Il problema dei c.d. “rifiuti speciali” da considerare, ai fini dell’applicazione del prelievo obbligatorio per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, “assimilabili” a quelli ordinari urbani, è uno dei problemi più complessi e tormentati delle varie normative succedutesi negli anni in materia, accanto all’altro problema fondamentale della quantificazione dell’onere individuale dovuto da ciascun utente-contribuente a titolo di tassa-corrispettivo per il servizio obbligatorio reso dai Comuni (1).
L’istituto dei rifiuti assimilati ai rifiuti urbani nella nostra legislazione va collegato al D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, emanato per l’attuazione delle Direttive CEE n. 75/442, relativa ai rifiuti, e nn. 76/402 e 78/319, riguardanti le fasi dello smaltimento delle sostanze inquinanti e dei rifiuti tossici e nocivi (2).
Il D.P.R. n. 915/1982, dopo aver precisato all’art. 2, quarto comma, che «sono rifiuti speciali i residui derivanti da lavorazioni industriali; quelli derivanti da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi che, per quantità e qualità, non siano dichiarati assimilati a rifiuti urbani», rimise ad un apposito regolamento (come sempre avviene …) il compito di dettagliare tutti gli aspetti applicativi della nuova normativa (e soprattutto i criteri per l’assimilazione); a tale fine venne dunque emanata la delibera interministeriale 27 luglio 1984, la quale – come avremo modo di evidenziare nel prosieguo – ha rappresentato a tutt’oggi l’unica vigente base normativa per definire i criteri generali per l’individuazione dei rifiuti speciali assimilabili a quelli ordinari, di competenza esclusiva dello Stato.
La citata delibera interministeriale, per oltre trent’anni, è stata sostanzialmente recepita da tutti i Comuni italiani nei propri regolamenti in materia di rifiuti solidi, specialmente per quanto riguardava l’elencazione (inserita nella delibera, all’art. 4, solo a titolo esemplificativo), delle tipologie di rifiuti speciali da considerare “assimilabili” ai fini della loro tassazione.
A tal punto risparmiamo ai Lettori le tormentate vicende succedutesi negli anni nella legislazione vigente in materia (3) per saltare alla situazione in atto, presa in esame dalla sentenza qui annotata: con l’emanazione del nuovo codice sull’ambiente di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, venne disposto, con l’art. 195 (anch’esso “mutato” nel tempo da normative sopravvenute …) che «2. Sono inoltre di competenza dello Stato … e) la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, sono definiti, entro novanta giorni, i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani».
Il suddetto regolamento interministeriale, naturalmente, non è stato ancora emanato (come rileva Celentano nella nota canzone della “via Gluck”, «passano gli anni, ma otto son lunghi»): i novanta giorni fissati dall’art. 195 succitato sono trascorsi infruttuosamente e un contribuente, fra i tanti interessati alla sua applicazione, esasperato dall’attesa ed evidentemente anche vessato da una tassazione iniqua, ha preso carta e penna e ha notificato al Ministero inadempiente una diffida-messa in mora, fissando un termine per l’emanazione dell’atteso provvedimento.
Ma per quale motivo tale regolamento è tanto importante? Perché va ben messo in chiaro che “l’assimilazione”, in soldoni, significa per il cittadino “produttore” dei rifiuti in questione (scarti, cascami, ritagli, avanzi, etc., dell’attività svolta) comprendere e pagare come superficie dei locali soggetti alla tassa comunale anche quella dedicata alla produzione (4), senza la possibilità alternativa di richiedere al Comune l’autorizzazione a farsi carico della raccolta e dello smaltimento di tali rifiuti senza corrispondere il tributo!
In altri termini, con l’assimilazione le superfici occupate dai locali che producono inevitabilmente, insieme ai manufatti oggetto dell’impresa, scarti di lavorazione, diventano parificabili – ai fini impositivi – a normali locali commerciali pacificamente soggetti a tassa!
Si comprende appieno, allora, l’esasperazione di quel contribuente, che – oberato dalle tariffe della TARI applicate sull’intera superficie dei locali adibiti all’attività di produzione, pur nella convinzione o aspettativa di doverne essere sgravato – ricorre, dopo anni di vana attesa, all’arma individuale della diffida e messa in mora dello Stato!
Certo, questo non significa e non deve significare che il futuro regolamento prevederà sicuramente criteri idonei a liberare il contribuente in questione dagli oneri fin qui sopportati, ma è pienamente legittima e comprensibile l’attesa di criteri e regole in materia adeguati ai tempi, essendo assai dubbia – dopo l’entrata in vigore del nuovo codice dell’ambiente – la valida sopravvivenza della delibera del 1984.
Il TAR del Lazio, Sede di Roma, avvalendosi della sua peculiare, esclusiva competenza a giudicare sugli atti emessi dalle Amministrazioni centrali dello Stato, ha potuto così supplire alla grave carenza denunciata con l’imposizione di un termine da ritenersi perentorio per l’adempimento previsto dall’art. 195 del D.Lgs. n. 152/2006; rimaniamo in fiduciosa attesa.
