PATENT BOX ALL’ITALIANA:
PRIME RIFLESSIONI, IN ATTESA DEL DECRETO ATTUATIVO*
SOMMARIO: 1. Premesse – 2. L’aspetto soggettivo: chi può usufruire del regime agevolato; 2.1 La titolarità di reddito d’impresa; 2.2 Prevale la qualificazione per presunzione o è necessaria un’analisi oggettiva? – 3. La natura dell’opzione – 4. La durata dell’opzione – 5. La sostanza dell’agevolazione: l’utilizzo indiretto e diretto; 5.1 L’aspetto oggettivo; 5.2 La limitazione proporzionale ex comma 42 dell’articolo unico della legge n. 190/2014; 5.3 L’utilizzo indiretto e diretto; 5.4 La detassazione “per esclusione” del 50%; 5.5 Le peculiarità dell’utilizzo diretto; il Ruling obbligatorio e quello facoltativo per i rapporti infragruppo –
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6. Le plusvalenze detassate ex comma 40 dell’articolo unico; 6.1 I presupposti di base; 6.2 Le conseguenze del mancato reinvestimento, sia pur in misura parziale; 6.3 La qualificazione della detassazione delle plusvalenze; 6.4 Il Ruling nella detassazione delle plusvalenze; 6.5 Il limite proporzionale ex comma 42 si applica anche alla detassazione delle plusvalenze?; 6.6 La detassazione delle plusvalenze è collegata ai presupposti di cui al comma 39 o solo al mero riferimento oggettivo degli intangibles ivi citati? – 7. La condizione subordinata dell’attività di ricerca e sviluppo – 8. L’ambito IRAP – 9. Il decreto di attuazione – 10. Norma transitoria e percentuali di detassazione – 11. Considerazioni finali.
1. Premesse
La Legge di Stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190, “Legge di Stabilità”) ha sdoganato in Italia, con ritardo rispetto ad altri Paesi, un regime fiscale agevolato nell’utilizzo diretto ed indiretto di taluni beni immateriali (“Patent box”).
La disciplina di tale agevolazione è contenuta nei commi da 37 a 45 dell’articolo unico (“Articolo unico”) della Legge di Stabilità.
Il comma 44 prevede la necessaria emanazione di un decreto di natura non regolamentare (“Decreto”), di attuazione della legge.
Il Patent box è stato modificato a tempo di record, per apporvi qualche miglioramento, con un decreto legge approvato nella seduta del Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2015 (1), con l’art. 5 del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 (di seguito “D.L. n. 3”), pubblicato sulla G.U. n. 19 del 24 gennaio 2015.
Detto D.L. n. 3 ha direttamente inciso sull’articolo unico; per tale motivo qui di seguito si commenta la normativa modificata dallo stesso D.L. n. 3, con tutte le incognite che possono derivare da un’eventuale mancata conversione o modifica in sede di conversione.
Lo scopo dichiarato dal legislatore, come si ricava dalle Relazioni illustrative (“Relazioni illustrative”) che hanno accompagnato il disegno di Legge di Stabilità, è allo stesso tempo difensivo, preventivo ed agevolativo:
– incentivare il “rimpatrio” di beni immateriali detenuti all’estero da imprese italiane, oltreché promuovere l’Italia come Paese conveniente fiscalmente per investitori esteri;
– disincentivare la “fuga” all’estero dei beni immateriali (2);
– “favorire l’investimento in attività di ricerca e sviluppo”.
2. L’aspetto soggettivo: chi può usufruire del regime agevolato
2.1 La titolarità di reddito d’impresa
Il comma 37 (3) dell’articolo unico della Legge di Stabilità comincia con l’inquadrare l’aspetto soggettivo, oltreché precisare taluni aspetti procedurali.
I soggetti che possono optare per il regime agevolato sono quelli titolari di reddito d’impresa. Conseguentemente, l’inquadramento soggettivo passa attraverso la qualificazione oggettiva dell’attività esercitata, anche se quest’ultima sussiste per presunzione assoluta per le società “commerciali”.
Quindi, sicuramente, vale per tutti i soggetti IRES residenti di cui alla lett. a) dell’art. 73 del TUIR (s.p.a., s.a.p.a., s.r.l., società cooperative), oltreché per gli “enti” commerciali residenti di cui alla lett. b) dello stesso articolo (c.d. “equiparati”).
Altrettanto dicasi per le società di persone commerciali (s.n.c. e s.a.s. e società equiparate).
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Per le s.n.c. e s.a.s vale infatti la presunzione ex terzo comma dell’art. 6 del TUIR, di produzione di reddito d’impresa.
Continuando l’analisi, viene da ritenere che anche le società tra professionisti (“STP”) ex art. 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (4), possano, in base alla normativa al momento vigente in materia di STP, usufruire della disciplina agevolativa sui beni immateriali.
Il requisito della titolarità di reddito d’impresa, che sicuramente si sposa con i soggetti prima rammentati, dovrebbe potersi riferire anche agli enti non commerciali residenti, per la parte della loro attività che può essere definita come “d’impresa”, anche se sarà opportuna, al proposito, una conferma o nel decreto di attuazione o, perlomeno, a livello di prassi amministrativa.
Ovvio il richiamo implicito al disposto dell’art. 55 (5) del TUIR, ove viene definito il “reddito d’impresa” e da cosa esso possa promanare.
Art. 55, che a sua volta rinvia all’art. 2195 c.c. (6).
Da ricordare che in base a quanto previsto dall’art. 55 del TUIR, le prestazioni di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c. producono redditi d’impresa solo se derivano dall’esercizio d’attività organizzate in forma d’impresa.
Dei soggetti non residenti, evidentemente per la parte della loro attività che produce reddito d’impresa commerciale in Italia, si occupa il successivo comma 38 (7), che li ammette all’agevolazione, subordinatamente alla “condizione di essere residenti in Paesi coi quali sia in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni sia effettivo”.
