SOMMARIO: 1. Premessa –2. Origini e funzioni dei certificati verdi – 3. Natura giuridica dei certificati verdi –4. Profili IVA relativi ai certificati verdi – 5. La rappresentazione contabile dei certificati verdi; 5.1 Osservazioni generali; 5.2 La rappresentazione contabile per i produttori di energia verde; 5.3 La rappresentazione contabile per i produttori di energia convenzionale.
1. Premessa
A partire dal Protocollo di Kyoto (1), trattato con cui la comunità mondiale ha cercato di dare una risposta, o per meglio dire trovare un rimedio, al sempre più preoccupante surriscaldamento globale, gli Stati hanno prestato sempre maggior attenzione alle cosiddette fonti alternative di energia e di calore.
Al fine di incentivare un sempre maggior utilizzo di tali fonti alternative gli Stati hanno ideato forme di incentivazione o per meglio dire, un regime premiale con cui ristornare i soggetti investitori.
In Italia, particolare successo ha riscontrato il business connesso con gli impianti fotovoltaici alla luce di un vantaggioso regime contributivo dello Stato rappresentato dall’erogazione da parte del GSE (Gestore dei servizi energetici) della cosiddetta tariffa incentivante, diventata, a decorrere dal V conto energia di cui al D.M. 5 luglio 2012, tariffa onnicomprensiva.
Tuttavia le fonti rinnovabili non si esauriscono nei raggi solari, motivo per cui il legislatore ha previsto un piano incentivante anche per altre forme alternative di produzione di energia elettrica, tra cui i cosiddetti certificati verdi, oggetto di un recente principio contabile emanato dall’Oic (Organismo italiano di contabilità) (2).
Nel seguito, dopo una descrizione dell’origine e del funzionamento circolatorio dei certificati verdi, saranno delineati i tratti dell’inquadramento giuridico, per poi individuarne il trattamento tributario e da ultimo accennare alla disciplina contabile applicabile.
2. Origini e funzioni dei certificati verdi
I certificati verdi si inseriscono, quanto alla loro funzione, nel sistema giuridico di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In sostanza costituiscono uno strumento di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Tale sistema di incentivazione è strutturato in modo tale da creare una domanda di energia elettrica da fonti rinnovabili fondata su un obbligo di legge, al fine di sviluppare la corrispondente offerta e aumentare, di conseguenza, il quantitativo complessivo di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
Per comprendere appieno il funzionamento dei certificati verdi, definiti dall’art. 5 del D.M. 11 novembre 1999 come la «certificazione di produzione da fonti rinnovabili», si ritiene utile fare un passo indietro e richiamare alcuni concetti sulle cosiddette “Convenzioni CIP 6/92” che sebbene sostituite dai certificati verdi, sono tutt’ora vigenti.
Il termine CIP 6/92 deriva dal provvedimento, emanato dal Comitato Interministeriale Prezzi, del 29 aprile 1992 di individuazione dei prezzi incentivanti per l’energia prodotta con impianti alimentati con fonti rinnovabili ed “assimilate”.
Il provvedimento individuava tre tipologie di impianti. In particolare si trattava di impianti alimentati da fonti rinnovabili quali il sole, il vento, l’energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici e inorganici o di prodotti vegetali. Altra tipologia di impianti individuata nel provvedimento è quella da fonti assimilate a quelle rinnovabili quali quelli di cogenerazione, che utilizzano calore di risulta, fumi di scarico e altre forme di energia recuperabile in processi di impianti e quelli che utilizzano gli scarti di lavorazione e/o di processi e quelli che utilizzano fonti fossili prodotte esclusivamente da giacimenti minori isolati e, infine, da fonti convenzionali: quelli per la sola produzione di energia elettrica che utilizzano combustibili fossili commerciali e altri impianti non rientranti in quelli precedentemente individuati. Il Titolo II si occupava dell’individuazione di un prezzo di cessione per l’energia prodotta variabile a seconda che gli impianti mettessero a disposizione l’intera potenza o una quota di potenza prefissata (tipo A) o, al contrario, cedessero le sole eccedenze (tipo B).
