SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il contesto normativo: cosa è stato fatto –3. Il contesto normativo: cosa si sarebbe potuto fare.
1. Premessa
La Legge di Stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) ha introdotto importanti modifiche alle modalità di applicazione dell’IVA per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato e di taluni enti appartenenti alla pubblica Amministrazione.
Si tratta del nuovo istituto definito tecnicamente split payment, finalizzato a contrastare fenomeni di evasione dell’IVA realizzati da tutti quei soggetti che, dopo aver incassato l’imposta dai loro clienti (esercitando la rivalsa obbligatoria a norma di legge), ne omettono il relativo versamento all’erario alle scadenze dovute (realizzando in sostanza un guadagno illecito, ai danni dello Stato).
Questo tipo di frode è ben noto al legislatore tributario (italiano ed europeo) che già in passato è periodicamente intervenuto con misure ad hoc aventi finalità simili a quella in commento. Lo strumento più comunemente utilizzato, non solo a livello nazionale ma anche comunitario, è sempre stato il c.d. “reverse charge” limitato alle operazioni effettuate tra soggetti passivi IVA (le cosiddette operazioni business to business). Nel reverse charge il soggetto debitore dell’IVA non è più il fornitore, ma il cliente (cioè il cessionario o committente): questi non è tenuto a pagare l’IVA al fornitore (di beni o servizi) ma effettua un’autoliquidazione dell’IVA dovuta, indicando contestualmente nei propri registri IVA sia un’IVA a credito che un’IVA a debito di pari ammontare (così beneficiando di un’automatica detrazione dell’IVA sui beni e servizi acquistati) (1). Si evita, in questo modo, che il fornitore incassi l’IVA e ne ometta il versamento all’erario. Le applicazioni del reverse charge sono molto frequenti nei settori statisticamente esposti a frodi di questo tipo quali gli acquisti intracomunitari (2), il settore dell’edilizia o della fornitura di apparecchiature informatiche (3).
Lo split payment è uno strumento per certi versi molto simile al reverse charge perché, di fatto, elimina la rivalsa dell’IVA a favore del fornitore e pone gli obblighi di versamento in capo al cliente/ente pubblico (4). Ciò che tuttavia contraddistingue lo split payment è il campo di applicazione estremamente ampio, interessando qualsiasi fornitura (fatta da un soggetto passivo IVA) alla pubblica Amministrazione (a prescindere dal fatto che l’ente pubblico agisca nell’ambito di un’attività d’impresa o meno, elemento invece di grande rilevanza ai fini dell’applicazione del reverse charge) (5).
L’effetto è, quindi, drastico: per le fatture emesse dal 1° gennaio 2015 nei confronti degli enti pubblici individuati dalla legge (quasi tutti), gli imprenditori non incasseranno più IVA da tali enti divenendo, di fatto, soggetti strutturalmente titolari di eccedenze di IVA a credito: cioè soggetti costretti a recuperare l’IVA pagata ai rispettivi fornitori solamente tramite le richieste di rimborso all’erario, su base annuale o infra-annuale ovvero, entro certi limiti, tramite compensazioni c.d. “orizzontali” (cioè con imposte diverse dall’IVA) (6). Tale circostanza potrà, con tutta evidenza, penalizzare eccessivamente diversi settori economici, causando notevoli problematiche di tipo finanziario a carico dei soggetti che cedano beni o prestino servizi agli enti pubblici. È il caso ad esempio delle imprese appaltatrici di progetti di real estate o di project finance aventi come unico committente un ente pubblico (7): generalmente, tali imprese fanno ricorso alla leva finanziaria per sostenere i notevoli costi di realizzazione delle opere (pubbliche) fino al momento in cui il committente (soggetto pubblico) erogherà il corrispettivo pattuito (che prima dello split payment comprendeva anche l’IVA) (8). Ebbene, tali soggetti si troveranno a dover finanziare l’IVA dovuta ai propri fornitori per un periodo ben più lungo rispetto al passato (subendo quindi un ulteriore aggravio rappresentato dai maggiori oneri finanziari): poiché i pagamenti della pubblica Amministrazione non comprendono più l’IVA (con una sostanziale riduzione delle compensazioni c.d. “verticali” ai fini IVA), il fabbisogno finanziario si estenderà fino al momento dell’effettiva erogazione del rimborso dell’eccedenza di IVA a credito da parte dell’erario (o, come