9 Dicembre, 2015

 

 

 

La circolare n. 9/E del 5 marzo 2015 (1) ha risolto in senso molto positivo un problema di doppia imposizione “proibitiva” per gli utili da partecipazioni non qualificate in società di persone estere percepiti da soci persone fisiche residenti in Italia. Come dimostrano i vari esempi esposti in un nostro precedente intervento (2), aggiornati con l’aliquota del 26 per cento si arrivava con la tesi prevalente tranquillamente a una imposizione di oltre il 70 per cento (se all’estero la tassazione progressiva è superiore al 45 per cento), creando quindi una situazione di discriminazione intollerabile fra investimenti in una società di persone italiana e una società di persone estera.

Come è noto, la tesi finora prevalente, confortata anche da una presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria di parecchi anni fa, può essere riassunta come segue:

partendo dalla qualifica delle società di persone estere quali soggetti passivi IRES e dalla conseguente qualifica dei relativi redditi quali utili derivanti dalla partecipazione a soggetti IRES:

 • si applica a questi ultimi (sulla base, quindi, di una finzione giuridica) la disciplina fiscale dei dividenti e,

 • si considera accreditabile all’imposta italiana calcolata su tale dividendo (però con alcune rilevanti eccezioni) l’imposta estera che il socio residente ha pagato sulla quota di utile a lui imputata dalla società di persone non residente;

mentre per gli utili da una partecipazione qualificata in una società di persone estera la tassazione secondo tale tesi non comportava particolari problemi, per gli utili da partecipazioni non qualificate produceva degli effetti paradossali di doppia imposizione (anche superiore al 70 per cento dell’utile), perché per effetto dell’imposta sostitutiva (da ultimo del 26 per cento), sull’utile distribuito al lordo dell’imposta del socio, l’imposta estera del socio non era accreditabile (ai sensi dell’art. 165 del TUIR, perché il reddito non concorreva a formare il reddito complessivo) né deducibile ai sensi dell’art. 27, comma 4-bis (netto frontiera) perché gli utili distribuiti da una società di persone estera non sono soggetti ad una ritenuta alla fonte. Per esempio, con una quota di utile civilistico di 100, sulla quale il socio ha pagato all’estero un’imposta del 50 per cento, il socio che si faceva distribuire tutta la quota per poter pagare le imposte all’estero rischiava, con quella interpretazione, di pagare oltre a 50 di imposte all’estero ancora 26 (26 per cento su 100) in Italia, quindi con una carico fiscale del 76 per cento [mentre partecipando in una società di persone italiana avrebbe pagato al massimo l’aliquota più alta (43 per cento) dell’IRPEF].

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Le conseguenze di questa tesi erano così assurde perché essa non era coerente con il sistema di tassazione dei dividendi. Il regime fiscale dei dividendi parte dal presupposto che il dividendo provenga da un utile che ha già scontato l’imposta a livello della società estera. Cioè, affinché si possa applicare all’utile il regime dei dividendi occorre che si tratti di una grandezza di utile già al netto delle imposte (mentre gli utili distribuiti da una società di persone trasparente sono al lordo delle imposte – tranne qualche imposta locale). Quindi per raggiungere questo scopo bisognava aggiungere alla finzione della legge circa la natura del reddito (dividendo) un’altra finzione cioè quella che l’utile distribuito abbia scontato un’imposta. Più precisamente bisogna fingere che l’imposta pagata dal socio sia un’imposta pagata dalla società. Questo è esattamente il ragionamento della citata circolare n. 9/E/2015 che afferma al punto 5.1 (Utili distribuiti da entità estere trasparenti):

«Tuttavia, occorre considerare che il regime fiscale dei dividendi, ordinariamente, presuppone che i medesimi siano costituiti da utili che hanno già subito un’imposizione in capo alla società estera che li ha realizzati e che, pertanto, rappresentano una grandezza netta (vale a dire, al netto delle imposte pagate all’estero).

Al contrario, gli utili distribuiti da entità estere trasparenti costituiscono una grandezza lorda, perché, in questo caso, il soggetto che distribuisce non ha pagato alcuna imposta sull’utile prodotto, in quanto tale utile è tassato direttamente in capo al socio.

