Le modifiche introdotte sul tema della registrazione degli atti negoziali dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di stabilità 2018), hanno natura innovativa e non interpretativa, verificata la loro indiscussa rilevanza tale da apportare una rivisitazione strutturale della fattispecie impositiva pregressa, con il portato che la novella non avrà effetto retroattivo. Queste sono le conclusioni nel decisum della Corte di Cassazione (1) sulle decorrenze (de facto non retroattive) del revisionato art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e sul suo carattere innovativo; in futuro sarà precluso un sindacato sulla sostanza economica degli atti funzionalmente collegati (teoria della causa concreta con ridefinizione della causa negoziale per reclamare prelievi proporzionali in luogo di quelli fissi). Pertanto la norma de qua, così come modificata dalla legge di stabilità 2018, ved. infra tassazione degli effetti economici (2) in luogo di quelli giuridici, non ha ex se efficacia retroattiva non applicandosi agli atti antecedenti al 1° gennaio, i quali continueranno ad essere assoggettati all’imposta di registro secondo l’originaria formulazione dell’art. 20 (norma di interpretazione e di qualificazione dei contratti, latamente antielusiva), e ciò nonostante la relazione illustrativa di accompagnamento alla revisione normativa avesse obliterato la natura interpretativa della modifica de qua. Pertanto le modifiche all’art. 20 sulla tassazione degli effetti giuridici dei negozi in luogo di quelli occulti ovvero economici (il sintagma degli effetti giuridici nella norma de qua) troveranno applicazione agli atti registrati dal 1° gennaio 2018, dovendo l’interprete necessariamente attribuire all’intervento riformativo efficacia innovativa. Invero l’Agenzia delle entrate, pur ribadendo la natura interpretativa dell’intervento legislativo, invocando le “coperture” metacostituzionali, ved. art. 1 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212) sulla qualificazione delle norme interpretative, ha frenato il prefato arresto della Corte sulle sue decorrenze pro futuro, osservando che la norma modificata dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 potrà applicarsi agli atti fiscali notificati dal 1° gennaio 2018, verificata la natura procedimentale e non sostanziale dell’innovazione. In altri termini le nuove disposizioni, in base al ben noto principio tempus regit actum, non troveranno applicazione per gli atti fiscali già notificati al 1° gennaio 2018 ancorché non definitivi e relativi a “registrazioni” avvenute qualche anno prima. Quegli atti impositivi – ex se antielusivi – che utilizzavano il vecchio art. 20 reclamando prelievi proporzionali e non fissi sulla base del superamento degli effetti giuridici tipici predeterminati dei negozi giuridici – obliterano una diversa causa reale e concreta effettivamente perseguita dai contraenti – non potranno in futuro essere rimossi in autotutela dall’Amministrazione finanziaria. Dunque resteranno validi gli accertamenti ex vecchio art. 20 sull’unificazione funzionale fra plurimi negozi giuridici che si basano sulla ricerca di una causa concreta diversa da quella astratta risultante dalla mera sommatoria degli effetti giuridici prodotti da ciascuno di essi. Pertanto, sono salvi quegli atti fiscali che perseguono gli effetti reali del negozio giuridico prescindendo dal suo nomen, ossia quelli che si basano sull’equivalenza degli effetti economici finali riconducibili a più atti funzionalmente collegati e che pertanto travalicano lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile per “tassare” operazioni differenti, alternative e mai concluse. Il riferimento è alla tassazione proporzionale invocata nella cessione duale dell’azienda cartolarizzata, sdoppiata fra uno scorporo aziendale e una successiva cessione dei titoli della conferitaria, ancora le cessioni di partecipazioni precedute da scissione (anziché da conferimento) ovvero preordinate alla successiva fusione con la società acquirente (3).
