L’analisi della stringata motivazione merita un articolato approfondimento.
Partendo dal principio.
1. Titolarità del potere di emanazione del provvedimento impositivo e sua delega
Uno dei nodi nevralgici tanto del rapporto contribuente-fisco quanto della dialettica processuale che sul suo ceppo eventualmente si sviluppi ruota intorno alla domanda: chi deve dire e fare cosa, e in quale tempo, e con quali strumenti?
Perno di qualsiasi contesto conflittuale è infatti la chiarezza delle posizioni, in funzione di quella (almeno tendenziale, e tuttavia intrinsecamente utopica nella branca tributaria) parità delle armi che fa da sfondo indispensabile ad un processo che ambisca a qualificarsi “giusto” secondo i paradigmi costituzionali (in primis l’art. 111 Cost.). Chiarezza che, per quanto riguarda la validità del provvedimento impugnato, non dovrebbe costituire un derivato, una finalità (seppure parziale e propedeutica) del processo; non dovrebbe cioè essere raggiunta nel corso dell’iter processuale (benché ci si possa attendere una “dichiarazione” in tal senso), ma rappresentarne uno dei postulati logico-fattuali ben prima che esso sia innescato, appunto per consentire ai potenziali litiganti di scegliere se incrociare le spade, valutandone convenienza e opportunità. Ciò tanto più dopo la riforma del 1992, che ha addossato al soccombente gli oneri della causa.
In altre parole: in un sistema trasparente ed equilibrato, gli elementi costitutivi dell’atto sostanziale sottoposto a giudizio sono tutti noti in partenza, ché il processo giusto nasce ineluttabilmente dal procedimento completo. Se di gioco si trattasse, potremmo parlare di un gioco “a carte scoperte”, senza assi nella manica (per antonomasia prerogativa dei bari); siccome di gioco non si tratta, ma di cosa serissima, è di gran lunga preferibile parlare, mutuando una locuzione tecnica, di onere pre-processuale (1).
All’esemplificazione del concetto bene si presta la figura della delega del potere di emanare il provvedimento (segmento antecedente e al contempo prodromico a quello, d’indole contenziosa, scrutinato nell’occasione dalla Commissione tributaria regionale laziale).
È evidente che, se i requisiti portanti della delega possono essere contestati dal controinteressato (leggi: il contribuente) e fatti oggetto di acceso e spesso tellurico dibattito (2), ciò significa una cosa sola: che il destinatario dell’atto ne deve avere totale contezza prima di risolversi ad avviare la lite, ragionandoci sopra prudentemente come su un dato del problema. Altrimenti, se i suoi contenuti salienti restassero celati fino a giudizio intrapreso, va da sé che l’opzione non potrebbe considerarsi lucida e per ciò stesso libera.
Fra i precedenti espressamente citati dal Collegio romano nella decisione in rassegna, ne spicca uno (3), piuttosto recente e quindi idoneo a fungere da guida, che a sua volta ha tentato una breve summa della giurisprudenza in allora maturata; e che, in convinta adesione ad essa (4), è approdato alla seguente conclusione: «Nella individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’avviso di accertamento [annoto per ennesimo scrupolo: si sta parlando dell’avviso di accertamento, atto di amministrazione attiva, non ancora dell’impugnazione giudiziale, atto processuale di parte di cui infra, sub 2], in forza dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 (5), incombe all’Agenzia delle entrate l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e la presenza di eventuale delega», quale «effetto diretto dell’espressa previsione della tassativa sanzione legale della nullità dell’avviso di accertamento» (6).
Pena appunto, in caso di trasgressione, la sanzione di nullità ai sensi dei commi primo e terzo del menzionato art. 42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (7), ma solo – anche qui la giurisprudenza è compatta – “in caso di contestazione” (8). Il tutto in nome della leale collaborazione sancita dall’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), come indirizzata dal canone processuale della vicinanza della prova (9) e ampliata dal dovere della mano pubblica di «assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati» (art. 6 dello stesso Statuto).
