14 Luglio, 2017

SOMMARIO: PREMESSA – 1. LE VICENDE ANORMALI NELLO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO TRIBUTARIO – 2. LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO – 3. LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO TRIBUTARIO (ART. 39, PRIMO COMMA); 3.1 La querela di falso; 3.2 Le questioni pregiudiziali concernenti lo stato o la capacità delle persone; 3.3 Altre ipotesi di sospensione – 4. LE NOVITÀ APPORTATE DAL D.LGS. N. 156/2015; 4.1 La sospensione del processo e la nozione di “pregiudizialità rilevante” (art. 39, nuovo comma 1-bis); 4.2 La sospensione del processo dovuta all’inizio di una procedura amichevole (art. 39, nuovo comma 1-ter) – 5. L’INTERRUZIONE DEL PROCESSO (ART. 40); 5.1 Interruzione: eventi a carico delle parti (art. 40, primo comma); 5.2 Interruzione: eventi a carico del difensore (art. 40, primo comma); 5.3 Dichiarazione di interruzione (art. 40, secondo comma); 5.4 Momento dell’interruzione (art. 40, terzo comma) – 6. PROVVEDIMENTI SULLA SOSPENSIONE E SULL’INTERRUZIONE DEL PROCESSO (ART. 41); 6.1 Effetti della sospensione e interruzione del processo (art. 42); 6.2 Ripresa del processo sospeso o interrotto (art. 43) – 7. ESTINZIONE DEL PROCESSO PER RINUNCIA AL RICORSO (ART. 44); 7.1 Spese del processo estinto (art. 44, secondo comma, modificato ex D.Lgs. n. 156/2015) – 8. ESTINZIONE DEL PROCESSO PER INATTIVITÀ DELLE PARTI (ART. 45) – 9. ESTINZIONE DEL GIUDIZIO PER CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE (ART. 46); 9.1 Condizioni; 9.2 Effetti; 9.3 Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere (art. 46, secondo e terzo comma, come modificati dal D.Lgs. n. 156/2015).

PREMESSA

Proseguo, con il presente, la serie dei miei tentativi di ricostruzione di alcune tra le più rilevanti modifiche apportate al processo tributario (di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), da parte del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, e, in particolare, con il presente lavoro ci si prefigge lo scopo di (provare ad) approfondire – sinteticamente – le (ulteriori) novità introdotte dalla riforma su alcuni istituti che regolamentano le vicende “anormali” nello svolgimento del processo tributario, quali la sospensione, l’interruzione e l’estinzione del processo suddetto (1).
Ma prendiamo le mosse da un approccio definitorio degli istituti de quibus.

1. LE VICENDE ANORMALI NELLO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO TRIBUTARIO

Nel corso del processo possono verificarsi degli eventi che ne influenzano il normale svolgimento, determinando una stasi dello stesso che, per tali casi, potrebbe non giungere alla emanazione della sentenza nel merito della controversia, sua naturale conclusione (2).
Tali ipotesi ne determinano la sospensione, l’interruzione o, addirittura, l’estinzione.
In particolare, con la sospensione e l’interruzione si ha un arresto temporaneo del processo:
• nel primo caso, per il verificarsi di situazioni che richiedono l’intervento di altro giudice per la loro soluzione;
• nel secondo, invece, determinato dalla necessità di assicurare l’effettività del contraddittorio, venuta meno a causa di eventi che hanno compromesso la partecipazione attiva delle parti o di coloro che le assistono nel giudizio.
Con l’estinzione, invece, il processo cessa del tutto senza una pronuncia della Commissione tributaria sul merito della causa, per il venire meno dell’interesse delle parti al suo proseguimento: in tali ipotesi, il processo può estinguersi prima ancora della sua naturale conclusione per il verificarsi di talune cause, talvolta connesse ad un comportamento processuale delle parti.
Passiamo, ora, all’esame più da vicino dei detti istituti processuali.

2. LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO

Nel processo civile il fenomeno della sospensione consiste in un arresto dell’iter processuale a causa di un determinato evento e fino alla cessazione dello stesso (3).
Tale arresto si verifica a seguito di un provvedimento del giudice (nei soli gradi di merito, escluso il giudizio di cassazione e fino alla udienza di precisazione delle conclusioni) (4) e consegue:
• all’istanza concorde delle parti. In tale caso, la sospensione volontaria può essere disposta dal giudice ordinario per un periodo di tempo non superiore a tre mesi, ai sensi dell’art. 296 c.p.c. Occorre porre mente al fatto che tale istituto non risulta applicabile al processo tributario, non ravvisandosi «una ratio, che giustifichi la possibilità delle parti di concordare tra loro la sospensione del processo» (5);
• al rapporto di pregiudizialità per il quale la decisione della causa va sospesa quando dipende dalla soluzione di altra controversia già pendente da decidersi dallo stesso o da altro giudice (sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c.).
La funzione dell’istituto è quella di evitare possibili contrasti tra giudicati e, in particolare, si riferisce alle ipotesi in cui il giudicato in formazione nell’altro processo sia destinato a produrre effetti riflessi nel giudizio dipendente e non sono possibili in questo pronunce incidentali, trattandosi di una delle ipotesi di cui all’art. 34 c.p.c. in forza del quale, per risolvere la questione pregiudiziale, è necessario rimettere tutta la causa al giudice superiore (competente per materia o per valore) (6).
Trattasi, dunque, di ipotesi in cui non è possibile una pronuncia incidenter tantum sulla questione pregiudiziale da parte del giudice:
• o perché il codice del rito civile o le parti stesse richiedono una pronuncia con efficacia di giudicato;
• o perché non è possibile la riunione dei giudizi, dipendendo la questione pregiudicante e quella pregiudicata da due giudici diversi.

3. LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO TRIBUTARIO (ART. 39, PRIMO COMMA)

La sospensione del processo tributario, limitata, per come detto, ai soli casi di sospensione c.d. necessaria (del processo di civile), è dunque prevista nei casi di:
• proposizione di querela di falso;
• sussistenza di questioni pregiudiziali concernenti lo stato o la capacità delle persone, fatta eccezione per la capacità di stare in giudizio.
In tutte le altre diverse ipotesi il giudice tributario decide la questione in via incidentale, senza necessità di sospensione del processo (7).