L’esigenza di tale condizione potrebbe sfuggire ad una prima superficiale lettura della legge, ma meglio si comprende quando si entra nel meccanismo di determinazione dell’importo agevolabile, come appresso si vedrà nel prosieguo, poiché si immagina che dovendo sussistere una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente, la corretta determinazione del reddito imponibile debba passare attraverso una corretta applicazione dei principi convenzionali.
Per completare il quadro soggettivo dovrebbe essere ammesso all’agevolazione anche l’imprenditore individuale, anche se in tale caso sembrerebbe stridere il riferimento ai “cinque esercizi sociali” di durata minima dell’opzione.
Letteralmente e sistematicamente dovrebbero essere ammesse all’agevolazione anche le società che diventano residenti per presunzione relativa ex comma 5-bis dell’art. 73 del TUIR, soggetti fra l’altro ammessi anche al regime di consolidato fiscale nazionale.
Conseguentemente, essendo definite residenti, sia pur per presunzione relativa, dette società non dovrebbero – in teoria – soggiacere alla condizione di applicabilità del Patent box ex comma 38, secondo cui deve sussistere – per le società non residenti – una vigente convenzione e un effettivo scambio di informazioni.
In teoria, dovrebbero pure essere ammesse al regime agevolato le società c.d. CFC white list, di cui al comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR: vale a dire queste ultime società ubicate in Paesi non black list, ma comunque a ridotta fiscalità che, fra l’altro, possano conseguire ingenti ricavi “dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica …”.
Contrariamente al caso che precede, in quest’ultimo dovrebbe essere richiesto il requisito dell’esistenza di una convenzione bilaterale e di un effettivo scambio di informazioni, poiché trattasi nella fattispecie di società la cui qualificazione rimane quella di “non residenti”.
In tema di CFC white list ex comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR, si apre a sua volta un altro tema da smarcare: quando si deve fare il confronto previsto dalla lett. a) di detto comma, per verificare se il livello di tassazione estero è – o meno – inferiore al 50% di quello che sarebbe stato applicabile in Italia, nel fare le stime di quest’ultimo, si può tenere conto del regime che sarebbe stato potenzialmente applicabile in Italia in base alla disciplina agevolata del Patent box?
Anche se per motivi equitativi si spera e si auspica che possa essere data risposta positiva, il timore è che sarà data risposta negativa, poiché in molti casi non si tratta di meccanismo di automatica applicazione.
2.2 Prevale la qualificazione per presunzione o è necessaria un’analisi oggettiva?
Il requisito di titolarità di reddito d’impresa suggerisce un tema che non dovrebbe creare criticità, ma che si sottopone all’attenzione, viste anche pregresse esperienze relative ad altri istituti.
Il tema è questo: per poter usufruire di detta agevolazione è “sufficiente” limitarsi al dettato normativo della qualificazione di reddito d’impresa e quindi, tanto per capirsi, le società di capitali e le società di persone commerciali, per presunzione assoluta, soddisfano tale requisito, oppure si rischia un disconoscimento, alla stregua della prassi restrittiva in materia di regime PEX, dove è richiesto l’“esercizio di impresa commerciale secondo la definizione di cui all’art. 55 (del TUIR)”? In tale ultimo caso, con una conseguente analisi interpretativa, teoricamente basata sulla presunta oggettività dell’attività esercitata e non aprioristicamente guidata dalla presunzione assoluta di commercialità che riguarda le c.d. “società commerciali”?
Basti ricordare la risoluzione 18 agosto 2009, n. 226/E (8), in tema di regime PEX, ove l’Agenzia delle entrate negò la sussistenza del requisito di “commercialità” a una società che gestiva un marchio, concedendolo ad altro soggetto in cambio di royalties.
La citata risoluzione, infatti, faceva discendere la necessità di considerazioni di fatto, sul requisito dell’attività svolta, dal presupposto che la norma di riferimento esclude esplicitamente le immobiliari di mero godimento, facendone conseguentemente derivare un’esclusione tout court, peraltro non supportata dal dettato normativo, delle società di mero godimento di beni.
A rigore, non vi dovrebbero comunque essere dubbi in merito, in ambito Patent box, per i soggetti che per presunzione e definizione qualificano il proprio reddito come “d’impresa”, ma si spera che ciò possa essere confermato.
3. La natura dell’opzione
Nel “possono optare” di cui al comma 37 dell’articolo unico, si legge chiaramente la natura facoltativa ed opzionale del regime agevolativo, anche se al momento, in assenza del Decreto e per come è scritta letteralmente la norma, sfugge quali potrebbero essere i motivi che possano – eventualmente – portare alla scelta di non utilizzare l’agevolazione.
In altre parole, quando si opta, ad esempio, per il regime di consolidato fiscale nazionale o per quello di trasparenza si sceglie un regime in alternativa ad un altro, quello di autonoma determinazione del quantum dovuto all’erario.
In altre situazioni, si può dover optare per qualcosa, o perché in contropartita si perde qualche altra possibilità alternativa o comunque perché c’è qualche scotto da dovere pagare.
Al momento, salve sorprese dell’emanando Decreto, non è facile comprendere perché in taluni casi potrebbe essere opportuno non optare per detta agevolazione.
A proposito di consolidato fiscale nazionale, l’art. 126 del TUIR, al suo primo comma, prevede un impedimento a partecipare a tale regime: l’eventuale fruizione “di riduzione dell’aliquota dell’imposta sui redditi delle società”.
La fruizione della norma agevolativa non si realizza, ad avviso di chi scrive, in tale fattispecie.