Sulle caratteristiche della delega all’emanazione del provvedimento autoritativo (e sulla necessità di una contestazione esplicita da parte del privato ricorrente affinché il giudice tributario ne possa conoscere) la Sezione Tributaria della Suprema Corte si è soffermata con le sentenze nn. 22800 e 22810 del 9 novembre 2015, emesse – in un blocco di tre, completato dalla coeva n. 22803 – nel famoso Dirigent Day datato 21 ottobre 2015 (giorno, per tutte, della deliberazione in camera di consiglio) (10). Vi si insegna che al privato è sufficiente una contestazione “anche in forma generica”, incombendo poi alla pubblica Amministrazione, «che ha immediato e facile accesso ai propri dati, di fornire la prova del possesso dei requisiti soggettivi indicati dalla legge, sia del delegante che del delegato, nonché della esistenza della delega in capo al delegato». Ne esce ancora una volta statuito l’onere dell’Ufficio tributario – purtroppo solo pendente iudicio, e non anticipato alla notifica del provvedimento lesivo – di provare «il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio», purché però emerga dagli atti di causa che il privato abbia quanto meno «invitato l’Amministrazione a dichiarare quale fosse la qualifica del soggetto delegante e/o del soggetto firmatario dell’atto fiscale» (11).
Resta da chiedersi come possa anche solo sorgere nel privato il concreto sospetto – e da esso, se del caso, germinare la convinzione di poter sollevare una contestazione attendibile – circa l’esistenza e la ritualità della delega quando, in partenza, non si disponga del minimo elemento di giudizio (come nella circostanza sembra sia avvenuto e come nella gran parte dei casi notoriamente avviene). Dubbio pesante perché le mosse al buio, in un terreno scivoloso come quello giudiziale, sono ovviamente le più azzardate.
In ogni caso non è affatto da trascurare, ai nostri fini, l’ulteriore spiegazione addotta, a suffragio delle conclusioni tratte, dalla Corte Suprema, trattarsi di «previsione [la sanzione della nullità] che trova giustificazione nel fatto che gli avvisi di accertamento costituiscono la più complessa espressione del potere impositivo e incidono con particolare profondità nella realtà economica e sociale, discostandosi da e contestando le affermazioni del contribuente», così da richiedere un rafforzamento delle “qualità professionali di chi emana l’atto [le quali integrano] una essenziale garanzia per il contribuente» (12).
A fronte di siffatte premesse, che materializzano gli esiti ultimi del diritto vivente, spiazza non poco apprendere – sempre dalla citata sentenza n. 24492/2015: un obiter dictum di cui nessuno manifestava l’urgenza – che le indicazioni svolte, e dunque le “essenziali garanzie” accordate al contribuente, valgono solo nell’ambito dell’imposizione diretta (e dell’IVA, stante il richiamo operato dall’art. 56, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) (13), mentre «in diversi contesti fiscali» (14) ciò non capiterebbe, «in mancanza di una sanzione espressa», «opera[ndo] la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato».
Circa la discrasia e l’irragionevolezza di un simile distinguo fra i regimi dei tributi, capace di incidere su valori portanti delle relazioni sociali e pur tuttavia costruito sulla labile presenza o meno di una norma ad hoc, lasciamo buon arbitro il Lettore. Il quale ammetterà che tristissimo è il Paese in cui – tornando alle parole della Commissione laziale – «non è consentito al contribuente, nell’esercizio del suo legittimo diritto costituzionale di difesa, accertare [fin ab ovo] se la delega [e con essa un qualunque atto che lo riguardi]» presenti o meno tutti i crismi della legittimità. Davvero tristissimo.
Ma tant’è.
2. Legittimazione ad processum e sua delega
Il riferimento alla sentenza n. 24492/2015, fatto dalla decisione massimata, è però, insieme, inesatto e significativo.
Inesatto perché quella, come detto, pone mente – così come tutte le altre da essa richiamate – alla legittimazione ad emanare gli avvisi in rettifica e gli accertamenti d’ufficio in materia di imposte dirette nonché, per estensione, in materia di IVA (riguarda cioè fasi di amministrazione attiva), mentre qui si verte sulla legittimazione alla lite (cioè la fase strettamente processuale). Significativo perché effettivamente la giurisprudenza di merito, quando non sorvola bellamente sul tema, tende a fare un tutt’uno. Sbagliando, se non altro perché le fonti sono diverse nei due campi.
Esaminiamo il caso.