Dunque, nel testo modificato dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 viene negata la rilevanza alla progressione negoziale ossia prescindendo dal collegamento tra atti e dagli elementi interpretativi extratestuali dell’atto sottoposto a registrazione nonché i comportamenti assunti dalle parti i quali semmai potranno essere rivalutati ovvero contestati attraverso la clausola generale antiabuso dell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente (“copre” de facto queste fattispecie fuoriuscite dal citato art. 20) (4). In futuro sarà precluso il sindacato sulla sostanza economica degli atti collegati ossia la ricerca della causa concreta, emergente dalla pluralità di atti da unificare economicamente per cui non si travalicherà lo schema negoziale tipico nel quale l’atto monitorato risulta inquadrabile, ved. astrattezza giuridico-formale del tipo di negozio. Il riferimento è alla cessione duale dell’azienda sdoppiata fra un conferimento neutrale di azienda (cartolarizzata) e una successiva cessione delle partecipazioni ricevute dalla conferitaria, riqualificata appunto attraverso il previgente art. 20 come cessione di azienda gravata di aliquote proporzionali di registro. La scissione societaria seguita dalla cessione delle partecipazioni della scissa e/o della beneficiaria, operazioni detassate ai fini del registro ma non di rado riqualificate ex art. 20 sulla base di un sindacato sulla sostanza economica degli atti funzionalmente collegati, come cessioni dei beni di primo grado (immobili e aziende) con ingresso delle aliquote proporzionali (sostituzione di una forma giuridica legittima con un’altra forma giuridica ugualmente legittima verificata l’unitarietà di effetti economici). Invece resta assorbito dalla clausola antiabuso dell’art. 10-bis dello Statuto (5), anche prima della sua codificazione (ved. principio immanente sistemico perché derivante dall’art. 53 Cost.), la fattispecie del conferimento di beni immobili con accollo di passività alla conferitaria. L’operazione de qua, prevista dall’art. 50 del D.P.R. n. 131/1986, consente di ridurre la base imponibile dell’immobile col valore del debito accollato alla conferitaria, la cui inerenza (debito) all’asset scorporato svilisce la base imponibile. Il vantaggio fiscale così ottenuto viene ritenuto indebito (6), e quindi neutralizzato attraverso il prefato art. 10-bis e prima della sua introduzione attraverso il richiamo all’art. 53 Cost. se vi è una quasi contestualità fra l’accensione del mutuo e lo scorporo dell’immobile cui lo stesso accede. In altri il timing delle prefate operazioni, ravvicinate e riallineate, abilita una riqualificazione antiabuso del conferimento con debito (inapplicabile l’art. 131 del D.P.R. n. 131/1986). Invero, sul giudizio di liceità di quest’operazione l’interprete non dovrebbe incontrare resistenza alcuna nella misura in cui è la legge stessa a prevederla. Lo stesso dicasi sull’argomento dell’inerenza del debito al cespito conferito, ossia non di rado la tassazione del debito ovvero il suo disconoscimento ha seguito nelle riqualificazioni antiabuso ex art. 10-bis il teorema fallace della sua non inerenza all’asset conferito. È di evidenza immediata che la passività è una situazione giuridica del soggetto e non del bene, con l’effetto deteriore che è reciso ogni verosimile collegamento fattuale fra gli stessi, con le esclusioni per le ipotesi di iscrizione ipotecaria a garanzia del mutuo sul bene conferito.
Lo stesso dicasi per le cessioni totalitarie di partecipazioni rappresentative del capitale di una società assoggettate a tassazione quale atto di vendita di azienda ex art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 (escluse da questa norma, ved. relazione illustrativa alle modifiche normative, ved. legge di stabilità 2018 e residualmente “coperte” dall’art. 10-bis dello Statuto). Difatti la Corte di Cassazione ha riqualificato (7) queste cessioni di partecipazioni configurandole ex se quale atto di vendita d’azienda tout court, assoggettato ad imposta proporzionale nella misura in cui la vendita di titoli ha il medesimo effetto della vendita di azienda pur non essendo la vendita di titoli funzionalmente collegata ad altri atti, per cui non è ricostruibile una causa alternativa a quella predeterminata ex se dal legislatore. Quest’operazione di riqualificazione viola anche l’ordine positivo sovranazionale ovvero comunitario, ved. art. 5, par. 1, della Direttiva 2008/7/CE del Consiglio, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, sulla totale esenzione da imposte indirette dell’operazione di negoziazione dei titoli, ved. anche l’art. 11, par. I, lett. a), della Direttiva 69/335/CEE del Consiglio, del 17 luglio 1969, sull’abrogazione del prelievo proporzionale nella raccolta di capitali per favorire la concentrazione e lo sviluppo delle imprese. Invero, la causa di tale unico negozio è già predeterminata dalla legge, per cui gli effetti giuridici prodotti da tale negozio non possono che coincidere con quelli che la legge stessa ricollega al tipo di negozio (nel nostro caso la vendita di cui all’art. 1470 c.c.). Pertanto, in futuro, non potrà essere assimilata alla cessione di azienda la cessione totalitaria di quote, rilevando nella registrazione degli atti gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti, ved. il revisionato art. 20 (rileva il contenuto giuridico formale dell’atto sottoposto a registrazione).
