29 Aprile, 2015

 

 

 

Il contraddittorio tra Ufficio finanziario e contribuente – nella fase amministrativa di accertamento tributario – viene etichettato come un diritto espressivo di alta civiltà giuridica; tanto che ormai in qualunque ricorso avanti al giudice tributario (di merito o in cassazione) viene sempre svolto un motivo in cui si lamenta la violazione del diritto al contraddittorio; nella fattispecie sub judice perché la parte, o il suo rappresentante, non era stata posta in grado di essere presente a tutti gli atti in cui si era snodata la verifica fiscale. la Corte di Cassazione, alimentando un diffuso equivoco, risponde che il diritto al contraddittorio non è pregiudicato se al contribuente vengono fatti sottoscrivere i verbali giornalieri delle operazioni.

Si è parlato di equivoco; vediamo di spiegarne la ragione.

Un atto amministrativo può essere nullo solo se la nullità è comminata dalla legge; concetto espresso nel migliore dei modi dall’indimenticabile Vuajdin Boskov: «rigore c’è quando arbitro fischia». La nullità virtuale è un’invenzione pretoria: categoria opaca, dilatabile o circoscrivibile a piacimento sulla base di una valutazione comparativa di interessi che al Giudice non dovrebbe essere consentita; i giudizi di valore costituiscono un territorio di pertinenza del legislatore. Il quale si sforza di ricordarlo: l’art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (novellata nel 2005) – applicabile indiscutibilmente anche ai provvedimenti impositivi (1) – prevede che «è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge», Insomma è chiara la volontà del legislatore: i casi di nullità sono tassativi.

In tale quadro, se la violazione del contraddittorio è sanzionata dalla nullità, al contribuente serve, eccome, sollevare il vizio in questione: è il caso, in tema di elusione fiscale, dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo cui «l’avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta».

Ma in tutti gli altri casi – cioè nelle ipotesi in cui la legge prevede il contraddittorio ma poi non prevede la nullità del provvedimento impositivo emesso senza che il contribuente venga invitato a esporre le sue ragioni, oppure il contraddittorio sia un’iniziativa dell’interessato o dell’Ufficio finanziario – il contribuente che si lamenta assume la meno blasonata veste di Comunardo Niccolai, difensore del Cagliari noto per la sua propensione alle autoreti (vinse lo stesso lo scudetto, ma là davanti c’era un certo Gigi Riva).

Ora – come osserva un intelligente studioso – «l’esperienza ci insegna che il contraddittorio dell’Ufficio sulle deduzioni del contribuente si risolve generalmente in una presa di posizione meramente formale, riassunta in una serie di giri di parole, stereotipi apparentemente in tema, stralci normativi e di giurisprudenza con cui l’Ufficio commenta le osservazioni del contribuente, e quindi procede per la propria strada» (2).

[-protetto-]

Insomma il contraddittorio è perfettamente inutile per il contribuente se svolto senza rispettarne natura e finalità.

Fosse solo inutile lo si potrebbe comunque invocare; male che vada – qualcuno potrebbe pensare (magari disturbato dal costo psicologico di un futuro contenzioso) – la mia posizione non peggiora.

In realtà, per il contribuente, il contraddittorio in sede amministrativa è spesso dannoso. Se il contribuente ha ragioni da fare valere non gli serve nulla illustrarle all’Ufficio che non le ascolta quasi mai. Anzi, in tal modo, il contribuente mostra le “carte prima della partita”, consentendo all’Ufficio finanziario di cambiare quella strategia che le osservazioni del contribuente gli fanno capire essere perdente in giudizio.

Tale successo, anche mediatico (sulle testate specializzate si spendono in suo onore fiumi di parole), del contraddittorio ante causam ha una spiegazione apparentemente logica, che però – e qui torniamo ab initio – nasce da un equivoco. Il contraddittorio è un istituto che nasce e vive nel processo dove la parte deve avere il diritto di difendersi, di attaccare l’avversario, di provare di avere ragione; contraddittorio e processo sono un concetto solo, non è concepibile l’uno senza l’altro. Per un motivo semplice: perché nel processo c’è il giudice che decide; non decide l’Ufficio finanziario (cioè una delle parti) se il contribuente ha ragione o non ce l’ha. Parlare di contraddittorio al di fuori del processo è un “nonsenso”: ci potrà essere un dialogo, un incontro, che si chiami come si voglia, ma non un contraddittorio (cioè la facoltà di ogni parte di difendersi provando davanti a un terzo cui è rimessa la decisione). Quello che è certo – al di là del nome – è che questo “contraddittorio” serve (al contribuente) molto poco e, ancor più spesso, zero.