Dott. Eugenio Righi
(1) Lo “storico” passaggio del prelievo comunale sui rifiuti solidi urbani da semplice corrispettivo facoltativo a tassa obbligatoria è avvenuto con la sostituzione degli artt. 268-272 del T.U. per la finanza locale del 14 settembre 1931, n. 1175, con la legge 20 marzo 1941, n. 366 (art. 27). Per il problema della quantificazione dell’onere individuale delle varie tasse sui rifiuti cfr. E. RIGHI, Troppo criptici i parametri per fissare le tariffe delle tasse sui rifiuti solidi urbani, in Boll. Trib., 2015, 1755, in nota a Comm. trib. prov. di Lecce, sez. II, 1° giugno 2015, n. 1891; e ID., Brevi note sulla quantificazione e motivazione dei tributi sui rifiuti solidi e sulla compensazione delle spese di giudizio, ibidem, 1439, in nota a Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. III, 29 dicembre 2014, n. 587.
(2) Sulla portata innovativa del D.P.R. n. 915/1982 cfr. E. RIGHI, La rinnovata tassa comunale per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in Boll. Trib., 1983, 118.
(3) Numerose sono state le modifiche e le rettifiche legislative intervenute sul tema dei rifiuti assimilabili: per una attenta e completa rassegna in materia ved. G. DEBENEDETTO, Criteri di assimilazione dei rifiuti entro l’estate, in Tributinews, n. 9/2017, 40.
(4) Sul punto ved., per tutte, Cass., sez. trib., 3 novembre 2010, ord. n. 22370, in Boll. Trib., 2011, 317; il Supremo Collegio, in altra pronuncia (ossia Cass., sez. trib., 13 giugno 2012, n. 9631, in Boll. Trib. On-line), ha tuttavia censurato i provvedimenti emessi in materia dai Comuni sulla assimilazione dei rifiuti, privi della indicazione del limite quantitativo dei rifiuti assimilati, ritenendo necessario che detti provvedimenti individuino sia le caratteristiche qualitative che quelle quantitative dei rifiuti da assimilare a quelli urbani. È questo un altro aspetto del problema in esame che merita adeguato approfondimento in sede specifica e separata.
TARI – Rifiuti speciali assimilati – Criteri per la loro assimilabilità ai rifiuti solidi urbani – Sono di competenza dello Stato, che li deve definire con l’apposito regolamento previsto dall’art. 195 del D.Lgs. n. 152/2006 – Omessa emanazione del provvedimento entro i termini di legge e silenzio serbato sulla specifica diffida a provvedere – Illegittimità del silenzio – Sussiste – Obbligo di emanazione del regolamento – Va assolto entro il termine di 120 giorni dalla comunicazione o notificazione della pronuncia che lo stabilisce.
In materia di TARI, l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani ordinari è consentita sulla base di criteri stabiliti dallo Stato, con apposito regolamento previsto dall’art. 195 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (nuovo codice dell’ambiente), che sarebbe dovuto essere emanato entro novanta giorni dall’entrata in vigore del medesimo D.Lgs. n. 152/2006, di talché l’omessa emanazione di tale provvedimento e il silenzio ministeriale serbato a fronte di specifica istanza-diffida a provvedere, con contestuale atto di messa in mora, conducono alla dichiarazione di illegittimità del silenzio e alla dichiarazione dell’obbligo di concludere il procedimento adottando il decreto che fissi i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani nel termine di 120 giorni dalla comunicazione o notificazione, ad istanza di parte, della presente sentenza.
[Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II-bis (Pres. Stanizzi, rel. Fratamico), 13 aprile 2017, sent. n. 4611, ric. CBRC s.r.l. c. Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico e Comune di Reggio Emilia]
FATTO E DIRITTO – Con il ricorso in epigrafe la CBRC s.r.l. ha agito per la dichiarazione dell’illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, nonostante la diffida inviata il 12.05.2016, rispetto all’obbligo su di esso gravante di concludere il procedimento volto alla definizione dei criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, mediante l’adozione di apposito decreto ex art. 195 comma 2 lett. e) del d.lgs. n. 152/2006 e per la condanna dell’Amministrazione all’adozione dei conseguenti provvedimenti.
A sostegno della sua domanda la ricorrente ha dedotto: violazione e falsa applicazione dell’art. 195, comma 2 lett. e) del d.lgs. n. 152/2006, violazione dell’obbligo di provvedere, nonché dell’art. 2 comma 2 della l. n. 241/1990.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero dello Sviluppo Economico e il Comune di Reggio Emilia, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.
Alla camera di consiglio del 1° marzo 2017 la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione.
