2, della legge n. 3 del 2012 prescrive che unitamente alla proposta occorre depositare l’elenco di tutti i creditori e delle rispettive somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, con le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell’attestazione di fattibilità del piano, l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore o consumatore e della sua famiglia, i cui componenti devono essere indicati, esibendo anche il certificato dello stato di famiglia.
- Si tratta: della relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi che deve essere allegata alla proposta di piano del consumatore [articolo 9, comma 3-bis)]; della relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della percentuale minima del sessanta per cento dei crediti, richiesta per l’accordo, che l’organismo di composizione della crisi trasmette a tutti i creditori (articolo 12, comma 1); della relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi, da allegare alla domanda di liquidazione dei beni del debitore (articolo 14-ter, comma 3).