Gli esempi sono infiniti. Ed anche essi rientrano nel novero delle strategie difensive delle parti e non pare (politically correct) rivelarle in questa sede.

Avv. Fausta Brighenti

(1) Cfr. per tutte Cass., sez. trib., 15 febbraio 2013, n. 3754, in Boll. Trib. On-line.

(2) Cfr. R. Lupi,

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Accertamento prematuro e procedimento amministrativo. Margini «culturali» stretti per una soluzione diversa?, in Dial. trib., 2013, 392.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Accessi, ispezioni e verifiche – Art. 12, primo e terzo comma, della legge n. 212/2000 – Natura e funzione della norma – Garanzia del contraddittorio anticipato – Esclusione – Mira solo a garantire l’efficacia dell’attività ispettiva nel rispetto dei diritti del contribuente.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Accessi, ispezioni e verifiche – Art. 12, primo e terzo comma, della legge n. 212/2000 – Natura e funzione della norma – Scelta discrezionale delle modalità di svolgimento dell’attività di verifica da parte dell’Ufficio finanziario – Sussiste – Diritto del contribuente a che la verifica debba continuare ad essere svolta presso la sede della società – Esclusione.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Accessi, ispezioni e verifiche – Diritto al contraddittorio anticipato – Necessità della presenza fisica continua della parte – Esclusione – Sottoposizione alla parte dei verbali giornalieri – Sufficienza.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione – Art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. – Individuazione della deficienza riscontrabile nel ragionamento del giudice volto a considerare un elemento di fatto giuridicamente rilevante rispetto allo schema normativo astratto di riferimento – Necessita – Mera prospettazione di una differente ricostruzione soggettiva della fattispecie concreta – Irrilevanza – Inammissibilità del relativo motivo di ricorso – Consegue.

Le disposizioni dell’art. 12, primo e terzo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), non sono affatto volte a garantire l’instaurazione del contraddittorio anticipato e l’esercizio dei diritti di difesa, quanto piuttosto a definire una equilibrata composizione delle contrapposte esigenze delle parti attinenti alle concrete modalità di espletamento della verifica, da un lato garantendo la necessaria efficacia all’attività ispettiva dell’Ufficio finanziario e dall’altro assicurando la tutela dei diritti riconosciuti dall’ordinamento al contribuente sia come persona sia come soggetto economico; infatti, il primo comma è volto a regolare il luogo e gli orari dell’attività di verifica allo scopo di ridurre al minimo gli ostacoli alla normale prosecuzione dell’attività imprenditoriale, mentre il terzo comma costituisce un corollario del principio affermato nel primo comma, in quanto anch’esso mira ad arrecare al contribuente il minore pregiudizio possibile derivante dall’esecuzione dei controlli, essendo previsto che, una volta soddisfatte o venute meno le esigenze connesse alla verifica da condursi in loco, la verifica possa proseguire, su richiesta del contribuente, “nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta”.

A norma del primo e terzo comma dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), sono pienamente legittimati i verificatori a predisporre discrezionalmente le modalità di svolgimento della propria attività secondo le esigenze che realizzino gli obiettivi delle indagini e delle ricerche, con il limite di evitare quanto più possibile di occupare o prolungare l’occupazione dei locali in cui si svolge l’attività imprenditoriale o professionale e, dunque, ben potendo anche rinunciare ad accedere nei predetti locali ed anzi dovendo astenersi dall’accedervi in assenza di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo; per converso, difetta alcun interesse del contribuente, sempre alla stregua dell’art. 12 della legge n. 212/2000, a lamentare violazioni delle modalità di svolgimento della verifica, nei casi in cui questa venga svolta in luogo diverso da quello della sede dell’attività economica quale l’ufficio dei verificatori o lo studio del professionista che assiste il contribuente, in quanto la citata disposizione normativa non attribuisce al contribuente alcun diritto a pretendere che la verifica debba continuare ad essere svolta presso la sede della società.