Il prezzo di cessione era dato dalla sommatoria dell’insieme di tre tipologie di costi “evitati” (3) e una componente incentivante variabile in ragione dell’impianto utilizzato.
Tale sistema incentivante, in recepimento e attuazione della Direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, è stato eliminato con l’art. 11, primo comma, del D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, ai sensi del quale «Al fine di incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali, a decorrere dall’anno 2001 gli importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in ciascun anno, importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili hanno l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale, nell’anno successivo, una quota prodotta da impianti da fonti rinnovabili entrati in esercizio o ripotenziati, limitatamente alla producibilità aggiuntiva, in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto».
In via esemplificativa, con il D.Lgs. n. 79/1999 è stata prevista una “tassa” implicita per i produttori o importatori di energia “sporca”, consistente nell’obbligo di immissione nel sistema elettrico di una data percentuale, rapportata alla propria produzione, di energia proveniente da fonti rinnovabili. Tale quota di energia pulita da immettere sul mercato è rappresentata dai certificati verdi che, come anticipato, l’art. 5 del D.M. 11 novembre 1999, definisce correttamente come la «certificazione di produzione da fonti rinnovabili».
A differenza di quanto previsto nelle precedenti Convenzioni CIP 6/92, i certificati verdi sono utilizzabili esclusivamente in ambito nazionale. Ritornando all’obbligo in capo ai produttori di energia convenzionale, essi, per introdurre l’energia pulita imposta, possono alternativamente: acquistare i certificati sul mercato, produrre direttamente energia pulita attraverso la realizzazione di impianti a fonti rinnovabile o, infine, importare energia “verde” da soggetti esteri, a condizione che i Paesi di provenienza adottino uguali sistemi di incentivazione basati sulla reciprocità.
I certificati verdi, bancabili per un periodo di tre anni dalla loro emissione, vengono compravenduti o tramite il mercato del GME (Gestore dei mercati energetici) o a mezzo di liberi scambi bilaterali.
Essi vengono rilasciati dal GSE, previa domanda da parte del produttore per il riconoscimento dell’impianto. L’assegnazione dei certificati è influenzata oltre che dalla variabile produzione, anche da quella di origine: in ragione delle diverse fonti rinnovabili, sono previsti differenti moltiplicatori (4). Siffatta qualificazione è importante, soprattutto, ai fini della corretta contabilizzazione e rappresentazione in bilancio, allo scopo di delineare le modalità con le quali il GSE assegna i certificati verdi.
Infatti è possibile ottenere i certificati verdi: “a consuntivo” in base alla comunicazione relativa alla produzione dell’anno precedente; oppure “a preventivo” in base alla stima della probabile energia prodotta nell’anno in corso o in quello successivo.
Per certificati verdi emessi a consuntivo si intendono i certificati che il GSE emette, in ragione della produzione effettiva, nell’anno successivo rispetto a quello in cui si è realizzata la produzione oggetto di incentivazione. Invece, per certificati verdi emessi a preventivo si intendono i certificati che il GSE emette, in ragione della produzione attesa, nell’anno corrente o nell’anno precedente a quello in cui si realizza la produzione oggetto di incentivazione. Rientrano in tale tipologia anche i certificati verdi emessi in base alle misure mensili di energia prodotta.
Con l’erogazione a preventivo, è di tutta evidenza che sarà possibile che si determini uno sfasamento tra erogato e dovuto con emersione di un’eccedenza di certificati verdi che, alternativamente, potranno essere restituiti per il loro annullamento o compensazione in caso di presenza di altri impianti.
La durata di emissione dei certificati varia in funzione dell’anno di entrata in esercizio dell’impianto: 15 anni per quelli entrati in esercizio a decorrere dal periodo 2008 e 12 anni per gli altri.
3. Natura giuridica dei certificati verdi
La natura giuridico-civilistica dei certificati verdi presenta taluni profili di interesse sia ai fini che rappresenta una variabile indispensabile ai fini del successivo inquadramento fiscale e trattamento contabile.