3.1 La querela di falso

Venendo, così, alle singole ipotesi in cui opera la necessaria sospensione del processo, è opportuno un (solo breve) richiamo alla “querela di falso” (art. 221 c.p.c.) (8).
In particolare, quando si vuole contestare la veridicità di un documento che la parte ha prodotto a fini probatori, la controparte interessata deve avanzare una domanda giudiziale al giudice civile (e per esso, esclusivamente al Tribunale) (9) per proporre querela di falso.
Tale procedimento costituisce l’unico mezzo con cui può essere contestata l’efficacia probatoria dell’atto pubblico e della scrittura privata autenticata, di cui la controparte intende fare utilizzo nel processo in corso (10).
Se è stata proposta querela nel corso del processo tributario (ad esempio per contestare la veridicità della sottoscrizione apposta alla relata di notifica di un atto di accertamento) il giudice deve valutare se la soluzione della questione sia necessaria per la continuazione del processo e, in tale caso, disporne la sua sospensione, autorizzando il querelante a formalizzare la sua domanda dinanzi al giudice civile (11).

3.2 Le questioni pregiudiziali concernenti lo stato o la capacità delle persone

Altre ipotesi di sospensione necessaria del processo civile e, quindi, tributario sono rappresentate dalle questioni pregiudiziali concernenti lo stato o la capacità delle persone; trattasi, in particolare, di questioni che devono essere necessariamente, previamente, risolte in quanto legate da un nesso di pregiudizialità necessaria con la questione afferente il merito della controversia.
Se durante il processo tributario debba essere decisa una questione:
• sullo stato (che si riferisce alla posizione soggettiva dell’individuo nella sua veste di cittadino e di soggetto di diritti personali nell’ambito della comunità civile e di quella familiare) (12),
• o sulla capacità delle persone (che riguarda l’idoneità di un soggetto ad essere titolare di posizioni giuridiche astrattamente considerate e non anche quelle in cui si controverta se una determinata posizione giuridica possa essergli attribuita in concreto) (13),
il giudice sospende il giudizio in attesa della decisione del giudice civile competente in materia.
Occorre precisare che sono, invece, risolte incidenter tantum e, pertanto, direttamente dalla Commissione tributaria adita le questioni afferenti la capacità di stare in giudizio, le quali concernono la possibilità della parte costituita di esercitare validamente i diritti processuali spettanti alla persona (ad esempio, la persona fisica che non abbia raggiunto la maggiore età).

3.3 Altre ipotesi di sospensione

Altre ipotesi di sospensione sono rappresentate dai casi seguenti:
• Interpretazione di norme comunitarie (art. 177 del Trattato UE) che si verifica qualora nel corso del processo tributario debba applicarsi una norma interna che appare inconciliabile con una norma comunitaria; in tal caso, il giudice tributario deve rimettere tale questione interpretativa alla Corte di Giustizia europea, con conseguente sospensione del processo tributario fino al momento in cui non interviene la decisione della Corte che assume carattere vincolante per il giudice nazionale remittente, stante il carattere prevalente della norma comunitaria rispetto a quella nazionale.
• Questione di legittimità costituzionale (art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87) che si verifica nel caso in cui, nel corso del processo tributario, una delle parti o il giudice stesso sollevano la questione di legittimità costituzionale di una norma che assume rilevanza per la decisione del giudizio stesso. Per tale caso, la Commissione tributaria, ove non ritenga la questione manifestamente infondata, pronuncia ordinanza con la quale, riferiti i termini della questione e i motivi concernenti il dubbio di costituzionalità, rimette la questione stessa all’esame della Consulta, sospendendo il giudizio in corso che riprenderà il suo iter solo dopo la pronuncia della Corte Costituzionale e alla luce delle statuizioni da questa assunte nella relativa decisione.
• Regolamento di giurisdizione (art. 41 c.p.c.); fino a quando il giudizio non sia deciso nel merito in primo grado ciascuna parte può chiedere alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la risoluzione delle questioni di giurisdizione. Il giudice, ove non ritenga manifestamente inammissibile detta istanza o la contestazione infondata, sospende il processo in attesa del pronunciamento delle Sezioni Unite sul punto controverso (14).
• Ricusazione del giudice (art. 6 del D.Lgs. n. 546/1992) che rappresenta lo strumento processuale con il quale le parti del processo possono privare della legittimazione a giudicare il giudice che, pur in presenza dei presupposti previsti per la sua obbligatoria astensione, non si sia astenuto (artt. 52 e segg. c.p.c.). In tale caso, la parte ha la facoltà di proporre l’istanza di ricusazione volta ad ottenere la sostituzione del giudice contro cui detta istanza è proposta (15).
Non costituisce, invece, ipotesi di sospensione del processo tributario il regolamento di competenza di cui agli artt. 42 e 43 c.p.c., dal momento che la relativa disciplina di questo istituto non si applica al processo tributario, ai sensi dell’art. 5, quarto comma, del D.Lgs. n. 546/1992.

4. LE NOVITÀ APPORTATE DAL D.LGS. N. 156/2015

4.1 La sospensione del processo e la nozione di “pregiudizialità rilevante” (art. 39, nuovo comma 1-bis)

Il nuovo comma 1-bis, inserito nell’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992, riproduce l’art. 295 c.p.c., per cui, innovando alla pregressa disposizione, prevede ora la conseguente sospensione del processo «in ogni altro caso in cui» la stessa o altra Commissione tributaria «deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa».
Viene in tale modo prevista – in via generale – la sospensione necessaria per pregiudizialità nei rapporti tra liti instaurate innanzi alle Commissioni tributarie, allo stesso modo di quanto prescritto nel processo civile (16): in particolare, «la sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 c.p.c.», «applicabile anche al processo tributario, in forza del generale richiamo operato dall’art. 1 del D.Lgs. n. 546 del 1992», si configura «qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto tra giudicati» (17).
Sussisterà, pertanto, in concreto un rapporto di pregiudizialità (18):
• tra il giudizio avente ad oggetto il provvedimento di diniego o di cancellazione dell’iscrizione all’Anagrafe delle Onlus e i giudizi vertenti sugli atti impositivi emessi per recuperare le imposte o le maggiori imposte non versate;
• tra il giudizio avente ad oggetto il disconoscimento di perdite di periodo e la controversia relativa al conseguenziale accertamento dell’indebito utilizzo delle predette perdite in compensazione in periodi d’imposta successivi;
• tra il giudizio sulla spettanza di un’agevolazione pluriennale rispetto alle controversie aventi ad oggetto l’accertamento delle imposte riferite alle singole annualità o il rimborso delle imposte nelle more versate dal contribuente;
• tra la controversia avente ad oggetto il diniego opposto dall’Ufficio finanziario alla domanda di adesione ad un istituto definitorio rispetto al giudizio relativo agli atti impositivi recanti la pretesa interessata dalla definizione.
La sospensione per pregiudizialità presuppone, di regola, che i giudizi si svolgano tra le medesime parti, e ciò dal momento che la funzione dell’istituto consiste nell’esigenza di evitare il contrasto di giudicati.
Ai fini della sospensione, la parte che invoca la sospensione deve:
• fornire prova della dipendenza tra le controversie, allegando i necessari elementi da cui inferire tale relazione di dipendenza;
• dimostrare la pendenza della controversia pregiudiziale innanzi all’Autorità giurisdizionale.
La sospensione per pregiudizialità è disposta anche d’ufficio, indipendentemente da un’istanza di parte, nel momento in cui venga verificata in concreto la sussistenza del rapporto di pregiudizialità tra le due cause pendenti.
«Dopo che è cessata la causa che ne ha determinato la sospensione, il processo continua se entro sei mesi da tale data viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, che provvede a norma dell’art. 30» dell’art. 43 del D.Lgs. n. 546/1992: pertanto, l’inerzia delle parti determina l’estinzione del giudizio, regolata dall’art. 45 del citato decreto (su cui si dirà infra).