Difatti permane nella relazione illustrativa alle modifiche al novellato testo dell’art. 20 l’istituto della cessione duale dell’azienda sdoppiata fra un’alternativa cessione dei beni di primo grado e un’indolore e consentita cessione dei beni di secondo grado (i titoli che la incorporano), verificata la diversità degli assets oggetto della regolamentazione degli interessi perseguiti. Dunque, la titolarità di una partecipazione totalitaria di titoli ovvero la sua vendita non consente di reclamare alcun diritto sull’azienda essendo l’oggetto di tale negozio rappresentato esclusivamente dal bene di secondo grado.
Sulla natura latamente antielusiva dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 prima della novella si osserva che sono ben note le contestazioni e riqualificazioni economiche sull’unificazione di più atti attraverso l’utilizzo dell’argomento core del collegamento negoziale. Dunque, rilevano elementi ermeneutici extratestuali esterni all’atto nonché il comportamento delle parti unitamente alla valorizzazione del prefato collegamento funzionale fra atti distinti nelle destrutturazioni antielusive ex art. 20 (prima della sua revisione). Nella norma de qua viene apprezzato il risultato economico unitario attraverso la conversione/permutazione negoziale ovvero la sostituzione di una forma giuridica legittima con un’altra anche se l’effetto economico delle due operazioni è analogo ricorrendo ad elementi extratestuali non direttamente desumibili dall’atto. Attraverso tale norma l’Amministrazione finanziaria ha contestato la tangibilità e violabilità fiscale delle forme negoziali (apparenti): difatti, l’art. 20 viene trasformato in una clausola di adattamento del sistema di tassazione degli atti negoziali governati da una diversa causa reale economica. Il riferimento è, ad esempio, alla cartolarizzazione delle aziende retro emarginate, attraverso il loro conferimento “passante” neutro fiscalmente in una newco, le cui quote sono cedute dal conferente con tassazione finale di registro fissa. La prefata cessione duale dell’azienda, realizzata attraverso la cessione totalitaria dei titoli rivenienti da precedente conferimento, è stata riclassificata dall’Amministrazione finanziaria con le coperture del superiore Giudice di Legittimità quale cessione di beni di primo grado gravata di aliquote proporzionali di registro. Lo stesso dicasi per le cessioni totalitarie di partecipazioni non di rado convertite in cessione dei beni di primo grado detenuti “in pancia” dalla società ceduta. Profilo non secondario era anche la legittimazione passiva sugli atti elusivi di liquidazione dell’imposta di registro ai sensi dell’art. 20, che non competeva alla conferitaria, essendo quegli atti notificati al conferente e al terzo cessionario delle partecipazioni. Tema ancora irrisolto è la competenza territoriale dell’Agenzia sulla notificazione dell’imposta complementare abusata ex art. 20, sdoppiata fra quella del notaio che ha rogato il conferimento e quella del notaio che ha autenticato la cessione dei titoli.
Su questo tema di evasione interpretativa e di restaurazione (ripristino dell’assetto cartolare nella norma de qua) il comma 87 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di stabilità 2018) ha sostanzialmente chiarito che l’art. 20 non integra una clausola antielusiva, ossia non è norma deputata all’interpretazione degli atti negoziali essendo escluso il ricorso ad elementi extratestuali ovvero non direttamente desumibili dall’atto stesso, con il portato che non deve darsi preminenza alla causa reale nella registrazione/tassazione degli atti negoziali (svalutato il collegamento, unificazione funzionale fra distinti atti pluricausali). Pertanto rilevano ex se gli effetti giuridici dell’atto sottoposto alla sua registrazione attraverso la rimozione nella novella sia del collegamento funzionale e sia degli elementi extratestuali allo stesso. Permane ancora praticabile la riqualificazione ex art. 20 del singolo atto, ved. infra cessioni totalitarie di titoli, avendo la novella rimosso il solo collegamento negoziale. Invero, limitatamente alla fattispecie in esame, nella relazione illustrativa alla norma si osserva che la cessione totalitaria di titoli non può essere assimilata ad una cessione di azienda ossia che la stessa integra una legittima scelta di tipo negoziale insindacabile in quanto coperta dal principio del legittimo risparmio d’imposta di cui all’art. 10-bis dello Statuto; dunque le contestazioni sulla causa reale dell’operazione e sull’apprezzamento del risultato finale complessivo con travalicamento dello schema negoziale traghetteranno – riassorbite in futuro – nell’art. 10-bis dello Statuto. Dalla natura abusiva dell’operazione de qua deriva l’inopponibilità della stessa all’Amministrazione finanziaria, al fine di applicare le imposte previste per un’altra fattispecie (l’operazione considerata legittima, ved. cessione di azienda) sebbene questa non sia stata posta in essere dalle parti. In altri termini, ove si configuri un vantaggio fiscale che non potrà più essere rilevato mediante l’attività interpretativa di cui all’art. 20 (attività preclusa in futuro), tale benefit potrà essere valutato sulla base della sussistenza dei presupposti costitutivi dell’abuso del diritto, ved. art. 10-bis dello Statuto. Nella Relazione si osserva che con le modalità del sopra citato art. 10-bis potrà essere neutralizzata la cessione frazionata di azienda veicolata da plurimi atti di trasferimento di singoli assets. Invero tale fattispecie che integra un’ipotesi evasiva (ved. simulazione/dissimulazione), non potrà essere riassorbita e sindacata attraverso la clausola generale antielusiva.
