La legge 15 dicembre 2014, n. 186, si è limitata ad innestare nella normativa in vigore, specificamente nel D.L. 28 giugno 1990, n. 167 sul monitoraggio fiscale (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227), gli artt. 5-quater, quinquies, sexties e septies, di efficacia circoscritta nel tempo, che si limitano a dettare le regole procedimentali della voluntary disclosure (1) e nulla dicono in merito al trattamento delle multiformi situazioni sottostanti, alle quali dovrebbero essere applicate.
La normativa, integrata finora dalla circolare dell’Agenzia delle entrate 13 marzo 2015, n. 10/E(2), è ancora in corso di chiarimento e sperabilmente di completamento, anche per un miglior coordinamento fra norme ordinarie e norme speciali, che fissi qualche criterio di riferimento, necessario per affrontare una miriade di fattispecie concrete complesse, tutte diverse.
La richiesta di voluntary disclosure è in buona sostanza una dichiarazione di redditi non dichiarati negli anni di competenza, conformata in analogia con la dichiarazione annuale, con applicazione delle imposte relative, più la sanzione, ridotta, per l’omessa dichiarazione.
Trattandosi quindi di una dichiarazione, ancorché tardiva, dovrebbe essere ammessa la contestuale deducibilità di imposte pagate all’estero inerenti a quei redditi e di perdite, ad esempio, da rimborso alla pari di un titolo acquistato sopra la pari.
Inoltre alcuni titoli di Stato e obbligazioni italiane sono stati sottoposti da banche di Monaco a imposta cedolare secca con l’aliquota in vigore, per cui deve essere espressamente esclusa la tassabilità del bis in idem.
Si tratta di veri e proprie vuoti normativi che devono essere colmati dalla legge, ad esempio di proroga del termine del 30 settembre 2015, certamente necessaria, anche perché è in gestazione almeno un’altra circolare, che si annuncia lunga.
Indubbiamente, fra i fattori contrastanti che possono indurre il contribuente a presentare la richiesta di voluntary disclosure vi è anche la chiarezza del quadro normativo nel senso che l’incertezza e le incognite sulla conclusione della procedura sono assai più distorsive delle decisioni della certezza di costi anche elevati.
La procedura di VD non ha quindi modificato in nulla l’ordinamento tributario, comprese le circolari ampiamente richiamate dalla circolare n. 10/E/2015, e si risolve in un’autodenuncia, con la quale il contribuente richiede un invito al contraddittorio con previa liquidazione da parte dell’Agenzia delle entrate delle imposte tabellari e relative sanzioni dovute per le pregresse violazioni in materia di monitoraggio fiscale e di dichiarazione dei redditi, con una riduzione delle sole sanzioni, che decadrà parzialmente in caso di mancato pagamento preventivo e incondizionato a ricezione dell’invito stesso.
In estrema sintesi, la VD si risolve nello scambio fra riduzione di talune sanzioni tributarie e non punibilità di taluni reati e l’assolvimento delle condizioni poste dalla legge n. 186/2014.
Sottolineo talune sanzioni e taluni reati, perché altre violazioni fiscali e penali non sono attualmente comprese nella sopra citata legge; di conseguenza la VD apre la strada ad accertamenti di ulteriori violazioni fiscali con sanzioni piene e a procedimenti penali per altri reati, punto quest’ultimo sul quale si è in attesa che si perfezioni una soluzione legislativa.