detto, fino al momento della compensazione “orizzontale”, quando possibile) (9). In altri termini la nuova misura, nell’intento di colpire con forza le frodi IVA realizzate nell’ambito del settore pubblico, genera anche degli evidenti effetti fortemente distorsivi nell’applicazione del tributo, andando di fatto ben oltre gli scopi per i quali era stata concepita (10). Anche sul piano degli adempimenti, il nuovo regime introduce delle novità a cui si dovranno conformare i fornitori della pubblica Amministrazione. Mentre infatti nel reverse charge l’assenza della rivalsa dell’IVA da parte del fornitore trova evidenza nelle relative fatture emesse da quest’ultimo (11), nell’ambito dello split payment le operazioni andranno regolarmente fatturate con rivalsa dell’IVA, ma con l’annotazione “scissione dei pagamenti” (infatti è solo nella contabilità del fornitore che risulterà l’assenza del debito nei confronti dell’erario corrispondente all’IVA applicabile sull’operazione) (12).
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La novella, peraltro, è efficace a partire dal 2015 ma, allo stesso tempo, è subordinata all’approvazione da parte del Consiglio dell’Unione europea (tramite una specifica misura di deroga ai sensi dell’art. 395 della Direttiva comunitaria sull’IVA n. 2006/112/CE). Se non dovesse giungere il nulla osta a livello europeo lo split payment potrebbe creare ulteriori incertezze e complicazioni a livello amministrativo e contabile a tutti i soggetti, privati e pubblici, interessati dal regime in commento (nell’eventualità in cui divenisse necessario ripristinare, i meccanismi in vigore fino al 31 dicembre 2014).
2. Il contesto normativo: cosa è stato fatto
Il set di norme relativo allo split payment comprende il nuovo art. 17-ter del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (contenente il cuore del nuovo regime), introdotto dall’art. 1, comma 629, lett. b), della legge n. 190/2014, nonché una serie di disposizioni integrative e transitorie contenute nello stesso comma 629 (e nei successivi) della stessa legge. A queste si aggiungono (ad oggi) le disposizioni attuative emanate con i Decreti del Ministero dell’economia e delle finanze 23 gennaio e 20 febbraio 2015 e i chiarimenti ufficiali forniti dall’Agenzia delle entrate (13).
L’art. 17-ter ha un campo di applicazione ben definito, riguardando cessioni di beni e prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, effettuate nei confronti «dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti …, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e beneficenza e di quelli di previdenza, per i quali i suddetti cessionari o committenti non sono debitori d’imposta» (14).
In questi casi, l’IVA dovuta «dovrà essere versata dall’amministrazione acquirente direttamente all’Erario, anziché allo stesso fornitore, scindendo quindi il pagamento del corrispettivo dal pagamento della relativa imposta» (15), a partire dalla data in cui l’imposta diviene esigibile. Come anticipato, in questo modo la pubblica Amministrazione non corrisponderà più ai propri fornitori l’imposta addebitata in fattura, ma solo l’imponibile.
Il D.M. 23 gennaio 2015 ha risolto i dubbi relativi a tutte le operazioni effettuate a cavallo tra il 2014 e il 2015, chiarendo che il nuovo regime si applica alle operazioni “per le quali è stata emessa fattura” a partire dal 1° gennaio 2015. Per quanto riguarda invece l’ambito soggettivo, le citate circolari n. 1/E e n. 15/E del 2015 hanno individuato i soggetti pubblici rientranti nello split payment e quelli esclusi in quanto autonomi rispetto alla struttura statale (che perseguono propri fini anche se di interesse generale) (16), interpretando la norma primaria in modo ampio e, pertanto, espandendo ulteriormente il campo applicativo del nuovo regime. Per mitigare gli effetti penalizzanti che il nuovo regime produce inevitabilmente nei confronti dei fornitori della pubblica Amministrazione, la legge n. 190/2014 si è limitata ad introdurre talune facilitazioni fruibili solamente in caso di richiesta di rimborso dell’eccedenza di IVA a credito su base annuale o trimestrale. Il legislatore è intervenuto, per così dire, sia ad un livello sostanziale sia ad uno procedurale con misure che, ad una prima analisi, sembrerebbero in ogni caso essere scarsamente efficaci per tutelare tutti i soggetti incisi dallo split payment.
