19 Ottobre, 2012

sommario: 1.i criteri di classificazione degli interessi passivi nel bilancio delle imprese di assicurazione; 1.1La classificazione in bilancio degli oneri finanziari relativi ad investimenti connessi ai rami vita e ai rami danni e degli altri oneri finanziari; 1.2I criteri per la capitalizzazione degli interessi passivi – 2.gli interessi passivi nella disciplina ires delle imprese di assicurazione; 2.1L’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 96, comma 5-bis, del TUIR; 2.2La disciplina del consolidato nazionale; 2.3Il caso delle holding assicurative 3.gli interessi passivi nella disciplina irap delle imprese di assicurazione; 3.1La (limitata) rilevanza degli interessi passivi.

 

1.i criteri di classificazione degli interessi passivi nel bilancio delle imprese di assicurazione

 

La disciplina di bilancio delle imprese di assicurazione è disseminata in diversi provvedimenti legislativi e regolamentari che, solo attraverso una lettura “combinata”, consentono di inquadrare in maniera sistematica la materia. Al riguardo, è opportuno muovere dal D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (“Codice delle Assicurazioni Private”) il cui art. 91 [1] – con riferimento al bilancio d’esercizio – introduce una distinzione tra le imprese assicurative tenute all’applicazione dei principi contabili internazionali (obbligatori per le società «che emettono strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell’Unione Europea e che non redigono il bilancio consolidato») e le altre imprese che, invece, applicano la disciplina tradizionale di bilancio prevista dal D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173 [2]. Nel presente lavoro l’analisi è limitata a questi ultimi soggetti (che costituiscono la parte prevalente degli operatori del settore) [3] ed è finalizzata a definire il trattamento degli interessi passivi nei bilanci assicurativi al fine di poterne successivamente esaminare la disciplina fiscale ai fini IRES e IRAP.

 

1.1.“La classificazione in bilancio degli oneri finanziari relativi ad investimenti connessi ai rami vita e ai rami danni e degli altri oneri finanziari

 

Il bilancio assicurativo si compone di tre conti: i primi due (definiti “conti tecnici”) sono espressivi, rispettivamente, dell’attività svolta nei “rami danni” e nei “rami vita”, mentre il terzo (il “conto non tecnico”), oltre alla somma algebrica dei risultati dei due conti tecnici, contiene gli ulteriori componenti economici che consentono di determinare il risultato dell’esercizio. Il trattamento dei proventi e degli oneri finanziari varia in funzione del ramo di attività cui gli stessi sono riferibili. Sul punto, l’art. 54 del D.Lgs. n. 173/1997 precisa che, in caso di esercizio dell’attività nei soli “rami vita”, «i proventi e oneri finanziari connessi con gli investimenti devono figurare nel conto tecnico dei rami vita» mentre i medesimi, in caso di attività limitata ai soli rami danni, devono essere esposti nel conto non tecnico. In caso di esercizio congiunto dell’attività assicurativa nei due rami, i proventi e gli oneri degli investimenti «devono figurare nel conto tecnico dei rami vita nella misura in cui siano direttamente connessi con l’esercizio dell’assicurazione vita», mentre il conto non tecnico è destinato ad accogliere i componenti connessi agli altri investimenti. Dal delineato quadro emerge con sufficiente chiarezza la necessità di attribuire il risultato riferibile agli investimenti connessi ai rami danni al conto non tecnico. Al contrario, il risultato degli investimenti connessi ai rami vita deve concorrere a formare l’utile del relativo conto tecnico (attraverso le voci II.2 “Proventi da investimenti” e II.9 “Oneri patrimoniali e finanziari”) [4]. La ratio di tale asimmetria normativa è da ricercarsi nella peculiarità dell’attività esercitata nei rami vita e nell’importanza preponderante, considerata la pluriennalità dei contratti, dell’attività di investimento delle risorse finanziarie acquisite con l’incasso dei premi. La collocazione del risultato dell’attività di investimento nel conto tecnico è, quindi, fondata sulla stretta correlazione tra i processi patrimoniali e assicurativi che caratterizza i rami vita: il legame è talmente stretto che il risultato dell’attività di investimento finisce per confluire, insieme a quello dell’attività tipica, nel relativo conto tecnico. Detto legame si attenua notevolmente nel caso dell’attività dei rami danni ed è per questo che il relativo conto tecnico non ne accoglie il risultato (collocato, invece, nel conto non tecnico nelle voci III.3 “Proventi da investimenti dei rami danni” e III.5 “Oneri patrimoniali e finanziari dei rami danni”). Ciò detto in termini generali, va osservato che è previsto il trasferimento di una quota dell’utile degli investimenti dal conto non tecnico al conto tecnico dei rami danni in ragione del fatto che tale risultato potrebbe essere stato generato dall’impiego dei mezzi finanziari alimentati dalle assicurazioni contro i danni. Analogamente, è previsto il trasferimento dal conto tecnico dei rami vita al conto non tecnico di una quota dell’utile degli investimenti connessi ai rami medesimi [5].