L’attuazione della garanzia del contraddittorio anticipato prevista dall’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), non richiede affatto la presenza fisica continua della parte accanto ai verbalizzanti, quanto piuttosto la concreta possibilità per la parte di esaminare e rispondere ai rilievi ed alle contestazioni che i verbalizzanti vengono a formulare durante il progredire della verifica fiscale, e ciò risulta pienamente realizzato attraverso la sottoposizione alla parte dei verbali giornalieri delle operazioni, se non risulti dimostrato che tale modus procedendi abbia impedito al contribuente verificato di fare annotare a verbale eventuali critiche od osservazioni o di fornire eventuali prove documentali a suo favore.

Il motivo di ricorso per cassazione deducente il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata di cui all’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., è inammissibile allorquando la parte ricorrente si limiti a fornire una diversa soggettiva valutazione dei medesimi fatti già considerati dal giudice territoriale con valutazione di merito che può essere censurata in sede di legittimità soltanto se contraddittoria od insufficiente, in quest’ultimo caso dovendo essere specificamente individuata, dalla parte che fa valere il vizio il legittimità, la deficienza riscontrabile nel ragionamento del giudice volto a considerare un elemento di fatto determinante per la ricostruzione della fattispecie concreta e quindi giuridicamente rilevante rispetto allo schema normativo astratto di riferimento, o perché tale elemento fattuale non è stato correttamente rilevato nella sua esatta consistenza fenomenica, o perché è stato misconosciuto od erroneamente considerato in relazione alla sua pertinenza e compatibilità logica con il complessivo quadro circostanziale, non potendo invece limitarsi la parte ricorrente a proporre soltanto una propria differente soggettiva ricostruzione della fattispecie concreta, quand’anche plausibile ma meramente alternativa a quella dotata di altrettanta logicità che è stata fatta propria dal giudice di merito, in quanto in tal modo si verrebbe ad invadere il campo riservato al libero convincimento del giudice, risolvendosi il ricorso in una inammissibile istanza di revisione di quelle valutazioni di merito e, quindi, nella richiesta di un nuovo giudizio di fatto precluso dai limiti propri della funzione del giudizio di legittimità.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Cirillo, rel. Olivieri), 19 dicembre 2013, sent. n. 28390, ric. LEO Sport 2001 s.r.l. c. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con sentenza 14.5.2012 n. 51 la Commissione tributaria della regione Abruzzo ha accolto l’appello dell’Ufficio di Teramo dell’Agenzia delle Entrate e, in riforma della impugnata decisione della CTP, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti di LEO Sport 2001 s.r.l. avente ad oggetto il recupero delle maggiori imposte dovute per l’anno 2005 a titolo IRES ed IRAP. I Giudici territoriali rilevavano che le modalità di svolgimento dell’attività di verifica, dapprima iniziata presso l’ufficio del consulente della impresa (non essendo stato possibile accedere presso i locali della società in assenza dell’amministratore e di altro personale) e poi proseguita presso gli uffici della Agenzia delle Entrate di Teramo, ove in ipotesi difformi dalle prescrizioni disposte dall’art. 12, commi 1 e 3, della L. n. 212 del 2000, non erano comunque sanzionate a pena di nullità ed in ogni caso non avevano pregiudicato le garanzie di difesa della contribuente, essendosi svolte le operazioni alla costante presenza del rappresentante o di un suo delegato ed essendo stato sottoscritto senza riserve il PVC del 16.4.2008. Quanto alle passività iscritte in bilancio e nelle scritture contabili, concernenti il versamento di somme a titolo di caparra in relazione ad un preliminare immobiliare successivamente risolto, ad un contratto di locazione di attrezzature alla società Interamnia Club che aveva versato una caparra successivamente oggetto di storno da parte della società contribuente, ed ancora a passività indicate come debiti diversi e debiti verso i soci per restituzione finanziamenti infruttiferi, risultavano tutte prive di adeguati riscontri probatori.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la società deducendo dieci motivi ai quali ha controdedotto la Agenzia delle Entrate con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. I primi due motivi censurano la sentenza per vizio di omessa, insufficiente motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della L. n. 212 del 2000 ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione alla duplice “ratio decidendi” relativa alla insussistenza in concreto di una condotta della PA lesiva della garanzia del contraddittorio anticipato durante la fase istruttoria del procedimento di accertamento tributario, e relativa – peraltro nella astratta ipotesi di una eventuale inosservanza delle modalità di svolgimento della verifica – alla inesistenza di una espressa sanzione di nullità dell’atto impositivo in caso di violazione delle norme procedimentali.

1.1 Le norme di diritto asseritamente violate sono indicate dalla contribuente nel primo comma (“Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente”) e nel terzo comma (“Su richiesta del contribuente, l’esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta”) dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto del contribuente.