In primo luogo, è stato modificato l’art. 30 del D.P.R. n. 633/1972 contenente i requisiti sostanziali per potere accedere ai rimborsi IVA (17): in breve, ogni soggetto passivo IVA che effettui “esclusivamente o prevalentemente” operazioni rientranti nello split payment avrà diritto a chiedere il rimborso della propria eccedenza di IVA a credito alla prima occasione utile (annuale o trimestrale) (18). In assenza di tale disposizione, i soggetti interessati avrebbero dovuto attendere almeno due anni per poter solamente richiedere detto rimborso. Tuttavia, la misura è, di fatto, inutiliter data per tutti quei soggetti coinvolti in progetti di real estate finance o di project finance (che maturano periodicamente enormi volumi di eccedenze di IVA a credito): questi infatti avevano già diritto a tale agevolazione per l’IVA relativa all’acquisto di beni ammortizzabili (19).
In secondo luogo, a livello “procedurale”, l’art. 1, comma 630, della legge n. 190/2014, e l’art. 8 del D.M. 23 gennaio 2015 prevedono l’“erogazione” prioritaria dei rimborsi IVA ai soggetti incisi dallo split payment, ma nei limiti dell’IVA detraibile derivante dalle operazioni rientranti nel campo di applicazione dello stesso split payment (20).
Complessivamente, resta discutibile la scelta di fondo del legislatore di venire incontro ai contribuenti modificando (in minima parte) il regime dei rimborsi IVA: è evidente infatti che la carenza di liquidità che lo split payment determina immediatamente nei confronti dei soggetti incisi trova rimedio solamente nel medio-lungo periodo. Al riguardo, basti osservare che, a partire dal 1° gennaio 2015, ogni fornitore della pubblica Amministrazione non incassa più IVA (c.d. a debito) compensabile con la propria IVA a credito; la prima occasione utile per richiedere il rimborso della propria eccedenza detraibile è il 30 aprile 2015 (21); da quel momento l’Amministrazione finanziaria ha tre mesi per effettuare il rimborso (trattasi, peraltro, di termine meramente ordinatorio) (22).
Con tutta evidenza tale scenario non regge il confronto con la possibilità di effettuare compensazioni “verticali” (mensili o trimestrali) svanita il 31 dicembre 2014. Ove ciò non bastasse, l’attuale contesto normativo è ulteriormente aggravato dal fatto che, come noto, l’Agenzia delle entrate è ancora oggi ferma sulla posizione (ingiustificata) che «i crediti IVA di cui alle richieste di rimborso infrannuale non possono formare oggetto di cessione rilevante nei confronti dell’Amministrazione finanziaria» (23). L’impossibilità – ad avviso dell’Agenzia – di cedere i crediti IVA trimestrali a terzi (come ad esempio banche, società di cartolarizzazione o altri enti finanziari italiani o esteri) con una cessione efficace nei confronti della stessa Amministrazione finanziaria rappresenta un ostacolo di estrema rilevanza (se non addirittura ostativo) alla possibilità per il fornitore della pubblica Amministrazione di finanziare l’IVA da esso a sua volta dovuta ai propri fornitori (e.g. tramite il ricorso al finanziamento bancario ovvero allo sconto di crediti). Ad esempio, nell’ambito delle operazioni di finanza strutturata, è prassi degli istituti finanziari subordinare la concessione del finanziamento dei crediti IVA alla circostanza che tali crediti vengano ceduti (in garanzia o pro soluto, a seconda della forma tecnica del finanziamento) a proprio favore. Orbene, tale (pretesa) inefficacia della cessione del credito trimestrale nei confronti della pubblica Amministrazione rappresenta un ulteriore elemento di rigidità del sistema fiscale che – con l’ingresso dello split payment – non ha più alcuna valida ragione di essere, quanto meno con riferimento alle fattispecie interessate dal nuovo meccanismo.