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Anche se è evidente l’intento dell’Amministrazione finanziaria di allargare il più possibile la platea dei richiedenti, le condizioni per l’esito positivo della procedura sono stringenti e rigide:
– una condizione negativa, cioè che il contribuente o un soggetto coobbligato o concorrente nel reato, non abbia ricevuto per i medesimi periodi di imposta e per le violazioni dei medesimi obblighi notifiche o comunque comunicazioni formali di attività di accertamento amministrativo, ad esempio un processo verbale della Guardia di finanza, e di procedimenti penali per reati fiscali rientranti nella richiesta di accesso alla procedura. Corollari: un processo verbale per evasione di IVA nei confronti di una s.n.c. non preclude la VD di uno dei soci in proprio per l’apertura non dichiarata negli stessi anni di un conto corrente personale all’estero; un accertamento IRPEF in corso per l’anno 2012 non è preclusivo della VD per l’anno 2010; un procedimento definito non è in ogni caso preclusivo, anzi l’Agenzia vede con favore la definizione delle procedure pendenti come apripista di VD per altre violazioni dello stesso tributo e per lo stesso anno. Da queste precisazioni in materia di imposte e di periodi l’inammissibilità della VD risulta pertanto attenuata;
– le condizioni positive sono:
a) l’autodenuncia deve essere necessariamente integrata da documentazione e relazione illustrativa, chiare, complete e verificabili, non soltanto della consistenza di tutti i beni e le attività finanziarie detenute all’estero, anche in Paesi diversi, del denaro utilizzato per la loro costituzione, per verificare se trattasi di redditi non dichiarati, e dei relativi redditi periodici o derivanti da loro scadenza o vendita in violazione del monitoraggio e del TUIR, ma anche della loro eventuale successiva destinazione per accertare se si configuri riciclaggio o autoriciclaggio o corresponsione di compensi in nero, nonché delle violazioni compiute in Italia in materia di imposte dirette e indirette, connesse con gli investimenti all’estero (VD mista) e delle violazioni nelle stesse materie e in quelle previdenziali, che nulla hanno a che vedere con investimenti all’estero (VD esclusivamente nazionale); in sintesi, l’autodenuncia deve comprendere qualsivoglia violazione fiscale e previdenziale compiuta dal richiedente negli anni accertabili sia in Italia che all’estero;
b) il richiedente deve indicare tutti i soggetti a qualunque titolo connessi (cointestatari, soggetti interposti reali, titolari fittizi, titolari effettivi, procuratori);
c) il contribuente deve conformarsi all’esito della procedura, effettuando l’integrale pagamento di tutte le imposte accertate e delle conseguenti sanzioni entro il termine tassativo stabilito;
d) il contribuente deve effettuare il rimpatrio fisico o almeno giuridico (mediante waiver dell’intermediario estero o intervento di una società fiduciaria, anche senza intestazione dei beni e dei rapporti) dei beni e delle attività oggetto della procedura, in modo da garantire all’Amministrazione finanziaria la sottoposizione a tassazione del futuro reddito.
In merito al rimpatrio giuridico la legge n. 186/2014 dispone anche del futuro, in quanto condiziona l’ottenimento della riduzione delle sanzioni fiscali al rilascio da parte del contribuente all’intermediario estero, presso il quale il contribuente decida di lasciare o trasferire le proprie attività finanziarie, di un c.d. waiver, autorizzazione accettata dall’intermediario a trasmettere alle autorità fiscali italiane i dati concernenti le attività oggetto della procedura o in alternativa il contratto con la società fiduciaria. Tale documento dovrà essere rinnovato in caso di trasferimento delle attività ad altro intermediario estero;
e) la conclusione del procedimento anche con il pagamento integrale delle somme risultanti dall’invito al contraddittorio o dall’accertamento con adesione è considerato accertamento parziale, che lascia aperta la possibilità di ulteriori avvisi di accertamento per altre violazioni della stessa natura e nei medesimi anni oggetto della voluntary disclosure, che dovessero emergere successivamente.
Di fatto la volontarietà dello scambio da parte del contribuente è fortemente condizionata dalla decisione assunta da alcune banche straniere di bloccare l’operatività dei conti e la disposizione dei beni e delle cassette di sicurezza.
Inoltre la richiesta di ammissione alla procedura di VD di uno dei soggetti connessi pone gli altri cointeressati a vario titolo nei medesimi beni e attività, che ne vengano tempestivamente a conoscenza, nella situazione di fatto di dovere anch’essi adire la procedura nei termini.