Nelle richiamate voci, come chiarito dall’allegato 9 del Regolamento ISVAP n. 22 del 2008 [6], vanno classificati gli oneri finanziari relativi agli investimenti (ad esempio, i differenziali generati da contratti derivati connessi agli investimenti) e i soli «interessi passivi su depositi trattenuti dall’impresa ai riassicuratori per i rischi ceduti» [7]. Questi ultimi, in particolare, sono costituti da oneri finanziari dovuti dall’impresa in relazione a depositi cauzionali ricevuti a garanzia dell’esecuzione degli obblighi gravanti sui riassicuratori. Secondo i criteri generali sopra declinati, gli oneri in commento vengono attribuiti al conto non tecnico (se relativi ai rami danni) o al conto tecnico dei rami vita (se ad essi riferibili).

Gli oneri finanziari relativi all’indebitamento si collocano, invece, nel conto non tecnico. In particolare la voce III.8 “Altri oneri” contiene l’ammontare «degli interessi passivi e degli altri oneri finanziari relativi a passività subordinate, debiti verso banche, prestiti obbligazionari ed altri prestiti» [8]. Tale voce contiene, quindi, tutti gli oneri derivanti dall’indebitamento finanziario delle imprese assicuratrici. La sua collocazione all’interno del conto non tecnico assume particolare rilevanza ai fini dell’IRAP, come vedremo nel prosieguo.

 

1.2.I criteri per la capitalizzazione degli interessi passivi

 

La capitalizzazione degli interessi passivi nel bilancio delle imprese assicurative è regolata dall’art. 16 del D.Lgs. n. 173/1997 che la limita ai soli immobili – con obbligo di segnalazione in nota integrativa – relativamente al «periodo di costruzione e fino al momento a decorrere dal quale l’immobile può essere utilizzato». È stato evidenziato come la disposizione abbia un ambito di applicazione – limitato appunto ai soli beni immobili – più circoscritto rispetto a quella codicistica che consente la capitalizzazione con riferimento a qualsiasi immobilizzazione pur nel rispetto dei precisi limiti fissati dai principi contabili. La limitazione può essere giustificata, come rilevato in dottrina [9], dalla preponderanza degli investimenti immobiliari per questo tipo di società [10].

 

2. gli interessi passivi nella disciplina ires delle imprese di assicurazione

 

Nel periodo immediatamente successivo alla riforma recata dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, i soggetti operanti in ambito bancario, finanziario e assicurativo non subivano alcuna limitazione nella deduzione degli interessi passivi in quanto gli stessi erano sottratti alla disciplina del novellato art. 96 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito, TUIR). La scelta normativa era dettata dalla centralità dell’indebitamento nei bilanci bancari, ma di fatto consentiva la deduzione integrale degli interessi anche nel caso (come nel comparto assicurativo) in cui l’indebitamento contratto fosse destinato ad attività diverse da quella di concessione di finanziamenti [11]. In questo contesto è intervenuto il D.L. 25 giugno 2008, n. 112 [12], introducendo per i soggetti di cui al quinto comma dell’art. 96 una disciplina forfetaria che consente la deduzione degli interessi passivi nei limiti del 96 per cento del relativo ammontare (art. 96, comma 5-bis).

 

2.1.L’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 96, comma 5-bis, del TUIR

 

La disposizione si limita a prevedere che «gli interessi passivi sostenuti dai soggetti indicati nel primo periodo del comma 5 sono deducibili … nei limiti del 96 per cento del loro ammontare».

Il carattere sintetico della norma richiede qualche chiarimento con riguardo al suo ambito oggettivo di applicazione.

