L’Amministrazione finanziaria, come tutti gli altri creditori, deve, in linea di principio, rispettare il termine annuale di cui all’art. 101 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), per la presentazione delle istanze tardive di insinuazione al passivo fallimentare senza che i diversi e più lunghi termini previsti per la formazione dei ruoli e l’emissione delle cartelle di pagamento possano costituire un’esimente di carattere generale, ed è tenuta, in caso di inosservanza, a provare che il ritardo dipenda da causa ad essa non imputabile.
[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Plenteda, rel. Ragonesi), 11 ottobre 2011, ord. n. 20910]
La Corteconsiderato:
che il fallimento … spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo avverso il decreto del Tribunale di Pistoia del 17.2.10 con cui veniva parzialmente accolta l’opposizione alla stato passivo proposta da Equitalia Cerit avverso l’esclusione del proprio credito tributario da parte del giudice in sede di procedura ex101 l.f., in quanto proposto oltre l’anno senza dimostrazione del ritardo incolpevole, e per l’effetto il credito veniva ammesso per euro207.596,71 inprivilegio e per euro33.037,70 inchirografo
che Equitalia Cerit spa ha resistito con controricorso.
Osserva quanto segue:
con l’unico motivo di ricorso la società ricorrente contesta la sentenza impugnata laddove la stessa ha escluso che il ritardo nella presentazione della istanza di ammissione tardiva al passivo del credito esattoriale fosse addebitabile al Concessionario avendo questi presentato l’istanza tempestivamente una volta che gli erano stati consegnati i ruoli.
Deduce a tale proposito che la tardività doveva essere valutata in relazione non al comportamento del concessionario, bensì a quello dell’Agenzia delle Entrate effettiva titolare del credito.
Il motivo appare manifestamente infondato.
Il tribunale ha sul punto rilevato che il credito di cui si chiedeva l’ammissione era originato da un controllo sulla dichiarazione fiscale del 2005 e che la valutazione dell’imputabilità del ritardo doveva essere effettuata sul comportamento di Equitalia legittimata a proporre la domanda di insinuazione e che a questa i ruoli erano stati consegnati il 25.12.08, il 10.2.09 ed il 25.1.09, quando l’anno per la proposizione dell’insinuazione tardiva era già scaduto in data 19.12.07.
Tale motivazione appare corretta, poichè non è dubbio che, stante la legittimazione processuale della Concessionaria a proporre la domanda di ammissione al passivo, giusta il disposto dell’art. 88 DPR n. 602/73, gli eventuali colpevoli ritardi nella presentazione della stessa nell’ambito della attività di propria competenza costituiscono motivo di esclusione della domanda in questione se presentata oltre l’anno.
Il provvedimento impugnato ha peraltro anche implicitamente escluso ogni addebito nel ritardo anche al comportamento dell’Agenzia delle entrate avendo rilevato che i ruoli consegnati nel 2008 e nel 2009 ad Equitalia conseguivano ad accertamenti relativi alla dichiarazione tributaria del 2005, con ciò dando implicitamente atto che la consegna dei ruoli e l’emissione delle cartelle era avvenuta nel rispetto dei termini di cui all’art. 25 DPR 602/73 dovendo essa avvenire entro il terzo od il quarto anno dalla presentazione della dichiarazione.
Nel caso di specie, la dichiarazione relativa alle imposte del 2005 era stata presentata nel 2006, onde il termine per la consegna dei ruoli e la notifica delle cartelle scadeva il 31 dicembre 2009; data entro cui la domanda di insinuazione al passivo è stata presentata.
È appena il caso di soggiungere che in relazione al ritardo nella presentazione della domanda di insinuazione al passivo oltre l’anno non può ritenersi colpevole il comportamento dell’amministrazione finanziaria che si attenga ai termini stabiliti dalla legge per le procedure di accertamento e di emissione dei ruoli e delle cartelle.
Il ricorso può pertanto essere trattato in Camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c.
Osserva quanto segue:
Le conclusioni della relazione non possono essere condivise alla stregua degli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte recentemente emersi.
Appare anzitutto fondata la censura secondo cui il ritardo nella presentazione dell’istanza di insinuazione tardiva da prendersi in considerazione non è solo quello che discende dalla attività della Concessionaria ma anche quello derivato dalla formazione del ruolo da parte dell’amministrazione finanziaria che è l’effettiva creditrice.
Ciò posto, va chiarito che la non imputabilità del ritardo nella presentazione dell’istanza ex art.101 l.f. non può valutarsi pressochè esclusivamente in relazione alla scusabile non conoscenza della procedura fallimentare.
Possono infatti verificarsi situazioni in cui il creditore istante, pur a conoscenza della avvenuta dichiarazione di fallimento si trovi nella impossibilità per causa di forza maggiore o per altre circostanze a lui non imputabili di presentare tempestiva insinuazione al passivo o, comunque, di rispettare il termine annuale di cui all’art.101 l.f. per la presentazione della istanza di insinuazione tardiva.
Tuttavia siffatte situazioni vanno valutate caso per caso con un accertamento in fatto.