La CBRC s.r.l., società operante nel settore del recupero e del riciclaggio del macero, avente tra le sue attività la compravendita di materiali a base cellulosica provenienti dalla raccolta differenziata e della materia prima generata dal recupero, ha lamentato di essere gravemente danneggiata – in termini di ingiusta sottrazione di risorse e beni al mercato privato e di elevato versamento TARI – dalla eccessiva assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani effettuata dalle Amministrazioni comunali a causa della mancanza di una regolamentazione ministeriale pur prevista dall’art. 195 cit.
A fronte della espressa attribuzione alla competenza statale della “determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione ai fini della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani”, della prescrizione per cui “con decreto del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico, sono definiti entro novanta giorni i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani” e dell’invio da parte dell’impresa ricorrente (in data 12.05.2016) di una specifica istanza-diffida con contestuale atto di messa in mora, il Ministero dell’Ambiente, pur tenuto ad adottare la regolamentazione suddetta, risulta non avere ancora completato l’iter relativo, avendo soltanto avviato “le attività propedeutiche all’adozione del decreto in questione” (come espressamente ammesso nella memoria depositata dall’Avvocatura Generale dello Stato).
Il fatto che l’Amministrazione abbia dato riscontro (il 31.01.2017) alla diffida della società ricorrente ed abbia svolto, il 25.01.2017, un incontro istituzionale con le associazioni di categoria “per acquisire ogni utile elemento ai fini della decretazione sul tema” e la circostanza per cui, in assenza del previsto regolamento, si continuino ad applicare i criteri per l’assimilazione previsti nella deliberazione 27 luglio 1984 del Comitato Interministeriale non escludono che il Ministero dell’Ambiente sia tenuto, in base al citato art. 195, ad adottare il nuovo decreto, che avrebbe dovuto, anzi, essere emesso nel termine di novanta giorni dall’entrata in vigore della norma suddetta.
La CBRC s.r.l. è, da parte sua, titolare della legittimazione e dell’interesse a ricorrere al fine della chiesta declaratoria d’illegittimità del silenzio in quanto impresa del settore danneggiata, come detto, sotto diversi profili dall’inerzia dell’Amministrazione (circostanza, esplicitamente affermata nell’atto introduttivo e non specificamente contestata dalle amministrazioni resistenti, che deve ritenersi, perciò, processualmente provata in ossequio a quanto previsto dall’art. 64 comma 4° d.lgs. n. 104/2010) che ha, inoltre, con puntuale missiva, espressamente messo in mora il Ministero competente.
La violazione, da parte dell’Amministrazione sia del termine previsto dallo stesso art. 195 d.lgs. n. 152/2006, sia del termine ulteriormente concesso dalla ricorrente nella sua diffida è pacifica e rende illegittima l’inerzia tenuta dal Ministero intimato.
Né, in senso ostativo all’accoglimento della domanda della ricorrente, rilevano il carattere ordinatorio del termine previsto dalle norme in esame (profilo che non incide sull’esistenza dell’obbligo né sulla possibilità di provvedere anche dopo la scadenza del termine), la natura discrezionale e non vincolata del potere amministrativo (nella fattispecie non viene, infatti, in rilievo il contenuto, ma solo l’obbligo di esercizio del potere in questione) e la necessità di coinvolgimento di altri Organi ed Enti, che è stata presa in considerazione dalle citate diposizioni normative ai fini dell’individuazione dei termini ivi previsti e che, comunque, non giustifica un ritardo quale quello, in concreto, verificatosi nella fattispecie.
Per questi motivi, in accoglimento del ricorso, il Tribunale dichiara l’illegittimità del silenzio tenuto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in relazione alla diffida spedita a mezzo posta il 12.05.2016 dalla società ricorrente e, per l’effetto, dichiara l’obbligo del predetto Ministero di concludere il procedimento menzionato nella diffida stessa adottando di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico il decreto che fissi i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, nel termine di giorni 120 (così individuato in relazione alla natura degli adempimenti da effettuare) dalla comunicazione, in via amministrativa, o dalla notifica, ad istanza di parte, della presente sentenza.
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in quanto soccombente, deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, il cui importo viene liquidato come da dispositivo.
Deve, infine, essere disposta la compensazione delle spese relative al rapporto giuridico processuale instauratosi tra la ricorrente e le altre parti intimate, per giusti motivi.
P.Q.M. – Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis),
definitivamente pronunciando,
1) accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara l’illegittimità del silenzio tenuto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in relazione alla diffida inviata il 12.05.2016 dalla società ricorrente;
2) dichiara l’obbligo del predetto Ministero di concludere il procedimento menzionato nella diffida adottando, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico, il decreto che fissi i criteri per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani nel termine di giorni 120 dalla comunicazione, in via amministrativa, o dalla notifica, ad istanza di parte, della presente sentenza;
3) condanna il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare al pagamento delle spese del presente giudizio il cui importo viene liquidato in € 1.000,00, per diritti ed onorari, oltre IVA, CPA come per legge ed oltre al contributo unificato
4) dispone la compensazione delle spese relative al rapporto giuridico processuale instauratosi tra la ricorrente e le altre parti intimate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.