Sulla completezza delle informazioni fornite attendo di conoscere l’orientamento dei penalisti, in quanto la legge (art. 5-septies) sanziona penalmente i dati o documenti falsi e dati e notizie non rispondenti al vero, non le notizie incomplete e le omissioni, ancorché dolose, ad esempio dell’esistenza di un soggetto connesso, in ipotesi il titolare effettivo, in relazione all’art. 12 delle preleggi sul significato proprio delle parole e al principio penalistico che esclude l’analogia e l’interpretazione estensiva (art. 14 delle preleggi).
Tratterò dei soggetti persone fisiche, fra i quali i professionisti, che non sono imprenditori per giurisprudenza consolidata, società semplici e soggetti equiparati, enti non commerciali.
La procedura di voluntary disclosure internazionale dovrebbe essere attivata, uso volutamente una formula dubitativa, dai soggetti all’epoca residenti in Italia, che hanno costituito o detenuto all’estero, anche per pochi giorni, attività finanziarie e patrimoniali (art. 5-quater) in uno o più anni ancora accertabili, tenuto conto dell’eventuale raddoppio dei termini.
Notoriamente la residenza fiscale prescinde dalla nazionalità e non fa riferimento alla residenza anagrafica o comunque dichiarata, anche mediante l’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), ma alla residenza di fatto, al centro dei propri rapporti e affetti, anche per coloro che per professione – artisti, sportivi – o per libera scelta girovagano tutto l’anno, in ogni caso coloro che risiedono in Italia per più di 183 giorni l’anno.
Per giurisprudenza consolidata la residenza in Italia di un coniuge attrae quella dell’altro.
In caso di residenza effettiva all’estero iniziata o cessata nel corso degli anni accertabili naturalmente la procedura dovrà essere attivata soltanto per gli anni di residenza in Italia.
Ovviamente rientra fra coloro che dovrebbero adire la procedura anche il soggetto che da decenni ha all’estero denaro custodito in cassetta di sicurezza o depositato in conto corrente o investito in una c.d. polizza assicurativa decennale, senza avere mai effettuato per anni alcuna operazione.
Per le cassette di sicurezza si dovrà provare il loro contenuto (ad esempio, con un verbale di apertura), l’anno dell’immissione dei beni (ad esempio, mediante scheda delle aperture) oppure dell’acquisto (ad esempio, fattura di acquisto di un gioiello).
Per il trust occorre distinguere fra quello anglosassone, nel quale il disponente si spoglia definitivamente dei beni, della loro gestione e della loro destinazione finale, che vengono affidate ad un trustee, professionista abilitato, che decide autonomamente, e il trust all’italiana, nel quale in vario modo, anche indiretto, il disponente conserva uno o più di tali poteri.
In quest’ultimo caso il disponente, se residente in Italia, dovrebbe adire la procedura, in quanto il trust è considerato soggetto fittiziamente interposto, mentre nel primo caso il trust, se non residente, non è soggetto all’imposizione italiana.
Nel caso in cui il soggetto residente, che ha detenuto attività all’estero, da solo o in connessione con altri, sia deceduto in uno degli anni accertabili, dovrà essere esperita una procedura in nome del defunto indicando gli eventuali soggetti a lui connessi per tutti gli anni di esistenza dei beni e/o delle attività compreso quello di morte con conseguente pagamento delle imposte, la cui debenza si trasmette agli eredi, senza sanzioni, che per regola generale non si trasmettono, e dovranno essere presentate più richieste autonome per tutti gli anni accertabili, compresa la frazione dell’anno di morte, dall’esecutore testamentario, dal curatore dell’eredità giacente, da ciascun erede per la propria quota di eredità indivisa, che quindi dovrà essere divisa idealmente in base alle regole della successione legittima e/o delle disposizioni testamentarie del de cuius, oppure, nel caso in cui la divisione sia avvenuta, naturalmente per i beni e attività che ciascun erede ha ricevuto in eredità; gli stessi criteri si applicano in caso di donazione avvenuta in uno degli anni accertabili.