Sul profilo del diritto intertemporale e sulle verosimili decorrenze retroattive, la novella potrebbe auspicabilmente avere natura interpretativa con impatto verosimile sui contenziosi ancora sub iudice. Permangono aree di incertezza sulla natura interpretativa dell’innovazione la quale, similmente ad ogni innovazione, dovrebbe avere in assenza di contrarie previsioni efficacia sugli atti registrati dal 1° gennaio 2018 senza interferire sui pregressi rapporti fiscali non definitivi lasciati per effetto inalterati. Invero, come ampiamente retro illustrato, con la sentenza n. 2007/2018 la Corte di Cassazione ha riconosciuto la natura innovativa e non interpretativa della novella, la quale de facto si applicherà agli atti fiscali notificati dal 1° gennaio 2018, ved. le aperture rassegnate dall’Agenzia delle entrate nell’incontro Telefisco del 2 febbraio 2018.
Dunque la norma proposta rimuove il collegamento funzionale fra più atti (8), con l’effetto che la liquidazione ex art. 20 avverrà solo sugli assetti giuridici, cartolari e non economici dell’atto sottoposto alla registrazione. Tuttavia permane irrisolto il tema dei singoli atti (ad esempio le cessioni totalitarie di partecipazioni non collegate ad atti negoziali precedenti e susseguenti ossia senza che vi sia il prefato collegamento negoziale rimosso nella legge di stabilità 2018), con l’effetto deteriore che questa fattispecie potrà essere ancora “sindacata” dall’art. 20. L’ipotesi delineata si sostanzia nel recupero delle aliquote proporzionali di registro sulla cessione totalitaria di partecipazione di società, la quale oblitera de facto una cessione indiretta di beni di primo grado ovvero l’azienda (tassazione per analogia attraverso l’argomento della similitudine). Invero, il passaggio dalla relazione illustrativa alla norma esclude l’assimilazione a una cessione d’azienda della cessione totalitaria di quote, verificato il suo confinamento nell’indolore e legittimo risparmio d’imposta insindacabile, ved. art. 10-bis, quarto comma, dello Statuto.
Avv. Fabio Ciani
Università Roma Tre
(1) Cass., sez. trib., 26 gennaio 2018, n. 2007, in Boll. Trib. On-line.
(2) Sulle coperture sovranazionali ovvero unionali della nuova definizione di abuso di diritto ex art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, ved. LOGOZZO, Prime riflessioni sulla Direttiva europea antiabuso (n. 2016/1164/UE), in Boll. Trib., 2017, 1555 ss., il quale osserva che «La disposizione italiana sull’abuso (art. 10-bis della legge n. 212/2000) è stata adottata avendo come fonte d’ispirazione la raccomandazione della Commissione UE del 6 dicembre 2012 (2012/772/UE). Raccomandazione che oggi è – di fatto – superata dalla Direttiva 2016/1164, sulle pratiche antielusive che incidono sul funzionamento del mercato interno, la quale, come si è detto, prevede all’art. 6 una “norma generale antiabuso”, che gli Stati membri sono chiamati a introdurre nei propri ordinamenti entro il 31 dicembre 2018. L‘art. 6 riproduce la clausola antiabuso contenuta nella Direttiva 2015/121 del 27 gennaio 2015, che ha modificato la cosiddetta Direttiva “madre-figlia” 2011/96/UE del 30 dicembre 2011. La Direttiva 2015/121 è stata attuata in Italia attraverso la legge comunitaria 2016 (legge 7 luglio 2016, n. 122) facendo riferimento all’art. 10-bis della legge n. 212/2000».