L’inquadramento giuridico classificatorio dei certificati verdi si è anzitutto evoluto nel senso di portare ad escludere i certificati verdi in una determinata categoria giuridica piuttosto che in un’altra.
Anche l’Agenzia delle entrate, chiamata a precisare alcuni profili tributari di rilievo, con la circolare 19 luglio 2007, n. 46/E (5), dedicata all’inquadramento fiscale degli investimenti nel campo fotovoltaico, pur definendo i certificati verdi quali titoli, precisava che «il termine titolo … non sottintende alcuna qualificazione giuridica predefinita».
La disamina delle categorie civilistiche cui poter ricondurre i certificati parte dall’analisi indagatoria del nomen iuris di “certificati”. Un primo profilo ricostruttivo, invero, è connotato dalla qualificazione di titolo di credito, in virtù dell’evocativa enunciazione, data dal termine certificato. Tuttavia, appare oramai pacificamente da escludersi la qualificazione della natura giuridica di titolo di credito. Ciò non tanto in considerazione dell’asserita mancanza di incorporazione di un diritto nel titolo che i certificati invero incorporano; inoltre gli stessi sono destinati alla circolazione. Tuttavia, si appalesa la mancanza di un rapporto obbligatorio sottostante anche alla luce del fatto che i certificati non sono rappresentativi di un diritto a una specifica prestazione che possa essere preteso nei confronti di un debitore, come al contrario delineato dall’art. 1992 c.c.
Inoltre i certificati verdi non paiono potersi definire nell’alveo dei documenti di legittimazione ovvero tra i titoli impropri. Anche in tali ipotesi dovrebbe necessariamente sussistere una correlazione a rapporti contrattuali o obbligatori (6).
Sotto altro profilo la natura giuridica dei certificati verdi può essere approfonditamente indagata in connessione alla funzione dei certificati verdi. La funzione rileva sotto un duplice aspetto. Per il “produttore verde” i certificati rappresentano una forma di incentivazione; mentre per il produttore/importatore convenzionale sono un obbligo imposto dallo Stato (7)
Alla luce di tale obiettivo, potrebbe ipotizzarsi che essi siano riconducibili tra gli strumenti finanziari, tuttavia tale strada risulta impercorribile per effetto di una serie di eccezioni a tale inquadramento. Anzitutto, con riguardo al dato formale, la definizione di valori mobiliari (8) e di strumenti finanziari (9), enucleata nel T.U.L.F. non pare conferire spazio per una lettura che consenta un inquadramento in tale contesto. Invero gli strumenti finanziari presuppongono un investimento di natura finanziaria, connotazione mancante nel caso dei certificati verdi la cui funzione, invece, è quella di adempiere all’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale energia prodotta da fonti rinnovabili. Invero, i certificati verdi non rappresentano né una forma di partecipazione al capitale, né una forma di possibile indebitamento da parte della società.
La ricostruzione, in termini positivi, che è stata proposta è nel senso dell’inquadramento dei suddetti certificati verdi nell’ambito dei titoli rappresentativi di “diritti immateriali” (10). In sostanza, aderendo a tale impostazione, la nozione di “certificati verdi” richiama titoli rappresentativi della origine “pulita” dell’energia elettrica ossia la provenienza da fonti rinnovabili dell’energia elettrica “incorporata”, dal punto di vista analitico-quantitativo, in tali titoli (11).
4. Profili IVA relativi ai certificati verdi
In considerazione della circolazione economica di siffatti titoli rappresentativi di diritti immateriali, la circolazione economica dei certificati ha posto il tema del regime impositivo applicabile, in termini anzitutto di fiscalità indiretta, al trasferimento di questi certificati. Il tema, discusso in dottrina è stato anche oggetto di specifici quesiti posti all’Amministrazione finanziaria (12).
Anzitutto, in merito al presupposto oggettivo, la circolazione dei certificati verdi integra la fattispecie delle prestazioni di servizi.