Nel caso dei crediti tributari che vengono insinuati tardivamente al passivo non può condividersi l’assunto della relazione secondo cui non può ritenersi colpevole il comportamento dell’amministrazione finanziaria e del concessionario che si attengano ai termini stabiliti dalla legge per le procedure di accertamento e di emissione dei ruoli e delle cartelle.
Deve infatti ritenersi che l’Amministrazione finanziaria, come tutti gli altri creditori, debba in linea di principio rispettare il termine annuale di cui all’art.101 l.f. per la presentazione delle istanza tardive di insinuazione senza che i diversi e più lunghi termini previsti per la formazione dei ruoli e la emissione delle cartelle possano costituire una esimente di carattere generale dal rispetto del citato termine di cui all’art.101 l.f.
In altri termini, una volta che l’amministrazione finanziaria abbia avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento, la stessa deve immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione dei propri crediti al passivo in termini inferiori a quelli massimi attribuiti dalla legge per l’espletamento di tali incombenze.
Va, ad esempio, osservato che ai fini della presentazione della istanza di insinuazione al passivo, è sufficiente l’esistenza del ruolo, che costituisce titolo valido attestante il credito, senza dovere attendere la formazione e la notifica della cartella esattoriale (Cass. 12019/11[1]); parimenti l’Ufficio finanziario può presentare istanza di ammissione al passivo sia pure con documentazione incompleta, con conseguente ammissione del credito ai sensi dell’art.96 l.f. con riserva di produzione dei documenti.
È in relazione ai tempi strettamente necessari per lo svolgimento della predetta attività che deve valutarsi la scusabilità del ritardo – il cui onere probatorio grava sull’Amministrazione – in caso presentazione ultra annuale dell’istanza rispetto alla data di esecutività dello stato passivo (Cass. 24445/10[2]).
Può, ad esempio, avvenire che il fallimento venga dichiarato subito dopo la presentazione delle varie dichiarazioni dei redditi e che la formazione dello stato passivo si svolga in termini molto rapidi per cui l’Ufficio finanziario, che può iniziare la fase d’accertamento solo l’anno successivo alla presentazione delle dichiarazioni, pur accelerando tutti gli adempimenti dovuti, si trovi nella impossibilità di rispettare il termine di cui all’art.101 l.f.
Nel caso di specie, la valutazione del Tribunale non appare conformarsi ai principi dianzi enunciati.
Il decreto impugnato ha ritenuto sul punto che il credito di cui si chiedeva l’ammissione era originato da un controllo sulla dichiarazione fiscale del 2005 e che la valutazione dell’imputabilità del ritardo doveva essere effettuata sul comportamento di Equitalia legittimata a proporre la domanda di insinuazione e che a questa i ruoli erano stati consegnati il 25.12.08, il 10.2.09 ed il 25.1.09, quando l’anno per la proposizione dell’insinuazione tardiva era già scaduto in data 19.12.07, omettendo di valutare il comportamento dell’Amministrazione nella fase di predisposizione dei ruoli al fine di accertare se la stessa, una volta avuta cognizione della dichiarazione di fallimento si sia attivata per accelerare le procedure volte a tal fine una volta accertato che i crediti scaturivano da accertamenti relativi alle dichiarazioni del 2005.
Il ricorso va pertanto accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e rinvio, anche per le spese, al tribunale di Pistoia, in diversa composizione, che nel rivalutare la controversia si atterrà ai principi di diritto dianzi enunciati.
P.Q.M. – Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Pistoia in diversa composizione.
Insinuazioni tardive: anche l’Agenzia
delle entrate deve osservare i termini
L’ultimo comma dell’art. 101 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito legge fallimentare) – che disciplina le domande tardive dei crediti – dispone che «decorso il termine di cui al primo comma [12 mesi, n.d.r.], e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare, le domande tardive sono ammissibili se l’istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile».
Nella fattispecie sub judice il Tribunale ammette il credito dell’Agenzia delle entrate, azionato da Equitalia (agente della riscossione), anche se la domanda era stata presentata oltre il termine annuale (non per colpa di Equitalia ma) per ritardo imputabile all’Amministrazione finanziaria.
Avverso il decreto del Tribunale la curatela fallimentare propone ricorso per cassazione sostenendo che per verificare la tempestività della domanda occorre avere riguardo non alla condotta dell’agente delle riscossione – come afferma il giudice di merito – ma a quella dell’Agenzia delle entrate, titolare del credito insinuato.
D’accordo con la tesi del Tribunale è il consigliere relatore, che ritiene il ricorso “manifestamente infondato”; tuttavia il Collegio è di avviso contrario; cassa perciò la decisione impugnata affermando il principio massimato.
La Cortedi Cassazione – oltre a stabilire il principio generale che l’Amministrazione finanziaria (oltre a Equitalia) è tenuta a rispettare il termine annuale previsto dall’art. 101 della legge fallimentare – ne sviluppa alcuni corollari.