Del pari, non sembra soddisfacente la possibilità (delle imprese incise dallo split payment) di compensare “orizzontalmente” in F24 l’eccedenza di IVA con imposte diverse dall’IVA (24). Per evidenti ragioni tecniche, da un lato, tali compensazioni potranno avvenire con termini piuttosto dilazionati (ragionevolmente, la compensazione orizzontale con l’IRES/IRAP non potrà avvenire prima del 16 giugno – data di pagamento del saldo e della prima rata di acconto per le società con esercizio coincidente con l’anno solare). Peraltro, questa soluzione non garantisce una compensazione integrale del credito IVA (ma solo nei limiti di altri debiti d’imposta indicati in F24 ed è soggetta al tetto annuale di 700.000 euro) o diviene del tutto inutilizzabile in presenza di perdite ai fini IRES/IRAP.
3. Il contesto normativo: cosa si sarebbe potuto fare
In questa primissima fase di implementazione nell’ordinamento italiano del regime IVA in commento non è passata inosservata la rigidità del Parlamento e del Governo italiano che hanno cercato, solo in minima parte, di migliorare i provvedimenti normativi finora emanati per ridurre, quanto possibile, le inefficienze sopra descritte.
Come visto, agevolare (di poco) l’accesso ai rimborsi IVA non è sufficiente, in quanto espone i contribuenti a tempi di recupero eccessivamente lunghi (approssimativamente 6-7 mesi, nel caso dei rimborsi trimestrali per spese sostenute ad inizio anno). Sembrerebbe, piuttosto, (ri)presentarsi l’occasione utile per superare una volta per tutte l’annosa questione dell’opponibilità all’Amministrazione finanziaria della cessione a terzi (ai sensi dell’art. 1260 c.c. e dell’art. 69 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440) (25) dei crediti IVA trimestrali, finora sempre rigettata dall’Amministrazione finanziaria (come sopra accennato).
Per quanto d’interesse ai presenti fini, si ricorda che ai sensi dell’art. 5, comma 4-ter, del D.L. 14 marzo 1988, n. 70 (convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154), «Agli effetti dell’articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate, salvo che questi non presti la garanzia prevista nel secondo comma dal suddetto articolo fino a quando l’accertamento sia diventato definitivo». Interpretando la norma in maniera particolarmente restrittiva, l’Amministrazione finanziaria ha sempre negato (26) l’efficacia della cessione a terzi di (27) crediti IVA trimestrali. Questa lettura della norma è stata fortemente criticata sia in dottrina che da diverse associazioni di categoria , in ragione del fatto che (in sintesi) l’eccedenza IVA trimestrale chiesta a rimborso può a tutti gli effetti essere considerata come un credito cedibile a terzi (ai fini civilistici) e che non sussiste un divieto normativo alla cessione di tale credito ceduto (soprattutto se la cessione avvenga nel pieno rispetto dell’art. 69 del R.D. n. 2440/1923).
L’impasse può essere validamente superata modificando la norma in commento (al fine di chiarire non tanto l’ammissibilità (28) quanto l’efficacia nei confronti del fisco della cessione di crediti IVA trimestrali). Nelle more dell’auspicato intervento del legislatore, lo stesso risultato potrà essere agevolmente raggiunto a livello interpretativo da parte della stessa Agenzia delle entrate, superando definitivamente le conclusioni di cui alla ripetuta risoluzione n. 49/E/2006, divenute, a partire dal 2015, decisamente più penalizzanti rispetto al contesto normativo del 2006.
Del resto, a poche settimane dall’entrata in vigore dello split payment, numerose categorie di fornitori della pubblica Amministrazione hanno sollecitato, senza successo, al Governo correzioni al campo di applicazione del nuovo regime (soprattutto a livello soggettivo) o l’introduzione di norme “transitorie” finalizzate ad escludere i contratti in corso al 1° gennaio 2015 (i quali, per ovvie ragioni, erano stati negoziati dalle parti senza tenere conto dell’aggravio finanziario in commento). Tuttavia, la normativa è stata completata (senza modifiche) in tempi relativamente rapidi (29) e sembra, allo stato attuale, difficile ipotizzare degli opportuni correttivi (a livello normativo).