Invero, la normativa nazionale, a differenza di quella comunitaria (13), non specifica la natura dei beni (materiali o immateriali) che possono essere oggetto di rilevante cessione ai fini dell’IVA (14). Alla luce della chiara presa di posizione a livello comunitario (15), la normativa nazionale contempla una definizione residuale, nell’alveo delle prestazioni di servizi, idonea a includere anche “diritti o beni similari ai precedenti” (16) diritti immateriali. Tale definizione di diritti o beni similari ai diritti “classici” immateriali, costituisce una formulazione ampia e tendenzialmente diretta a consentire la qualificazione come prestazione di servizi a tutte le cessioni che abbiano ad oggetto la circolazione di diritti immateriali di qualsiasi genere. Pertanto nel solco di questa impostazione, peraltro in coerenza con le interpretazioni elaborate a livello comunitario (17), le cessioni di certificati verdi sono inquadrabili nell’alveo delle prestazioni di servizi c.d. “generiche”.
Con riferimento alla territorialità impositiva pertanto, in ragione della ripartizione territoriale dell’IVA, nell’ambito dell’Unione europea, occorrerà tenere in considerazione il Paese di stabilimento del committente, soggetto passivo, ossia del cessionario del certificato verde. In questo caso l’operazione di cessione non rileverà territorialmente in Italia, per quanto prescritto dall’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972 (18).
5. La rappresentazione contabile dei certificati verdi
5.1 Osservazioni generali
In passato, la disciplina della contabilizzazione dei certificati verdi non è stata adeguatamente indagata, alla luce, probabilmente, del ridotto sviluppo che avevano le energie rinnovabili (19).
Ai giorni nostri il tema è divenuto di attualità e diffusione tale da far si che sia appositamente intervenuto l’Organismo italiano di contabilità (di seguito anche Oic) che ha emanato il principio contabile Oic n. 7 ove è sin da subito affermato che i certificati verdi sono una forma di contributo in conto esercizio (20).
A sostegno di tale condivisibile impostazione l’Oic evidenzia come la loro erogazione non sia correlata né all’effettuazione di un dato investimento, né al sostenimento di un determinato onere finanziario. La natura di contributi in conto esercizio fa si che tali contributi, a prescindere dai soggetti interessati, siano trattati contabilmente quali ricavi che, indipendentemente dalle modalità di erogazione dei certificati verdi (“a preventivo” o “a consuntivo”), vanno rilevati per competenza in sede di chiusura dell’esercizio in cui è stata prodotta l’energia in funzione della quale il GSE provvede all’emanazione.
La contabilizzazione, tuttavia, si differenzia in ragione dei possibili fini dei soggetti coinvolti, potendovi essere:
1. produttori di energia verde;
2. produttori di energia convenzionale e
3. soggetti traders (21).
5.2 La rappresentazione contabile per i produttori di energia verde
Per i soggetti che ricevono i certificati verdi quale premio per la produzione di energia da fonti rinnovabili, la valutazione degli stessi dovrà avvenire in base al valore riconosciuto dal GSE in ipotesi di ritiro garantito dei certificati stessi.
In funzione di quanto precedentemente affermato e cioè che i certificati devono essere rilevati per competenza, al termine di ogni anno la società dovrà procedere all’iscrizione nell’attivo patrimoniale di un credito nei confronti del GSE con contropartita un ricavo. In seguito, la società potrà procedere alla cessione dei certificati verdi, con conseguente insorgenza di ricavi che avranno quale contropartita dei crediti nei confronti del cliente (tendenzialmente il produttore di energia convenzionale, ma potrebbe anche essere un trader).
In caso di certificati c.d. “a preventivo”, non è infrequente che l’effettiva produzione di energia a fine anno non dia diritto al numero di certificati assegnati. In caso di deficit di energia prodotta si gestirà la situazione a mezzo della tecnica del risconti, rilevando un risconto passivo, mentre in caso di surplus sarà necessario integrare i ricavi rilevati nell’esercizio. La vendita nell’esercizio successivo, rispetto a quello di competenza, comporta la rilevazione di una sopravvenienza attiva o passiva pari al differenziale esistente tra il realizzo desumibile dal mercato e il credito iscritto in bilancio.