Rappresenta una causa di giustificazione del ritardo – affermano i Massimi Giudici – l’ignoranza della apertura della procedura concorsuale solo se scusabile; quindi – aggiungiamo noi – l’ignoranza non dovrebbe essere quasi mai incolpevole: l’Agenzia delle entrate può infatti accedere (come del resto tutti i cittadini) alla banche dati delle Camere di commercio e quindi verificare in tempo reale se i contribuenti sono falliti. L’omissione di questo controllo non appare giustificabile se non nelle ipotesi di scuola della forza maggiore (i collegamenti alle banche dati non sono possibili a causa di vis cui resisti non potest: incendio, terremoto, atto vandalico).
Non dovrebbe possedere attitudine esimente la mancanza di personale e, in genere, tutte le cause che attengono all’organizzazione interna dell’Amministrazione finanziaria. Non sembra infatti che si possa ritenere scusabile l’ignoranza se deriva dall’assenza e/o dalla mancata sostituzione di funzionari o impiegati, di ritardi negli interventi di manutenzione o di riparazione dei server, di strumentazione obsoleta, ecc.: si tratta, in definitiva, di situazioni governabili, che pertanto non possono rientrare nel concetto di “causa non imputabile”. Alla stessa stregua, «il sistema automatico di formazione del ruolo della riscossione costituisce una causa di ritardo riferibile all’organizzazione dell’Ente creditore, dunque una ragione che, anziché esentare da colpa per il ritardo, costituisce specificamente una causa imputabile al creditore» (1).
Non dovrebbe integrare una causa di giustificazione apprezzabile nemmeno la situazione che ebbe a verificarsi anni addietro in un pubblico ufficio milanese quando una consistente parte del personale era stata raggiunta da provvedimenti cautelari limitativi della libertà personale (il P.M. era Di Pietro); è infatti possibile rimediare – come si fece allora – con applicazioni di personale proveniente da uffici di altre province.
La Cortedi Cassazione afferma che nulla esclude, in tesi, la configurabilità di una ragione di non imputabilità anche quando il creditore istante è a conoscenza della pendenza della procedura concorsuale ma non riesce ugualmente ad osservare il termine annuale. Tra queste circostanze è annoverabile – osservala Suprema Corte– l’ipotesi in cui «il fallimento venga dichiarato subito dopo la presentazione delle varie dichiarazioni dei redditi e che la formazione dello stato passivo si svolga in termini molto rapidi per cui l’Ufficio finanziario, che può iniziare la fase d’accertamento solo l’anno successivo alla presentazione delle dichiarazioni, pur accelerando tutti gli adempimenti dovuti, si trovi nella impossibilità di rispettare il termine di cui all’art.101 L.F.» (anche se la formazione dello stato passivo “in tempi molto rapidi” appare un wishful thinking).
Viceversa, non integra un’ipotesi di causa esimente un mutamento di indirizzo giurisprudenziale (2).
Non compone ragione esimente neppure l’incompletezza della documentazione.
Ai fini dell’insinuazione allo stato passivo è infatti sufficiente il ruolo, «senza dovere attendere la formazione e la notifica della cartella esattoriale» (3); d’altra parte – osserva l’ordinanza in commento – «l’Ufficio finanziario può presentare istanza di ammissione al passivo sia pure con documentazione incompleta, con conseguente ammissione del credito ai sensi dell’art.96 L.F. con riserva di produzione dei documenti».
L’onere di provare la causa di non imputabilità del ritardo – afferma la pronuncia massimata – grava sull’Amministrazione finanziaria.
Il giudice delegato, in questo caso, dovrà valutare se, di per se stessa, la causa dedotta possa astrattamente assumere il carattere della non imputabilità; in caso affermativo, il giudice dovrà poi verificare se la circostanza dedotta sia adeguatamente provata.
Se dunque non è discutibile che l’ignoranza incolpevole della dichiarazione di fallimento del contribuente integri gli estremi della causa non imputabile, è però vero che grava sull’Amministrazione finanziaria la doppia prova circa l’inscientia e la sua non colpevolezza.
In quest’ordine di idee, quando l’Amministrazione finanziaria non osserva il termine annuale, è tenuta a dimostrare di non essere a conoscenza della pendenza della procedura: prova negativa che – di per sé – è estremamente impervia. E non è semplice neppure provare che l’ignoranza è incolpevole.
È senza fondamento – afferma infinela Cortedi Cassazione – l’idea che l’Amministrazione finanziaria possa fruire di un termine più lungo rispetto al ceto creditorio: «i diversi e più lunghi termini per la formazione dei ruoli e la emissione delle cartelle» non possono «costituire un’esimente di carattere generale dal rispetto del … termine di cui all’art.101 L.F.».
Insomma, un’ordinanza rigorosa che richiede agli Uffici fiscali un’attenta organizzazione.
Fausta Brighenti
(1) Così Trib. Vicenza 23 aprile 2009, in Boll. Trib. On-line.
(2) Così Cass., sez. I, 15 giugno 2006, n. 13830, inForo it., 2006, I, 3382.
(3) In questi termini cfr. Cass., sez. VI, 31 marzo 2011, n. 12019, inBoll. Trib. On-line, e di prossima pubblicazione sulla Rivista.
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