In primo luogo, appare chiaro che gli interessi cui la norma si riferisce sono quelli imputati al conto economico: ne consegue che gli oneri finanziari eventualmente capitalizzati non sono soggetti alla disposizione in esame. Con specifico riferimento alle imprese assicurative, va richiamato come, alla luce della disciplina di bilancio, la capitalizzazione degli interessi passivi sia consentita in fattispecie molto limitate (cfr. § 1.2).

In secondo luogo, va osservato che la disposizione si limita a richiamare gli interessi passivi senza aggiungere alcuna precisazione con riguardo alla causa dei rapporti che li generano: in particolare, la norma non precisa se la limitazione si applichi esclusivamente agli oneri derivanti dai rapporti aventi causa finanziaria come avviene per le imprese diverse da quelle di cui al quinto comma dell’art. 96. La soluzione al quesito deve essere positiva: sul punto, concorda l’Amministrazione finanziaria che ritiene applicabile la norma in commento agli interessi passivi «sempreché trovino fonte in rapporti che assolvono ad una funzione finanziaria e cioè di impiego di capitale, così come definiti dal comma 3 dell’art. 96 del Tuir» [13].

In terzo luogo, è da notare che il comma 5-bis – a differenza delle altre disposizioni dell’art. 96 – è riferito letteralmente ai soli interessi passivi e non contempla gli oneri ad essi assimilati. Ciò appare coerente con la voluntas legislatoris che emerge in maniera molto chiara dalla relazione di accompagnamento del D.L. n. 112/2008 nella quale viene fatto esclusivo riferimento agli “interessi passivi”. La consecutio temporale delle norme (il comma 5-bis è stato introdotto successivamente alle disposizioni per le imprese industriali e commerciali, riferite anche agli oneri assimilati) sembra certificare ulteriormente la volontà di limitare la disposizione in commento ai soli interessi passivi. Cionondimeno, l’Agenzia delle entrate si attesta su una propria posizione secondo la quale «nonostante la norma faccia letterale riferimento ai soli interessi passivi, esigenze di coerenza e sistematicità … portano a ritenere che in tale voce devono intendersi inclusi anche gli oneri ad essi assimilati» [14]. Nell’argomentare questa presa di posizione l’Agenzia afferma che «in particolare, per le banche e gli altri soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali, trova applicazione l’art. 83 del Tuir per cui ai fini fiscali assumono rilevanza i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti da detti principi. Pertanto, si ritiene che le banche possano dedurre il 96 per cento degli interessi passivi ed oneri assimilati, iscritti in bilancio secondo corretti principi contabili sempreché derivino da rapporti di natura finanziaria». Sembra potersi desumere che secondo l’Agenzia il comma 5-bis ha limitato la propria attenzione ai soli interessi passivi, in quanto i principali destinatari della norma (le banche) applicano i principi contabili internazionali che li portano a riqualificare in interessi passivi anche gli oneri ad essi assimilati. In quest’ottica, si potrebbe concludere che la limitazione alla deducibilità non trovi applicazione per gli oneri assimilati nel caso in cui tale riqualificazione non operi, come avviene per la maggior parte delle imprese assicurative (che non applicano nel bilancio d’esercizio gli IAS/IFRS) [15].

L’orientamento dell’Agenzia delle entrate obbliga a soffermarsi sui confini della nozione di “onere assimilato”. La stessa Amministrazione finanziaria ritiene che sia tale qualsiasi onere «che presenti un contenuto economico sostanziale assimilabile ad un interesse passivo» assumendo rilevanza «una nozione non meramente nominalistica ma sostanzialistica di interessi» [16].

Muovendo da questo presupposto, l’Agenzia ritiene “assimilati”, a titolo esemplificativo, gli sconti passivi su finanziamenti, il differenziale tra prezzo a pronti e prezzo a termine nelle operazioni di pronti contro termine, i disaggi di emissione, i componenti connessi a derivati stipulati con finalità di copertura dal rischio di oscillazione dei tassi di interesse e le commissioni su finanziamenti e fideiussioni [17].

Al riguardo, si osserva che l’approccio sostanzialista dell’Amministrazione finanziaria rischia di estendere oltre misura la nozione di oneri assimilati fino a ricomprendervi buona parte degli oneri finanziari.