4.2 La sospensione del processo dovuta all’inizio di una procedura amichevole (art. 39, nuovo comma 1-ter)

La riforma introduce, poi, un’ulteriore ipotesi di sospensione del processo su istanza delle parti, allorché sia iniziata una procedura amichevole, ai sensi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Si evidenzia che le procedure amichevoli (MAP – Mutual Agreement Procedure):
• trovano fondamento nelle Convenzioni internazionali bilaterali per evitare le doppie imposizioni (in ambito europeo, nella Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990);
• consistono in una consultazione diretta tra le Amministrazioni fiscali dei Paesi contraenti;
• sono finalizzate a risolvere casi di doppia imposizione;
• rappresentano uno strumento per la composizione delle controversie fiscali internazionali.

5. L’INTERRUZIONE DEL PROCESSO (ART. 40)

Il fenomeno dell’interruzione, di per sé, non è diverso da quello della sospensione, dal momento che anch’esso consiste in un arresto dell’iter processuale a causa di un determinato evento; tuttavia, se gli effetti sono sostanzialmente sovrapponibili, diverse sono le cause, ovverosia gli eventi, che danno luogo all’interruzione del processo, dal momento che diversa è la funzione di questo istituto (19).
Se dopo la proposizione del ricorso, pertanto, si verificano degli eventi che incidono sulla effettività del contraddittorio e sulla efficienza della rappresentanza tecnica, il processo si interrompe: detto effetto è preordinato dalla legge a garanzia dell’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale e/o alla difesa della parte nei cui confronti intervengono detti eventi idonei a pregiudicarlo.
Tali eventi, che compromettono il contraddittorio nel corso di qualunque fase del giudizio di merito (fatta eccezione per il giudizio di cassazione, come si dirà a breve), possono riguardare il contribuente o il suo rappresentante legale, nonché il difensore incaricato dalle parti (20). Essi sono irrilevanti nel caso in cui si verifichino in capo all’Ufficio tributario o durante il giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, che è disciplinato dall’impulso d’ufficio (21).
Ovviamente, a seguito del verificarsi di un evento di tal guisa, il processo entra in una fase di stasi, destinata a perdurare fino a quando, ad iniziativa dell’una o dell’altra parte ed entro limiti temporali predeterminati, non venga ristabilita la posizione di eguaglianza formale delle parti, specialmente sotto il profilo di una efficiente difesa tecnica, al fine di tutela del diritto alla difesa, costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.) (22).

5.1 Interruzione: eventi a carico delle parti (art. 40, primo comma)

Passando all’esame delle diverse tipologie occorre, a tale proposito, distinguere – quanto agli eventi interruttivi riferibili alle parti (23) – tra persone fisiche e persone giuridiche:
• per il contribuente persona fisica, nel corso del processo può verificarsi la perdita della capacità di stare in giudizio; ciò determina l’interruzione del processo (24). Il processo si interrompe anche per il venire meno del contribuente o del suo rappresentante legale per morte o altre cause (quali la morte presunta o la scomparsa o anche la dichiarazione di fallimento) (25), nonché per cessazione della rappresentanza (legale) (26);
• per il contribuente persona giuridica, il processo si interrompe all’estinzione della persona giuridica, che si verifica quando si esauriscono i rapporti giuridici collegati all’ente. Non comportano l’interruzione eventi quali la morte o il cambiamento (per cessazione) del legale rappresentante della persona giuridica; non si ha, infine, interruzione in caso di liquidazione della società giacché la persona giuridica viene meno solo con la definizione dei suoi rapporti giuridici.

5.2 Interruzione: eventi a carico del difensore (art. 40, primo comma)

Eventi interruttivi che concernono non la parte ma il suo difensore-procuratore (27) sono la morte, la radiazione o la sospensione dall’albo o dall’elenco dell’ordine professionale di appartenenza.
La tassatività di tali eventi esclude rilevanza interruttiva all’ipotesi della volontaria cancellazione dall’albo professionale del difensore costituito, nonché a tutte le altre ipotesi riconducibili comunque ad un comportamento volontario dello stesso difensore o della parte (ad esempio, rinunzia o revoca della procura).

5.3 Dichiarazione di interruzione (art. 40, secondo comma)

Gli eredi della parte o il difensore della stessa informano il giudice del verificarsi di uno dei suddetti eventi, affinché egli dichiari l’interruzione del processo.
Se la parte sta in giudizio personalmente o nei casi di morte, radiazione o sospensione dall’albo o dall’elenco di uno dei difensori incaricati l’interruzione si ha al momento dell’evento, opera cioè automaticamente.
In ogni altro caso, l’interruzione si ha al momento in cui l’evento è dichiarato o in pubblica udienza o per iscritto con apposita comunicazione del difensore della parte a cui l’evento si riferisce (28): per tali ipotesi, se l’evento interruttivo non viene dichiarato, il processo continua il suo normale svolgimento nei confronti della parte che ha subito l’evento, fosse anche defunta, dal momento che il legislatore fa assegnamento sul senso di responsabilità del procuratore costituito, il quale assume su di sé la responsabilità (sotto il profilo sostanziale, nei confronti dei successori) conseguente alla mancata interruzione (29).