Posto che nel nostro ordinamento gli utili derivanti dalla partecipazioni in enti esteri opachi e trasparenti sono entrambi qualificati come dividendi, la diversa quantificazione dei medesimi rischia di penalizzare la seconda tipologia di partecipazioni.

Per questo motivo, coerentemente con il disposto dell’articolo 73, comma 1, lettera d) del TUIR, che stabilisce, ai fini del trattamento fiscale interno, una finzione di “opacità” per le entità estere trasparenti, si ritiene che gli utili che queste ultime distribuiscono ai soci residenti debbano essere quantificati con modalità analoghe a quelle dei dividendi distribuiti da una società estera “realmente” opaca.

Conseguentemente, per effetto della predetta finzione di opacità, le imposte estere pagate dal socio residente sulla quota di utili a lui spettanti sono considerate come imposte pagate dalla società e saranno scomputate, ai fini della tassazione in Italia, dall’ammontare lordo al medesimo distribuito. Tale scomputo comporta che il dividendo tassato in Italia in capo al socio di un’entità estera trasparente sia costituito, al pari dei dividendi derivanti da partecipazioni in entità opache, da una grandezza netta, che tiene conto delle imposte pagate all’estero sugli utili oggetto di distribuzione».

Non è che con questa circolare adesso l’intero regime sia chiaro; il principio è però importante e le questioni tecniche che possono nascere devono essere risolte sulla base della stessa finzione di equiparazione ad una vera società di capitale. In altre parole, questo approccio comporta che:

a) la grandezza di partenza è l’utile civilistico e la quota di spettanza al socio;

b) le imposte estere pagate dal socio sulla quota di utile ad esso spettante sono considerate come imposte pagate dalla società, ottenendo così una situazione di una vera società di capitali estera;

c) conseguentemente, tali imposte vengono portate in detrazione per competenza dall’utile lordo di spettanza del socio (a prescindere, quindi dal momento di pagamento);

d) la parte imponibile come dividendo rappresenta quindi una grandezza netta, cioè al netto dell’imposta pagata all’estero dal socio, ma per finzione pagata dalla società;

e) su tale grandezza netta (se distribuita) si applica poi in Italia il regime fiscale dei dividendi a pieno titolo.

Ciò comporta ovviamente che l’imposta estera non può più formare – come nell’ambito della tesi prevalente finora applicata per le partecipazioni qualificate – oggetto di credito d’imposta perché l’imposta italiana verrà applicata su una base imponibile che è già stata decurtata dall’imposta estera pagata dal socio (però considerata un’imposta della società).

Le principali conseguenze logiche della finzione giuridica applicata in misura piena ed integrale (cioè società di persone uguale a società di capitale) comportano anche che le distribuzioni di utili fatte dalla società al socio fino a concorrenza dell’ammontare delle imposte estere considerate deducibili dalla sua quota di utile non costituiscono utili di partecipazioni. Detto altrimenti, tali importi nella società di capitale non potrebbero essere distribuiti; essi non hanno alcuna rilevanza reddituale per il socio perché costituiscono accantonamenti virtuali per imposte dovute dalla società ai fini della determinazione dell’utile netto d’esercizio. Solo se la distribuzione di utili supera l’importo delle imposte l’eccedenza costituisce utile da partecipazioni tassabile in Italia.

Ovviamente, tale nuovo approccio richiede la preparazione di una documentazione extra contabile per poter seguire le vicende dell’utile al lordo e al netto delle imposte estere (perché la società estera stessa non effettua alcun accantonamento per imposte); inoltre, il documento extra-contabile deve tener conto delle imposte anche per quella parte della quota di utile che è stata destinata a riserva o a capitale o comunque non destinata a distribuzione.

Con questa nuova ed importante interpretazione si risolve anche la questione, irrisolta con l’altra tesi, delle imposte pagate dal socio per effetto di accertamenti sugli anni passati: come per le società di capitali, anche queste imposte – nell’ambito della finzione – riducono la quota di utili del socio (anche se non hanno inciso sul conto economico della società).

 

Siegfried Mayr

 

(1) In Boll. Trib., 2015, 366.

(2) Ci riferiamo a S. Mayr, Brevi note sulla tassazione in Italia degli utili di partecipazione in società di persone estere, in Boll. Trib., 2012, 1443.