La parte ricorrente si duole, quanto al primo motivo, che i Giudici di merito avrebbero omesso di rilevare che i verbalizzanti non avevano fornito giustificazione della effettuazione della verifica presso gli uffici finanziari anziché, come previsto dalla norma, presso la sede della società e tale condotta aveva impedito la instaurazione di un efficace contraddittorio. Quanto al secondo motivo sostiene la erroneità della statuizione concernente la mancanza di una espressa sanzione di nullità, in quanto il difetto di contraddittorio, in quanto integrante violazione delle norme predette, configurava un vizio di legittimità degli atti del procedimento amministrativo che si riverberava sulla invalidità del provvedimento terminativo, bene potendo configurarsi nella specie una nullità virtuale dell’atto impositivo.

1.2 Il secondo motivo va esaminato prioritariamente in quanto l’eventuale rigetto (ovvero l’accertamento della inapplicabilità della sanzione della nullità per mancanza di previsione normativa espressa) renderebbe superfluo l’esame del primo.

1.3 Sulla questione non si può prescindere dal recente arresto delle SS.UU. in data 29.7.2013 n. 18184 (1)che, in relazione alla previsione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente (secondo cui l’avviso di accertamento non può essere emanato prima del decorso del termine di gg. 60 dalla chiusura delle operazioni di controllo accordato al contribuente per presentare osservazioni e richieste) non ha ritenuto ostativa al riconoscimento della invalidità del provvedimento impositivo adottato in violazione della predetta norma la mancanza di una espressa comminatoria di nullità.

1.4 La fondazione, per via ermeneutica, della invalidità dell’atto impositivo adottato in violazione del termine dilatorio stabilito dall’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente è affidata dalla decisione delle SS.UU. alla verifica:

a) della funzione che assolve la prescrizione normativa (nella specie la stessa norma specifica che il termine dilatorio è volto ad attuare “il principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente” che, come evidenziato dalle SSUU ha acquistato un valore pregnante in quanto “diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva … con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso … nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute al fine infondate”).

b) della rilevanza dell’interesse protetto e della gravità del pregiudizio arrecato dalla condotta difforme dal modello legale (nella specie il vizio del procedimento è stato ritenuto di particolare gravità “in considerazione della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali” – di buon andamento ed imparzialità della PA ex art. 97 Cost. – “e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante”).

1.5 Le coordinate ermeneutiche fornite dalla sentenza delle SS.UU. consentono di ritenere infondato il motivo di ricorso in esame.

Ed infatti diversamente da quanto ipotizza la parte ricorrente, le disposizioni dell’art. 12, commi 1 e 3, asseritamente inosservate dai verbalizzanti, non sono affatto volte a garantire la instaurazione del contraddittorio anticipato e l’esercizio dei diritti di difesa (a tale funzione assolvendo invece le disposizioni dell’art. 12 relative: al comma 2, che attribuisce al contribuente il diritto di essere informato sulle ragioni dell’accertamento e di farsi assistere da un professionista; al comma 4, che riconosce al contribuente di formulare osservazioni e rilievi nel corso della verifica; al comma 7 che garantisce il contraddittorio post-verifica), quanto piuttosto a definire un equilibrata composizione delle contrapposte esigenze delle parti attinenti alle concrete modalità di espletamento della verifica, da un lato garantendo la necessaria efficacia all’attività ispettiva dell’Ufficio e dall’altro assicurando la tutela dei diritti riconosciuti dall’ordinamento al contribuente sia come persona sia come soggetto economico.

Ed infatti la disposizione del comma 1, è volta a regolare il luogo e gli orari dell’attività di verifica allo scopo di ridurre al minimo gli ostacoli alla normale prosecuzione dell’attività imprenditoriale: a tal fine è richiesto che l’accesso nei locali destinati all’attività economica debba essere limitato a quei casi in cui si diano “esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo” (ad esempio quando occorra procedere alle ricerche della documentazione contabile o extracontabile ovvero a misurazioni od altre rilevazioni materiali – sulle merci, sui semilavorati, sulle attrezzature di lavorazione, sulle fasi di produzioni, ecc. possibili soltanto in loco) e che le verifiche – salvi casi eccezionali – vengano svolte durante l’orario di apertura o di normale esercizio del locale commerciale, dello stabilimento agricolo o industriale, dello studio professionale od artigianale. Pertanto la disposizione, diversamente da quanto ipotizzato dalla parte ricorrente, non ha nulla a che vedere con la esigenza di assicurare la garanzia del contraddittorio, essendo invece dettata al dichiarato scopo di “arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività … nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente” (art. 12, comma 1, della L. n. 212 del 2000).