5.4 Momento dell’interruzione (art. 40, terzo comma)

Affinché i predetti eventi esplichino efficacia interruttiva è necessario che essi si verifichino dopo la proposizione del ricorso, vale a dire dopo la sua notifica alla controparte e prima della fine della fase del contraddittorio, il quale – a sua volta – si esaurisce:
• nel caso di trattazione in camera di consiglio, dopo l’ultimo giorno utile per la produzione di memorie (fino a 10 giorni liberi prima della data di trattazione);
• nel caso di trattazione in pubblica udienza, dopo la chiusura della discussione.
Se uno dei suddetti eventi si verifica dopo tali momenti non produce effetti, salvo che la Commissione tributaria anziché pronunciare sentenza faccia proseguire il processo, con la conseguente necessità di ripristinare nuovamente il contraddittorio.
Per il caso in cui tali eventi si verifichino durante il termine per la proposizione del ricorso dinanzi alla Commissione provinciale, il termine è prorogato di sei mesi a decorrere dalla data dell’evento e a detto termine si applica la cd. sospensione feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742, secondo cui, come noto, il decorso dei termini processuali è sospeso di diritto dal 1° al 31 agosto di ciascun anno.
Nel caso in cui, invece, gli eventi interruttivi si verificano tra un grado del giudizio e il successivo (in pendenza, dunque, del termine per proporre appello), è comunemente considerato applicabile al processo tributario, in ragione del rinvio alle regole del processo di rito civile da parte dell’art. 1, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, il disposto dell’art. 328 c.p.c., integrato, per effetto della decisione della Corte Costituzionale n. 41/1986 (30), con l’inclusione della previsione delle ipotesi di morte, radiazione e sospensione del difensore costituito.
In particolare, ne deriva che:
• in caso di notifica della sentenza, il termine (breve) per impugnare è interrotto e il nuovo decorre dal giorno in cui viene rinnovata la notifica della sentenza (art. 328, primo comma, c.p.c.) (31);
• in caso di decorso del cd. termine lungo per l’impugnazione (decorrente dalla pubblicazione della sentenza), se nel corso del termine semestrale dalla pubblicazione della sentenza si verifica uno degli eventi de quibus, il termine di impugnazione è prorogato di ulteriori sei mesi dal giorno dell’evento, per tutte le parti (art. 328, terzo comma, c.p.c.).

6. PROVVEDIMENTI SULLA SOSPENSIONE E SULL’INTERRUZIONE DEL PROCESSO (ART. 41)

La norma in esame introduce – per via legislativa – la distinzione tra il disporre la sospensione e il dichiarare l’interruzione (32).
Pertanto, una volta accertata l’esistenza di una causa di sospensione, la Commissione tributaria, senza che vi sia iniziativa delle parti, la dispone:
• con decreto del presidente di sezione, se la causa si rileva prima della fissazione dell’udienza di trattazione;
• con ordinanza, da parte del Collegio negli altri casi.
L’interruzione del processo, invece, non richiede alcuna attività di accertamento e, pertanto, è dichiarata dal presidente (33) con decreto o dal Collegio con ordinanza, a seconda della fase del processo in cui si è verificato l’evento interruttivo.
Avverso il decreto presidenziale di sospensione e di interruzione è ammesso reclamo ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. n. 546/1992, mentre, qualora vi provvedesse direttamente l’organo collegiale, si porrà unicamente un problema di impugnazione della sentenza intervenuta.

6.1 Effetti della sospensione e interruzione del processo (art. 42)

La norma in esame disciplina gli (identici) effetti che conseguono alla sospensione e all’interruzione del processo tributario, con risultato sostanzialmente analogo a quanto previsto nella disciplina del processo civile dagli artt. 298 c.p.c. (per la sospensione) e 304 c.p.c. (per l’interruzione).
In sostanza, durante il periodo di tempo in cui il processo è sospeso o interrotto la norma de qua pone il divieto di compiere qualsiasi attività processuale. Di conseguenza, in caso contrario, lo svolgimento di atti del processo determina l’invalidità degli stessi, ivi compresa la sentenza, ove nel frattempo emessa.
La sospensione e l’interruzione del processo comportano l’interruzione dei termini in corso che riprenderanno a decorrere dalla data di presentazione al presidente di sezione dell’istanza di trattazione di cui all’art. 43 del D.Lgs. n. 546/1992.
Per esigenze di economia processuale, tutti gli atti processuali compiuti anteriormente alla sospensione o all’interruzione del processo sono fatti salvi (34).

6.2 Ripresa del processo sospeso o interrotto (art. 43)

Per la ripresa del processo è necessaria l’inequivoca e tempestiva manifestazione per iscritto della volontà di riattivare il procedimento interrotto e la sua provenienza da uno dei soggetti legittimati, mentre è compito della Commissione tributaria adita la ricostruzione del contraddittorio (35).
Nel caso di sospensione si prevede che, entro sei mesi dalla cessazione della causa di sospensione (36), una delle parti deve presentare istanza di trattazione al presidente di sezione della Commissione, che provvederà di conseguenza: in caso contrario, il processo si estingue per inattività delle parti ai sensi del successivo art. 45.
Nel caso di ripresa del processo interrotto, invece, l’istanza di trattazione va presentata entro sei mesi (37) dalla data del provvedimento di dichiarazione dell’interruzione.
L’istanza di trattazione deve contenere gli elementi indispensabili per consentire al presidente di sezione di assumere i provvedimenti necessari: pertanto, sarà opportuno indicare in detta istanza gli estremi del processo sospeso o interrotto, la causa e gli estremi del provvedimento di sospensione o interruzione, il motivo che giustifichi la ripresa del processo. Una volta presentata l’istanza di trattazione, il presidente di sezione fissa la trattazione della controversia, nominando il relatore.
La comunicazione della trattazione, oltre che alle parti costituite, deve farsi anche alle parti non costituite che sono state colpite dall’evento o ai suoi successori: la norma, al terzo comma, specifica che entro un anno dalla morte di una delle parti, la comunicazione può essere effettuata agli eredi collettivamente o impersonalmente nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza dichiarata dal defunto risultante dagli atti processuali.