Opinare diversamente, assumendo che di fatto si avrebbe un’aliquota ridotta per effetto di una detassazione da esclusione, parrebbe una vera e propria forzatura interpretativa.
4. La durata dell’opzione
Il comma 37 dell’articolo unico prevede, una volta esercitata l’opzione, una durata quinquennale, o meglio di cinque esercizi sociali e la irrevocabilità (ovviamente per detto periodo) di tale scelta.
Anche per detti profili di durata ed irrevocabilità, allo stesso modo, valgono le considerazioni appena esposte, circa la necessità di capire quale sia il mezzo bicchiere vuoto dell’opzione: cosa si perde e quali siano le controindicazioni dell’opzione, per meglio comprendere il perché sia stata stabilita una durata minima.
Sarà opportuno definire se la durata quinquennale possa comprendere anche, in taluni casi, l’assimilazione di frazioni di periodi d’imposta agli “esercizi sociali”.
Il riferimento agli “esercizi sociali”, come detto, crea qualche forzatura linguistica per le imprese individuali, nel presupposto che tali ultimi soggetti siano ammessi all’agevolazione, come si ritiene.
Altro profilo che sarà assolutamente da definire è se l’esercizio dell’opzione, in caso di operazioni straordinarie, possa/debba seguire la soggettività di chi ha esercitato l’opzione o possa anche trasmigrare in altri soggetti.
Per esempio, se Alfa incorpora Beta, e Beta ha precedentemente esercitato l’opzione, cosa accade?
L’opzione precedentemente esercitata trasmigra nell’incorporante o viene azzerata e quindi è da riproporre per un nuovo quinquennio? Allo stesso modo, dovrà essere chiarito cosa accade nei casi di trasferimento d’azienda.
5. La sostanza dell’agevolazione: l’utilizzo indiretto e diretto
Il cuore del regime agevolativo si compendia nel comma 39 (9) dell’articolo unico, che disciplina le sorti fiscali dei redditi derivanti dall’utilizzo diretto o indiretto di taluni beni immateriali.
5.1 L’aspetto oggettivo
In primo luogo, sotto il profilo meramente oggettivo, per beni immateriali oggetto di agevolazione la norma indica: le opere dell’ingegno, i brevetti industriali, i marchi d’impresa, i disegni e modelli, i processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.
Le Relazioni illustrative precisano come non sia necessaria la registrazione del bene immateriale, quanto invece si debba necessariamente trattare di beni per cui le leggi vigenti prevedono “potenzialmente” (necessariamente?) la protezione.
A seguito dell’approvazione da parte del D.L. n. 3 sono stati modificati i commi 39 e 44 dell’articolo unico della Legge di Stabilità, con la soppressione delle parole “funzionalmente equivalenti ai brevetti” relativamente al comma 39 e con la soppressione delle parole “di individuare le tipologie di marchi escluse dall’ambito di applicazione del comma 39”, rimuovendo, così almeno parrebbe, la limitazione che vedeva i marchi d’impresa agevolati solo se funzionalmente equivalenti ai brevetti, ed estendendola pertanto a tutti i marchi, inclusi quelli commerciali.
Una volta definito l’aspetto oggettivo, la legge prevede che il reddito che deriva dall’utilizzo diretto o indiretto di detti beni, con le modalità appresso spiegate, può essere oggetto di detassazione.
5.2 La limitazione proporzionale ex comma 42 dell’articolo unico della legge n. 190/2014
La norma agevolativa va letta in collegamento con la limitazione disposta dal comma 42 (10) dell’articolo unico, che prevede che la quota di reddito agevolabile sia determinata sulla base e quindi entro il limite dato da un rapporto proporzionale, dove:
a) al numeratore sono evidenziati i costi di attività di ricerca e sviluppo, rilevanti fiscalmente, sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del “bene immateriale”;
b) al denominatore i costi complessivi, rilevanti fiscalmente, sostenuti per produrre tale bene.
Con l’emanazione del D.L. n. 3 è stato aggiunto il comma 42-bis che così recita:
“L’ammontare di cui alla lettera a) del comma 42 è aumentato di un importo corrispondente ai costi sostenuti per l’acquisizione del bene immateriale o per contratti di ricerca, relativi allo stesso bene, stipulati con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa fino a concorrenza del trenta per cento del medesimo ammontare di cui alla predetta lettera a).”;
Il comma 42-bis, introdotto col D.L. n. 3, prevede che i costi per acquisti di beni immateriali e contratti di ricerca infragruppo si possono aggiungere al numeratore (ai costi di attività di ricerca e sviluppo, rilevanti fiscalmente, sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del “bene immateriale”) solo nei limiti del 30% degli stessi costi di attività di ricerca e sviluppo, rilevanti fiscalmente, sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del “bene immateriale”.
Nella sua circolare del 24 dicembre 2014, a commento della Legge di Stabilità, Confindustria ricorda che il comma 42 ha lo scopo dichiarato nelle Relazioni illustrative di “ancorare l’agevolazione al sostenimento delle spese e allo svolgimento di una attività effettiva in Italia”.
Quindi: cosa va incluso, di fatto, al numeratore e cosa al denominatore?
Aiuta, nell’interpretazione, considerare la ratio della norma. Dalle Relazioni illustrative al Disegno di Legge di Stabilità emerge che il legislatore vuole premiare l’attività volta all’accrescimento del valore dei beni immateriali agevolabili.
Il rapporto, allora, vuole estrapolare quella parte di reddito riferibile alla marginalità inerente detto accrescimento di valore, “ripulendolo” parzialmente di quanto vada a remunerare il costo sostenuto per il mero acquisto da terzi del medesimo bene.
Così ragionando, tenuto conto del prima rammentato comma 42-bis, fatto 100 il costo di acquisto di un bene immateriale e 20 il costo per lo sviluppo del medesimo, la proporzione coerente con l’intento del legislatore dovrebbe portare al rapporto di 26/120 (11).
