SOMMARIO: 1. Premessa – 2. L’esenzione della locazione di beni immobili ai fini dell’IVA tra giurisprudenza europea e nazionale – 3. L’applicazione dell’aliquota IVA ridotta nella realizzazione di impianti sportivi di quartiere quali opere di urbanizzazione secondaria – 4. Le deroghe alla disciplina degli aiuti di Stato per la costruzione e manutenzione di infrastrutture sportive – 5. L’esenzione degli impianti sportivi ai fini dell’imposizione municipale sugli immobili – 6. L’esenzione dall’imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni per la pubblicità realizzata negli impianti – 7. Conclusioni.
1. Premessa
Come è noto lo sport, in quanto pratica umana esercitata per fini di diletto, salutistici, educativi competitivi e professionali, costituisce un comparto economico particolarmente rilevante producendo oltre il 2% del prodotto interno lordo dell’Unione europea e occupando oltre 7 milioni di figure professionali (pari al 3,5% dell’occupazione complessiva).
Muovendo da tale premessa, la Commissione europea (documento del 19 aprile 2014) ha individuato alcune azioni concrete da porre in essere al fine di promuovere il ricorso allo sport anche attraverso misure di natura finanziaria e tributaria attraverso le quali promuovere la realizzazione di impianti sportivi e garantirne l’accesso e la fruizione sociale (1). L’esigenza, da tempo avvertita e ripresa dal recente documento dell’Unione europea, di definire una sorta di decalogo delle misure di natura incentivanti per l’infrastrutturazione sportiva e per la promozione delle attività fisiche è a tutt’oggi insoddisfatta. Più che in altri ambiti la disciplina fiscale in materia di impianti e organizzazione sportive appare quanto mai frammentaria e soprattutto priva di un coerente disegno ispiratore. Il tentativo di analisi, che qui si conduce, evidenzia appieno l’incapacità della legislazione comunitaria e interna di misurarsi con le diverse questioni che si addensano nella materia tra imposizione sul valore aggiunto e imposizione locale.
Cionondimeno, lo sforzo compiuto può offrire soluzioni interpretative nelle more di una più matura consapevolezza della funzione promozionale che la legislazione tributaria può svolgere.
2. L’esenzione della locazione di beni immobili ai fini dell’IVA tra giurisprudenza europea e nazionale
Tra le disposizioni, pure settoriali, di favore in materia di spazi per favorire e consentire la pratica sportiva, vanno richiamate quelle dettate dalle Direttive europee in materia di IVA aventi ad oggetto l’esclusione dall’applicazione in caso di locazione. Al riguardo va avvertito che il trattamento fiscale della locazione di beni immobili ai fini dell’IVA è stato più volte portato all’attenzione dei giudici europei al fine di stabilire, attraverso il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, un’interpretazione comune e uniforme delle disposizioni applicabili. Più precisamente, le domande di pronuncia pregiudiziale proposte vertono sull’interpretazione dell’art. 13, parte B, lett. b), della VI Direttiva 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari-Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme successivamente sostituita dalla Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto. In forza di tale disposizione gli Stati membri esonerano dall’IVA “l’affitto e la locazione di beni immobili”, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni e per prevenire ogni possibile frode, evasione e abuso.
[-protetto-]
Secondo giurisprudenza costante la caratteristica fondamentale della nozione di “locazione di beni immobili” risiede nel conferimento alla controparte contrattuale, per una durata convenuta e dietro corrispettivo, del diritto di occupare un immobile come proprietario e di escludere qualsiasi altro soggetto dal beneficio di tale diritto (2). Al fine di valutare se un determinato contratto sia sussumibile in tale definizione occorre prendere in considerazione tutte le caratteristiche dell’operazione nonché le circostanze in cui essa si svolge adottando un approccio di substance over form ovverosia facendo emergere la natura oggettiva dell’operazione, a prescindere dalla qualificazione che le parti ne danno.
L’art. 13, parte B, lett. b), della VI Direttiva, costituisce una deroga al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo e in quanto tale richiede un’interpretazione restrittiva. Pertanto qualora venisse meno anche un solo requisito della nozione di “locazione di beni immobili” la disposizione non può essere applicata in via analogica od estensiva. Occorre, dunque, un’analisi case by case per valutare le circostanze, le caratteristiche e gli elementi essenziali di ciascuna operazione di locazione al fine di procedere alla sua qualificazione alla luce della VI Direttiva.
Tuttavia, come precisato dalla consolidata giurisprudenza europea, questa regola d’interpretazione restrittiva non significa che i termini utilizzati per specificare le esenzioni di cui al detto art. 13 debbano essere interpretati in un modo che priverebbe tali esenzioni dei loro effetti. Essi devono essere interpretati alla luce del contesto nel quale si inseriscono, nonché della finalità e della struttura della VI Direttiva, tenendo conto particolarmente della ratio legis dell’esenzione di cui trattasi.
La Corte di Giustizia CE nella causa C-150/99 del 2001 (3) è stata chiamata a pronunciarsi su una locazione di un campo da golf riservato alle imprese: gli unici locatari erano unicamente imprese che permettevano al proprio personale o ai propri clienti di praticare il golf sul terreno così attrezzato. Nella pronuncia i giudici europei hanno stabilito che l’attività di gestione di un campo da golf implica, in linea generale, non soltanto la messa a disposizione passiva di un terreno, ma altresì un gran numero di attività commerciali, come la supervisione, la gestione e l’assistenza costante da parte del prestatario, la messa a disposizione di altri impianti, e così via. I giudici infine chiosano sancendo come, in assenza di circostanze del tutto particolari, la locazione del campo da golf non costituisce la prestazione principale e, dunque, non può trovare applicazione l’esenzione d’imposta.