Nel caso di assegnazione dei certificati c.d. a preventivo, la società dovrà attivare i conti d’ordine per rilevare l’impegno assunto nei confronti del GSE di produrre un determinato quantitativo di energia nel corso di un anno. A fine anno si potrà verificare, come nel caso precedente un deficit con conseguente obbligo di mantenimento dei certificati ricevuti in eccesso nei conti d’ordine.
5.3 La rappresentazione contabile per i produttori di energia convenzionale
Come già ampiamente illustrato, i certificati verdi, per i produttori di energia convenzionale, rappresentano un obbligo imposto dal legislatore, alternativo alla produzione anche di energia pulita, per poter continuare nella produzione di quella convenzionale.
Sotto il profilo contabile da tale assunto consegue che l’acquisto dei certificati verdi rappresenta un costo riconducibile tra gli oneri diversi di gestione e iscrivibile nella voce B14 di conto economico che avrà, in sede di rilevazione, quale contropartita un debito. Se acquisto o vendita (perché è sempre possibile che la società procede alla cessione di certificati precedentemente acquistati) avviene entro la chiusura dell’esercizio di competenza, il costo o ricavo vanno contabilizzati integralmente nell’esercizio in chiusura.
Alla fine del periodo occorrerà verificare se è in possesso dei certificati necessari a “compensare” l’energia non conforme alle regole prescritte in materia di energia da fonti rinnovabili eventualmente prodotta. In caso di deficit sarà necessario rilevare l’onere da sostenere per essere considerati in conformità alla normativa vigente e, in ipotesi di difficoltà nella quantificazione precisa del debito, sarà possibile attivare un Fondo per rischi e oneri da iscriversi alla voce B.3 dello stato patrimoniale. Nell’ipotesi inversa di un surplus troverà, anche in tale caso, l’applicazione della tecnica dei risconti per rettificare i costi sostenuti. Da ultimo, l’acquisto dei certificati dopo la chiusura dell’esercizio determina la rilevazione di una sopravvenienza attiva o passiva.
Avv. Alberto Alfredo Ferrario – Dott. Luigi Scappini
(1) Il protocollo di Kyoto è stato adottato dalle Nazioni Unite l’11 dicembre 1997 e impegna i Paesi industrializzati e i Paesi con economie in transizione a ridurre le emissioni di green house gases (GHG). I gas ad effetto serra, le cui emissioni sono misurate in tonnellate equivalenti di anidride carbonica, sono: anidride carbonica (CO2), metano (CH4); protossido di azoto (N2O); idrofluorocarburi (HFC); perfluorocarburi (PFC); esafluoro di zolfo (SF6). Il Protocollo è stato approvato dalla Comunità europea con la Decisione 2002/358/CE del Consiglio del 25 aprile 2002 ed è stato ratificato dall’Italia con la legge 1° giugno 2002, n. 120, Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997. Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, con la ratifica di almeno 55 Parti della Convenzione, che rappresentano almeno il 55% del totale delle emissioni di gas ad effetto serra. In Italia, il D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30, attua la Direttiva n. 2009/29/CE che modifica la precedente Direttiva n. 2003/87/CE. Il precedente D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 216, viene abrogato dall’art. 43 del D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30, a partire dal 5 aprile 2013.
(2) Oic, Principio contabile 13 febbraio 2013, n. 7. Tale principio «… ha lo scopo di definire i criteri per la rilevazione contabile, la classificazione e la valutazione dei certificati verdi nel bilancio d’esercizio, nonché l’informativa da presentare nella nota integrativa». L’Oic ha approvato nel febbraio 2013 l’Oic n. 8 sul trattamento contabile delle quote di emissione di gas ad effetto serra (certificati grigi o certificati CO2), nelle seguenti categorie di imprese: imprese che rientrano nella disciplina per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra; società trader di certificati grigi.
(3) Nello specifico, i costi evitati individuati nel provvedimento sono quelli di impianto, aggiornato in base alla variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo, di manutenzione e delle spese generali connesse, aggiornato secondo le medesime modalità e tempistiche previste per quello di cui sopra e di combustibile che, senza soffermarci, tutt’ora rappresenta oggetto di contenzioso.
(4) Come aggiornati da ultimo con legge 23 luglio 2009, n. 99.