Spingendoci all’“anno x+1” in cui, si suppone, sarà sostenuto “un altro” 20 di costo di sviluppo, il rapporto quale sarà? Al denominatore, una volta appurato che devono essere considerati sia i costi d’acquisto che quelli di sviluppo, non si porrebbero dubbi in merito all’incremento dell’ulteriore 20, posto che letteralmente la norma si riferisce ai costi “complessivamente” sostenuti.
La marginalità compresa nel reddito è riferita anche al costo 20 dell’anno precedente se detto costo ha un’utilità pluriennale e continua a creare marginalità, come normalmente è nel caso di sviluppo di un bene immateriale. Si propende, pertanto, più per l’ipotesi del rapporto pari a 52/140 (al numeratore non si aggiungerebbe solo l’importo di 20, bensì anche un ulteriore 30% dello stesso importo di 20); diversamente, si avrebbe un effetto distorsivo, estrapolando un quantum “monco” della parte riferibile ad un’entità (che il legislatore vuole premiare, poiché è costo di sviluppo) che continua a produrre marginalità.
Un ulteriore approfondimento deve riguardare la decorrenza dell’agevolazione.
In questo caso, tenuto conto che, come poi si vedrà, l’agevolazione decorre dal 2015, per i soggetti che hanno esercizio coincidente con l’anno solare, si ritiene che l’agevolazione possa essere applicata anche con riferimento a costi di ricerca e sviluppo “iniziali” sostenuti precedentemente. Se così fosse, la sommatoria dei costi da includere al numeratore e al denominatore del rapporto percentuale disposto dal comma 42 potrebbe dovere legittimamente comprendere anche costi risalenti nel tempo.
5.3 L’utilizzo indiretto e diretto
Per chiara e logica contrapposizione al caso dell’utilizzo diretto, esplicitamente trattato nel secondo periodo del comma 39, l’utilizzo indiretto dei beni immateriali sopra rammentati può, una volta esercitata l’opzione, comportare il non concorso alla formazione del reddito complessivo, “in quanto esclusi”, dei relativi redditi.
Evidentemente, la norma si riferisce ai canoni che si conseguono per la concessione a terzi dei beni immateriali. Nel caso di utilizzo indiretto del bene immateriale cosa s’intende per “reddito” agevolato, ovviamente da sottoporre al limite proporzionale ex comma 42?
I canoni sono da intendersi al lordo o al netto dei costi riferibili a canoni stessi?
Per interpretazione di Confindustria, nella citata circolare del 24 dicembre 2014, a commento della Legge di Stabilità, la fattispecie di utilizzo indiretto di un intangible ricorre quando il bene immateriale è concesso in uso a terzi: in questi casi, il reddito da considerare è costituito dalle royalties determinate su base contrattuale come corrispettivo per la concessione in uso degli specifici beni.
Trattandosi di detassazione di quote di reddito e non di ricavi, viene da ritenere che l’importo base da detassare sia quello che deriva da un calcolo che tenga conto dell’ammortamento e delle spese di manutenzione del bene immateriale, ma si fa veramente fatica a comprendere perché nel caso dell’utilizzo diretto (vedi appresso) si è ritenuto necessario prevedere un Ruling obbligatorio per la stima del differenziale, mentre nel caso dell’utilizzo indiretto questa necessità non sia stata sentita (12).
Inoltre, se s’intende “quote di reddito” al netto dei costi, perché mai si dovrebbero scomputare solo i presunti costi diretti e non anche una quota degli indiretti?
5.4 La detassazione “per esclusione” del 50%
Una volta determinata correttamente la quota di reddito agevolabile, in base al rapporto proporzionale ex comma 42, questa è detassata, in quanto “esclusa”, per il 50% del suo ammontare (13). Ciò che pare consentire eventualmente anche il conseguimento di una perdita o anche di una maggiore perdita fiscale.
Nei primi commenti che si sono letti, non v’è traccia, per ora, dell’importanza lessicale della qualificazione data al reddito oggetto di agevolazione: si parla di redditi esclusi, specificatamente, e non di redditi esenti.
Ciò è di fondamentale importanza, perché se fosse stata attribuita la qualificazione di esenzione si sarebbero avute delle ricadute negative che qui di seguito sono sinteticamente rammentate, così come se non fosse stata precisata la qualificazione del “non concorso”, si sarebbero avute delle possibili diverse interpretazioni, con quel che ne sarebbe conseguito.
Per esempio, per quanto attiene la deducibilità degli interessi passivi in ambito IRPEF (14), vige una limitazione che equipara, ai fini del calcolo della percentuale di deducibilità, i proventi che concorrono alla formazione del reddito e quelli che non concorrono, in quanto esclusi. Lo stesso non vale per i proventi qualificati come esenti, che peggiorano il rapporto percentuale di deducibilità.
In ambito IRES, invece, problemi definitori potevano sussistere solo fino all’esercizio 2007 (15), quando ancora vigeva la precedente formulazione dell’art. 96 del TUIR, che dopo l’applicazione del c.d. pro-rata (art. 97, abrogato) e italian thin cap rule (art. 98, abrogato), prevedeva che gli interessi passivi potessero essere dedotti nei limiti del rapporto proporzionale fra “… ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”.
In tema d’inerenza, l’art. 109, quinto comma, del TUIR, equipara i redditi “esclusi” a quelli che concorrono alla formazione del reddito, ai fini della determinazione dell’ammontare delle spese indeducibili per difetto d’inerenza. Lo stesso dicasi per la deducibilità delle spese generali, disciplinata nello stesso comma.
Anche in tema di riporto delle perdite vi sono delle conseguenze perniciose che derivano dal conseguimento di proventi esenti, quali non sono, per espresso disposto di legge, i proventi detassati “per esclusione” in base alla normativa in commento.