Un limite a questi possibili eccessi deve essere ricercato muovendo dalla definizione giuridica degli “interessi” che l’art. 820 c.c. ascrive alla categoria dei frutti civili, tali essendo «quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia». A ciò si aggiunga che ai sensi dell’art. 821 c.c. i «frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata» del rapporto che li produce.

In questa prospettiva, l’interesse è identificabile con il corrispettivo dovuto a fronte della disponibilità di risorse finanziarie ed è necessariamente correlato al tempo intercorrente tra l’accensione e l’estinzione del prestito. È una forma di remunerazione che matura pro rata temporis e che solo per effetto del trascorrere del tempo diventa dovuta. Questa nozione deve orientare l’interprete nell’identificazione degli oneri assimilati agli interessi passivi.

Con specifico riferimento ai soggetti IAS abbiamo già rilevato che taluni oneri assimilati connessi ad operazioni aventi causa finanziaria vengono riqualificati in bilancio come interessi passivi: in tal caso, la riqualificazione assume rilevanza anche ai fini fiscali [18] di talché gli oneri in questione (divenuti interessi passivi) sono soggetti alla disciplina del comma 5-bis dell’art. 96 del TUIR [19]. Ciò vale, ad esempio, per le commissioni bancarie sostenute al momento dell’accensione dei finanziamenti che, sulla base del criterio del costo ammortizzato, vengano riqualificate nel bilancio IAS come interessi passivi. Ove, invece, tale riqualificazione non operi (per i soggetti che applicano i principi italiani ovvero per i soggetti IAS con riferimento a specifici costi) dovrebbe restare valido il criterio generale che assume a riferimento la maturazione pro rata temporis quale metro per identificare gli oneri assimilati.

Su queste basi, vi è da chiedersi se sia applicabile, con riferimento ai soggetti che adottano i principi contabili italiani, la posizione assunta dall’Agenzia delle entrate con riguardo alle commissioni su finanziamenti: si tratta, infatti, di oneri che maturano istantaneamente al momento dell’accensione del prestito. Inoltre, gli oneri in questione non sembrano assimilabili alla nozione di interesse anche in ragione della diversa funzione economica svolta: le commissioni e gli oneri accessori ai finanziamenti, infatti, svolgono la funzione economica di consentire l’accesso al debito, non quella di remunerare pro-rata temporis la disponibilità delle risorse ottenute.

Le stesse criticità valgono – sempre per i soggetti diversi dagli IAS Adopter – per le commissioni su fideiussioni che costituiscono il corrispettivo di un servizio consistente nella prestazione di una “garanzia” che sarà escussa solo in via eventuale e al verificarsi di determinate condizioni. La commissione, in questo caso, risulta dovuta per il sol fatto che esiste la garanzia ed è del tutto indipendente da qualsiasi erogazione di denaro da parte del “garante”, non potendone conseguentemente costituire “remunerazione”. La remunerazione in questione, a ben vedere, rappresenta più un costo di natura assicurativa (attiene alla capacità di un certo soggetto, il garantito, di onorare i suoi impegni ed al rischio che vi è connesso) piuttosto che all’ammontare del debito od al decorso del tempo. Ciò vale anche per i soggetti IAS nella misura in cui la fideiussione non sia connessa ad un finanziamento: in tal caso, infatti, il costo della commissione resta (anche nel bilancio IAS) un onere sostenuto a fronte di prestazioni di servizi (di garanzia) e non viene riqualificato come interesse passivo [20].

Sembra, invece, condivisibile la posizione dell’Agenzia quando considera oneri assimilati i disaggi, gli scarti di emissione e i costi generati da operazioni di copertura relative a passività che generano interessi.

Anche con riferimento alle imprese di assicurazione, il criterio sopra declinato deve essere seguito, di volta in volta, nell’individuazione degli oneri assimilati.

Ciò detto in termini generali, specifiche considerazioni possono essere svolte proprio con riferimento a componenti tipiche dei bilanci assicurativi.

In primo luogo, va notato che gli interessi passivi maturati su depositi cauzionali dovuti a riassicuratori non scontano le limitazioni di cui all’art. 96 inquanto la causa del rapporto sottostante non è finanziaria ma «quella della copertura dei rischi di controparte verso il riassicuratore» [21]. I riassicuratori rilasciano alla compagnia assicurativa dei depositi cauzionali a garanzia dell’adempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di riassicurazione. Gli oneri finanziari dovuti dall’assicuratore in relazione a tali depositi cauzionali derivano, quindi, da un rapporto avente causa di garanzia (e non finanziaria) in quanto, come detto, i depositi hanno proprio la funzione di garantire l’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali gravanti sul riassicuratore.