In caso di disaccordo fra gli eredi, che possono essere anche molto lontani fra loro in tutti i sensi (si pensi al caso di colui che ha lasciato la quota legittima di eredità a moglie e/o figli e la quota disponibile ad altra persona o a un ente) e aver dato luogo a giudizi di divisione o cause successorie tuttora in corso fra eredi, si dovrà applicare il criterio di presunzione di uguaglianza delle quote.
L’Amministrazione finanziaria è ferma nel ritenere che qualora coesistano uno o più titolari del conto corrente e uno o più procuratori, che hanno/hanno avuto la disponibilità a vario titolo del bene o dell’attività, tutti debbono presentare una propria, autonoma richiesta di voluntary disclosure, indicando tutti gli altri come soggetti connessi, anche se uno di questi dichiara nella propria richiesta di essere l’unico proprietario e/o titolare dei beni e attività dichiarate.
Salvo il caso che qualche soggetto dichiari anche altri rapporti, che fanno capo soltanto a lui, le istanze dei soggetti connessi costituiranno quindi una duplicazione, che potrebbe essere anche identità, se tutti i soggetti connessi concordassero il contenuto della richiesta, della documentazione e della relazione.
Imposte e sanzioni liquidate dall’Agenzia sono dovute per l’intero, ma ciascun dichiarante connesso dovrebbe indicare la propria quota, fornendo la relativa prova verificabile, aprendo una contestazione su due fronti: l’Agenzia e i dichiaranti connessi.
Prova improba, specie in conti correnti con una pluralità di movimenti in dare e avere di più cointestatari.
In difetto di prova documentale o quanto meno di accordo fra le parti fatto proprio dall’Agenzia ricorre la presunzione di uguaglianza delle quote di partecipazione al rapporto.
Rimane da valutare se prevalga la presunzione ex lege dell’uguaglianza delle quote o la presunzione de facto nella cointestazione di un rapporto fra una persona notoriamente ricca e l’amante nullatenente, nel qual caso si potrebbe raffigurare anche una liberalità indiretta.
Secondo la citata circolare n. 10/E/2015 la presunzione di quote uguali dei soggetti connessi non comporta la suddivisione del capitale fra i contitolari ai fini di verificare se ciascuna quota rientra nella soglia dei 2 milioni di euro, che consente l’opzione per l’accertamento forfettario del reddito, ma sembra che questa posizione sia in evoluzione verso una più coerente applicazione della regola di presunzione di parti uguali, nel senso di facoltà di esercizio dell’opzione nel caso di due cointestatari di un conto con saldo medio di 3,5 milioni di euro.
Indipendentemente dal numero di istanze presentate dai contribuenti connessi per gli stessi beni o attività la questione sostanziale investe l’accertamento e il conseguente pagamento e potrebbe essere risolta rovesciandone pragmaticamente i termini, cioè non discutendo se il procuratore, che non ha effettuato alcuna operazione, sia soggetto alle imposte e alle relative sanzioni, ma se uno o più di coloro che hanno avuto la disponibilità del rapporto ha provveduto al versamento integrale ai sensi dell’art. 5-quater, lett. b), del D.L. n. 167/1990, di imposte e sanzioni all’esito dell’invito al contraddittorio o dell’accertamento con adesione, con ciò estinguendo ogni pretesa del fisco per quello specifico oggetto nei confronti dei soggetti connessi, anche se non hanno presentato la richiesta di VD o se è stata considerata inammissibile o se non è stata adempiuta.