Anche recentemente la Corte di Giustizia è stata interessata di una questione analoga vertente sulla esenzione dall’IVA di una locazione di beni immobili e, più precisamente, della messa a disposizione di impianti di una struttura sportiva utilizzati a fini esclusivamente calcistici, compresa la facoltà di uso e di sfruttamento in determinate occasioni della superficie di gioco dello stadio di calcio (il terreno), nonché degli spogliatoi per i giocatori e gli arbitri fino ad un massimo di 18 giornate per singola stagione sportiva. La sentenza della Corte di Giustizia, causa C-55/14 del 2015 (4), riguarda ancora una volta l’esegesi dell’art. 13, parte B, lett. b), della VI Direttiva, al fine di stabilire se la concessione a titolo oneroso della disponibilità di uno stadio di calcio sulla base di un contratto che riservi taluni diritti e prerogative al proprietario e preveda la prestazione, da parte di quest’ultimo, di una serie di servizi, segnatamente servizi di manutenzione, di pulizia e di messa a norma, rappresentanti l’80% del corrispettivo contrattualmente previsto, costituisce una “locazione di beni immobili” in forza della citata Direttiva. Anche in questa pronuncia la Corte ha stabilito che l’utilizzazione del campo di calcio non costituisce la prestazione preponderante dell’operazione, caratterizzandola quale locazione di un bene immobile: la prestazione resa riguarda, infatti, un servizio più complesso di accesso agli impianti sportivi, che annovera anche la supervisione, la gestione, la manutenzione e la pulizia degli impianti sportivi. L’attività svolta è, dunque, da inquadrarsi più propriamente nella fornitura di un servizio complesso di accesso agli impianti sportivi e non nella semplice messa a disposizione di un terreno.
La VI Direttiva riconosce una sorta di favor con riferimento alle prestazioni di servizi connesse all’universo sportivo: l’art. 13, parte A, n. 1, lett. m), infatti, prevede un’esenzione dall’imposta per le prestazioni di servizi legate alla pratica dello sport e dell’educazione fisica fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo. Tale esenzione è espressamente limitata alle prestazioni fornite da organismi senza scopo di lucro: prestazioni di questo tipo che siano fornite da soggetti aventi fini di lucro non rientrano nella sfera di applicazione dell’esenzione (5). Più in generale l’art. 13 mira ad esentare dall’IVA talune attività di interesse pubblico tra cui quelle relative alla pratica dello sport e dell’educazione fisica al fine di incoraggiare tale tipo di attività. L’esenzione concessa non è generale riguardando tutte le prestazioni di servizi connesse alle citate prestazioni di servizi ma è subordinata al verificarsi di talune condizioni. In primo luogo, le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport e l’educazione fisica devono essere fornite da un’organizzazione senza scopo lucrativo. In secondo luogo, le prestazioni di servizi effettuate da tali organismi possono essere esentate, in quanto operazioni di interesse pubblico, a condizione che vengano fornite alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica: si tratta, dunque, di prestazioni indispensabili all’espletamento della pratica dello sport o dell’educazione fisica (6).
Sulla scia del consolidato orientamento della giurisprudenza europea si collocano anche alcune pronunce del Supremo consesso italiano che affrontano la complessa tematica dell’assoggettabilità ad IVA della gestione degli istituti sportivi.
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sull’assoggettabilità ad IVA del contratto di locazione dello stadio comunale alla società calcistica cittadina (7). Tale attività di locazione era svolta da un ente pubblico territoriale (comune di Perugia) impiegando beni del proprio patrimonio: la prestazione sarebbe dovuta sfuggire dall’imposta in mancanza del requisito soggettivo del tributo consistente nell’esercizio di impresa da parte dell’ente locale. In altri termini la locazione in esame non avrebbe dovuto costituire attività d’impresa rilevante agli effetti dell’applicazione dell’IVA in quanto svolta da un ente pubblico che si avvale per la gestione del contratto dei propri Uffici amministrativi e non già di un’organizzazione in forma di impresa. La Corte ha avvalorato tale tesi evidenziando che l’attività in questione non era svolta dal Comune in veste di pubblica Autorità (8): non trova applicazione l’art. 4, comma 4, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale stabilisce in merito al presupposto soggettivo di applicazione dell’imposta che per gli enti i quali non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale, tra i quali rientrano gli enti locali, si considerano effettuate nell’esercizio di imprese, e come tali sono incluse nel campo di applicazione dell’IVA, soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di attività commerciali (9). L’attività amministrativa degli Uffici comunali consistente nella gestione del contratto di locazione (incasso dei canoni di affitto e dell’emissione delle fatture), dunque, non può configurare un’attività di impresa ma rientra nell’attività di disposizione del proprio patrimonio da qualificare come operazione esente ovverosia “fuori campo IVA” per insussistenza del presupposto soggettivo.
3. L’applicazione dell’aliquota IVA ridotta nella realizzazione di impianti sportivi di quartiere quali opere di urbanizzazione secondaria
Il n. 127-quinquies della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972, prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 10%, inter alia, alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria elencate nell’art. 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, integrato dall’art. 44 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. In forza di tale disposizione sono opere di urbanizzazione secondaria anche gli “impianti sportivi di quartiere”. Anche in tal caso, trattandosi di una norma speciale e derogatoria del regime ordinario deve essere interpretata restrittivamente e tassativamente sicché soltanto le opere individuate dall’art. 4 della legge n. 847/1964 per il tramite del citato n. 127-quinquies possono usufruire dell’aliquota IVA ridotta.
La nozione di impianti sportivi di quartiere, tuttavia, non è stata ancora compiutamente definita determinando una incertezza applicativa e dubbi sul trattamento fiscale delle opere di urbanizzazione. La circolare ministeriale 17 aprile 1981, n. 14 (10), infatti, si è limitata a stabilire che ai fini della qualificazione delle opere immobiliari quali opere di urbanizzazione secondaria occorre che le stesse siano realizzate in funzione, ossia al servizio, di zone urbanizzate o da urbanizzare. Tali opere sono quindi destinate a produrre servizi di interesse collettivo, in materia di economia, istruzione, cultura e tempo libero, nell’ambito di un centro abitato, al fine di migliorare la qualità della vita dei suoi abitanti. Si tratta, dunque, di opere che, ancorché non necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari dell’uomo (bisogni soddisfatti dalle opere di urbanizzazione primaria), sono indispensabili per aumentare il tenore di vita dei residenti nel centro abitato interessato, e che sono incoraggiate dal legislatore tramite il ricorso ad una norma agevolativa che prevede l’applicabilità dell’aliquota IVA ridotta.