Ciononostante, lo split payment può ancora essere migliorato, quantomeno nelle sue modalità applicative. Infatti, considerato che i fornitori del settore pubblico sono stati, di fatto, posti nella stessa condizione degli esportatori abituali (anch’essi soggetti strutturalmente a credito, ma operanti in un settore con caratteristiche uniche e ben diverse dal mondo delle forniture alla pubblica Amministrazione), si potrebbe mutuare, con i dovuti adattamenti, il meccanismo del plafond di cui all’art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, che consentirebbe di ridurre in maniera sostanziale l’eccedenza di IVA a credito dei fornitori (senza sacrificare le esigenze di controllo e monitoraggio dell’Agenzia delle entrate) (30). Difatti, per gli esportatori abituali, la costituzione del plafond – come chiarito in passato dall’Amministrazione finanziaria – «rappresenta una facoltà concessa dalla legge in presenza di condizioni oggettivamente correlate con l’esercizio dell’attività e, quindi, con l’azienda» (31). Non essendo naturalmente possibile un’applicazione estensiva di tale regime ai soggetti incisi dallo split payment per evidenti ragioni tecniche (32), anche in questo caso sarà necessario un intervento del legislatore (in tempi ragionevoli), soprattutto se il Consiglio dell’Unione europea dovesse convalidare lo split payment italiano, concedendo all’Italia (entro il prossimo 30 giugno) una misura di deroga al sistema dell’IVA ai sensi dell’art. 395 della Direttiva 2006/112/CE (33).
Avv. Giorgio Vaselli
(1) Salvo il caso in cui il cliente abbia un pro-rata di indetraibilità dell’IVA dovuto alle caratteristiche del settore economico in cui opera o i casi di esclusione o riduzione della detrazione IVA per determinati beni o servizi (cfr. artt. 19 ss. del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633).
(2) Cfr. artt. 44 ss. del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427).
(3) Cfr. art. 17 del D.P.R. n. 633/1972. Peraltro, la stessa Legge di Stabilità ha introdotto nuovi casi di reverse charge
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in settori specifici (edile ed energetico) «in considerazione delle evidenze di frodi nel settore» (come recita la relazione illustrativa).
(5) Lo scopo della nuova misura è delineato nella relazione tecnica della Legge di Stabilità (in cui si afferma, nel commentare lo split payment: “Si ipotizza di applicare agli acquisti della Pubblica Amministrazione (P.A.), gravati da IVA, il sistema del reverse charge”). Inoltre, come osserva l’Agenzia delle entrate nella circ. 9 febbraio 2015, n. 1/E, in Boll. Trib., 2015, 294, lo split payment mira a garantire anche gli acquirenti dal rischio di coinvolgimento nelle frodi commesse da propri fornitori o da terzi.
(5) Lo split payment è un meccanismo noto alle istituzioni dell’Unione europea ed è già stato oggetto di dibattiti e approfondimenti tecnici volti a valutarne la reale efficacia antifrode e la compatibilità con il diritto comunitario. L’applicazione generalizzata dello stesso è stata, tra l’altro, già oggetto di critiche nel c.d. Libro Verde sul futuro dell’IVA, COM (2010) 695 del 1° dicembre 2010. Cfr. G. Polo, Le nuove modalità di fatturazione nei confronti della pubblica Amministrazione, in Boll. Trib., 2015, 579; e P. Centore, “Split payment” ed estensione del “reverse charge”: un attacco concreto al VAT gap, in Corr. trib., 2014, 3316.
(6) In altre parole, i fornitori del settore pubblico sono stati, di fatto, posti nella stessa condizione degli esportatori abituali (soggetti, con tutta evidenza, estremamente diversi e, soprattutto, beneficiari di una serie di norme agevolative).