Nel mirino della Commissione regionale laziale era finita, quale momento preliminare, la questione della ritualità (non dell’avviso di accertamento, notificato al contribuente dall’Agenzia delle entrate a titolo di IRES e IRAP, ma) dell’appello presentato dalla stessa Agenzia delle entrate soccombente in primo grado, risultando esso appello sottoscritto dal «capo team V.S. … su delega del Direttore Provinciale V.C.» (15). Da quanto si arguisce dal testo della sentenza (peraltro un po’ criptico), della delega in parola il giudice non ha avuto la felicità di fare la conoscenza, tramite produzione o anche solo esibizione (sempreché quest’ultima bastasse): omissione di cui, alla resa dei conti, l’Amministrazione ha pagato il fio.
Ora, la vicenda trattata trova un precedente assolutamente identico nella dinamica storica (e poi negli esiti giuridici) in quella risolta dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21546 del 2011 (16), ove veniva di bel nuovo ripreso il magistero consolidato del giudice di legittimità alla cui stregua, fatta salva la prova contraria, nel processo tributario vige la presunzione che un determinato atto difensivo proviene dall’Ufficio finanziario competente (di qui la validità di un appello sottoscritto dal capo reparto, quand’anche articolazione subordinata di una struttura più vasta) senza bisogno di procura institoria, in altri termini a prescindere dal benestare del Direttore di sede: sufficiente la delega conferita in via generale, e anche solo attraverso la preposizione (se e in quanto legittima) del funzionario al settore addetto alla mansione implicata.
Ciò perché le fonti non coincidono con quelle che governano gli atti di amministrazione attiva e la loro delega, ma trovano il pertinente riferimento negli artt. 10 («Sono parti nel processo dinanzi alle Commissioni tributarie oltre al ricorrente, l’ufficio … che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto ovvero … l’ufficio … al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso») e 11, secondo comma («L’ufficio … nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso della direzione regionale … ad esso sovraordinata»), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (17). Precetti in forza dei quali il ruolo di parte processuale e la capacità di agire e stare in giudizio sono incardinati istituzionalmente nell’“ufficio” nei cui confronti è stato promosso il giudizio (con connessa potestà di impugnazione in secondo grado), non necessariamente nella persona fisica del suo titolare apicale.
“Ufficio” inteso insomma nella sua astrazione, come agglomerato unificato all’esterno sulla scorta non di una particolare e dettagliata investitura ma della funzione assolta. Ne discende che è «organicamente rappresentato dal direttore … o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi per ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze … senza necessità di speciale procura» (18).
Di presunzione nondimeno continua a trattarsi. Presunzione, però, unicamente superabile attraverso una contestazione del contribuente che sfoci – eventualmente con il contributo dello stesso giudice il quale, richiesto, potrebbe attingere ai poteri conferitigli dall’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 – nella dimostrazione o della non appartenenza del sottoscrittore all’Ufficio o dell’usurpazione del relativo potere. Di talché – sempre nel solco di una giurisprudenza costante nel tempo (19) – in difetto di contestazioni al riguardo, l’atto è da presumersi valido e il giudice non è munito di poteri-doveri di iniziativa d’ufficio.
In buona sostanza, l’area operativa è più ristretta rispetto a quella illustrata sub 1.
Regole, quelle appena descritte, a valere, oltre che per il primo, anche per il secondo grado di giudizio (art. 61 del D.Lgs. n. 546/1992) (20) dopo che dell’art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992 è stato soppresso il secondo dei due commi originari (21).
Appunto alla non più richiesta autorizzazione superiore a promuovere l’appello si rivolgeva – è da ritenersi in maniera qui non attinente – la quarta e ultima delle decisioni richiamate dai giudici laziali (22). La quale, in linea con l’indirizzo di poi ribadito dalla giurisprudenza fino alla cancellazione della norma, attribuiva al giudice tributario il potere di verificare d’ufficio, sia in grado di appello che nel giudizio di cassazione, l’esistenza e la validità di detta autorizzazione, costituendo essa «una condizione di ammissibilità del gravame».
Avv. Valdo Azzoni
(1) Calzante il richiamo a Cass., sez. trib., 25 novembre 2015, n. 24024, in Boll. Trib., 2016, 1206, stando alla quale l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo «persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente (e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa».