Per quanto concerne la nozione di quartiere si è chiarito con le risoluzioni ministeriali 10 giugno 1985, n. 320947 (11), e 3 ottobre 1985, n. 399623 (12), che tale termine utilizzato dal legislatore riferito anche agli impianti sportivi non può interpretarsi solo in senso letterale minimizzando la sua portata applicativa ma occorre fornire un’esegesi logico-evolutiva, tenendo conto dell’attuale realtà urbanistica. Le opere di urbanizzazione secondaria devono essere qualificate “di quartiere” non soltanto nel caso siano destinate ad essere utilizzate dagli abitanti di una determinata zona urbana, ma anche quando sono realizzate per essere messe a disposizione dell’intera popolazione di un piccolo centro abitato. Tanto al fine di non limitare l’applicazione del beneficio fiscale soltanto alle opere realizzate in quei Comuni che prevedono espressamente la suddivisione del loro territorio in quartieri. Affinché possa ritenersi agevolabile la realizzazione di un impianto sportivo di quartiere è necessario che tale impianto sia destinato ad un uso pubblico ovverosia sia messo a disposizione dell’intera collettività, anche se dietro pagamento di un corrispettivo, e non sia destinato ad essere utilizzato esclusivamente o prevalentemente da particolari categorie di soggetti, come ad esempio gli iscritti a società sportive o dipendenti comunali (13).
Alla luce di tali considerazioni l’Amministrazione finanziaria ha qualificato come impianto sportivo di quartiere che gode dell’aliquota IVA agevolata la costruzione di una piscina scoperta realizzata in project financing in cui il soggetto privato, in base a concessione, avrà la gestione per trent’anni dell’intero impianto sportivo (14). L’impianto, infatti, è da ritenersi di pubblica utilità e destinato alla collettività, anche se costruito e gestito con concessione trentennale da una società privata; inoltre, riguardo il possibile svolgimento di un’attività agonistica, come chiarito nella risoluzione ministeriale 4 novembre 1986, n. 361922 (15), è sufficiente che tale attività sia, come nel caso in esame, del tutto secondaria e residuale. Viceversa non potrà essere considerato destinato alla collettività un impianto sportivo di quartiere utilizzato esclusivamente o prevalentemente da soggetti iscritti a federazioni sportive dipendenti da enti o realizzato soprattutto per lo svolgimento di attività agonistiche.
L’Amministrazione finanziaria si è ulteriormente pronunciata in un caso riguardante la realizzazione di un impianto polisportivo da parte di un Comune, utilizzabile in modo polivalente, al servizio dell’intera utenza provinciale, residente e turistica, da destinare anche allo svolgimento di manifestazioni sportive e strutturato con tribune e parcheggi per ospitare la presenza di pubblico sancendo l’applicazione dell’IVA ordinaria (16). Similmente con la risoluzione 2 ottobre 1986, n. 362270 (17), si è stabilito che la costruzione di uno stadio del ghiaccio destinato primariamente a centro federale di addestramento per gli sport del ghiaccio, costruito da una piastra di velocità olimpica e da un campo di hockey destinato a servire un vasto bacino d’utenza non è oggetto dell’aliquota agevolata.
Più di recente l’Agenzia delle entrate è tornata ad occuparsi della materia negando l’applicazione dell’aliquota ridotta alla costruzione di impianti di innevamento applicando una lettura rigorosa della disposizione in commento (18). Tali impianti realizzati in occasione dei XX giochi olimpici invernali “Torino 2006”, non possono fruire dell’aliquota IVA ridotta poiché non rientrano tra le opere disciplinate dalla legge n. 847/1964. Tanto perché non è ammissibile un’interpretazione estensiva della qualifica di impianti sportivi “di quartiere” che annoveri anche gli impianti in questione per l’applicazione dell’aliquota IVA del 10% prevista dal n. 127-quinquies della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972. Detti impianti, infatti, non possono configurarsi quali impianti sportivi di quartiere e, conseguentemente, non possono essere annoverati fra le opere di urbanizzazione secondaria individuate dal citato art. 4 della legge n. 847/1964. L’opera di impiantistica sportiva in esame, infatti, non era realizzata ai sensi e con le procedure di cui al D.L. 3 gennaio 1987, n. 2 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 marzo 1987, n. 65), contenente misure urgenti per la costruzione o l’ammodernamento di impianti sportivi, per la realizzazione o completamento di strutture sportive di base e per l’utilizzazione dei finanziamenti aggiuntivi a favore delle attività di interesse turistico. L’art. 1, comma 1, del D.L. n. 2/1987, definisce i soggetti, le procedure e le modalità di finanziamento per la realizzazione dei programmi straordinari di interventi per l’impiantistica sportiva finalizzati alla costruzione, all’ampliamento, al riattamento, alla ristrutturazione, al completamento, al miglioramento, alla sistemazione delle aree di parcheggio e servizio e all’adeguamento alle norme di sicurezza di impianti sportivi destinati ad ospitare gli incontri del campionato mondiale di calcio del 1990 secondo l’indicazione del CONI, a soddisfare le esigenze dei campionati delle diverse discipline sportive con strutture polifunzionali nonché a promuovere l’esercizio dell’attività sportiva mediante la realizzazione di strutture polifunzionali.
L’art. 3-bis del D.L. n. 2/1987 dispone che le opere realizzate per il perseguimento delle finalità individuate nel decreto «vengono disciplinate a norma della parte seconda, n. 22), della Tabella A) allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633». Il citato n. 22 della Tabella A, parte II, è stato sostituito dal n. 127-quinquies della Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972, in forza del quale sono assoggettate all’aliquota IVA agevolata del 10% le opere di urbanizzazione primaria e secondaria elencate dall’art. 4 della legge n. 847/1964. Le opere realizzate in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 2/1987, dunque, erano espressamente assoggettate ad un’aliquota IVA del 10% (19). Gli impianti di innevamento in esame, invece, sono realizzati nell’ambito delle “Opere di accompagnamento ai XX Giochi Olimpici Invernali Torino 2006”, per le quali è prevista un’apposita e distinta procedura di programmazione e stanziamento pubblico disciplinata dalla legge 9 ottobre 2000, n. 285, nonché dall’art. 21 della legge 1° agosto 2002, n. 166.
In mancanza di una espressa previsione normativa che assimilasse l’opera in questione agli impianti sportivi di quartiere ovvero che stabilisse l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata deve trovare applicazione l’aliquota IVA ordinaria.