5.5 Le peculiarità dell’utilizzo diretto; il Ruling obbligatorio e quello facoltativo per i rapporti infragruppo
Tornando al cuore dell’agevolazione, come precisato precedentemente, i proventi derivanti dall’utilizzo indiretto dei beni immateriali (percezione di canoni), sia pur col già esaminato limite proporzionale disposto dal comma 42 dell’articolo unico, sono detassati in quanto esclusi.
Per ovvi motivi, le cose si complicano in caso di utilizzo diretto dei beni immateriali, e quindi nel caso che gli stessi siano utilizzati direttamente nell’attività produttiva e commerciale. Ciò perché la componente di reddito (16) “presunta” deve prima derivare dalla determinazione di una quota di margine civilistico ed aziendale, necessariamente stimato, tenuto conto, come dice il comma 39 dell’articolo unico, “del contributo economico di tali beni alla produzione del reddito complessivo”, e necessariamente sulla base di un previo esperimento di procedura di “Ruling internazionale” ex art. 8 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), che porti al raggiungimento di un (previo) “accordo” con l’Amministrazione finanziaria (17).
Tale procedura di Ruling fu introdotta nel 2003 per evitare l’eventuale insorgenza di controversie in materia di prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi, delle royalties, della sussistenza di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato.
Oggetto del Ruling è, per espresso disposto di legge, “la determinazione, in via preventiva e in contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, dell’ammontare dei componenti positivi di reddito impliciti e dei criteri per l’individuazione dei componenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi”.
L’art. 8 del D.L. n. 269/2003 prevede che l’accordo vincoli “per il periodo d’imposta nel corso del quale è stipulato e per i quattro periodi d’imposta successivi”.
Ciò però pone due problemi:
i) a logica, la domanda dovrebbe essere presentata non prima del 31 dicembre e quindi a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo (18) a quello di riferimento, perché solo da tale data si possono conoscere i costi sostenuti nell’anno precedente.
Dovrà essere chiarito che il Ruling non vale per il periodo d’imposta nel corso del quale è stipulato, che invece necessariamente sarebbe l’anno successivo a quello per il quale si vuol far valere l’agevolazione; ciò, a meno che il Ruling non sia previsto e pattuito su basi numeriche previsionali;
ii) come si sposa la valenza quinquennale del Ruling con la necessaria mutevolezza, anno per anno, dei dati di riferimento?
In presenza di rapporti infragruppo (19), la procedura di Ruling è facoltativa nel caso di utilizzo indiretto, mentre nella prima versione della norma (Legge di Stabilità) era previsto un obbligo.
Sarà importante capire come le esigenze aziendali possano conciliarsi coi tempi del Ruling.
Parimenti, quando è presupposto l’esperimento di una procedura che necessariamente porti al raggiungimento di un accordo, sovvengono i soliti temi collegati a ruling e ad interpelli.
Cosa accade in caso di mancato raggiungimento di un accordo, se le posizioni rimangono distanti ed incolmabili? In questo scenario le cose sarebbero molto complicate, perché i temi usuali di impugnabilità – o meno – del diniego di interpello disapplicativo sarebbero ulteriormente aggravati dalla indeterminatezza del “quantum”.
Per capirsi, se ci si vede negato l’accoglimento di un interpello disapplicativo (20) della normativa sulle società di comodo, il contribuente sa che ha la scelta fra l’applicare detta normativa, tassando il reddito minimo presunto, oppure correre il rischio di giocarsi in sede contenziosa o l’impugnativa del mancato accoglimento oppure, ancora, l’impugnativa dell’accertamento che dovesse contestare il mancato adeguamento al reddito minimo.
In questo caso, però, i parametri da confrontare sui due piatti della bilancia sono conosciuti.
Nel caso del Patent box, un mancato accordo col fisco, seguito dalla mancata acquiescenza del contribuente a tale situazione negativa, porterebbe, ove il contribuente “decidesse” di volerne comunque usufruire, ad un’indeterminatezza in sede di contenzioso, anche perché le Commissioni tributarie si farebbero carico, nella migliore delle ipotesi interpretative per lo stesso contribuente, di una verifica di congruità dell’importo portato a detassazione, veramente difficile, se non impossibile.
6. Le plusvalenze detassate ex comma 40 dell’articolo unico
6.1 I presupposti di base
Il comma 40 (21) si occupa del regime fiscale delle eventuali plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni di cui al comma 39 (quelli sopra rammentati).
La norma prevede la detassazione, il non concorso alla formazione del reddito complessivo, “in quanto escluse”, delle plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immateriali di cui al comma 39, a condizione che “almeno il 90 per cento del corrispettivo derivante dalla cessione dei predetti beni sia reinvestito, prima della chiusura del secondo periodo d’imposta successivo a quello nel quale si è verificata la cessione, nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni di cui al comma 39”.
Ciò che, anche in questo caso, dovrebbe potere portare anche alla determinazione di una perdita o anche di una maggiore perdita fiscale.
È di tutta evidenza che la condizione del reinvestimento è molto stringente, poiché obbliga a reinvestire il 90% del corrispettivo lordo di una cessione che potrebbe aver generato una plusvalenza notevolmente inferiore.
6.2 Le conseguenze del mancato reinvestimento, sia pur in misura parziale
In caso di reinvestimento inferiore rispetto al limite minimo previsto dalla legge, nei termini prefissati, non è al momento chiaro cosa possa accadere, ovverosia se viene meno tutta l’agevolazione tenuta in sospeso, oppure se in caso di reinvestimento parziale sia consentito riproporzionare il diritto.
Per come si esprime letteralmente la legge, il convincimento di chi scrive è che in caso di mancato reinvestimento nei termini, per l’importo minimo del 90% del corrispettivo, l’intera agevolazione sospesa debba venire meno.