(2) Si pensi alla tormentata vicenda delle deleghe dirigenziali, sfociata in Corte Cost. 17 marzo 2015, n. 37, in Boll. Trib., 2015, 790, con nota di V. AZZONI, Atti firmati da dirigenti illegittimi: le Commissioni tributarie tirano le fila della sentenza della Consulta; in adeguamento al suo dictum cfr. Comm. trib. prov. di Milano, sez. XXV, 10 aprile 2015, n. 3222, ibidem, 796, con nota di V. AZZONI, sopra citata (fattispecie in cui l’avviso di accertamento era stato firmato da «tale Capo Area … per delega del Direttore Provinciale … privo del potere di sottoscrivere gli atti in reggenza»).
(3) Cfr. Cass., sez. trib., 2 dicembre 2015, n. 24492, in Boll. Trib. On-line.
(4) Ex multis cfr. Cass., sez. trib., 18 maggio 2011, n. 13512, e Cass., sez. trib., 14 giugno 2013, n. 14942, entrambe in Boll. Trib. On-line.
(5) Art. 42 (Avviso di accertamento) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi): «1. Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. 2. … Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. 3. L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma».
(6) Cfr. Cass., sez. VI, 11 ottobre 2012, ord. n. 17400, in Boll. Trib., 2013, 140, con nota di D. CARNIMEO, Avviso di accertamento nullo senza la firma del direttore o di un suo delegato. Anche questo arresto, si noti bene in funzione di ciò che verrà esposto infra, riguarda la materia delle imposte dirette ed essa sola.
(7) Cfr. Cass., sez. trib., 27 ottobre 2000, n. 14195, in Boll. Trib. On-line.
(8) Per tutte cfr. Cass., sez. trib., 10 novembre 2000, n. 14626, in Boll. Trib., 2001, 155; e Cass. n. 17400/2012, cit.
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 5 settembre 2014, n. 18758, in Boll. Trib. On-line.
(10) Tutte in Boll. Trib., 2015, 1734. Conformi Cass. n. 14942/2013, cit., e Cass. n. 18758/2014, cit., oltre a Cass., sez. trib., 10 luglio 2013, n. 17044, in Boll. Trib. On-line. A commento si vedano, fra gli altri, M. CICALA, Violazione di legge e invalidità degli atti tributari: il “caso” dei dirigenti “illegittimi”, in Boll. Trib., 2015, 1685; e V. AZZONI, 21 ottobre 2015, il “Dirigent day” esprime tre decisioni che portano ulteriore chiarezza sulla sottoscrizione degli atti impositivi, ibidem, 1690. Cfr. inoltre C. FERRARI – P. GIUSTO, Risvolti di natura processuale alla luce della sentenza della Consulta sulle norme “salva-dirigenti”, in Boll. Trib., 2015, 2015.
(11) Ricordo, per completezza, l’inettitudine, a integrare i requisiti minimi, tanto della cosiddetta delega in bianco (tale perché monca della esplicitazione o delle generalità del funzionario delegato o delle necessità che l’hanno determinata o della durata temporale), quanto della delega di funzioni (insufficiente perché anonima, mentre le persone fisiche preposte potrebbero nel tempo cambiare). Cfr. Cass. n. 22803/2015, cit.
(12) Ex pluribus cfr. Cass. n. 18758/2014, cit.; e Cass. n. 22800/2015, cit. L’elaborazione operata dal diritto vivente ha portato all’adozione dell’art. 4-bis, secondo comma, del D.L. 19 giugno 2015, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125), che così dispone, sotto la rubrica Disposizioni per la funzionalità operativa delle Agenzie fiscali: «In relazione all’esigenza di garantire il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa, i dirigenti delle Agenzie fiscali, per esigenze di funzionalità operativa, possono delegare, previa procedura selettiva con criteri oggettivi e trasparenti, funzionari della terza area, con un’esperienza professionale di almeno cinque anni nell’area stessa, in numero non superiore a quello dei posti oggetto delle procedure concorsuali indette ai sensi del comma 1 e di quelle già bandite e non annullate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di adozione di atti, escluse le attribuzioni riservate ad essi per legge, tenendo conto della specificità della preparazione, dell’esperienza professionale e delle capacità richieste a seconda delle diverse tipologie di compiti, nonché della complessità gestionale e della rilevanza funzionale e organizzativa degli uffici interessati, per una durata non eccedente l’espletamento dei concorsi di cui al comma 1 e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2016».