(7) Per le società veicolo utilizzate nel settore del project finance, si veda l’art. 163 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
(8) Cfr. circ. 21 novembre 2013, n. 34/E, in Boll. Trib., 2013, 1651, in tema di trattamento ai fini IVA dei contributi pubblici e dei corrispettivi erogati dalla pubblica Amministrazione.
(9) Cfr. COM (2010) 695 del 1° dicembre 2010, par. 5.4.2: «Questa opzione potrebbe tuttavia influire sfavorevolmente sulla relazione tra fornitore o prestatore e acquirente o destinatario, e quindi sulle attività commerciali in generale, e potrebbe anche avere ripercussioni negative sulla tesoreria dei fornitori o dei prestatori».
(10) A livello sistematico, le inefficienze dello split payment saranno ancora più manifeste in tutte le operazioni di “intermediazione” rilevanti ai fini IVA in cui prenderà parte la pubblica Amministrazione. Ad esempio, nel caso delle società consortili operanti nei confronti di enti pubblici, si potrà verificare il caso in cui l’IVA a credito della società consortile (relativa a beni/servizi che questa acquista dalle consorziate) non potrà più essere compensata con l’IVA dovuta dalla pubblica Amministrazione per le prestazioni di beni/cessioni di servizi ricevute (come accadeva di norma fino alla fine del 2014); cfr., inter alia, ris. 23 luglio 2007, n. 176/E, in Boll. Trib. On-line; e ris. 14 novembre 2002, n. 355/E, in Boll. Trib., 2003, 53.
(11) Come è noto, ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972 le fatture vengono integrate dal cessionario con l’indicazione dell’imposta applicabile.
(12) Come confermato anche dall’art. 2 del D.M. 23 gennaio 2015 (recante le norme di attuazione dello split payment) l’IVA indicata in fattura verrà regolarmente registrata in contabilità dal cedente ai sensi degli artt. 23 e 24 del D.P.R. n. 633/1972 «senza computare l’imposta nella liquidazione periodica». Pertanto, l’IVA (c.d. a debito del fornitore) dovrà essere stornata dal totale del credito rilevato nei confronti dell’ente pubblico (contestualmente alla registrazione della fattura ovvero con un’apposita scrittura contabile).
(13) Cfr. circ. n. 1/E/2015, cit.; circ. 19 febbraio 2015, n. 6/E, in Boll. Trib., 2015, 271; circ. 27 marzo 2015, n. 14/E, ibidem, 528; e circ. 13 aprile 2015, n. 15/E, ibidem, 616. Inoltre, il comma 3-bis dell’art. 8 del D.L. 31 dicembre 2014, n. 192 (inserito in sede di conversione dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11), ha incrementato, per gli appalti di opere pubbliche, l’anticipo del prezzo in favore dell’appaltatore al 20% dell’importo contrattuale, fino al 31 dicembre 2015 (prima era pari al 10%). In questo modo, il legislatore ha inteso “compensare” e attenuare l’impatto negativo per la liquidità delle imprese derivante dallo split payment (la disposizione si applica esclusivamente ai contratti di appalto relativi a lavori affidati a seguito di gare bandite successivamente all’entrata in vigore di detta legge di conversione).
(14) Si tratta cioè di enti pubblici che in ogni caso non sono soggetti al regime di reverse charge (che, come sopra indicato, trova applicazione in talune fattispecie precisamente determinate dal legislatore). In altre parole, lo split payment italiano è un meccanismo residuale e subordinato all’applicazione del reverse charge.
(15) Cfr. circ. n. 1/E/2015, cit.
(16) Il fornitore, al fine di individuare i soggetti pubblici inclusi nello split payment, potrà avvalersi del motore di ricerca all’interno del sito IPA (indice delle pubbliche Amministrazioni) e verificare direttamente nella loro anagrafica la categoria di appartenenza e i riferimenti dell’ente pubblico acquirente.
(17) Cfr. art. 1, comma 629, lett. c), della legge n. 190/2014.