7. ESTINZIONE DEL PROCESSO PER RINUNCIA AL RICORSO (ART. 44)

Di regola il processo si conclude con una sentenza (che può o meno accedere al merito della controversia, a seconda che a ciò vi ostino questioni pregiudiziali, quali un difetto di giurisdizione o analoghe situazioni), salva ovviamente la possibilità di un’impugnazione con la quale la sentenza emessa dal primo giudice viene gravata, fino all’emanazione della nuova sentenza (di appello) che si sostituisce alla precedente.
Tuttavia il processo può estinguersi prima ancora della sua naturale conclusione per il verificarsi di talune cause che danno vita ad una ulteriore vicenda anormale del processo che si arresta senza avere raggiunto il traguardo dell’emanazione di una sentenza definitiva.
Scopo dell’istituto è quella di evitare la prosecuzione dell’attività processuale quando tutte le parti o per accordo esplicito (rinuncia e relativa accettazione) o per un comportamento concludente (inattività) la ritengono ormai superflua e inutile (38).
Tali ipotesi, venendo alla norma in esame, sono talvolta connesse ad un comportamento processuale delle parti: nel caso in cui il ricorrente rinuncia al ricorso può, infatti, determinarsi l’estinzione del processo (39).
Per produrre l’effetto estintivo tale rinuncia deve essere accettata dalle parti costituite che abbiano un effettivo interesse alla prosecuzione del giudizio. L’accettazione è, infatti, necessaria solo nel caso in cui la parte nei cui confronti la rinunzia è fatta abbia un interesse che deve concretarsi nella possibilità per la stessa di conseguire un risultato utile più favorevole di quello che otterrebbe in seguito all’estinzione (40).
La rinuncia e l’accettazione, quest’ultima ove necessaria, per essere valide devono essere redatte per iscritto e sottoscritte dalle parti personalmente o da loro procuratori speciali, unitamente ai loro rispettivi difensori, se ci sono, e devono essere depositate nella segreteria della Commissione tributaria.
Quando non occorre l’accettazione delle altre parti, con il deposito in cancelleria si realizza l’effetto della rinuncia al ricorso; il giudice deve prenderne atto e, una volta accertata la mancanza di interesse della controparte alla prosecuzione del processo, deve dichiararne l’estinzione (41).
L’estinzione del processo è dichiarata dal presidente di sezione o dalla Commissione a seconda della fase del giudizio, per il primo caso con decreto (ritualmente reclamabile, ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. n. 546/1992) ovvero, nel secondo caso, con sentenza emessa dal Collegio della Commissione investita del procedimento.
La rinuncia al ricorso delimita la propria efficacia nell’ambito del rapporto, per cui essa, almeno in astratto, non preclude la possibilità di riproporre un ricorso che contenga la stessa domanda; essa, pertanto, si differenzia dalla rinuncia alla domanda (o all’azione), ossia alla pretesa che si intende fare valere con il ricorso che, incidendo sul diritto sostanziale fatto valere in giudizio, non consente una ulteriore tutela giurisdizionale (42).

7.1 Spese del processo estinto (art. 44, secondo comma, modificato ex D.Lgs. n. 156/2015)

Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La liquidazione è fatta dal presidente della Sezione o dalla Commissione tributaria con ordinanza non impugnabile. Nel caso che più parti abbiano espresso la loro volontà di rinuncia alla controversia le stesse rispondono solidalmente delle spese da rimborsare.
Alla norma in esame è stato eliminato l’inciso «che costituisce titolo esecutivo» in quanto l’unico strumento utilizzabile – anche per il conseguimento delle spese legali in favore del contribuente – è ormai il giudizio di ottemperanza.
Diversamente, per le spese liquidate in favore dell’ente impositore e degli altri soggetti equiparati è prevista l’iscrizione a ruolo dopo il giudicato, come dispone il nuovo art. 15, quarto comma, in precedenza commentato.

8. ESTINZIONE DEL PROCESSO PER INATTIVITÀ DELLE PARTI (ART. 45)

Qualora le parti a cui spetta proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto nel termine perentorio previsto dalla legge o assegnato dal giudice, il processo si estingue.
L’inattività delle parti può concretarsi, ad esempio, nella omessa:
• riassunzione del processo davanti alla Commissione tributaria competente;
• integrazione del contraddittorio in presenza di litisconsorzio necessario;
• riassunzione del processo sospeso o interrotto;
• riassunzione del giudizio a seguito di rinvio da parte della Corte di Cassazione.
L’estinzione si verifica nei confronti di tutti i soggetti che sono parti del medesimo processo nel caso in cui il rapporto processuale, per ragioni sostanziali o processuali, è unico. Nel caso in cui, invece, ad una pluralità di rapporti sostanziali dedotti in causa corrisponde una pluralità di rapporti processuali tra loro autonomi, come nell’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, può anche verificarsi l’estinzione parziale del giudizio (43).
Le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno anticipate (compensazione delle spese).
L’eccezione di estinzione del giudizio per inattività delle parti può essere rilevata, anche d’ufficio, solo nel grado di giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti compiuti, compreso, si badi, anche l’atto introduttivo della lite cui non può attribuirsi efficacia alcuna né sostanziale né processuale e, quindi, neppure quello di impedire la decadenza del diritto dedotto in giudizio, con conseguente consolidamento della pretesa impositiva (44); se, invece, il processo prosegue perché l’estinzione non è stata rilevata, la sentenza emanata è valida e l’estinzione non può essere eccepita in sede di impugnazione della stessa.
Tuttavia occorre precisare che in caso di estinzione per inattività delle parti, intervenuta in appello, in un giudizio già definito in primo grado con decisione favorevole al contribuente di annullamento dell’atto impugnato, si determina la cristallizzazione della situazione giuridica sostanziale come definita dalla sentenza di merito impugnata, che passa così in giudicato. In tale caso, pertanto, non può rivivere il provvedimento impositivo, essendo ritenuto applicabile l’art. 310 c.p.c., in virtù del rinvio di cui all’art. 1, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, e attesa la compatibilità con il contenzioso tributario della regola secondo cui l’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito già pronunciate (45).
Ovviamente, anche per tale caso, l’estinzione del processo è dichiarata dal presidente di Sezione (con decreto, reclamabile) o dalla Commissione tributaria (con sentenza, impugnabile) a seconda della fase del giudizio in cui interviene la relativa declaratoria in esame.

9. ESTINZIONE DEL GIUDIZIO PER CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE (ART. 46)

L’ultima ipotesi di estinzione del giudizio si verifica nel caso di cessazione della materia del contendere: per tale caso, infatti, se durante il processo sopraggiunge una circostanza che elimini la posizione di contrasto delle parti e, di conseguenza, fa mancare oggettivamente la necessità di una pronuncia della Commissione tributaria sull’oggetto della controversia, il processo si estingue (46).
Trattasi, in realtà, di una formula di derivazione giurisprudenziale che non integra una autonoma ipotesi di estinzione del processo, ma che costituisce il riflesso processuale della mutata situazione sostanziale che fa venire meno la ragione della lite tra le parti, con il conseguente diminuire dell’interesse alla pronuncia sul processo (47).
Ovviamente, stante il carattere residuale dell’istituto («salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge», secondo comma dell’art. 46 in esame), la disciplina de qua è destinata a trovare applicazione nelle sole ipotesi in cui non sia diversamente disposto da altre disposizioni di legge.
Le cause della cessazione possono essere previste dalla legge (ad esempio, condono o “istituti premiali”), ovvero, in caso di autotutela, quando l’atto impugnato venga ritirato o annullato dallo stesso Ufficio tributario che lo ha emesso, ovvero in caso di riconoscimento o di adempimento spontaneo alla pretesa impositiva da parte del contribuente (una sorta di acquiescenza tardiva alla pretesa impositiva), o ancora – evidentemente – nel caso di pagamento da parte dell’Amministrazione finanziaria della somma chiesta a rimborso dal contribuente e oggetto della controversia tributaria.
In ogni caso la cessazione della materia del contendere, ammessa da tutti i contendenti, che ha fatto cessare la necessità della pronuncia del giudice adito su quanto costituiva oggetto della lite, deve essere rilevata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, con integrale superamento delle doglianze e delle contrapposte ragioni del contendere delle parti (48).