In secondo luogo, è da osservare che la rilevanza come oneri assimilati dei componenti connessi ai derivati di copertura dei tassi di interesse [22] deve essere apprezzata tenendo presente che il comma 5-bis dell’art. 96 limita la sua attenzione ai soli interessi passivi. Ne consegue che solo i componenti connessi a derivati stipulati a copertura delle variazioni dei flussi di interessi passivi possono ritenersi assimilati a questi ultimi [23] e, quindi, soggetti alla disposizione in commento. A conclusioni opposte si deve, invece, giungere per i componenti negativi connessi a derivati stipulati a copertura di flussi attivi di interessi in quanto essi non incidono sugli interessi passivi [24]. Ciò vale, nel caso delle imprese di assicurazione, per i derivati stipulati con finalità di copertura del rischio di oscillazione del tasso di interesse degli investimenti [25].

Analogamente non possono essere considerati assimilati i componenti negativi connessi a derivati speculativi dal momento che essi non hanno alcuna relazione con gli interessi passivi.

Con riferimento ai pronti contro termine, invece, occorre distinguere le posizioni del cedente e del cessionario a pronti. Va, infatti, rilevato che tali operazioni rappresentano per il cessionario a pronti delle forme di investimento. Ne consegue che gli eventuali componenti negativi realizzati dal cessionario a pronti non potrebbero essere assimilati agli interessi passivi in quanto connessi a posizioni attive e non a debiti. Nella prospettiva del cedente a pronti, invece, l’operazione rappresenta una forma di provvista con la conseguenza che l’eventuale differenziale negativo tra prezzo a pronti e prezzo a termine costituisce onere assimilato agli interessi passivi [26].

In terzo luogo, va ricordata una recente modifica legislativa [27] che consente – nei limiti previsti dall’art. 96, comma 5-bis – la deducibilità, in capo all’impresa assicuratrice emittente, della remunerazione degli strumenti finanziari rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale ai sensi della normativa comunitaria e delle discipline prudenziali nazionali. Come si legge nella relazione illustrativa, la norma «è intesa a fronteggiare la crisi finanziaria in campo internazionale» e consente la deduzione della remunerazione in commento anche qualora l’emissione dei titoli venga rilevata direttamente ad incremento del patrimonio netto dell’emittente [28].

Non si è, invece, colta l’occasione per sottrarre le imprese assicuratrici dall’ambito di applicazione della disciplina che limita la deduzione degli interessi passivi relativi ai prestiti obbligazionari caratterizzati, al momento dell’emissione, da un tasso effettivo di rendimento eccedente il doppio del tasso ufficiale di riferimento (per le obbligazioni quotate su mercati regolamentati di Paesi aderenti all’UE) ovvero il tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi (per le altre obbligazioni). In tal caso, la disposizione normativa [29] prevede l’indeducibilità degli interessi corrispondenti all’eccedenza del tasso di rendimento effettivo rispetto al tasso “soglia”. Dall’ambito applicativo di tale disposizione sono state espressamente escluse [30], oltre alle società quotate, anche le banche. Per le imprese assicurative, invece, la norma rimane applicabile e contiene una disposizione di indeducibilità assoluta da applicarsi prioritariamente rispetto al regime forfetario di cui al comma 5-bis dell’art. 96 [31]. Si tratta di una scelta discutibile ove si consideri che la norma in commento è destinata ad evitare “abusi” da parte dei “piccoli” emittenti. Per tale ragione, ne sono esclusi i soggetti vigilati (banche e società quotate): in questa prospettiva, sarebbe stato lecito attendersi l’esclusione anche per i soggetti vigilati dall’ISVAP.

 

2.2.La disciplina del consolidato nazionale

 

Il comma 5-bis dell’art. 96 del TUIR prevede che «nell’ambito del consolidato nazionale di cui agli articoli da 117 a 129, l’ammontare complessivo degli interessi passivi maturati in capo a soggetti partecipanti al consolidato a favore di altri soggetti partecipanti sono integralmente deducibili sino a concorrenza dell’ammontare complessivo degli interessi passivi maturati in capo ai soggetti di cui al periodo precedente partecipanti a favore di soggetti estranei al consolidato».