4. Le deroghe alla disciplina degli aiuti di Stato per la costruzione e manutenzione di infrastrutture sportive
Gli strumenti utilizzabili dallo Stato e dagli enti territoriali per sostenere la costruzione o la manutenzione degli impianti sportivi sono certamente numerosi; tra di essi possono essere annoverati sussidi diretti, imposte di scopo (20), concessione di prestiti a tassa agevolato, ecc. Tale intervento pubblico nel settore sportivo e, più in generale, nel libero mercato è visto con attenzione dalle Istituzioni comunitarie che valutano con cautela le azioni di finanziamento diretto o indiretto degli agenti economici.
L’art. 107 del TFUE (ex art. 87 del Trattato) definisce per aiuti di Stato (21) quelle misure di favore concesse dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma, che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. Tale divieto non è assoluto ma relativo consentendo, dunque, deroghe alla rigida disciplina europea sugli aiuti di Stato. Tra tali eccezioni il paragrafo 2 dell’art. 107 del TFUE indica gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti; gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Germania che risentono della divisione dello Stato, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione.
Ad essi si aggiungono ai sensi del successivo comma 3 gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle Regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione; gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro; gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune Regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune; le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.
L’intervento pubblico attraverso le diverse modalità di contribuzione diretta (ad esempio, trasferimenti, sussidi pubblici) od indiretta (ad esempio, agevolazioni fiscali), dunque, potrebbe costituire un indebito aiuto di Stato che rischia di falsare la concorrenza e, di conseguenza, il corretto funzionamento del mercato unico europeo (22).
Tuttavia come dimostrato dal Regolamento 17 giugno 2014, n. 651, l’approccio dell’Esecutivo europeo all’intervento pubblico appare meno rigoroso, dichiarando alcune categorie di aiuti, tra cui quelle per le infrastrutture sportive, compatibili con il mercato comune in applicazione della clausola di esenzione contenuta negli artt. 107 e 108 del TFUE. In tal modo si è dispensato dall’obbligo di preventiva notifica gli aiuti di Stato “orizzontali” ovverosia quegli aiuti aventi portata generale e non limitata ad uno specifico settore di attività ovvero a specifiche categorie di imprese. Tanto alla luce della crescente rilevanza della promozione di aspetti inerenti allo sport in Europa tenendo conto della specificità dello sport, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa come previsto dall’art. 165 del TFUE. Del resto come precisato nel Libro bianco dello Sport del 2007 la Commissione europea «capisce l’importanza degli aiuti pubblici allo sport di base, ed è a favore di un tale sostegno, se fornito in conformità del diritto comunitario».
Come precisato nel 74° considerando del Regolamento n. 651/2014 gli aiuti agli investimenti per le infrastrutture sportive beneficiano dell’esenzione per categoria purché soddisfino specifiche condizioni. Nel settore dello sport varie misure adottate dagli Stati membri possono non costituire aiuti di Stato in quanto il beneficiario non svolge un’attività economica o perché le misure non incidono sugli scambi tra Stati membri. Questo potrebbe essere, in determinate circostanze, il caso delle misure di aiuto che hanno un carattere puramente locale o relative ad attività sportive amatoriali. Le condizioni di compatibilità relative agli aiuti per le infrastrutture sportive dovrebbero assicurare, in particolare, un accesso aperto e non discriminatorio alle infrastrutture e un equo processo di assegnazione di concessioni ad un terzo per la costruzione, l’ammodernamento e/o la gestione dell’infrastruttura.
L’art. 55 del Regolamento individua puntualmente le condizioni da rispettare affinché gli aiuti per le infrastrutture sportive sono compatibili con il mercato interno e sono esentati dall’obbligo di notifica. In primis è necessario che l’uso dell’infrastruttura sportiva non è riservato a un unico sportivo professionista; il tempo di utilizzo da parte di altri sportivi, professionisti o non, deve rappresentare annualmente almeno il 20% del tempo complessivo; se l’infrastruttura è utilizzata contemporaneamente da vari utenti, sono calcolate le frazioni corrispondenti di tempo di utilizzo. L’accesso alle infrastrutture sportive, inoltre, deve essere aperto a più utenti e concesso in modo trasparente e non discriminatorio. Analoga disclosure è richiesta con riferimento alla concessione, o altro atto di conferimento, a favore di un terzo per la costruzione, l’ammodernamento e/o la gestione dell’infrastruttura sportiva.
Qualora tali condizioni siano verificate è ammissibile la concessione di aiuti di Stato, senza previa notifica, che possono assumere la forma di aiuti agli investimenti tra cui gli aiuti per la creazione o l’ammodernamento delle infrastrutture sportive ovvero aiuti al funzionamento per le infrastrutture sportive. In quest’ultimo caso si fa riferimento ai costi per la prestazione dei servizi da parte dell’infrastruttura che comprendono i costi del personale, dei materiali, dei servizi appaltati, delle comunicazioni, dell’energia, della manutenzione, di affitto, di amministrazione, ecc., ma escludono i costi di ammortamento e di finanziamento se questi sono stati inclusi negli aiuti agli investimenti.
Recentemente la Commissione europea ha ritenuto non qualificabili come aiuto di Stato alcune misure di sostegno in favore delle aree sciabili di interesse locale in Toscana (23). Al fine di evitare un giudizio avverso della Commissione europea e il conseguente recupero dell’aiuto concesso le Autorità italiane hanno notificato all’Istituzione comunitaria la disposizione del finanziamento a favore delle aree sciistiche. Tanto in ottemperanza anche all’art. 45 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che detta norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea che ha meglio definito le procedure di tale notifica all’Esecutivo comunitario al fine di assicurare l’unitarietà di indirizzo necessaria per la tutela degli interessi nazionali nel settore degli aiuti di Stato.
L’aiuto era concepito come un sostegno “a doppio binario” in quanto i beneficiari sono sia le PMI sia gli enti pubblici locali che gestiscono le stazioni sciistiche e i relativi centri sportivi. Più precisamente l’aiuto rivolto agli enti pubblici locali è diretto all’acquisto, all’adeguamento, al potenziamento, alla messa in sicurezza e alla realizzazione di impianti di risalita e di innevamento artificiale, nonché di tracciati e relative strutture. L’aiuto previsto per le PMI concesso mediante specifici bandi pubblici concerne gli investimenti, l’adeguamento, la modernizzazione e la sicurezza delle funivie e delle relative strutture, compresa la fornitura di sistemi di controllo, nonché altre spese, quali il soccorso, la sicurezza, l’energia, l’ammortamento delle rate dei mutui, i canoni di leasing e la battitura piste, che sono necessarie per la manutenzione delle funivie o delle relative strutture e collaterali alle attività ammissibili.