Si spera che il Decreto possa invece esprimersi nel segno di una equitativa proporzionalità.
Altra cosa fondamentale: cosa accade in caso di mancato reinvestimento?
Si ha una variazione in aumento pari all’importo detassato, e in quale periodo d’imposta?
In quello per il quale si usufruì dell’agevolazione? E se sì, con sola maggiorazione di interessi, una sorta di riliquidazione, oppure addirittura con sanzioni?
Oppure in quello in cui si verifica l’evento definitivo del mancato reinvestimento?
Si ritiene che la norma possa essere interpretata in analogia con quanto accadeva con la risalente norma che consentiva la sospensione della tassazione delle plusvalenze da reinvestire, pur se in quel caso si trattava di reinvestimento di plusvalenze, mentre in questo di reinvestimento del 90% del corrispettivo.
Tale norma prevedeva però esplicitamente che: “L’ammontare non reinvestito entro il secondo periodo d’imposta concorrerà a formare il reddito del periodo stesso”.
Si dovrebbe giungere ad analoga conclusione, anche se non sarebbe stato male che la legge lo avesse precisato, perché andare a stabilire una questione di tale portata in un Decreto, sia pur di questa autorevolezza, pare non proprio opportuno, per le conseguenze che ne possono derivare.
Basti pensare alle diverse ricadute che si hanno, in caso di rettifica ex post del “risultato” fiscale dell’esercizio di riferimento oppure in quello di mancato reinvestimento, ove in uno dei due esercizi si abbia una perdita fiscale.
6.3 La qualificazione della detassazione delle plusvalenze
Pure per tale agevolazione il legislatore ha inteso precisare la natura della detassazione (“in quanto escluse”), ciò che dovrebbe portare alle stesse conclusioni di cui sopra in termini di deducibilità degli interessi passivi, etc.
Anche se … anche se … questa volta nelle Relazioni illustrative si fa forse un po’ più di confusione terminologica, poiché dopo aver parlato di “esclusione”, si parla impropriamente di “esenzione”. Ma probabilmente si tratta di una contraddizione non voluta.
6.4 Il Ruling nella detassazione delle plusvalenze
Nell’ultima parte di detto comma 40 è precisato che “Si applicano le disposizioni relative al ruling previste dal terzo periodo del comma 39”.
Questo potrebbe volere significare:
i) o che la procedura di Ruling è prevista comunque, come obbligatoria, sia che si venda a soggetti appartenenti allo stesso gruppo societario, sia a soggetti a tutti gli effetti “terzi”, ove si intenda come Ruling quello previsto per l’utilizzo diretto dei beni immateriali ex comma 39;
ii) oppure che essa sia solo facoltativa, e comunque da proporre solo nel caso che la cessione avvenga infragruppo.
Si dovrebbe tranquillamente propendere per questa seconda ipotesi, come peraltro pare confermato dalle Relazioni illustrative, le quali, in caso di plusvalenza emergente da cessione di intangibles, prevedono che la procedura di Ruling da attivare sia quella prevista in caso di operazioni infragruppo e quindi con interpello facoltativo, anche perché la natura del Ruling, nel caso di specie, sarebbe quella propria della verifica del transfer price, anche se interno al territorio dello Stato, e nel caso delle plusvalenze non ci sarebbe alcuna verifica congiunta in contraddittorio da fare, per determinare “il quantum” da detassare.
Va però sottolineato che l’ultima parte del comma 40 richiama il “terzo periodo del comma 39”, che è quello che tratta del Ruling obbligatorio relativo all’utilizzo diretto degli intangibles e non a quello facoltativo delle operazioni infragruppo.
6.5 Il limite proporzionale ex comma 42 si applica anche alla detassazione delle plusvalenze?
A proposito dell’agevolazione prevista dal comma 40 (plusvalenze), sorge il dubbio se la limitazione “proporzionale” di cui al comma 42 (“… rapporto fra i costi di attività … e i costi complessivi … sostenuti per produrre tale bene.”), prima trattata, si debba applicare anche alla detassazione delle plusvalenze.
Questo perché il comma 42, che detta limitazione proporzionale propone, esordisce indicando che la limitazione debba applicarsi alla “quota di reddito agevolabile”, non ponendo però alcuno specifico esclusivo richiamo alla sola detassazione ex comma 39 (vale a dire quella “ordinaria”, quinquennale sul reddito derivante dall’utilizzo diretto o indiretto).
Pur ciò considerato, si ritiene che la limitazione proporzionale di deduzione ex comma 42 non si debba applicare anche alla detassazione delle plusvalenze, poiché la plusvalenza è per definizione al netto del valore fiscalmente riconosciuto del bene immateriale, comprensivo del costo d’acquisto, né si può riferire la plusvalenza all’originario costo d’acquisto, poiché implica, per sua stessa natura, un miglioramento del bene e quindi un accrescimento del valore.
6.6 La detassazione delle plusvalenze è collegata ai presupposti di cui al comma 39 o solo al mero riferimento oggettivo degli intangibles ivi citati?
Una questione molto importante consiste nell’appurare se il regime agevolativo sulle plusvalenze sia soggettivamente applicabile solo ai soggetti che abbiano esercitato l’opzione di cui al comma 39, ed oggettivamente relativo a beni immateriali che abbiano usufruito della detassazione a regime quinquennale.
Tutto verte sul richiamo contenuto nel comma 40 al comma 39: “Non concorrono a formare il reddito complessivo … le plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni di cui al comma 39 …”.