La disposizione, muovendo dal carattere unitario [32] della fiscal unit, ha l’obiettivo di evitare duplicazioni dell’indeducibilità forfetaria. Gli interessi passivi maturati in relazione a finanziamenti infragruppo sono, infatti, sottratti alle limitazioni del comma 5-bis per una quota corrispondente agli interessi corrisposti dal “gruppo” a soggetti estranei. L’intenzione del legislatore [33] è quella di limitare l’indeducibilità agli interessi dovuti dalla fiscal unit a soggetti terzi riconoscendo piena deducibilità agli interessi connessi all’utilizzo della provvista all’interno del consolidato. Come ammette la relazione di accompagnamento, tuttavia, il meccanismo è imperfetto perché «in caso di successivi finanziamenti a cascata all’interno del gruppo, gli ulteriori [rispetto a quelli maturati dal gruppo verso soggetti terzi, n.d.r.] interessi passivi corrisposti restano soggetti all’indeducibilità parziale».

Questo effetto è connaturato all’irrilevanza degli interessi attivi nell’ambito del comma 5-bis dell’art. 96: tutte le operazioni “passanti” (intese come successivi finanziamenti a cascata) determinano una penalizzazione, in quanto comportano l’integrale tassazione degli interessi attivi derivanti dall’operazione e una corrispondente deduzione solo parziale degli interessi passivi sostenuti (da altro soggetto del gruppo) in relazione alla medesima operazione [34]. In questo contesto, è evidente che in caso di utilizzo delle risorse ottenute da soggetti estranei al gruppo per effettuare (ad esempio) tre diversi finanziamenti a cascata nell’ambito della catena societaria (da A a B, da B a C e da C a D), solo gli interessi passivi corrisposti da B ad A beneficeranno della deducibilità integrale [35], mente gli interessi dovuti da C a B e da D a C saranno deducibili nei limiti del 96 per cento del loro ammontare (pur essendo i corrispondenti interessi attivi integralmente tassati in capo a B e a C) [36].

 

2.3.Il caso delle holding assicurative

 

Il regime del comma 5-bis dell’art. 96 del TUIR si applica, tra gli altri, ai soggetti finanziari indicati nell’art. 1 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, incluse le holding ma con l’eccezione di quelle che «esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in società esercenti attività diversa da quelle creditizia o finanziaria». La norma esclude, quindi, dal suo ambito applicativo le holding nel cui bilancio il valore contabile delle partecipazioni in società industriali «ecceda il 50 per cento del totale dell’attivo patrimoniale» [37]. A questo riguardo, è necessario chiedersi se le holding assicurative rientrino o meno nell’ambito delle società (escluse dal comma 5-bis) che esercitano in via prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in soggetti esercenti attività diversa da quelle creditizia o finanziaria. Il problema non si pone per le società «capogruppo di gruppi assicurativi», in quanto espressamente incluse nell’ambito di applicazione del comma 5-bis dell’art. 96. Il dubbio è, invece, legittimo con riferimento alle società che, pur possedendo prevalentemente partecipazioni in imprese di assicurazione, non siano a capo del gruppo assicurativo. In tal caso, stando alla lettera della disposizione, si dovrebbe concludere che tali holding siano escluse dal comma 5-bis [38]. Tuttavia, sul punto è intervenuta l’Agenzia delle entrate con una condivisibile interpretazione sistematica. La risoluzione 23 giugno 2011, n. 68/E [39], ha ritenuto, infatti, applicabile il comma 5-bis alle holding che esercitano in via esclusiva o prevalente attività di assunzione di partecipazioni in imprese assicurative [40]. Dette holding sono, quindi, assimilate alle holding che investono prevalentemente in soggetti “creditizi” e “finanziari”.

La conclusione raggiunta si fonda su una ripartizione dell’art. 96 indue aree definite, rispettivamente, “industriale” e “non industriale”. Quest’ultima (regolata dal comma 5-bis) costituisce un «regime speciale diretto al settore bancario, finanziario e assicurativo. Alla luce di ciò non sembrerebbe conforme alla finalità della norma una lettura della stessa che, al solo fine di qualificare la holding, attribuisse alle società partecipate che svolgono attività di assicurazione natura industriale». Inoltre, la holding assicurativa non avrebbe la possibilità – prevista per i gruppi industriali – di assorbire i propri interessi passivi indeducibili mediante utilizzo del ROL delle altre società consolidate, in quanto queste, essendo in prevalenza imprese assicuratrici, applicano il regime del comma 5-bis. Per tali ragioni è corretto equiparare tali holding a quelle finanziare e consentire alle stesse di applicare, nell’ambito del consolidato, il meccanismo correttivo esaminato al § 2.2 [41].