(5) In Boll. Trib., 2007, 1196.
(6) Cfr. G. Paudice, Trattamento Iva delle cessioni di certificati verdi e certificati CO2, in L’Iva, 2009, 32.
(7) Cfr. G. Paudice, Trattamento Iva delle cessioni di certificati verdi e certificati CO2, cit., 32, dove si afferma come sia “più coerente inquadrare giuridicamente sia l’obbligo di produzione di energia da fonti rinnovabili sia l’obbligo di non emettere nell’atmosfera biossido di carbonio oltre una certa soglia come prestazioni patrimoniali imposte dalla legge”.
(8) Cfr. art. 1, comma 1-bis, del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.
(9) Art. 1, secondo comma, del D.Lgs. n. 58/1998.
(10) Cfr. circ. Assonime 16 giugno 2006, n. 24; e circ. 4 aprile 2006, n. 51/E, in Boll. Trib., 2006, 676.
(11) Cfr. altresì ris. 20 marzo 2009, n. 71/E, in Boll. Trib. On-line, e la successiva circ. 6 luglio 2009, n. 32/E, in Boll. Trib., 2009, 1046, con cui i certificati verdi sono stati classificati quali “beni immateriali strumentali”.
(12) Ci si riferisce in particolare a ris. n. 71/E/2009, cit., ove si afferma che «sotto il profilo oggettivo le operazioni relative ai certificati CO2 e quelle relative ai Certificati Verdi … in quanto riconducibili alle cessioni di diritti immateriali, si qualificano come prestazioni di servizio, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, n. 2), del D.P.R. n. 633 del 1972». Impostazione confermata anche con la successiva circ. n. 32/E/2009, cit., ove si legge come «In coerenza con le direttive comunitarie in materia, le cessioni di beni immateriali quali i diritti di invenzione, brevetti, marchi, ecc. e quelle di beni virtuali sono considerate prestazioni di servizi ai sensi dell’articolo 3, comma 2, n. 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Conseguentemente il trasferimento di certificati verdi (quali beni strumentali immateriali) è imponibile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi del citato articolo 3, comma 2, n. 2 (cfr. risoluzione del 20 marzo 2009, n. 71/E) e sconta l’aliquota ordinaria del 20 per cento». Si ricorda come similari erano le affermazioni in tema di cessione di quote latte, assimilabili per finalità ai certificati verdi, con ris. n. 51/E/2006, cit.
(13) Cfr. art. 14 della Direttiva n. 2006/112/UE laddove si menziona la cessione di bene nel senso di “bene materiale”.
(14) Così l’art. 2, primo comma, del D.P.R. n. 633/1972.
(15) Cfr. art. 25 della Direttiva 2006/112/CE che qualifica come prestazione di servizi «la cessione di beni immateriali, siano o no rappresentati da un titolo».
(16) Ossia ai diritti di autore, invenzioni industriali, modelli disegni e cosi via come enucleato dall’art. 3, secondo comma, n. 2, del D.P.R. n. 633/1972.
(17) Commissione europea, “VAT on gas emission allowances guidance”.
(18) Altro profilo di indagine è il tema della aliquota impositiva applicabile. Risulta evidente la non applicabilità alla fattispecie in esame dell’esenzione da IVA. La qualificazione giuridica in precedenza prospettata porta ad escludere, alla luce della stretta applicazione e interpretazione della normativa in materia di esenzione da IVA, la non applicazione della disciplina di esenzione, ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 4, del D.P.R. n. 633/1972, per cui sono esenti le operazioni relative ad azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di merci. Cfr. ex multis Corte Giust. CEE 7 settembre 1999, causa C-216/97, in Boll. Trib. On-line.
(19) Cfr. L. Rinaldi, I certificati verdi: trattamento contabile e rappresentazione in bilancio, in Riv. dott. commercialisti, 2005, 651 ss.
(20) Si evidenza come il certificato verde non sia ascrivibile alla famiglia dei contributi in conto capitale alla luce della sua erogazione periodica e non in unica soluzione.
(21) Per i soggetti traders la contabilizzazione avverrà a costi, ricavi e rimanenze.