1.6 Analogamente la disposizione dell’art. 12, comma 3, costituisce un corollario del principio affermato nel primo comma, in quanto anch’essa mira ad arrecare al contribuente il minor pregiudizio possibile derivante dall’esecuzione dei controlli, essendo previsto che, una volta soddisfatte o venute meno le esigenze connesse alla verifica da condursi in loco, la verifica possa proseguire, su richiesta del contribuente, “nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta” (art. 12, comma 3, della L. n. 212 del 2000).

1.7 Dall’esame delle predette disposizioni debbono quindi trarsi conclusioni diametralmente opposte a quelle che la società pone a fondamento della censura, da un lato, risultando pienamente legittimati i verificatori a predisporre discrezionalmente le modalità di svolgimento della propria attività secondo le esigenze che realizzino gli obiettivi delle indagini e delle ricerche, con il limite di evitare quanto più possibile di occupare o prolungare la occupazione dei locali in cui si svolge l’attività imprenditoriale o professionale e, dunque, ben potendo anche rinunciare ad accedere nei predetti locali (ed anzi dovendo astenersi dall’accedervi in assenza di “esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo”); dall’altro, corrispondentemente, difetta alcun interesse del contribuente, tutelato dalle predette disposizioni, a lamentare violazioni delle modalità di svolgimento della verifica, nei casi in cui questa venga svolta in luogo diverso (ufficio dei verificatori; studio del professionista che assiste il contribuente) da quello della sede dell’attività economica (la disposizione normativa non attribuisce, infatti, al contribuente alcun diritto a pretendere che la verifica debba continuare ad essere svolta presso la sede della società).

1.8 Tale conclusione se, da un lato, viene a privare di rilevanza, con riferimento al caso sottoposto all’esame di questa Corte (con conseguente infondatezza del secondo motivo di ricorso), la questione della configurabilità di una nullità virtuale dell’atto impositivo emanato, in caso di violazione dell’art. 12, comma 1 e 3, della legge n. 212/2000, atteso che una violazione – sanzionabile a pena di nullità – potrebbe in ipotesi ravvisarsi solo nel caso in cui i verbalizzanti abbiano eseguito un accesso nei locali della impresa in difetto delle indicate esigenze di ricerca e rilevazione in loco (ipotesi che non ricorre nel caso di specie, avendo rilevato i Giudici territoriali che dal PV del 16.4.2008 risultava che alcuna verifica era stata compiuta presso la sede della società poiché “presso la sede sociale non c’era nessuno e l’Amministratore ha la residenza in altra città …”) ma non anche nel caso inverso in cui la verifica sia stata condotta in luoghi diversi (come in concreto si è verificato, essendosi svolti gli accertamenti presso lo studio professionale del consulente, ove erano custodite le scritture contabili della impresa, e poi presso gli uffici finanziari), dall’altro lato viene a travolgere nella stessa sorte anche il primo motivo di ricorso, essendo questo a sua volta fondato sul medesimo erroneo presupposto del “vulnus” che sarebbe stato arrecato alla garanzia del contraddittorio dallo “spostamento della verifica dalla sede naturale” (ricorso pag. 39).

1.9 Il primo motivo, tuttavia, sembrerebbe voler introdurre, autonomamente, anche la ulteriore questione della lesione in concreto del “principio del contraddittorio anticipato”, che si sostanzia nelle altre disposizioni, sopra menzionate, dell’art. 12 della legge n. 212/2000, lamentando la società ricorrente la erronea valutazione da parte della CTR delle emergenze fattuali dalle quali avrebbe tratto il convincimento che le garanzie del contraddittorio erano state rispettate.