(3) Sulla depenalizzazione delle operazioni abusate sui beni di II grado e sulle resistenze del giudice di legittimità, ved. LANZI, Gli attuali aspetti penali dell’elusione fiscale e dell’abuso del diritto, in Boll. Trib., 2017, 1635 ss.: «Incline, invece, ad una generale irrilevanza penale delle condotte di abuso è la successiva sentenza della Corte di Cassazione n. 48293/2016 che – affrontando il caso concreto di una società immobiliare che in realtà dissimulava una cessione di immobili – ha ritenuto che si debba escludere che operazioni esistenti e volute, ancorché prive di sostanza economica e capaci di realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti (il caso riguardava la contestazione di un reato di “dichiarazione infedele”); e ciò proprio sulla base del disposto di cui al comma 13 dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000. Ma il tema è stato poi drasticamente riproposto e risolto, recentemente, dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 38016/2017, secondo la quale una cessione di immobili, dissimulata rappresentandola come una cessione di quote, determinerebbe la ricorrenza di un delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 … Nella specie infatti, secondo questa giurisprudenza, la simulazione posta in essere determinerebbe una falsità ideologica, penalmente rilevante, e dunque una condotta non qualificabile come abuso essendosi realizzata la violazione di una norma penale. Orbene, una tale decisione lascia però grandemente perplessi, poiché dovrebbe essere chiaro che ogni ipotesi di abuso del diritto (ed elusone fiscale) passa necessariamente attraverso un mendacio finalizzato a conseguire vantaggi fiscali indebiti (primo comma dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000 così come riformato) pur nel rispetto formale delle norme fiscali».
(4) Sulla residualità dell’abuso di diritto ved. LOGOZZO, op. cit., 1558, il quale aggiunge che «Dalla norma interna italiana si ricava che l’abuso del diritto va individuato per esclusione. In sostanza, prima occorre verificare se il vantaggio fiscale risulta legittimo o meno. Se è illegittimo, occorre verificare se si tratta di una vicenda ascrivibile all’evasione; solamente in presenza di un vantaggio fiscale illegittimo e non ascrivibile all’evasione si ravvisa ipotesi di abuso del diritto».
(5) Sulle garanzie endoprocedimentali nelle rettifiche antiabuso, applicabili anche ai fini dell’imposta di registro cfr. MISCALI, Il transfer pricing tra abuso del diritto e riparto del potere impositivo tra gli Stati, in Boll. Trib., 2017, 993 ss., secondo il quale «In particolare, ove l’Amministrazione contesti l’esistenza di un’operazione elusiva deve richiedere chiarimenti scritti al contribuente (il quale dispone di sessanta giorni per rispondere), esponendo già nella richiesta i motivi per i quali ritiene applicabile l’art. 10-bis; l’avviso di accertamento deve poi motivare esplicitamente i motivi per i quali l’Ufficio fiscale non ha ritenuto fondate le giustificazioni fornite dal contribuente. Sia la richiesta di chiarimenti sia l’obbligo di motivazione con riferimento alle giustificazioni del contribuente sono imposti a “pena di nullità”».
(6) Ved. Cass., sez. trib., 14 febbraio 2018, n. 3533, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cfr. Cass., sez. trib., 12 maggio 2017, n. 11877; e Cass., sez. trib., 29 aprile 2016, n. 8542; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(8) Sulla tangibilità delle forme negoziali attraverso la clausola interpretativa dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 sul collegamento negoziale e sulla rilevanza degli elementi extratestuali, ved. TABET, Sulla competenza territoriale degli Uffici in caso di riqualificazione di negozi giuridici collegati, in nota a Cass., sez. trib., 5 aprile 2017, n. 8792, in Rass. trib., 2017, 820 ss., che acutamente osserva che «la Corte conferma punto su punto, la propria consolidata giurisprudenza inaugurata con la sentenza n. 14900/2001, che l’ha condotta a predicare, nell’applicazione del tributo del registro la tangibilità sul piano fiscale delle forme negoziali (alias la riqualificazione), grazie al ruolo forte assegnato all’art. 20 del DPR 131/1986, trasformato – come è stato acutamente rilevato – in una clausola di adattamento del sistema di tassazione agli assetti negoziali complessi retti da un’unica causa. Viene così ribaltata la tesi tradizionale della tassazione isolata dei singoli atti e della irrilevanza degli elementi desunti aliunde e la sua sostituzione con l’apprezzamento del risultato complessivo finale, realizzato attraverso il collegamento fra più documenti negoziali. Di più la esasperata valorizzazione di criteri ermeneutici extratestuali ha condotto la Corte ad affermare che la considerazione di elementi interpretativi esterni eventualmente successivi all’atto può riguardare non soltanto altri negozi collegati con quello presentato alla registrazione ma anche atti non negoziali, ovvero semplici comportamenti delle parti, come ad esempio conseguimenti di pareri tecnici di edificabilità, presentazione di istanze di demolizione, attività edilizia concretamente realizzata».