 

3.gli interessi passivi nella disciplina irap delle imprese di assicurazione

 

A seguito della riforma recata dalla citata legge n. 244/2007, l’IRAP è tendenzialmente un tributo “contabile”, nel senso che la relativa base imponibile è determinata (non senza eccezioni) sulla base delle risultanze del conto economico. Muovendo da tale presupposto, la normativa si preoccupa di individuare le voci di bilancio rilevanti: ciò vale anche per le imprese assicurative disciplinate dall’art. 7 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 [42]. Ne discende – come meglio infra – che la già esaminata classificazione di bilancio degli interessi passivi assume rilevanza decisiva a fini del loro trattamento in materia di IRAP.

 

3.1.

 

La base imponibile ai fini IRAP delle imprese assicurative è sostanzialmente ancorata alla somma algebrica dei risultati dei due conti tecnici, ancorché la norma preveda poi specifiche limitazioni [43]. Con riferimento agli interessi passivi la disposizione si preoccupa, in primo luogo, di escludere la deducibilità della «quota interessi dei canoni di locazione finanziaria», per poi precisare con una disposizione di chiusura (gemella di quella già esaminata ai fini IRES) che «gli interessi passivi concorrono alla formazione del valore della produzione nella misura del 96 per cento del loro ammontare». Gli interessi passivi da considerare a questi fini sono i soli interessi inclusi nei conti tecnici, in quanto la base imponibile ai fini IRAP – come già rilevato – parte dalla somma algebrica dei relativi risultati, di fatto espressione dell’attività caratteristica. Gli interessi inclusi nei conti tecnici – sempreché non riferibili a canoni di locazione finanziaria – sono deducibili sino a concorrenza del 96 per cento del loro ammontare. Al riguardo – come evidenziato in premessa – gli oneri finanziari connessi ad investimenti dei rami danni trovano collocazione nel conto non tecnico e, quindi, sono automaticamente esclusi dalla base imponibile IRAP. Al contrario, gli oneri finanziari riferibili ad investimenti nei rami vita sono classificati nel relativo conto tecnico e concorrono, quindi, alla base imponibile IRAP, sia pur nei limiti del 96 per cento del loro ammontare.

A questo proposito abbiamo già osservato che la disciplina di bilancio prevede il trasferimento (i) di una quota dell’utile degli investimenti dei rami danni dal conto non tecnico al conto tecnico e, viceversa, (ii) di una quota dell’utile degli investimenti dei rami vita dal conto tecnico al conto non tecnico. Ciò ha l’effetto di rendere rilevante (ovvero irrilevante) ai fini del tributo regionale una quota di risultato che, in assenza del trasferimento, non avrebbe concorso (ovvero avrebbe concorso) alla formazione della base imponibile. In questo contesto, gli operatori si sono interrogati sulla sorte di tali trasferimenti ai fini IRAP: il nodo è stato sciolto dall’Amministrazione finanziaria che – anche per esigenze di semplificazione – ha chiarito che i risultati dei conti tecnici rilevano ai fini IRAP come evidenziati dal bilancio (tenendo, quindi, conto dei trasferimenti di quote degli utili degli investimenti) anche se ciò può comportare qualche asimmetria impositiva [44]. In termini più precisi, va osservato che la quota di utile oggetto di trasferimento può essere influenzata, per quanto qui di interesse, anche dagli interessi passivi. Secondo l’impostazione dell’Amministrazione finanziaria, tuttavia, le quote di utile trasferite incidono ai fini IRAP [45] nella misura risultante dal bilancio senza che sia necessario operare alcuna rettifica per tener conto (scorporandola) della quota di interessi passivi che astrattamente concorre a formare l’utile trasferito. Ciò comporta, ad esempio, che nel caso di trasferimento di parte dell’utile degli investimenti dei rami vita al conto non tecnico, la misura degli interessi passivi relativi al conto tecnico dei rami vita rimarrà inalterata (anche se in parte idealmente trasferita) e sarà rilevante ai fini IRAP con le limitazioni specificamente previste. Per converso, il trasferimento di parte dell’utile degli investimenti dei rami danni dal conto non tecnico al conto tecnico non comporterà l’evidenziazione separata, nel medesimo conto tecnico, degli interessi passivi idealmente compresi nell’utile trasferito con la conseguenza che non troveranno applicazione le limitazioni previste per tali oneri.