1.10 Tuttavia, inteso sotto tale profilo, il motivo si palesa inammissibile, in quanto la ricorrente si limita a fornire una diversa soggettiva valutazione dei medesimi fatti già considerati dal Giudice territoriale con valutazione di merito che può essere censurata in sede di legittimità soltanto se contraddittoria od insufficiente, in quest’ultimo caso dovendo essere specificamente individuata, dalla parte che fa valere il vizio il legittimità, la deficienza riscontrabile nel ragionamento del Giudice volto a considerare un elemento di fatto determinante per la ricostruzione della fattispecie concreta e quindi giuridicamente rilevante rispetto allo schema normativo astratto di riferimento, o perché tale elemento fattuale non è stato correttamente rilevato nella sua esatta consistenza fenomenica, o perché è stato misconosciuto od erroneamente considerato in relazione alla sua pertinenza e compatibilità logica con il complessivo quadro circostanziale, non potendo invece limitarsi la parte ricorrente a proporre soltanto una propria differente soggettiva ricostruzione della fattispecie concreta – pure plausibile ma meramente alternativa a quella dotata di altrettanto logicità fatta propria dal Giudice di merito – in quanto in tal modo si verrebbe ad invadere il campo riservato al libero convincimento del Giudice, risolvendosi il ricorso in una inammissibile istanza di revisione di quelle valutazioni di merito e quindi nella richiesta di un nuovo giudizio di fatto precluso dai limiti propri della funzione del giudizio di legittimità (cfr. Corte Cass. 2^ sez. 4.6.2001 n. 7476; id. sez, lav. 20.4.2006 n. 9233; id. Sez. 1, Sentenza n, 7972 del 30/3/2007; id. Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/3/2010).

1.11 Osserva il Collegio che il motivo di palesa comunque infondato.

I Giudici di merito hanno accertato, infatti, che le operazioni di verifica si sono svolte in presenza dell’amministratore della società M.B., ovvero di persona dalla stessa delegata, e che i verbali giornalieri delle operazioni, sottoposti all’esame della contribuente, sono stati sottoscritti senza apposizione di riserve od altre osservazioni. Dagli stralci dei verbali giornalieri riprodotti nel ricorso e nel controricorso risulta, inoltre, che nel corso delle operazioni vi era interlocuzione continua con la parte, chiamata più volte ad esibire documenti. A fronte di tale accertamento in fatto la società ricorrente sembrerebbe voler opporre che lo svolgimento delle operazioni presso i locali degli Uffici finanziari aveva impedito alla parte di presenziare costantemente alla verifica (ricorso pag. 45 e 46). Orbene, indipendentemente dal superiore e dirimente rilievo di inammissibilità della censura, la critica rivolta alla sentenza appare del tutto infondata in quanto l’attuazione della garanzia del contraddittorio anticipato non richiede affatto la presenza fisica continua della parte accanto ai verbalizzanti (non è dato rilevare da alcuna delle disposizioni dell’art. 12 della legge n. 212/2000, una siffatta prescrizione), quanto piuttosto la concreta possibilità per la parte di esaminare e rispondere ai rilievi ed alle contestazioni che i verbalizzanti vengono a formulare durante il progredire della verifica fiscale, e ciò nella specie risulta pienamente realizzato attraverso la sottoposizione alla parte dei verbali giornalieri delle operazioni, non risultando in contrario dimostrato e neppure allegato dalla parte ricorrente che tale “modus procedendi” avrebbe impedito alla società verificata di fare annotare a verbale eventuali critiche od osservazioni o di fornire eventuali prove documentali a suo favore.

2. Con il terzo motivo la società deduce il vizio logico di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto la CTR non avrebbe rappresentato l’iter logico attraverso il quale era pervenuta ad escludere la natura di caparra confirmatoria alla somma versata dalla contribuente ad I.S.C. (società sportiva dilettantistica) per la costruzione e vendita del campo di calcetto; con il quarto motivo deduce la violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973, in quanto la CTR avrebbe omesso di rilevare che l’Amministrazione finanziaria non aveva contestato, costituendosi in primo grado, la esistenza del contratto preliminare stipulato dalla contribuente con la I. e successivamente risolto per mancato ottenimento della concessione edilizia, e contraddittoria doveva ritenersi la motivazione dell’avviso di accertamento laddove, da un lato, asseriva che era stato acquisito il contratto preliminare e, dall’altro, che la ripresa a tassazione era fondata sulla mancanza di prova del contratto preliminare; con il quinto motivo viene dedotto il vizio di omessa od insufficiente motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in ordine alla affermazione contenuta in sentenza secondo cui difettava la prova della data certa del contratto preliminare sebbene la causale della contabile bancaria del primo bonifico in data 31.1.2005 indicasse specificamente “I.C. s.r.l. caparra campo calcetto” e pertanto consentisse di ritenere raggiunta tale prova ai sensi dell’art. 2704, comma 1, c.c.: la censura viene replicata con il sesto motivo nel quale si ripropongono le stesse argomentazioni a supporto del dedotto vizio di violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., nonché degli artt. 2704 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; con il settimo motivo la società censura la sentenza di appello per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in punto di disconoscimento della natura di caparra, non avendo considerato i Giudici di merito che dalla documentazione le somme risultavano effettivamente trasferite alla società I.