In altre parole non ritengo che l’Agenzia avrebbe titolo per pretendere dal cointestatario, che non ha presentato la VD, la differenza fra sanzione piena che sarebbe stata da lui dovuta e sanzione ridotta pagata per lo stesso oggetto da colui che ha presentato la VD ed estinto la pretesa erariale, in quanto la VD è pur sempre volontaria e non può ritenersi dovuta una sanzione per differenza per la mancata richiesta della procedura.
La norma prevede che l’Amministrazione centrale riceva tutte le richieste di VD e le inoltri immediatamente, dandone comunicazione all’interessato, all’Agenzia competente per ciascuna di esse, alla quale il richiedente dovrà inviare direttamente la relazione e la documentazione relative; l’Agenzia competente per ciascun soggetto emetterà un invito al contraddittorio per gli anni e i tributi oggetto della VD.
La moltiplicazione delle richieste di VD e delle Agenzie competenti per il medesimo oggetto crea problemi rilevanti.
Le divergenze di interpretazione e di applicazione della norma sono fisiologiche, come insegnano innumerevoli sentenze della Corte di Cassazione.
Le divergenze sulla valutazione del fatto (nel quale rientrano anche la relazione e la documentazione) sono addirittura in re ipsa.
I motivi delle difformità di valutazione sono noti e ovvi e non sto a enumerarli.
L’Amministrazione deve farsi carico della soluzione del problema dell’uniformità di valutazioni non scaricandone le conseguenze sui richiedenti.
Sempre l’Amministrazione finanziaria ritiene di avere adeguatamente preparato la sua struttura regionale, provinciale e territoriale in modo da ottenere comportamenti omogenei.
A parte i dubbi sulla premessa, ho già detto che la difformità dei giudizi è insita nella natura umana.
L’unico modo di evitare le difformità può essere soltanto l’affidamento ad una stessa persona (neanche al medesimo Ufficio) di tutte le richieste che hanno il medesimo oggetto.
Razionalmente, tutte le VD che hanno il medesimo oggetto dovrebbero essere trattate congiuntamente per evitare esiti difformi nel merito.
Questo risultato si potrebbe ottenere agevolmente attribuendo a un’Agenzia l’esame dell’istanza e la decisione sul merito di essa da trasmettere a ciascuna Agenzia coinvolta per la sua liquidazione e per l’emissione dell’avviso nei confronti del soggetto connesso di sua competenza.
Qualora i più soggetti connessi abbiano residenze diverse le istanze dovrebbero essere riunite secondo criteri oggettivi, predeterminati e pubblici, per l’attribuzione ad una delle Agenzie coinvolte.
La presentazione di una distinta istanza, richiesta a tutti i soggetti estensivamente connessi, apre un’altra questione spinosa.
Fra i soggetti, titolari effettivi e interposti, contitolari, procuratori con diversi poteri, coeredi accade, anche per contrasti familiari e parafamiliari, che vi sia totale disaccordo sulla presentazione dell’istanza o quanto meno sul suo contenuto, con gravi conseguenze non evitabili.
Quelli fra essi che intendono adempiere completamente e correttamente la procedura devono, oltre a indicare i nomi degli altri, con relativo codice fiscale, fornire la documentazione sulla propria posizione, che comprenderà anche documenti e notizie riferiti alla posizione degli altri, la cui connessione potrebbe essere più apparente o millantata che sostanziale, ma il cui coinvolgimento potrebbe avere conseguenze ben al di là della richiesta di VD de qua, ad esempio, indurre l’Agenzia delle entrate a richiedere ai sensi degli accordi internazionali informazioni nominative sul soggetto terzo, che verrebbe coinvolto per rapporti del tutto estranei a quello oggetto della VD.
Si dice correntemente che si tratta di una delazione, che costituisce un mezzo per indurre di fatto tutti i soggetti connessi a presentare la VD, ma che può provocare gravi conseguenze a carico degli altri soggetti, che non hanno instato per la VD, al limite ignorando che uno di coloro che avevano a vario titolo la disponibilità del bene e/o dell’attività ha presentato la richiesta.