Nella decisione in commento la Commissione europea ha riconosciuto che gli impianti destinati alle attività sportive in località poco attrezzate per la pratica di sport invernali e con capacità turistiche limitate tendono ad avere un bacino di utenza puramente locale e non sono in grado di attrarre utenti che hanno l’alternativa di optare per impianti situati in altri Stati membri. Ne consegue che aiuti di questo tipo non sono generalmente in grado di incidere sugli scambi intracomunitari e quindi non costituiscono aiuti di Stato ai sensi del diritto europeo in materia di aiuti di Stato. Nello specifico la Commissione ha sostenuto che gli impianti a fune d’interesse locale sono quelli realizzati nelle stazioni di sport invernali aventi un numero di impianti inferiore o uguale a tre, per una lunghezza complessiva non superiore a 3 km o quelli con un numero di letti alberghieri disponibili inferiore o pari a 2.000 o con un numero di pass settimanali venduti non superiore al 15% del numero totale di pass venduti.
La recente decisione dell’Esecutivo comunitario si pone in linea di continuità con precedenti pronunciamenti della stessa Istituzione relativi a casi simili di aiuti di Stato cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di impianti funiviari (24).
5. L’esenzione degli impianti sportivi ai fini dell’imposizione municipale sugli immobili
Gli impianti sportivi sono esenti ai fini dell’ICI in forza dell’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, che esonera dal pagamento dell’imposta gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c), del TUIR, e destinati esclusivamente allo svolgimento di attività “meritorie” tra cui quelle sportive. Tale esenzione è stata confermata anche dalla disciplina dell’IMU che richiama il regime degli esoneri di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 504/1992 (25). Gli immobili utilizzati da enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato e non aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali se destinati esclusivamente allo svolgimento di attività sportive sono ope legis esentati dall’imposta.
Il successivo art. 91-bis del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), ha richiesto altresì che la destinazione esclusiva degli immobili allo svolgimento di attività sportive deve avvenire con modalità non commerciali (26). Tale modifica normativa ha recepito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha costantemente limitato la portata dell’esonero dall’imposta alla presenza di modalità non commerciali attraverso le quali viene svolta nell’immobile l’attività da parte dell’ente non commerciale (27). Come precisato dall’art. 1, comma 1, lett. m), del D.M. 19 novembre 2012, n. 200, attuativo del citato art. 91-bis e che definisce le modalità e le procedure per l’applicazione proporzionale dell’esenzione dall’IMU per le unità immobiliari destinate ad un’utilizzazione mista, nei casi in cui non sia possibile procedere all’accatastamento separato degli immobili o delle loro porzioni adibiti esclusivamente allo svolgimento delle attività istituzionali con modalità non commerciali, per attività sportive si intendono quelle «attività rientranti nelle discipline riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) svolte dalle associazioni sportive e dalle relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi dell’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289» (28).
Anche in tal caso la disposizione normativa è derogatoria rispetto al principio generale di assoggettamento a tassazione degli immobili sicché è necessario fornire un’interpretazione restrittiva del citato art. 7. Occorre, dunque, valutare il sussistere di ambo le condizioni stabilite dall’art. 7 per riconoscere l’esenzione dall’imposta di un impianto sportivo. È, infatti, necessario verificare da un lato l’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente che ne abbia il possesso (condizione soggettiva) e dall’altro l’esclusiva loro destinazione ad attività sportive che non siano produttive di reddito (condizione oggettiva). La Corte di Cassazione è più volte intervenuta in subiecta materia precisando condizioni e limiti per godere dell’esenzione in parola. La giurisprudenza di legittimità consolidata, infatti, ha stabilito che l’esclusione dall’imposta può essere concessa qualora si avverino sia la condizione soggettiva sia quella oggettiva.
L’esenzione, dunque, è concessa al verificarsi del requisito oggettivo inerente allo svolgimento di attività sportiva nell’immobile nonché di quello soggettivo individuato nell’appartenenza del possessore dello stabile alla categoria dell’art. 87 del TUIR.
La condizione oggettiva sussiste quando gli immobili sono destinati esclusivamente allo svolgimento di attività “meritorie” individuate dall’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992 (29). La giurisprudenza di legittimità, infatti, a più riprese ha stabilito che per godere dell’esenzione l’immobile deve essere utilizzato direttamente dal proprietario (30): per fruire dell’esonero l’immobile deve essere utilizzato direttamente dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c), del TUIR, e che essi ne abbiano il “possesso”. Tale interpretazione, costituzionalmente orientata, ha ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale che con due distinte pronunce ha offerto una lettura dell’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992, sistematica e coerente con l’ordinamento tributario nonché con il principio di capacità contributiva (31).
Sotto il profilo soggettivo occorre che gli immobili siano posseduti dall’ente non commerciale in qualità di utilizzatore al fine di far coincidere l’ente proprietario che rientri nella categoria di cui al menzionato art. 87, comma 1, lett. c), del TUIR, con l’ente che utilizza l’immobile stesso. Il D.M. n. 200/2012 specifica che «lo svolgimento di attività sportive si ritiene effettuato con modalità non commerciali se le medesime attività sono svolte a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un corrispettivo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio».
In un interessante arresto giurisprudenziale la Corte di Cassazione si è espressa sull’esenzione ai fini dell’ICI di immobili di proprietà della società Federcalcio srl da parte della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.). Nella fattispecie concreta si è verificata una formale distinzione tra ente proprietario (una società a responsabilità limitata) ed ente utilizzatore (ente pubblico) sebbene la FIGC sia titolare della totalità delle quote della società sicché la forma societaria non è altro che «una forma giuridica data a quella che è – nella realtà sostanziale – una mera articolazione organizzativa dell’ente pubblico, il quale ultimo, quindi, eserciterebbe il possesso di fatto sull’immobile proprio utilizzando la società da esso stesso creata a tale scopo». La Corte, tuttavia, non approfondisce il profilo soggettivo limitandosi ad analizzare il solo requisito oggettivo dirimente della causa in questione. Gli immobili, infatti, non erano destinati esclusivamente ed effettivamente ad un’attività sportiva consistente, in via diretta e non mediata, nella pratica di uno sport bensì in essi si svolgevano attività strumentali, di tipo organizzativo o gestionale. In mancanza del requisito oggettivo, dunque, tali immobili devono essere attratti a tassazione.