(13) Conforme Cass., sez. VI, 8 novembre 2012, n. 19379, in Boll. Trib. On-line.
(14) Sono citati la cartella di pagamento, il diniego di condono, l’avviso di mora, l’attribuzione di rendita. Nell’orbita dell’allusione gravitano però pure tutti gli altri tributi.
(15) Locuzione, quella di “capo team”, avvertita dall’estensore della decisione come inappropriata (“alquanto singolare”) per la sede in cui è stata spesa: sede processuale, ergo da officiarsi con liturgia vincolata all’idioma italico. In realtà, a parte la personale ostilità di chi scrive per l’esterofilia ad oltranza, il lemma ha trovato ingresso, oltre che nella prassi, anche in giurisprudenza, e ai più alti livelli.
(16) Cfr. Cass., sez. trib., 18 ottobre 2011, ord. n. 21546, in Boll. Trib. On-line. La locuzione a corredo della sottoscrizione era, mutatis mutandis, uguale: «per il Direttore, il Capo Area Controllo delegato Dott.ssa …». Conforme Cass., sez. trib., 28 maggio 2008, n. 13908, in Boll. Trib. On-line, citata dalla decisione della Commissione tributaria laziale qui in commento.
(17) L’Ufficio emanante l’atto è a tal punto fattore importante da determinare la stessa competenza del giudice tributario (art. 4 del D.Lgs. n. 546/1992).
(18) Cfr. Cass., sez. trib., 30 dicembre 2009, n. 28036, in Boll. Trib. On-line.
(19) Cfr. Cass., sez. trib., 15 gennaio 2009, n. 874, in Boll. Trib. On-line.
(20) Art. 61 del D.Lgs. n. 546/1992: «Nel procedimento d’appello si osservano in quanto applicabili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se non sono incompatibili con le disposizioni della presente sezione».
(21) Il secondo comma dell’art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992 recitava: «Gli uffici periferici del Dipartimento delle entrate devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione regionale delle entrate; gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio». Il comma è stato abrogato dall’art. 3, primo comma, lett. c), del D.Lgs. 25 marzo 2010, n. 40. Incisiva, in ultimo, la riforma della disposizione operata con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (e a valere – ex art. 12, primo comma – per i giudizi pendenti in tale data), che ha aggiunto cinque commi per disciplinare la sospensione cautelare avanti il giudice dell’appello.
(22) Cfr. Cass., sez. trib., 5 agosto 2004, n. 15048, ripresa in senso conforme da Cass., sez. un., 17 novembre 2004, n. 21709, entrambe in Boll. Trib. On-line.
Procedimento – Ricorsi – Appello dell’Ufficio finanziario – Omessa sottoscrizione da parte del Direttore dell’Ufficio – Mancata indicazione della delega da cui deve risultare la legittimità “sostanziale” alla sottoscrizione del delegato – Onere di dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo e l’assenza di vizi – Incombe sull’Ufficio finanziario – Mancato assolvimento di tale onere – Inammissibilità dell’appello – Consegue.
IVA – Fatturazione di operazioni inesistenti – Fatture per operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti – Onere della prova – È a carico dell’Amministrazione finanziaria – Contenuto dell’onere probatorio – Individuazione.
Agli atti processuali tributari non può applicarsi la presunzione di legittimità che vige, quale principio generale, in tema di atti amministrativi, e dall’atto di impugnazione dell’Ufficio finanziario devono risultare la legittimità “sostanziale” alla sottoscrizione del delegato, in base alla sua qualifica nell’ambito dell’Ufficio stesso, la tipologia della delega, se “in bianco”, a carattere generale, oppure specifica per un singolo atto, le ragioni della delega e il relativo termine di validità, di talché allorquando tali elementi difettino e non sia stato indicato il motivo per cui l’atto di appello non sia stato firmato dal Direttore dell’Ufficio, è onere dell’Ufficio medesimo dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo e l’assenza di vizi, con conseguente inammissibilità dell’appello in mancanza di tale dimostrazione.