Quindi sarebbe opportuno un obbligo per legge di ciascun richiedente di comunicazione tempestiva agli altri almeno della richiesta, se non del suo contenuto.
L’istanza di VD è irretrattabile ed è soltanto integrabile entro i trenta giorni successivi e comunque, per ora, entro il 30 settembre 2015, nel senso che in mancanza di tempestiva ottemperanza ai pagamenti degli importi liquidati dall’Ufficio, questi emetterà un nuovo avviso di accertamento con le sanzioni ordinarie ed effettuerà la segnalazione alla Procura della Repubblica di eventuali ipotesi di reato.
La relazione fra il soggetto dichiarante e l’oggetto della dichiarazione ruota intorno ai termini “detengono” e “disponibilità”, ripetutamente usati erroneamente come sinonimi dalla legge n. 186/2014, come già dal D.L. n. 167/1990, e successivamente dalla circolare n. 10/E/2015.
Detengono non significa proprietà del bene o titolarità del rapporto né significa che il soggetto ne abbia in fatto disposto; significa propriamente che il soggetto detiene per conto di altri.
Detenere è una relazione statica, che si esaurisce nella responsabilità da custodia, che si distingue da possesso e a fortiori da proprietà, e quindi la mera detenzione non è propriamente riferibile al proprietario o al possessore di un bene e al titolare di un diritto.
Invece disponibilità significa possibilità, anche non concretizzata, di atti di disposizione, cioè di trasferimento della proprietà, del possesso e per estensione del diritto di credito.
Invero, sarebbe opportuno che la legge non facesse generico riferimento ad “attività finanziarie e patrimoniali”, ma a beni e a rapporti giuridici patrimoniali, distinguendo fra beni individuati (imbarcazioni, auto, immobili, quadri, gioielli) e beni fungibili depositati presso banche o altri terzi (denaro, titoli di Stato, obbligazioni, strumenti finanziari per quote, titoli dematerializzati in genere, certificati di deposito di oro), per i quali il depositario è debitore della restituzione di cose della stessa specie e qualità (deposito irregolare, art. 1782 c.c.).
Pur con queste precisazioni circa l’assoluto atecnicismo delle parole usate dalle norme, che in tesi potrebbe portare anche alla loro disapplicazione, mi sono attenuto ad esse e quindi ho utilizzato attività, detengono e disponibilità.
Le fattispecie concrete sono varie: in larga prevalenza i rapporti cliente/banca sono contratti, dal conto corrente al pronti contro termine, ai derivati, al deposito di prodotti finanziari, di valori mobiliari e di strumenti finanziari in genere, cioè sono rapporti di credito, nei quali devono essere inquadrate le situazioni giuridiche del titolare del rapporto, degli eventuali contitolari e dei procuratori.
I prodotti finanziari sono indicati nell’art. 1, lett. u), del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (c.d. TUF), i valori mobiliari sono indicati ivi all’art. 1-bis e gli strumenti finanziari ivi all’art. 2.
Le c.d. polizze assicurative sono qualificate “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione” dall’art. 1, lett. w-bis), del TUF, avendo un minimo e marginale contenuto demografico, per cui prevale la natura e la qualificazione di contratto finanziario (contratto misto).
La valorizzazione delle attività sarà effettuata secondo le regole per la compilazione del quadro RW in vigore al 31 dicembre di ciascun anno.
Nel caso di conto corrente con firma congiunta, sul quale nessun correntista ha la possibilità di operare individualmente, quindi a rigore nessuno ha la disponibilità del rapporto, fattispecie che può verificarsi sia nel caso di soci di società di persone, sia di coniugi, sia di genitore/figlio, si dovrebbe ritenere nello spirito estensivo assai labile della legge che i cointestatari, anche se non possono disporre individualmente, detengono congiuntamente e sono obbligati ciascuno a effettuare la VD.