Con questo richiamo, la disposizione sulle plusvalenze si riferisce solo oggettivamente alla descrizione dei beni immateriali evidenziati al comma 39, oppure con tale richiamo si è voluto intendere che la detassazione delle plusvalenze può aversi solo con riferimento ai beni immateriali che precedentemente abbiano usufruito della detassazione dei redditi “quinquennale”, con un’opzione esercitata?
Leggendo il comma 40 (plusvalenze) come norma “a sé”, parrebbe di potere propendere per la prima interpretazione, ma qualche dubbio, che si spera sarà fugato col Decreto o perlomeno in via interpretativa dall’Agenzia delle entrate, sorge quando si legge il successivo comma 41, appresso commentato, quando lo stesso recita: “Le disposizioni dei commi da 37 a 40 [n.b., comprese entrambe le agevolazioni] si applicano a condizione che i soggetti che esercitano l’opzione di cui al comma 37 svolgano le attività di ricerca e sviluppo, etc.”.
La risposta dovrebbe quindi essere nel senso più restrittivo, anche perché lo stesso comma 37 chiarisce che l’opzione vale per l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 38 a 45 (compresi quindi il 39 ed il 40).
Il che dovrebbe confermare che la detassazione delle plusvalenze può aversi solo con riferimento a beni immateriali che abbiano goduto del regime di detassazione, che presuppone l’avvenuto valido esercizio dell’opzione.
Ex adverso, la stringente condizione del reinvestimento in “manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali di cui al comma 39” indica che l’intento del legislatore è quello di premiare chi reinveste in ricerca e sviluppo e non certo chi solo fa compravendita di beni immateriali e la limitazione prevista dalla legge pertanto potrebbe consistere anche solo in questo.
Trattasi comunque di un punto importante da definire.
7. La condizione subordinata dell’attività di ricerca e sviluppo
Il comma 41 (22) dell’articolo unico pone una condizione, non determinata quantitativamente, per la fruizione delle agevolazioni disciplinate dai commi da 37 a 40, quindi riferita sia alla detassazione a regime quinquennale che alla detassazione delle plusvalenze.
Tale condizione consiste, come in parte anticipato nella parte che precede, nello svolgimento di attività di ricerca e sviluppo, “anche mediante contratti di ricerca stipulati con società diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, ovvero con università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzate alla produzione dei beni di cui al comma 39”.
Data la particella aggiuntiva “anche”, si pensa che sia necessario quanto sufficiente che si faccia ricerca e sviluppo, ma non necessariamente “mediante contratti … con università …” e quindi anche in proprio.
Come detto, la norma non pone soglie minime quantitative, diventando quindi una sorta di enunciazione di principio, dagli effetti sostanziali poco apprezzabili, se non messa in collegamento con il comma 42, recante il limite proporzionale.
8. L’ambito IRAP
Il laconico comma 43 (23) attribuisce all’opzione di cui al comma 37 rilevanza anche ai fini IRAP.
Formulazione strana, poiché non pone una correlazione fra gli importi detassati ai fini delle imposte dirette con quelli da detassare ai fini IRAP, ma semplicemente, in maniera un po’ criptica, pone una correlazione fra un esercizio di opzione ex comma 37 e la determinazione del valore della produzione netta di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
9. Il decreto di attuazione
Come anticipato nelle premesse, il comma 44 (24) prevede l’emanazione di un Decreto, col quale saranno adottate le disposizioni attuative dei commi da 37 a 43.
10. Norma transitoria e percentuali di detassazione
Il comma 45 (25) dell’articolo unico, che conclude la parte della Legge di Stabilità che si occupa del Patent box, detta la vigenza delle novelle agevolazioni, facendole decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014.
Per i soggetti che hanno periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, dal 2015.
In ultimo, ribadita la qualificazione di esclusione dal concorso alla formazione del reddito complessivo, la legge gradua la percentuale di detassazione ex comma 39, per i primi due esercizi, rispettivamente al 30 ed al 40 per cento, per poi arrivare a regime (si spera) finalmente al 50 per cento, come ordinariamente previsto dalla norma.
11. Considerazioni finali
Un giudizio più meditato sulla potenziale efficacia della disciplina agevolativa lo si potrà dare una volta conosciuto il testo del Decreto, anche se è lecita una qualche perplessità, per un vario ordine di motivi.
La necessità di ricorrere al Ruling per l’utilizzo diretto comporta tempi, costi ed incertezze che poco si coniugano con le esigenze aziendali.
Inoltre, la mutevolezza del nostro sistema legislativo si ritiene potrà ben difficilmente stimolare imprese estere a vedere l’Italia come una sorta di Lussemburgo.
Basti pensare ai problemi da subito sorti in materia di regime PEX, quando molto prematuramente tale regime fu accolto, in termini di competitività fiscale, come la risposta italiana al regime delle holding estere. In seguito, i problemi interpretativi sul necessario esercizio dell’attività commerciale, oltre ad altri aspetti, hanno portato a raffreddare gli entusiasmi.
Per quanto attiene la finalità, fra le altre, di disincentivare la delocalizzazione di comodo di beni immateriali all’estero, non bisogna dimenticare che già esistono gli strumenti previsti legislativamente dall’art. 167 del TUIR, vale a dire le controlled foreign companies ubicate in Paesi non white list, oltreché le c.d. CFC “white list”, ex comma 8-bis dello stesso art. 167, norma quest’ultima che riconduce a tassazione nel territorio dello Stato le società con tassazione ridotta ed aventi come oggetto – anche – la “cessione o … concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale …”.
Senza poi dimenticare le azioni accertative che portano a ricondurre a tassazione nel territorio dello Stato le società non residenti, per effetto di restrittive interpretazioni dell’art. 73 del TUIR (c.d. esterovestizione).