(18) Se d’importo superiore ad euro 2.582,28 e se l’aliquota mediamente applicata su tutti gli acquisti e tutte le importazioni, per il periodo di riferimento, supera quella mediamente applicata su tutte le operazioni effettuate maggiorata del 10%, per il medesimo periodo (nel calcolo non si tiene conto degli acquisti, delle importazioni e delle cessioni di beni ammortizzabili). Come confermato dall’Agenzia delle entrate nella circ. n. 15/E/2015, cit., ai fini del calcolo dell’aliquota media le operazioni soggette allo split payment si considerano “ad aliquota zero”.
(19) In particolare, l’art. 30, comma 2, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, consente di richiedere il rimborso su base annuale per l’eccedenza di IVA a credito relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili. In questo caso, è anche possibile richiedere (alla prima occasione utile) il rimborso su base trimestrale, a condizione che gli acquisti di beni ammortizzabili superino i due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti di beni e servizi imponibili ai fini IVA (cfr. art. 38-bis del medesimo decreto).
(20) Come correttamente osservato dalla stampa specializzata, i fornitori della pubblica Amministrazione si aggiungono alle cinque categorie che già beneficiano della corsia preferenziale (i.e. subappaltatori edili assoggettati al reverse charge; soggetti che effettuano recupero e preparazione per riciclaggio di cascami e rottami metallici; produttori di zinco, zolfo e semilavorati; produttori di alluminio e semilavorati; produttori di aeromobili, veicoli spaziali e dei relativi dispositivi). Quindi è logico pensare che più si allunga la fila dei soggetti in coda più saranno lunghi i tempi di attesa (cfr. Il Sole 24 Ore del 6 febbraio 2015, pag. 37). Sempre in materia di erogazione prioritaria dei rimborsi IVA, si segnala che con il D.M. 20 febbraio 2015 è stato opportunamente eliminato (con efficacia immediata) dall’art. 8 del D.M. 23 gennaio 2015 il rinvio al D.M. 22 marzo 2007. Quest’ultimo, infatti, limita l’erogazione prioritaria dei rimborsi solamente a quei soggetti (i) che esercitano l’attività d’impresa da almeno tre anni e (ii) che hanno un’eccedenza detraibile richiesta a rimborso d’importo pari o superiore a 10.000,00 euro in caso di richiesta di rimborso annuale e a 3.000,00 euro in caso di richiesta di rimborso trimestrale e (iii) per i quali l’eccedenza detraibile richiesta a rimborso sia di importo pari o superiore al 10% dell’importo complessivo dell’imposta assolta sugli acquisti e sulle importazioni effettuati nell’anno o nel trimestre a cui si riferisce il rimborso richiesto. Come chiarito dalla recente circ. n. 15/E/2015, cit., «Le disposizioni contenute nel citato articolo 8 [del D.M. 23 gennaio 2015, n.d.r.] stabiliscono, dunque, che le operazioni da split payment danno diritto all’erogazione prioritaria solo nel caso in cui il presupposto del rimborso sia quello dell’“aliquota media”, e nel limite dell’ammontare dell’imposta applicata a tali operazioni nel periodo di riferimento. Diversamente dalle altre tipologie di rimborso prioritario, è dunque possibile che il rimborso da split payment, di cui al citato articolo 8, sia prioritario solo per una parte dell’importo, mentre la parte restante rimane soggetta all’esecuzione ordinaria».
(21) Cfr. art. 8, comma 2, del D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542.
(22) Si ricorda tuttavia che ai sensi del vigente art. 1 del D.M. 23 luglio 1975 il termine per l’effettuazione del rimborso è il 20 del secondo mese successivo al trimestre di riferimento. La norma, tra l’altro, mal si coordina con l’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972 (che prevede, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 13 del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, il termine di tre mesi dalla richiesta di rimborso), ma dovrebbe essere tuttora applicabile.
(23) Cfr. ris. 4 aprile 2006, n. 49/E, in Boll. Trib., 2006, 601; e circ. 13 febbraio 2006, n. 6/E, par. 12.4, ibidem, 307.
(24) Ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 (su base annuale), e dell’art. 8 del D.P.R. n. 542/1999 (su base trimestrale).
(25) La legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato.
(26) In numerose interpretazioni ufficiali, tra cui, da ultimo, circ. n. 6/E/2006, par. 12.4, cit.; e ris. n. 49/E/2006, cit.