In tema di onere probatorio, ove l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative ad operazioni inesistenti, non basta a fondare l’ipotesi di frode fiscale l’elencazione dei dati di fatto noti e la constatazione della correttezza dell’accertamento, ma occorre esplicitare chiaramente le presunzioni in conformità a quanto previsto dall’art. 2729 c.c. e, più specificamente, dall’art. 54, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ossia le logiche conclusioni desumibili dai fatti accertati in consonanza con i risultati delle indagini di polizia tributaria, al fine di rendere manifesta l’esistenza e l’effettiva consistenza di un evento di danno per l’erario, costituito dall’evasione o dall’elusione di un tributo, gravando sull’Amministrazione finanziaria l’onere della prova dell’inesistenza delle operazioni contestate.
[Commissione trib. regionale del Lazio, sez. XVII (Pres. Fruscella, rel. Spagna Musso), 2 febbraio 2017, sent. n. 312, ric. Eurostars ’95 s.r.l. c. Agenzia delle entrate – Direzione Provinciale II di Roma]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con separati ricorsi depositati il 5 agosto 2013, la società Eurostars ‘95 s.r.l., in persona del rappresentante legale, ha impugnato l’avviso di accertamento … relativo all’Ires, Irap e altro per l’anno 2006 e … relativo all’Ires, Irap e altro per l’anno 2007, emessi dall’Agenzia delle Entrate, per recuperare a tassazione maggiori ricavi risultanti da indebite detrazioni di imposta afferenti ad operazioni d’acquisto ritenute inesistenti, presso la società fornitrice di servizi trasporto e facchinaggio Puma Service di A.A., sottoposta a verifica fiscale.
La società ricorrente, dopo aver richiamato il deposito di atti e di una memoria scritta nel corso del contraddittorio in adesione del 18 giugno 2013, ha chiesto l’annullamento degli avvisi in oggetto per i seguenti motivi: in via preliminare la società ricorrente fa presente che svolge attività di agenzia con deposito e distribuzione a commercianti al dettaglio e grossisti nel settore dolciario; che ha usufruito dei servizi della ditta di A.A., ed ha regolarmente corrisposto il corrispettivo pattuito; inoltre, che l’attività della società ricorrente costituisce solo una piccola parte del volume di affari della ditta A., che essendo munita di quattro automezzi poteva realisticamente effettuare le operazioni di trasporto, attestate dalla documentazione prodotta.
Ha dedotto, inoltre, l’illegittimità degli avvisi, per compiuta decadenza e violazione e falsa applicazione dell’artt. 43 e 57 del d.p.r. 600 del 1973, in quanto il raddoppio dei termini per la notifica degli avvisi di accertamento in caso di operazioni inesistenti, è stato delimitato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 247 del 2011 (1);
illegittimità per violazione del diritto di difesa, in quanto l’avviso di accertamento è fondato sugli atti di verifica della ditta A., atti che non sono stati mai portati a conoscenza della società ricorrente, né sono stati allegati agli avvisi di accertamento;
nullità o illegittimità dell’avviso per difetto di motivazione, sviluppata per relationem con la verifica della ditta A. e non in riferimento alla società ricorrente.
Infine, infondatezza per mancato assolvimento dell’onere della prova.
Costituitosi l’Ufficio, l’adita Commissione di primo grado accoglieva i ricorsi riuniti con compensazione di spese, ritenendo:
a) l’amministrazione non ha provato in modo adeguato il proprio assunto in ordine all’essere state effettuate le operazioni commerciali oggetto di fattura;
b) l’amministrazione non ha esplicitato chiaramente in proposito le presunzioni in conformità a quanto previsto dagli artt. 2729 c.c. e 54 d.p.r. 633/72, ossia le logiche conclusioni desumibili dai fatti accertati in consonanza con i risultati delle indagini di polizia tributaria.
Propone appello l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale II di Roma deducendo: errata declaratoria di nullità dell’atto di accertamento in presenza dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche nonché dei relativi elementi probatori che hanno portato alla rettifica impositiva; errata inversione dell’onere della prova.