Dott. Emilio Abruzzese
* Il presente articolo è tratto dalla relazione svolta dall’Autore nell’ambito del convegno “Agevolazioni fiscali alle imprese” tenuto a Bologna il 2 febbraio 2015, organizzato Commissione di studio “Imposte dirette” dell’ODCEC di Bologna. Il presente elaborato è frutto del lavoro e dell’interpretazione del Dott. Emilio Abruzzese e non impegna in alcun modo il pensiero e l’orientamento dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bologna. Allo stesso modo, non costituisce parere professionale.
(1) C.d. “Investment compact”.
(2) Anche se la disincentivazione è pesantemente attuata dalla legge e dall’Amministrazione finanziaria con il regime previsto per le c.d. CFC white listex art. 167, comma 8-bis, del TUIR, e nei casi di asserita esterovestizione (vedi appresso).
(3) 37. “I soggetti titolari di reddito d’impresa possono optare per l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 38 a 45. L’opzione ha durata per cinque esercizi sociali ed è irrevocabile”.
(4) Società, le STP che, al momento, non possono che produrre reddito qualificabile come d’impresa, se trattasi di società di capitali o di società di persone commerciali, anche se più volte è stata annunciata una specifica norma, che potrebbe qualificare il reddito come di lavoro autonomo, ciò che ad avviso di chi scrive sarebbe un’aberrazione.
(5) “1. Sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lett. b) e c) del comma 2 dell’art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d’impresa. 2. Sono inoltre considerati redditi d’impresa: a) i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c.; b) i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne; c) i redditi dei terreni, per la parte derivante dall’esercizio delle attività agricole di cui all’art. 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa. 3. Le disposizioni in materia di imposte sui redditi che fanno riferimento alle attività commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate nel presente articolo”.
(6) “[1] Sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: 1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; 4) un’attività bancaria o assicurativa; 5) altre attività ausiliarie delle precedenti. [2] Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano”.
(7) 38.“I soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, possono esercitare l’opzione di cui al comma 37 del presente articolo a condizione di essere residenti in Paesi con i quali sia in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni sia effettivo”.
(8) In Boll. Trib. On-line.
(9) 39. “I redditi dei soggetti indicati al comma 37 derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, da brevetti industriali, da marchi d’impresa, da disegni e modelli, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili, non concorrono a formare il reddito complessivo in quanto esclusi per il 50 per cento del relativo ammontare. In caso di utilizzo diretto dei beni indicati, il contributo economico di tali beni alla produzione del reddito complessivo beneficia dell’esclusione di cui al presente comma a condizione che lo stesso sia determinato sulla base di un apposito accordo conforme a quanto previsto dall’articolo 8 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni. In tali ipotesi la procedura di ruling ha ad oggetto la determinazione, in via preventiva e in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, dell’ammontare dei componenti positivi di reddito impliciti e dei criteri per l’individuazione dei componenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi. Nel caso in cui i redditi siano realizzati nell’ambito di operazioni intercorse con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, gli stessi possono essere determinati sulla base di un apposito accordo conforme a quanto previsto dall’articolo 8 del decreto-legge n. 269 del 2003, e successive modificazioni”.
(10) 42. “La quota di reddito agevolabile è determinata sulla base del rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo, rilevanti ai fini fiscali, sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale di cui al comma 39 e i costi complessivi, rilevanti ai fini fiscali, sostenuti per produrre tale bene”.
(11) (20+6)/120; 6 deriva dal limite massimo del 30% da applicare a 20, quale massima quota parte di 100, che si può aggiungere al numeratore.
(12) Come a dire che le uniche difficoltà possano derivare dall’individuazione delle componenti attive e non di quelle passive.
(13) Il comma 45, recante la disciplina transitoria, riduce rispettivamente detta percentuale, per i primi due esercizi di applicazione dell’agevolazione, al 30 e al 40 per cento.
(14) Art. 61 del TUIR.
(15) Per i soggetti aventi periodo d’imposta coincidente con l’anno solare.
(16) Che è termine collegato a questioni meramente fiscali.
(17) In attuazione di detto art. 8 fu emanato il Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate in data 23 luglio 2004.
(18) Per semplicità, si fa sempre coincidere nel testo il periodo d’imposta con l’anno solare.
(19) Il quarto periodo del comma 39 dell’articolo unico così recita: “Nel caso in cui i redditi siano realizzati nell’ambito di operazioni intercorse con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, gli stessi possono essere determinati sulla base di un apposito accordo conforme a quanto previsto dall’articolo 8 del decreto-legge n. 269 del 2003, e successive modificazioni”.
(20) Quale questo non è …..
(21) 40. “Non concorrono a formare il reddito complessivo in quanto escluse dalla formazione del reddito le plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni di cui al comma 39, a condizione che almeno il 90 per cento del corrispettivo derivante dalla cessione dei predetti beni sia reinvestito, prima della chiusura del secondo periodo di imposta successivo a quello nel quale si è verificata la cessione, nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali di cui al comma 39. Si applicano le disposizioni relative al ruling previste dal terzo periodo del comma 39”.
(22) 41. “Le disposizioni dei commi da 37 a 40 si applicano a condizione che i soggetti che esercitano l’opzione di cui al comma 37 svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con società diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, ovvero con università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzate alla produzione dei beni di cui al comma 39”.
(23) 43. “L’esercizio dell’opzione di cui al comma 37 rileva anche ai fini della determinazione del valore della produzione netta di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446”.
(24) 44. “Con decreto di natura non regolamentare del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sono adottate le disposizioni attuative dei commi da 37 a 43, anche al fine di definire gli elementi del rapporto di cui al comma 42”.
(25) 45. “Le disposizioni di cui ai commi da 37 a 44 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. Per tale periodo d’imposta e per quello successivo, la percentuale di esclusione dal concorso alla formazione del reddito complessivo di cui al comma 39 è fissata, rispettivamente, in misura pari al 30 e al 40 per cento”.
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