Nel caso di conto corrente cointestato con firma individuale, ciascun cointestatario secondo la legge avrebbe la disponibilità del rapporto e quindi ciascuno dovrebbe presentare una propria istanza.
Secondo la norma rientra nella “disponibilità” il soggetto che, pur non essendo titolare del rapporto o proprietario del bene, ne aveva la disponibilità giuridica e di fatto, in forza di procura, ancorché non l’abbia esercitata mai o soltanto in alcuni anni; ne consegue la presentazione della VD per tutti gli anni di procura.
Egli è responsabile per la mancata dichiarazione ai fini del monitoraggio, mentre i (con)titolari sono responsabili sia per il mancato monitoraggio sia per la mancata dichiarazione del reddito.
Personalmente ritengo poco convincenti le distinzioni fra potere di operare sul rapporto (operazioni di investimento e disinvestimento del denaro esistente in conto corrente) e potere di versare e/o prelevare denaro sul conto, in quanto tutti rientrano nel pur non appropriato termine di “disponibilità”, anche nel caso di acquisto di titoli e quindi di conversione del credito in denaro verso la banca in credito alla consegna di titoli.
Comunque, la prova negativa di non avere operato sul conto potrebbe essere data unicamente producendo tutti gli ordini impartiti alla banca, naturalmente tutti privi della firma del procuratore de quo.
Per il conto corrente dovranno essere documentati non soltanto i movimenti interni al rapporto: acquisto/vendita di strumenti finanziari e loro rimborso, accredito cedole e riparti, per accertare i redditi conseguiti, ma anche i movimenti verso l’esterno: versamenti e prelevamenti/disposizioni, per verificare se hanno contribuito a costituire ulteriori attività all’estero o comunque costituiscano riciclaggio o autoriciclaggio.
L’Amministrazione finanziaria appare naturalmente più attenta agli acquisti di beni e ai versamenti in conto corrente (rigo V15), che potrebbero sottendere la destinazione di redditi occultati in Italia, rispetto ai prelevamenti e alle alienazioni.
La più volte citata circolare n. 10/E/2015 richiede la giustificazione di ogni nuovo apporto al patrimonio detenuto all’estero, quindi anche di modestissima entità, in quanto la sua provenienza da reddito sottratto a tassazione è presunta per principio generale, con un anodino cenno alla facoltà della stessa Amministrazione di applicare la presunzione «nei casi in cui si configuri in maniera evidente l’impossibilità per il contribuente di dar conto adeguatamente dell’elemento aggiuntivo», oltretutto affiancato a un caso in cui la presunzione di reddito è certamente operante: quello di mancata attivazione o di mancato perfezionamento della VD.
Sarebbe altamente opportuna la fissazione per legge di limiti di importo in relazione a un determinato periodo temporale per i quali non si richiede la prova della provenienza dei versamenti e della destinazione dei prelevamenti, oltretutto risalenti ad alcuni anni fa.
La VD deve essere esperita per tutti gli anni accertabili, nei quali sono state commesse violazioni.
Ancora nell’intento di dissipare incognite e facilitare l’iter della VD, sarebbe opportuno che il legislatore prendesse posizione sul caso, in cui un determinato importo sia stato versato su un conto estero e contemporaneamente, con sostanziale coincidenza temporale, sia stato prelevato dal conto del coniuge o del genitore presso una banca italiana, avendo quindi scontato l’imposizione sul reddito eventualmente dovuta.
Se il conto è stato estinto in uno degli anni accertabili si devono regolarizzare tutti gli anni precedenti compreso quello di estinzione e documentare la destinazione del saldo di chiusura.
Ovviamente, se il saldo è stato trasferito su altro conto in un Paese black list o black list con accordo si dovrà regolarizzare anche il nuovo conto, con sovrapposizione degli anni di accertamento.