Come, infatti, chiarito anche dalla prassi ministeriale l’esenzione dall’imposta degli immobili dedicati all’attività sportiva deve essere concessa solo laddove «vengono esercitate le attività sportive rientranti nelle discipline riconosciute dal CONI, a condizione che siano svolte dalle associazioni sportive e dalle relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi dell’art. 90 della legge n. 289 del 2002» (32). Nel documento di prassi si precisa, inoltre, che per la concessione dell’esenzione è necessario che l’ente possessore dell’immobile svolga nell’immobile esclusivamente attività sportiva agonistica organizzata direttamente (ad esempio, partite di campionato, organizzazione di corsi, tornei) e non si limiti a mettere a disposizione lo stabile per l’esercizio individuale dello sport (ad esempio, affitto di campi da tennis, gestione di piscine con ingressi a pagamento, affitto di campi da calcio a singoli o gruppi). Ne consegue che l’esenzione non deve essere riconosciuta ai palazzetti dello sport, ai campi e agli impianti sportivi nei quali l’attività svolta dall’ente non è direttamente quella “sportiva”, ma di affitto degli spazi.
In un ulteriore arresto giurisprudenziale la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi su una invocata esenzione di un complesso sportivo comprendente un campo di calcio, un campo di calcetto coperto con relativi servizi per la sede del Comitato Regionale della FIGC necessari a soddisfare le esigenze delle società sportive dilettantistiche locali (33). Gli immobili sebbene utilizzati per l’esclusivo svolgimento di attività sportive dal Comitato quale associazione di diritto privato priva di personalità giuridica erano di proprietà della società Federcalcio srl. Il Supremo consesso ha ritenuto non sussistente l’esenzione dall’imposta in mancanza del requisito soggettivo: il soggetto passivo dell’imposta è la società in quanto possessore degli immobili la quale non può godere dell’esonero fiscale in quanto si tratta di un ente commerciale difettando, quindi, della qualità di soggetto di cui all’art. 87 del TUIR. La società, infatti, svolge un’attività necessariamente economica in quanto avente veste di società di capitali togliendo rilevanza anche all’utilizzazione per attività sportiva dell’immobile.
6. L’esenzione dall’imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni per la pubblicità realizzata negli impianti
Un ulteriore intervento di favor relativo all’ambito tributario concerne l’imposta comunale sulla pubblicità che colpisce la disponibilità dell’impianto attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso. Il tributo è disciplinato dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e attrae a tassazione la diffusione di messaggi pubblicitari «in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile» che avvenga nel territorio comunale. Tale diffusione è assoggettata a tassazione solo se effettuata nell’esercizio di un’attività economica, con il precipuo fine di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzata a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato (34).
La disposizione agevolativa è stata introdotta dall’art. 1, comma 128, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che prevede l’esenzione dall’imposta di pubblicità dell’attività di pubblicità realizzata negli impianti utilizzati per manifestazioni sportive dilettantistiche con capienza inferiore a tremila posti, effettuata dalle associazioni sportive dilettantistiche e dalle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro. Si tratta di una disposizione interpretativa dell’art. 90, comma 11-bis, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003), contente disposizione di favore per l’attività sportiva dilettantistica, volta ad esonerare dall’imposta le società sportive dilettantistiche che regolarmente espongono spazi pubblicitari nelle strutture sportive in occasione di manifestazioni sportive dilettantistiche.
A fronte di tale disposizione l’atteggiamento dei Comuni è stato spesso frammentato e disomogeneo poiché alcuni enti locali hanno stabilito dei limiti all’applicazione dell’agevolazione ritenendo che l’esenzione non operasse quando la pubblicità veniva realizzata da soggetti commerciali che pubblicizzavano il loro nome, marchio o prodotto all’interno dell’impianto sportivo. A titolo esemplificativo la pubblicità realizzata dallo sponsor non veniva pertanto considerata esente.
In tal senso si è espressa anche l’ANCI (35) che ha ritenuto non legittima un’estensione delle esenzioni alle pubblicità commerciali degli sponsor delle società medesime in quanto la ratio della norma esonerativa farebbe riferimento soggettivo alle sole dirette attività delle società sportive dilettantistiche.
Di parere contrario l’Amministrazione finanziaria che con nota 3 aprile 2007, n. 1576/DPF, ha fornito importanti chiarimenti in materia di esenzione dall’imposta comunale in esame per la pubblicità realizzata negli impianti utilizzati per manifestazioni sportive dilettantistiche con capienza inferiore a tremila posti. L’interpretazione ministeriale della disposizione sostiene che l’esenzione dal pagamento del tributo va applicata a qualsiasi esposizione pubblicitaria rivolta all’interno degli impianti sportivi, effettuata dai soggetti individuati dall’art. 90, comma 1, della legge n. 289/2002, ovverosia le associazioni sportive dilettantistiche e le società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro. La mens legis è, dunque, quella di favorire la pubblicità “in qualunque modo realizzata” dai soggetti che utilizzano impianti di modeste dimensioni per lo svolgimento di manifestazioni sportive dilettantistiche. Ne discende che l’esenzione deve essere estesa anche alla fattispecie in cui vengano esposti messaggi pubblicitari che non riguardino specificamente le società utilizzatrici degli impianti sportivi, ma soggetti terzi (36).
Non rileva, pertanto, che la pubblicità sia riconoscibile all’esterno dell’impianto sportivo in quanto è sufficiente, affinché l’esenzione sia applicabile, che i messaggi pubblicitari siano esposti su strutture interne all’impianto sportivo. Ai fini del riconoscimento dell’esenzione è quindi sufficiente che i messaggi pubblicitari siano esposti sulle strutture interne dell’impianto sportivo, essendo ininfluente la loro eventuale visibilità anche all’esterno dell’impianto stesso.