Si è costituita, con atto di controdeduzioni, Eurostars ‘95 s.r.l., deducendo, tra l’altro, a sua volta, inammissibilità dell’appello per assenza di sottoscrizione del delegante Direttore p.t., titolare dell’Ufficio, e di sua delega scritta al funzionario del settore contenzioso firmatario dell’atto (violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 42 d.p.r. n. 600/73 e 10 del d.lgs. n. 546/92); inammissibilità dell’appello per mancata indicazione di motivi specifici di impugnazione della sentenza di primo grado; difetto di motivazione degli accertamenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE – Preliminarmente, deve rilevarsi l’inammissibilità dell’atto d’appello per evidente vizio di sottoscrizione e, confermarsi, nel merito, di quanto statuito in primo grado.
Quanto al primo profilo, va esaminato che, nel caso di specie, l’atto di appello risulta sottoscritto nel seguente modo: “il capo team V.S.” con l’ulteriore specificazione che tale firma è “su delega del Direttore Provinciale V.C.”.
In proposito si osserva che, a parte la difficoltà di individuare se l’indicato, in modo tra l’altro alquanto singolare, per un atto processuale tributario, “capo team”, sia comunque soggetto, pur in presenza di delega, legittimato alla sottoscrizione dell’atto di appello in questione, non è consentito al contribuente, nell’esercizio del suo legittimo diritto costituzionale di difesa, accertare se la delega sia stata conferita entro una legittima scadenza e soprattutto le ragioni che nel caso concreto l’hanno determinata.
Deve ulteriormente porsi in evidenza che agli processuali tributari non può certo applicarsi la presunzione di legittimità che vige, quale principio generale, in tema di atti amministrativi; inoltre, sulla base delle giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 15048 del 2004 (2), n. 13908 del 2008 (3) e 22803 del 2015 (4)) deve risultare dall’atto di impugnazione la legittimità “sostanziale” alla sottoscrizione del delegato (in base alla sua qualifica nell’ambito dell’Ufficio) la tipologia della delega (se “in bianco”, a carattere generale, oppure specifica per un singolo atto, le ragioni della delega e il relativo termine di validità). Nel caso di specie, tali elementi non sussistono, con particolare riferimento alla motivazione per cui l’atto in questione non è stato firmato dallo stesso direttore dell’Ufficio.
A riguardo è onere dell’ufficio (Cassazione n. 24492/2015 (5)) dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo e l’assenza di vizi.
Riguardo al merito, pienamente condivisibile è, poi, la motivazione della decisione di primo grado là dove afferma che, specificamente in tema di onere probatorio, “la giurisprudenza di legittimità ha dapprima chiarito che, ove l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative ad operazioni inesistenti, non basta a fondare l’ipotesi di frode fiscale l’elencazione dei dati di fatto noti e la constatazione della correttezza dell’accertamento, ma occorre esplicitare chiaramente le presunzioni in conformità a quanto previsto dall’art. 2729 c.c. e, più specificamente, dell’art. 54, secondo comma, del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, ossia le logiche conclusioni desumibili dai fatti accertati in consonanza con i risultati delle indagini di polizia tributaria, al fine di rendere manifesta l’esistenza e l’effettiva consistenza di un evento di danno per l’erario, costituito dall’evasione o dall’elusione di un tributo. Ma con più convinzione ha poi precisato, proprio per l’ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, che grava su di essa l’onere della prova di tale inesistenza. Orbene, nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria ha contestato l’inesistenza delle fatture relative alle prestazioni di servizi di trasporto e facchinaggio della ditta A., senza porre la società ricorrente nella condizione di esaminare i dati di fatto posti a base dell’accertamento effettuato …”.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M. – La Commissione rigetta il ricorso e condanna l’Ufficio appellante al pagamento delle spese del presente grado che liquida in euro 9.000,00, omnicomprensivi, oltre accessori.
(1) Corte Cost. 25 luglio 2011, n. 247, in Boll. Trib., 2011, 1489.
(2) Cass. 5 agosto 2004, n. 15048, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 28 maggio 2008, n. 13908, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 9 novembre 2015, n. 22803, in Boll. Trib., 2015, 1737.
(5) Cass. 2 dicembre 2015, n. 24492, in Boll. Trib. On-line.