9.1 Condizioni

Quando sia sopravvenuta una situazione riconosciuta e ammessa da entrambe le parti, che ne abbia eliminato la posizione di contrasto e abbia fatto terminare la necessità di una pronuncia del giudice su quanto costituiva oggetto della controversia, il giudice può dichiarare la cessazione della materia del contendere anche d’ufficio (49).
L’estinzione non si verifica quando vi sia dissenso tra le parti circa la rilevanza giuridica della circostanza sopraggiunta (50).

9.2 Effetti

La cessazione della materia del contendere, diversamente dalla rinunzia al ricorso (art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992) incide non sul processo ma sul giudizio (assumendo, in sostanza, un effetto di natura sostanziale che determina la definitiva chiusura della controversia sotto il profilo sia processuale che, appunto, sostanziale).
Tale differenza non è di poco conto in quanto dalla dichiarazione di cessazione della materia del contendere discende il venire meno delle sentenze emesse nei precedenti gradi di giudizio; mentre la rinuncia agli atti in appello determina il passaggio in cosa giudicata della sentenza di primo grado (51).

9.3 Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere (art. 46, secondo e terzo comma, come modificati dal D.Lgs. n. 156/2015)

Il (nuovo) secondo comma dell’art. 46 del D.Lgs. n. 546/1992, per come modificato dal D.Lgs. n. 156/2015, conferma che l’estinzione del giudizio in caso di cessazione della materia del contendere è esclusivamente dichiarata con sentenza o con decreto presidenziale.
Il terzo comma del predetto art. 46 individua il principio in base al quale soltanto in caso di cessazione della materia del contendere per sopravvenuta definizione delle pendenze tributarie nei casi previsti dalla legge (ad esempio, definizioni delle liti fiscali, condoni o altre ipotesi ex lege previste), le spese del giudizio rimangono a carico di chi le ha anticipate, mentre, negli altri casi, si applica il principio generale della soccombenza con condanna alle spese di lite della parte soccombente (ex art. 91 c.p.c.) (52).
Si evidenzia che la modifica in esame si è resa necessaria per adeguare la disposizione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 274/2005 (53), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 46, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui prevedeva che le spese del giudizio estinto restavano a carico della parte che le aveva anticipate, non solo nei casi di definizione delle pendenze tributarie previste per legge, ma in ogni caso di cessazione della materia del contendere.
Per cui, ad esempio, in caso di conciliazione della controversia appare probabile l’applicazione del principio che prevede la permanenza in capo al soggetto che le ha anticipate (ovviamente, il ricorrente contribuente) delle spese del giudizio fino a quel momento sostenute (sia a titolo di contributo unificato che per le competenze professionali del difensore incaricato) (54).