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L’obbligo di completezza dell’unica richiesta di VD che un soggetto può presentare si concretizza nell’obbligo di dichiarazione delle violazioni nazionali connesse con quelle estere, per gli stessi periodi di imposta, ad esempio, fatture false fra soggetti residenti, con successivo trasferimento dei proventi all’estero.
La procedura può essere utilizzata anche da soggetti di qualunque natura giuridica, che non avevano alcun obbligo relativo a beni e attività all’estero o comunque non l’hanno violato, per redditi conseguiti e non dichiarati in Italia e non trasferiti all’estero, che non hanno collegamenti con investimenti e attività all’estero e non hanno quindi violato gli obblighi di monitoraggio – quadro RW, c.d. voluntary nazionale.
La procedura di collaborazione volontaria nazionale è stata ampliata sia sotto il profilo soggettivo anche ai non residenti in Italia, sia sotto il profilo oggettivo.
L’alternativa forfettaria sul reddito non si applica alla VD nazionale.
La VD internazionale attrae la VD nazionale soltanto per i medesimi anni, ma resta VD internazionale.
Accertamenti in corso tributari e penali per VD internazionale non impediscono VD nazionale e viceversa.
Se il contribuente ha commesso violazioni estere per alcuni anni e violazioni nazionali per altri anni potrà avvalersi delle due procedure, che rimangono distinte, ma in un’unica richiesta.
Si può regolarizzare denaro contante posseduto in Italia di provenienza estera, nel qual caso dovranno essere fornite informazioni chiare, complete e verificabili sulla provenienza e quindi dovrà essere regolarizzato anche il rapporto di provenienza, qualora ne ricorrano i presupposti.
Per la caratteristica fungibilità del denaro è praticamente impossibile provare che un certo pacchetto di denaro contante è quello originato da una certa operazione e di conseguenza il momento dell’acquisizione, tanto più se il contribuente sostiene che essa è avvenuta in più anni, alcuni dei quali non accertabili, a majori se il contribuente provasse di aver utilizzato parte della liquidità acquisita in anni diversi, alcuni non accertabili, per fare eseguire lavori in nero in anni accertabili.
Anche in questo caso la fissazione di limiti di importo e di periodo di tempo alla correlazione fra l’operazione di provenienza e l’operazione dichiarata costituirebbe una semplificazione del lavoro degli operatori e attenuerebbe le incertezze e le perplessità dei richiedenti potenziali, anche in merito alla documentazione e alle informazioni da fornire.
Avv. Eduardo Spano
(1) Cfr. sull’argomento A. Weisz, Voluntary disclosure: i periodi di imposta oggetto della procedura, in Boll. Trib., 2015, 569; F. Ciani, Evasione da voluntary disclosure: avvisi “metaliquidatori”, avvisi integrativi e responsabilità ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 (autoriciclaggio), ibidem, 410; U. Perrucci, La voluntary disclosure, ibidem, 335; F. Ciani, Analisi comparativa tra la voluntary disclosure e il ravvedimento rinforzato ovvero ultratardivo, ibidem, 185; ID., Autoriciclaggio, esclusioni e dualità nella nuova voluntary disclosure, ivi, 2014, 1606; ID., Nuova voluntary disclosure. Reati fiscali ed extrafiscali, ibidem, 1365; ID., La multilateralità (ignorata) nella voluntary disclosure. Valutazione di sintesi dei costi/benefici fiscali ed extrafiscali nell’iniziativa volontaria, ibidem, 884; U. Perrucci, Voluntary disclosure ovvero una collaborazione volontaria di dubbia convenienza, ibidem, 826; F. Ciani, Voluntary disclosure: prime riflessioni (amare), ibidem, 333; M. Longobardi, L’introduzione della voluntary disclosure nell’ordinamento tributario italiano, ibidem, 325; e U. Perrucci, La legge europea 2013 e la voluntary disclosure, ivi, 2013, 1644.
(2) In Boll. Trib., 2015, 422.
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