7. Conclusioni
L’impiantistica sportiva è sostenuta da alcune misure di favor del legislatore tributario che riconosce agevolazioni ed esenzioni fiscali per i singoli tributi che potrebbero colpire tali infrastrutture. Tali agevolazioni sono particolarmente presenti a livello locale considerato che la fiscalità comunale è incentrata principalmente nella tassazione degli immobili. Si pensi, ad esempio, alle agevolazioni concesse a valere sull’IMU e sull’imposta comunale sulla pubblicità che comportano un risparmio fiscale non indifferente per i soggetti passivi al fine di tutelare e promuovere l’utilizzo degli impianti sportivi.
Tale tutela delle infrastrutture sportive trova un puntuale riscontro anche a livello europeo laddove con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, avvenuta nel dicembre 2009, l’Unione europea ha acquisito per la prima volta una competenza specifica nel settore dello sport. Agevolazioni fiscali a valere sull’IVA ed esenzioni dal settore degli aiuti di Stati rappresentano interventi tangibili delle Istituzioni europee a favore dell’impiantistica sportiva.
Al fine di riconoscere chiaramente la funzione sociale dello sport e favorire, con l’introduzione di nuovi e più efficaci strumenti, uno sviluppo territoriale dell’impiantistica anche per le discipline sportive di base è stata di recente presentata una proposta di legge di iniziativa parlamentare (37) avente ad oggetto l’incremento e la manutenzione del patrimonio impiantistico sportivo tramite incentivi statali e le agevolazioni finanziarie e tributarie per le società e le associazioni sportive dilettantistiche.
Conclusivamente, non si può che auspicare la pronta definizione di una disciplina quanto mai urgente e opportuna.
Prof. Antonio Uricchio
Ordinario di diritto tributario
Università degli studi di Bari Aldo Moro
* Relazione presentata al convegno “le politiche pubbliche in Europa in materia di Sport e di impiantistica sportiva”, tenuto a Roma, Università degli Studi di Roma Foro italico, il 3 ottobre 2014.
(1) Il piano d’azione contempla, tra le altre proposte, elaborazione di linee direttrici sull’attività fisica nonché la realizzazione di una rete europea di promozione dello sport come fattore benefico alla salute; un maggior coordinamento della lotta contro il doping su scala europea; l’attribuzione di un’etichetta europea alle scuole incoraggiando la pratica di attività fisiche; l’avvio di uno studio sul volontariato nello sport; il miglioramento dell’inserimento sociale e dell’integrazione tramite lo sport attraverso i programmi e i fondi europei; la promozione dello scambio di informazioni, di esperienze e di buone pratiche in materia di prevenzione degli incidenti razzisti e violenti fra i servizi repressivi e le organizzazioni sportive; il rafforzamento del ricorso allo sport come strumento della politica europea di sviluppo; la creazione di statistiche che consentano di quantificare l’incidenza economica dello sport; la realizzazione di uno studio sul finanziamento pubblico e privato dello sport; un’analisi d’impatto sulle attività degli agenti di giocatori nonché una valutazione del valore aggiunto di un eventuale intervento comunitario nel settore; una migliore strutturazione del dialogo sullo sport a livello comunitario, soprattutto mediante l’organizzazione di un forum annuale sullo sport; un’intensificazione della cooperazione intergovernativa in materia di sport; la promozione della creazione di comitati di dialogo sociale nel settore dello sport e dell’appoggio ai datori di lavoro e ai lavoratori dipendenti.
(2) Si consenta il rinvio a A. Uricchio, Locazione (dir. trib.) in Enc. giur. Treccani, Roma, 2009.
(3) Cfr. Corte Giust. CE, sez. V, 18 gennaio 2001, causa C-150/99, Stockholm Lindöpark, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cfr. Corte Giust. UE, sez. IX, 22 gennaio 2015, causa C-55/14, Régie communale autonome du stade Luc Varenne, in Boll. Trib. On-line.
(5) Per una sua applicazione in Italia ved. Cass., sez. trib., 11 dicembre 2012, n. 22578, in Boll. Trib. On-line, e anche in Enti non profit, 2013, 4, 13, con nota di G. Martinelli – C. Musuraca, Sport dilettantistico: quando (e se) sono esenti da IVA le prestazioni di servizi?
(6) Ved. Corte Giust. CE, sez. IV, 16 ottobre 2008, causa C-253/07, Canterbury Hockey Club, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. CE, sez. III, 12 gennaio 2006, causa C-246/04, Turn-und Sportunion Waldburg, ivi; Corte Giust. CE, sez. V, 21 marzo 2002, causa C-174/00, Kennemer Golf & Country Club, in Boll. Trib., 2002, 953, e anche in Corr. trib., 2002, 2910, con nota di N. Forte, Esenti le prestazioni connesse all’attività sportiva effettuate da enti non lucrativi, nonché in Riv. giur. trib., 2002, 1002, con nota di L. Barone, La Corte di Giustizia cerca una definizione comunitaria autonoma ed uniforme di ente senza scopo lucrativo; e Corte Giust. CE 7 maggio 1998, causa C-124/96, Commissione delle Comunità europee contro Regno di Spagna e Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cfr. Cass., sez. trib., 7 marzo 2012, n. 3513, in Boll. Trib. On-line.
(8) Per approfondimenti sul tema, cfr. L. Del Federico, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, 1.
(9) Come osservato da L. Marzullo, Parchetti ed impianti sportivi: quale trattamento Iva?, in il fisco, 2005, 2269: «Infatti, a mio parere, se un impianto è destinato alla collettività o, meglio se può essere utilizzato da un numero imprecisato di soggetti, esso sicuramente risulterebbe destinato ad un servizio pubblico (promozione della pratica sportiva) e, conseguentemente, rientrerebbe tra i beni patrimoniali indisponibili, mentre, a mio giudizio, se un impianto sportivo non è suscettibile di un uso generalizzato ma solo particolare di una determinata società sportiva (o un uso polivalente e diversificato in quanto sede di congressi o concerti), costituendone la sede per lo svolgimento delle gare da parte dei propri iscritti o tesserati, è difficile pensare che lo stesso sia destinato ad un servizio pubblico come innanzi definito e, conseguentemente, possa rientrare tra i beni patrimoniali indisponibili ma piuttosto sembra più naturale la sua allocazione tra i beni disponibili di un comune. Pertanto, nel primo caso, occorre verificare se, nello svolgimento dell’attività, l’ente locale pone in essere poteri autoritativi, o meglio agisca nel regime proprio di diritto pubblico attraverso atti e provvedimenti di carattere amministrativo e/o attraverso regolamenti; detta ipotesi concretizza un’attività autoritativa, ai sensi di quanto precisato dalla giurisprudenza comunitaria, e come tale rimane esclusa dalla sfera impositiva dell’Iva per carenza del presupposto soggettivo, sempre che, risulta evidente, la stessa attività si ponga in evidente concorrenza con la medesima attività esercitata da operatori privati. Viceversa, nel secondo caso, il medesimo ente, in considerazione della natura del bene (patrimonio disponibile) è tenuto ad utilizzare, in ogni caso, un regime giuridico meramente privatistico e, di conseguenza, ponendo in essere un’attività con modalità analoghe a quelle degli operatori privati, eserciterà la stessa con criteri imprenditoriali e quindi essa sarebbe da assoggettare ad Iva a tutti gli effetti, in quanto si verificherebbe il requisito soggettivo, oltre che quello oggettivo. Per cui, come si può constatare, al fine di addivenire ad un corretto trattamento Iva, gli enti pubblici, nella gestione dei propri beni, devono accertare le modalità di esercizio dell’attività e soltanto successivamente stabilirne la rilevanza o meno agli effetti del tributo, secondo quanto precisato nelle precedenti considerazioni».