Avv. Sergio La Rocca

(1) Sotto un profilo sistematico, mi preme rilevare che tali istituti sono regolati dal Titolo II (Il processo), Capo I (Il procedimento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale), Sezione V, rubricata appunto: “Sospensione, interruzione ed estinzione del processo”, del richiamato D.Lgs. n. 546/1992 e ricomprendono, come meglio si dirà nel prosieguo, le vicende anormali nello svolgimento del processo tributario, al cui verificarsi il processo si “blocca”, rischiando, per così dire, di non addivenire alla sua naturale conclusione: la sentenza.
(2) Come vedremo, tale ipotesi si verifica solo in caso di inattività delle parti che perdura anche oltre la cessazione della causa che ha determinato il temporaneo “blocco” del processo in corso.
(3) Così insegna il Maestro del rito del processo civile MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Torino, 2016, 357 ss. In particolare l’Autore riferisce che «questo arresto che si concreta nell’impossibilità di compiere atti del procedimento, riguarda il processo nella sua complessità e quindi, anche nel caso di cause cumulate salvo il caso che, ove le cause siano scindibili, venga previamente disposta la separazione».
(4) Come è noto, infatti, nel processo civile l’udienza di precisazione delle conclusioni costituisce, ai sensi dell’art. 189 c.p.c., l’atto (orale, poi, documentato nel processo verbale di udienza) con il quale ciascuna delle parti in causa, alla presenza del giudice istruttore, manifestano in modo preciso e definitivo le proprie conclusioni (sintetizzano, cioè, le proprie domande al giudice), partendo dai rispettivi libelli introduttivi e tenendo conto delle risultanze emerse nel corso della trattazione e dell’istruzione probatoria (se svoltasi). Per cui, nel caso di sospensione pronunciata illegittimamente successivamente al momento di precisazione delle conclusioni, la causa deve proseguire nella fase decisoria, senza che la sospensione produca i suoi effetti tipici (cfr. Cass., sez. trib., 30 dicembre 2004, n. 24244, in Boll. Trib. On-line).
(5) In tale senso, secondo quanto testualmente affermato da circ. 23 aprile 1996, n. 98/E, in Boll. Trib., 1996, 687.
(6) Per mera completezza, mi preme segnalare una ulteriore ipotesi di sospensione contemplata dall’art. 337, comma 2, c.p.c., che fa riferimento al caso in cui sulla questione pregiudiziale sia già intervenuta una sentenza. Orbene, per tale caso, se la sentenza passa in giudicato, il giudice della questione pregiudicata può sospendere il processo in attesa della pronuncia sull’impugnazione; tuttavia, trattandosi di una facoltà, può anche non decidere per la sospensione e, per tale caso, non è detto che debba conformarsi alla decisione impugnata, sia perché potrebbe non ritenere sussistente la effettiva influenza della sentenza sulla questione a lui sottoposta, sia perché potrebbe valutare liberamente la probabilità che la sentenza invocata possa o meno essere confermata e con ciò la opportunità della sospensione del giudizio pendente dinanzi a lui. Sul punto, per un approfondimento, ved. Cass., sez. VI, 12 novembre 2014, ord. n. 24046, in Mass. foro it., 2014, 846; e MANDRIOLI, op. cit., 369 ss.
(7) Cfr. sul punto, il dato testuale dell’art. 2, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992.
(8) A norma del richiamato art. 221 c.p.c., la querela di falso può essere proposta tanto in via principale quanto in corso di causa in qualunque stato e grado del giudizio, fino a che la verità del documento non sia accertata con sentenza passata in giudicato.
(9) Si evidenzia che il Tribunale civile è l’organo competente in via esclusiva su tali tipologie di controversie, ai sensi dell’art. 9, secondo comma, c.p.c.
(10) Si rammenta brevemente che, in base agli artt. 2700 e 2702 c.c., la querela di falso rappresenta l’unico mezzo col quale possono essere contestate le risultanze estrinseche dell’atto pubblico o della scrittura privata riconosciuta o autenticata o verificata. Tali sono, quanto all’atto pubblico, la provenienza di esso dal pubblico ufficiale che lo ha formato, l’identità delle parti comparenti e le dichiarazioni rese dalle parti stesse, i fatti che il pubblico ufficiale attesta essere stati da lui compiuti o essere avvenuti in sua presenza; in ordine alla scrittura privata, la provenienza delle dichiarazioni in essa contenute da chi l’ha sottoscritta, cioè il collegamento formale tra il documento e la sottoscrizione: il tutto ribadendo che l’efficacia della prova legale non si estende alla veridicità del contenuto delle dichiarazioni.
(11) Ovverosia il Tribunale territorialmente competente, nel cui circondario rientra la Commissione tributaria provinciale dinanzi cui pende la causa.
(12) Cfr. Cass., sez. lav., 14 dicembre 1993, n. 12366, in Rep. foro it., 1993, Competenza civile [1420], n. 23. In ambito tributario, un’ipotesi potrebbe essere costituita dalla questione relativa allo status di figlio il cui accertamento sia pregiudiziale rispetto ad una controversia tributaria afferente il diritto alla detrazione di uno dei genitori prevista dall’art. 12 del TUIR.
(13) La nozione di capacità di stare in giudizio, quale limite interno alla nozione di capacità delle persone comprensiva sia della capacità giuridica sia della capacità di agire, va individuata con riferimento alla definizione di cui all’art. 75 c.p.c.
(14) È evidente come la sospensione non è automatica, per il solo fatto della proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione; se il giudice presso il quale pende il processo ritiene manifestamente infondata la questione, può, dunque, evitare di sospendere il processo come secondo Cass., sez. un., 22 marzo 1996, n. 2466, in Giur. it., 1996, I, 1, 698 (sul punto, si segnala, inoltre, la presa di posizione della Corte di Cassazione circa il possibile “abuso” dell’istituto in casi di regolamenti proposti a palese fine dilatorio: cfr. ad esempio Cass., sez. un., 23 aprile 1980, n. 2647, in Foro it., 1980, I, 1285).
(15) Per cui, se una delle parti presenta istanza di ricusazione del giudice il processo rimane sospeso in attesa della relativa decisione, che spetta allo stesso Collegio giudicante cui appartiene il giudice ricusato, che – a sua volta – deve all’uopo essere sentito.
(16) L’applicabilità della sospensione per pregiudizialità di cui all’art. 295 c.p.c. ai rapporti tra i processi tributari (c.d. rapporti interni) era stata già riconosciuta dalla stessa Corte di Cassazione, tanto osservando che l’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992, «pur nell’interpretazione restrittiva datane dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale …, non esclude l’applicazione della norma generale del codice di rito … (Cass. n. 14788/2001; n. 7506/2001)» (così Cass., sez. VI, 8 ottobre 2014, ord. n. 21291, in Boll. Trib. On-line, richiamata da circ. 29 dicembre 2015, n. 38/E, in Boll. Trib., 2016, 58).
(17) Così, ex plurimis, Cass., sez. trib., 31 gennaio 2011, n. 2214; Cass., sez. VI, 8 febbraio 2012, n. 1865; e Cass., sez. trib., 30 novembre 2012, n. 21396, espressamente richiamata da Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 417; tutte in Boll. Trib. On-line.
(18) Cfr. circ. n. 38/E/2015, cit.
(19) In tale senso MANDRIOLI, op. cit., II, 378, secondo il quale, peraltro, l’interruzione implica una modificazione delle situazioni delle parti, mentre la sospensione dipende da eventi che investono la funzione decisoria del giudice.
(20) Per completezza espositiva rammento che, per effetto della riforma, il nuovo comma 2 dell’art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992, rubricato “Assistenza tecnica”, ha previsto la possibilità per le parti che generalmente «devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato», per le controversie di valore fino a tremila euro, di poter stare in giudizio senza assistenza tecnica.
(21) Cfr. Cass., sez. trib., 8 luglio 2004 n. 12581, in Boll. Trib. On-line.
(22) Dal momento che le norme che disciplinano l’interruzione sono preordinate a tutela della parte colpita dal relativo evento, l’altra parte è evidentemente carente di interesse e di legittimazione a dolersi della irrituale continuazione del processo (cfr. Cass., sez. trib., 23 maggio 2001, n. 7007, in Boll. Trib. On-line).
(23) Rectius: al ricorrente, dal momento che, come detto, l’evento interruttivo non può, di regola, mai riguardare la controparte, ovvero l’Ufficio impositore o similia (agente della riscossione, ente locale, ecc.). Mentre non dovrebbe sfuggire a tali regole un’eventuale (ma sempre possibile) sottoposizione ad una procedura di liquidazione di un concessionario per la riscossione dei tributi locali “privato” iscritto nell’elenco di cui all’art. 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, trattandosi in questo caso di organismo soggetto alle regole ordinarie in tema di scioglimento, con conseguente applicazione delle regole dell’interruzione per il caso di estinzione di una persona giuridica.