2.1 I motivi, che richiedono una trattazione unitaria in quanto rivolti tutti nei confronti di una medesima statuizione della sentenza della CTR, sono infondati.

L’avviso di accertamento ha recuperato a tassazione come sopravvenienze attive rilevanti importi iscritti come passività nel bilancio della impresa, sul presupposto che tali passività fossero da ritenersi “inesistenti” (cfr. controricorso pag. 3; sentenza CTR motiv. pag. 1, ove vengono riassunti i motivi del ricorso introduttivo proposto dalla società con i quali, tra l’altro, si controdeduceva alla motivazione dell’avviso di accertamento contestando che le somme iscritte al passivo erano “effettivamente riguardanti rapporti negoziali pregressi e non già oggetto di rapporti fittizi o passività inesistenti o non documentate …”) ovvero che i titoli negoziali sui quali tali trasferimenti di denaro trovavano giustificazione fossero da ritenersi fittizi (simulazione assoluta). Ne segue che la questione della simulazione assoluta degli atti negoziali verificati era già ricompresa nei “presupposti di fatto e nelle ragioni giuridiche” che legittimavano la pretesa tributaria, e che costituivano il fondamento della motivazione dell’avviso di accertamento: con la conseguenza che alcun onere di specifica contestazione di fatti allegati dalla contribuente nel ricorso introduttivo, con riferimento alla “esistenza” del contratto preliminare, gravava sulla Amministrazione finanziaria costituitasi in giudizio che – a quanto emerge dagli atti – ha soltanto evidenziato ulteriori elementi di valutazione volti a disconoscere efficacia probatoria al documento contrattuale in questione (omessa registrazione; mancanza di data certa; sottoscrizione da soggetto privo di potere rappresentativo della società).

La apparente imprecisione lessicale nella redazione del PVC, evidenziata dalla parte ricorrente, avendo i verbalizzanti dapprima dato atto di aver richiesto ed acquisito il contratto preliminare e poi avendo invece concluso fondando la pretesa fiscale sulla mancanza di prova di tale contratto, se da un lato non immuta la sostanza dell’accertamento, dovendo essere correttamente riferita l’affermazione della mancanza di prova non al documento formalmente inteso, ma al rapporto giuridico nello stesso rappresentato, dall’altro lato non inficia in ogni caso la sentenza impugnata che ha ritenuto legittima la pretesa tributaria non perché mancava in atti il documento contrattuale, ma in base all’accertamento della fittizietà del contratto preliminare desunta da una serie di indizi puntualmente individuati (1 – difetto di data certa del documento; 2 – mancanza di altri documenti preliminari alla stipula del contratto od esecutivi del rapporto giuridico; 3 – genericità delle indicazioni contenute nella contabile bancaria; 4 – sottoscrizione del contratto da parte di soggetto privo di poteri rappresentativi della società; 5 – condotta tenuta dalla parte in ordine alla richiesta di esibizione dei documenti relativi al rapporto contrattuale; 6 – identità soggettiva dei titolari delle partecipazioni sociali nelle società contraenti) dai quali la CTR ha tratto il convincimento che il trasferimento della somma di denaro, formalmente a titolo di caparra, era funzionale invece a creare artificiosamente una passività contabile nel bilancio della LEO Sport 2001 s.r.l. e quindi a sottrarre reddito imponibile ed evadere le imposte dovute dalla società per l’anno 2005.

2.2 Avuto riguardo alla valutazione del complesso indiziario predetto ed al giudizio di merito espresso sulla inesistenza della fattispecie negoziale dalla CTR, i motivi quinto e sesto volti a censurare uno soltanto dei molteplici elementi indiziali sopra indicati, appaiono entrambi inammissibili:

la censura per “error in judicando” in quanto ontologicamente incompatibile con il vizio relativo ad “error facti”, essendo dedotti entrambi con riferimento alla medesima statuizione (cfr. Corte Cass. SU 5.5.2006 n. 10313; id. I sez. 2.2.2007 n. 4178; id. sez. lav. 26.3.2010 n. 7394);

il dedotto vizio motivazionale, in quanto difetta il requisito di decisività del fatto oggetto di prova, atteso che la contabile bancaria in data 31.1.2005, recante la causale “I.C. s.r.l. caparra campo di calcetto” (ricorso pag. 56), quando anche considerata ai fini della determinazione della data certa, non risulterebbe comunque idonea a destituire il supporto logico fornito alla decisione dal complesso degli altri elementi indiziari sopra indicati.