(10) In Boll. Trib., 1981, 651.
(11) In Boll. Trib., 1985, 1064.
(12) In Boll. Trib., 1985, 1574.
(13) Sul tema cfr. N. Bassi, La proprietà e la gestione degli impianti sportivi, in Riv. dir. sportivo, 2013, 15 ss.
(14) Cfr. ris. 12 ottobre 2001, n. 157/E, in Boll. Trib., 2001, 1566; sul tema ved. anche Cass., sez. trib., 5 novembre 2008, n. 26508; e Cass., sez. trib., 23 ottobre 2003, n. 15948; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(15) In Boll. Trib., 1986, 1748.
(16) Cfr. ris. 4 novembre 1986, prot. 361922, in Boll. Trib., 1986, 1748.
(17) In Boll. Trib., 1986, 1572.
(18) Cfr. ris. 6 marzo 2008, n. 78/E, in Boll. Trib. On-line.
(19) In tal senso ved. ris. 30 luglio 1990, n. 430372, in Boll. Trib., 1990, 1410; e circ. 2 marzo 1994, n. 1, ivi, 1994, 401.
(20) Su tale problematica si rinvia a A. Uricchio, Il federalismo della crisi o la crisi del federalismo?, Bari, 2012; ID., Imposizione di scopo e federalismo fiscale, Rimini, 2013; e ID., La fiscalità locale tra modelli gestori e nuovi strumenti di prelievo, Rimini, 2013. Cfr. inoltre G. Salanitro, Prime riflessioni sull’imposta di scopo per il finanziamento di opere pubbliche, in Riv. dir. trib., 2007, 1, 1123 s. Sull’attivazione d’ufficio della procedura cfr. V. Ficari, L’autonomia normativa tributaria degli enti locali e la legge finanziaria, in Rass. trib., 2007, 902.
(21) Sul tema si rinvia, per tutti, a M. Ingrosso, Agevolazioni fiscali e aiuti di stato, Napoli, 2009.
(22) Cfr. A. Pedicini – T. Tiani, Lo sport e le risorse finanziarie nell’Unione Europea: l’inquadramento della disciplina a favore della costruzione e ristrutturazione degli impianti sportivi, in Riv. dir. ed eco. sport, 2012, 56 ss.; e V. Bassi, Sport, fisco e aiuti di Stato: sussidiarietà e federalismo fiscale, una soluzione percorribile?, ivi, 2007, 107 ss. Più in generale, sul tema, cfr. M. Aulenta, La lesione della concorrenza ed il divieto di aiuti di Stato, in A. Uricchio – G. Chiarelli (a cura di), Elementi di finanza pubblica comunitaria, Roma, 2011, 149 ss.
(23) Cfr. decisione 19 dicembre 2013.
(24) Si vedano le decisioni della Commissione europea 9 aprile 2002; 7 maggio 2004; 14 dicembre 2004; e 27 febbraio 2008.
(25) Ved. l’art. 13 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), nonché gli artt. 8 e 9 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23.
(26) Sul tema cfr. G.M. Colombo, Dall’Ici all’Imu: come cambia la disciplina per gli enti non commerciali, in Corr. trib., 2012, 1272 ss.
(27) Cfr. Cass., sez. trib., 13 maggio 2005, n. 10092, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 20 maggio 2005, n. 10646, in Boll. Trib., 2006, 1410; Cass, sez. trib., 29 febbraio 2008, n. 5485, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 17 settembre 2010, n. 19731, ivi.
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(28) Per un commento al decreto cfr. G.M. Colombo, Enti non commerciali e Imu: il regolamento non chiarisce i punti controversi, in Corr. trib., 2012, 3702 ss.
(29) Sul tema ved. F. Aiello, Le problematiche ancora aperte dell’esenzione da ICI per i fabbricati posseduti dagli enti locali, in Massimario delle Commissioni Tributarie della Puglia, 2009, 1-2, 56 ss.
(30) Cfr. Cass., sez. un., 26 novembre 2008, n. 28160; Cass., sez. trib., 21 marzo 2012, n. 4502; e Cass., sez. trib., 24 febbraio 2012, n. 2821; tutte in Boll. Trib. On-line.
(31) Cfr. Corte Cost. 19 dicembre 2006, n. 429, in Boll. Trib., 2007, 301; e Corte Cost. 26 gennaio 2007, ord. n. 19, in Boll. Trib. On-line.
(32) Così circ. 26 gennaio 2009, n. 2/DF, in Boll. Trib., 2009, 225.
(33) Cfr. Cass., sez. trib., 17 ottobre 2008, n. 25376, in Boll. Trib. On-line.
(34) Per approfondimenti su tale tributo cfr. A. Uricchio, Manuale dei tributi locali, Rimini, 2014.
(35) Cfr. nota ANCI 8 febbraio 2006.
(36) Cfr. G. Ielo, Imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni, in Azienditalia finanza e tributi. Le monografie, 2007, 87 ss.
(37) Cfr. la proposta di legge Camera dei Deputati 10 ottobre 2013, 1680, che detta «Disposizioni per il riconoscimento e la promozione della funzione sociale dello sport nonché delega al Governo per la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di attività sportiva».