(27) Per maggiori approfondimenti sul tema in commento si segnalano: circ. Assonime 28 aprile 2006, n. 15; P. Centore, Cessione estesa ai crediti IVA trimestrali, in Corr. trib., 2006, 2443; e Associazione dottori commercialisti di Milano, norma di comportamento n. 164, in Boll. Trib., 2007, 774. Anche la giurisprudenza civile di merito si è recentemente occupata della tematica in commento: cfr. Corte App. di Venezia, sez. III, 20 ottobre 2013, n. 2252, in Boll. Trib. On-line, che, conformandosi all’interpretazione della dottrina maggioritaria, ha riconosciuto l’efficacia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria della cessione dei crediti IVA trimestrali. La sentenza tiene conto del principio generale di matrice comunitaria per cui «il periodo fiscale può essere fissato dagli Stati membri in un mese, due mesi ovvero un trimestre … gli Stati membri possono fissare periodi diversi, comunque non superiori all’anno» (cfr. art. 22, par. 4, lett. a), della Direttiva del Consiglio 77/388/CEE) e ribadisce che l’attuale posizione dell’Amministrazione finanziaria «pretende, illegittimamente, ed attraverso un atto interpretativo (circolari), di trarre un divieto di cessione da norme che non lo prevedono, ma che, anzi, nel complesso dell’ordinamento tributario appaiono esegeticamente orientate in senso contrario, verso la cessione di ogni tipo di credito». A conclusioni simili era giunta anche Comm. trib. prov. di Perugia, sez. I, 27 novembre 2012, n. 188, in Boll. Trib. On-line (decisamente più sintetica di quella testé citata).
(28) In relazione alla quale, come correttamente indicato nella citata norma di comportamento n. 164 dell’Associazione italiana dottori commercialisti di Milano non sembrano sussistere limitazioni o divieti normativi sia a livello nazionale che a livello comunitario.
(29) Soprattutto perché, in assenza dei provvedimenti attuativi dell’art. 17-ter del D.P.R. n. 633/1972, si è riscontrato che diversi enti locali, nell’incertezza sulle modalità applicative del nuovo regime, avevano inizialmente bloccato il pagamento di qualsiasi corrispettivo nei confronti dei relativi fornitori (aggravando ulteriormente la posizione finanziaria di questi ultimi).
(30) Cfr. G. Falsitta – A. Fantozzi – G. Marongiu – F. Moschetti, Commentario breve alle Leggi Tributarie – Tomo IV: IVA e imposte sui trasferimenti, Padova, 2010, 102: «Tali vantaggi si giustificano sia da un punto di vista strutturale, che costituzionale, tenuto conto dell’esigenza di evitare una costante situazione creditoria dell’operatore economico nei confronti del Fisco italiano verso cui non potrebbe recuperare il suddetto credito in via di rivalsa, come, invece, fa normalmente in relazione alle operazioni imponibili».
(31) Cfr. ris. 28 febbraio 1991, n. 621202, in Boll. Trib., 1991, 708.
(32) Gran parte della dottrina concorda nel ritenere il regime del plafond una disposizione non agevolativa ma piuttosto come una «modalità per riportare ad equilibrio una il sistema applicativo IVA, nel rispetto del principio della neutralità del tributo, evitando i riflessi negativi sotto il profilo finanziario che deriverebbero ai contribuenti dalla loro (più o meno) costante posizione creditoria in conseguenza dell’attività esercitata “con l’estero”», così P. Centore, Codice IVA nazionale e comunitario commentato, Milano, 2010, 257.
(33) Cfr. art. 395, comma 1, della Direttiva 2006/112/CE: «Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro ad introdurre misure speciali di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali». In tal caso, infatti, lo split payment uscirebbe dall’attuale condizione di transitorietà divenendo una misura ordinaria per l’applicazione dell’IVA in Italia nelle operazioni effettuate a favore della pubblica Amministrazione. Cfr., in proposito, R. Rizzardi, Lo “split payment” nei rapporti con la pubblica amministrazione trova il regolamento, in Corr. trib., n. 9/2015.