2.3 Il settimo motivo è inconferente: la società ricorrente argomenta in modo del tutto avulso dalla decisione impugnata che i Giudici di merito avrebbero erroneamente disconosciuto la natura di “caparra” (non assoggettata ad IVA) alle somme versate ad I., qualificando tale importo come acconto sul corrispettivo (assoggettato ad IVA). Dalla lettura della sentenza di appello emerge infarti chiaramente che l’affermazione contenuta nella motivazione secondo doveva ritenersi “non condivisibile” il “carattere di caparra” della somma versata, alla quale era poi seguito l’annullamento del compromesso, deve essere riferita, come esplicato nei passaggi motivazionali immediatamente successivi, non alla funzione assolta dal pagamento nel programma negoziale convenuto tra le parti, ma al disconoscimento della effettività dell’intera operazione negoziale e pertanto deve essere correttamente intesa come il mero riflesso della accertata fittizietà del contratto preliminare: con l’indicato passaggio motivazionale la CTR intende affermare che la somma versata non può essere considerata caparra perché a monte non esiste un reale ed effettivo contratto preliminare di vendita.

3. Con l’ottavo motivo la società deduce il vizio logico di motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., circa il punto controverso relativo alla caparra – a quanto è dato comprendere – ricevuta da I. per la locazione di attrezzature e successivamente stornata da LEO Sport 2001 s.r.l.

3.1 La sentenza della CTR ha affermato che la passività indicata deve ritenersi inesistente in difetto di prova documentale dei rapporti intercorsi tra la società locatrice delle attrezzature e la I.S.C. (oscura rimane invece l’altra affermazione contenuta in sentenza, peraltro costituente mero argomento “ad abundantiam”, secondo cui le “registrazioni contabili non hanno neppure piena aderenza e coerenza sotto il profilo numerico con quanto dedotto dalla contribuente”). Orbene in ordine all’argomento logico principale posto a sostegno della decisione, la parte ricorrente non deduce di aver prodotto nei gradi di merito alcuna prova documentale decisiva, tale cioè che se correttamente rilevata ed apprezzata dal Giudice di merito avrebbe portato ad una diversa soluzione della controversia favorevole alla contribuente (cfr. Corte Cass. 3^ sez. 7.7.2005 n. 14304; id. sez. lav. 9.1.2009 n. 261), essendosi invece limitata soltanto a rilevare che la locazione di bene mobile (nella specie attrezzature sportive) è un negozio libero da vincoli di forma: osservazione certamente condivisibile ma del tutto inidonea a fornire la dimostrazione che nel caso concreto tra le due società è intercorso un effettivo e reale rapporto contrattuale.

Tanto è sufficiente a dichiarare infondato il motivo.

4. Relativamente alla ripresa fiscale concernente le passività iscritte a bilancio come finanziamenti infruttiferi dei soci, la parte ricorrente censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 88, comma 4, TUIR, dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 e 167 c.p.c. (nono motivo), nonché per violazione dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 (decimo motivo).

4.1 Richiamate quanto alla ipotizzata non contestazione da parte della PA dei fatti allegati dalla contribuente (effettiva erogazione dei finanziamenti da parte dei soci in data risalente alla costituzione della società ed ormai preclusa ad accertamento fiscale), le medesime considerazioni svolte in ordine alla infondatezza della medesima censura formulata in relazione al contratto preliminare avente ad oggetto la costruzione del campo di calcetto, è appena il caso di rilevare come i motivi si palesino in conferenti rispetto al decisum in quanto nella specie non può darsi violazione delle norme di diritto indicate in rubrica in quanto la CTR non ha fatto applicazione di alcuna di esse, avendo risolto a monte ogni questione interpretativa ed applicativa, accertando la insussistenza di prove documentali idonee a comprovare l’“an” ed il “quando” della erogazione dei finanziamenti da parte dei soci, ritenendo in conseguenza inesistenti le poste passive iscritte a bilancio societario tra i componenti negativi di reddito.

5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M. – La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

(1) In Boll. Trib., 2013, 1428.