(24) Non è, tuttavia, sufficiente la semplice incapacità naturale, occorre, invece, che sia stata pronunciata sentenza di interdizione o inabilità ovvero nominato un rappresentante provvisorio.
(25) Sul punto, si evidenzia che il nuovo testo della legge fallimentare (art. 43 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, come modificato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) stabilisce che: «l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo», con la conseguenza che l’interruzione consegue automaticamente alla dichiarazione di fallimento.
(26) Con conseguente perdita da parte del rappresentante della legittimazione processuale, come, ad esempio, nel caso di raggiungimento della maggiore età da parte del minore nel corso del giudizio o in caso di revocazione della interdizione o di chiusura del fallimento.
(27) Si veda, sul punto, quanto statuito dall’art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992.
(28) In tale senso anche circ. n. 98/E/1996, cit.
(29) Cfr. Comm. trib. reg. della Campania, sez. XXXIX, 8 ottobre 2003, n. 68, in Boll. Trib. On-line; del resto, l’eventuale dichiarazione compiuta dal difensore della controparte non determina l’interruzione del processo (ved. Cass., sez. I, 20 febbraio 1988, n. 1767, in Rep. foro it., 1988, Procedimento civile [5190], n. 145), né il giudice può disporla d’ufficio (cfr. Cass., sez. II, 2 agosto 1990, n. 7709, ivi, 1991, Procedimento civile [5190], n. 38).
(30) Cfr. Corte Cost. 3 marzo 1986, n. 41, in Giust. civ., 1986, I, 1253.
(31) Ne consegue che la notificazione dell’atto di impugnazione, della quale sia risultata impossibile l’effettuazione per la morte del difensore domiciliatario dell’appellato, può essere legittimamente eseguita nei confronti del difensore non domiciliatario (se presente) ovvero della parte personalmente (cfr. Cass., sez. I, 22 dicembre 1987, n. 9571, in Rep. foro it., 1987, Impugnazioni civili [3460], n. 67).
(32) Infatti, gli effetti della sospensione (di cui al successivo art. 42, quali divieto di compimento di atti processuali e interruzione del corso dei termini) si verificano solo a seguito del provvedimento che dispone la sospensione; mentre l’analoga situazione giuridica che consegue all’interruzione del processo si verifica col venire in essere degli eventi oggettivi che per legge la determinano, anche indipendentemente da un provvedimento del giudice che, se emesso, assume un rilievo meramente dichiarativo.
(33) Il reclamo contro i provvedimenti presidenziali vanno proposti al Collegio, con atto da notificare alle altre parti costituite nel processo nelle forme per la notificazione del ricorso, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data della loro comunicazione da parte della segreteria.
(34) Si ritiene, comunque, ammissibile la proposizione dei provvedimenti cautelari, in analogia con quanto disposto dall’art. 669-quater, secondo comma, c.p.c.
(35) Ex plurimis, ved. Cass., sez. III, 15 novembre 1999, n. 12621, in Foro it., 2000, I, 3588.
(36) Termine questo che, nel processo civile, è fissato dall’art. 297 c.p.c. in tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione.
(37) Termine questo che, nel processo civile, è fissato dall’art. 305 c.p.c. in tre mesi dalla interruzione.
(38) Così MANDRIOLI, op. cit., II, 399.
(39) Il termine ultimo per la proposizione della rinuncia – che deve essere incondizionata, ovverosia prima di riserva o di condizione, pena la sua inefficacia – è la data dell’udienza di trattazione (cfr. circ. n. 98/E/1996, cit.).
(40) Così Cass., sez. II, 3 agosto 1999, n. 8387, in Rep. foro it., 1999, Procedimento civile [5190], n. 368. Si precisa che nel giudizio dinanzi la Commissione tributaria provinciale, nel quale la rinuncia al ricorso determina l’inoppugnabilità dell’atto impugnato, risulta di regola non necessaria l’accettazione dell’ente impositore, dalla quale non si può, invece, prescindere in caso di ricorso avverso il rifiuto tacito di un rimborso, dal momento che in questo caso, non risolvendosi la rinuncia al ricorso in rinuncia al diritto, l’Amministrazione finanziaria potrebbe rimanere esposta ad una successiva domanda di identico contenuto restitutorio. Nel giudizio di secondo grado, invece, l’esclusione della necessità dell’accettazione deriva dal rilievo che l’estinzione determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
(41) Argumenta ex Cass., sez. trib., 12 novembre 2003, n. 16987, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. I, 3 aprile 1995, n. 3905, in Rep. foro it., 1995, Procedimento civile [5190], n. 315.
(42) Cfr. Cass. 6 novembre 1978, n. 5044. In particolare, mentre la rinunzia all’azione (negozio di diritto sostanziale) incide sul diritto e, quindi, preclude ogni ulteriore tutela giurisdizionale, la rinuncia agli atti agisce solo nel processo in corso, la cui estinzione non pregiudica l’esercizio dell’azione in un altro processo (cfr. Cass., sez. lav., 13 marzo 1999, n. 2268, in Giust. civ., 1999, I, 2689).
(43) Cfr. Cass., sez. I, 1 marzo 1995, n. 2298, in Società, 1995, 1049.
(44) In tale senso Cass., sez. trib., 8 giugno 2000, n. 7801, in Boll. Trib. On-line, emessa in relazione alla pronuncia di estinzione, per mancata riassunzione da parte del contribuente, del processo di opposizione ad ingiunzione doganale, sospeso in attesa di definizione del procedimento penale per contrabbando, con cui è stata dichiarata la definitività dell’ingiunzione medesima.
(45) Così Cass., sez. VI, 2 novembre 2015, ord. n. 22368, in Boll. Trib. On-line.
(46) L’estinzione può anche essere parziale nel caso in cui la posizione di contrasto viene meno solo in relazione ad una parte dell’oggetto della controversia; inoltre, essa può riguardare solo alcune delle parti.
(47) Tanto, fermo restando che, anche per tale caso, il processo (civile) deve concludersi, in mancanza di conciliazione giudiziale, per cancellazione della causa dal ruolo seguita da estinzione del processo, per estinzione conseguente a rinuncia o a inattività delle parti, ovvero con sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere (Cass. n. 2268/1999, cit.).
(48) Ex plurimis, Cass., sez. I, 26 luglio 2002, n. 11038, in Rep. foro it., 2002, Procedimento civile [5190], n. 344.
(49) Così Cass. n. 16987/2003, cit.
(50) Così Cass., sez. III, 16 gennaio 1987, n. 332, in Rep. foro it., 1987, Procedimento civile [5190], n. 242.
(51) Così Cass., sez. trib., 8 luglio 2008, n. 18640, in Boll. Trib. On-line; e Cass. n. 16987/2003, cit. Non va, però, sottaciuto che la questione se la pronuncia di tal guisa abbia portata sostanziale o meramente processuale, con la possibilità di riproposizione della domanda è ancora aperta nell’ambito del processo civile. Cfr. sul punto MANDRIOLI, op. cit., II, 414, nota 217.
(52) Si tratta certamente di una novità non di poco momento, dato che la stessa introduce l’applicabilità dell’istituto della soccombenza in maniera generalizzata per molteplici ipotesi, tra cui è possibile annoverare, ad esempio, l’annullamento da parte dell’ente impositore, nel corso del giudizio, di un atto in autotutela, con conseguente declaratoria della cessazione della materia del contendere e (dovuto) riconoscimento delle spese a favore della parte (contribuente) che ha dovuto adire il giudice tributario per “conseguire” tale utile risultato.
(53) Cfr. Corte Cost. 12 luglio 2005, n. 274, in Boll. Trib., 2005, 1157, con nota di VOGLINO, Finalmente dovute le spese di giudizio anche in caso di tardivo ritiro dell’illegittima pretesa impositiva.
(54) Peraltro, rimanendo all’esempio in corso, anche a volere ritenere applicabile alla conciliazione il principio generale di condanna alle spese di lite della parte soccombente (nel caso della conciliazione difficilmente individuabile, visto l’accordo raggiunto tra le parti), sarebbe più verosimile l’applicazione del principio di cui al secondo comma dell’art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte in caso di soccombenza reciproca o di sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate dal giudice: per cui anche per tale via, pur essendo preclusa la compensazione ope legis dichiarata dal giudice, si determinerebbe la compensazione tra le parti delle spese di lite ai sensi del secondo comma dell’art. 15, rimanendo ciascuna “incisa” di quelle fino ad allora effettivamente sostenute.

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