Si è già evidenziato che le voci II.9 [46] e II.10 [47] del conto tecnico dei rami vita includono gli interessi passivi maturati sui depositi cauzionali dei riassicuratori e i componenti finanziari connessi ad investimenti dei rami vita (inclusi gli oneri connessi ai derivati relativi a tali investimenti).

Con riguardo agli interessi passivi dovuti ai riassicuratori va notato che essi sono soggetti alla disciplina che ne limita la deduzione al 96 per cento del relativo ammontare. Il trattamento – come evidente – è asimmetrico rispetto a quello già esaminato ai fini dell’imposizione sul reddito: l’art. 7 del D.Lgs. n. 446/1997, infatti, impone una limitazione della deducibilità di tutti gli interessi passivi indipendentemente dalla circostanza che essi derivino da rapporti aventi causa finanziaria. Al contrario, l’art. 96 – ai fini IRES – limita la deduzione ai soli interessi relativi a rapporti aventi causa finanziaria, di talché l’Amministrazione finanziaria ha escluso – come detto – dall’ambito applicativo della norma gli interessi dovuti ai riassicuratori, in quanto questi nascono nell’ambito di un rapporto avente causa di garanzia e non finanziaria.

Con riferimento ai differenziali negativi dei contratti derivati, si può in primo luogo osservare che la norma limitatrice – analogamente alla disposizione già esaminata ai fini IRES [48] – è riferita ai soli interessi passivi e non anche agli oneri assimilati. Un’interpretazione letterale della disposizione porterebbe, quindi, ad escludere per gli oneri in questione l’esistenza di limiti alla deduzione. Sul punto bisogna, però, confrontarsi con l’orientamento dell’Agenzia delle entrate espresso nella più volte citata circolare n. 19/E/2009, che, anche ai fini IRAP, ritiene la disposizione applicabile anche agli oneri assimilati [49] secondo un’impostazione poi condivisa dalle istruzioni al modello della dichiarazione IRAP. Al riguardo, come già rilevato ai fini IRES, i soli componenti originati da derivati di copertura del rischio di variazione dei tassi di interesse possono ritenersi assimilati agli interessi passivi.

Cionondimeno, tali oneri non devono scontare le limitazioni previste dall’art. 7 del D.Lgs. n. 446/1997 in quanto relativi a derivati connessi ad investimenti: essi costituiscono, di fatto, componenti correttivi del rendimento degli investimenti medesimi. I richiamati componenti, rettificando l’ammontare degli interessi attivi, devono rilevare ai fini del tributo nella stessa misura (100 per cento) dei componenti positivi cui si riferiscono. Tale affermazione trova il conforto della stessa Amministrazione finanziaria che – nella risoluzione 22 giugno 2010, n. 56/E [50] a commento dell’analogo tetto alla deduzione degli interessi passivi previsto dalla disciplina IRAP per le holding industriali [51] – ha chiarito che tali limitazioni non si applicano ai componenti negativi connessi a derivati relativi ad investimenti (in quanto rettificativi degli interessi attivi da questi prodotti).

Con riguardo agli oneri connessi a derivati speculativi riferibili ai rami vita che trovassero collocazione nel relativo conto tecnico (quali investimenti), va invece esclusa qualsiasi limitazione alla deduzione in quanto essi – come già rilevato ai fini IRES – non possono essere assimilati agli interessi passivi dal momento che non hanno alcuna connessione con posizioni debitorie. Analogamente non possono essere assimilati agli interessi passivi, e assumono quindi piena rilevanza ai fini del tributo regionale, i componenti negativi che dovessero essere realizzati – nelle vesti di cessionario a pronti – nell’ambito di operazioni di pronti contro termine connesse ai rami vita [52]. Qualora, invece, l’impresa assicurativa agisse nelle vesti di cedente a pronti l’eventuale differenziale negativo tra prezzo a pronti e prezzo a termine costituirebbe onere assimilato agli interessi passivi [53] e, laddove collocato nel conto tecnico, sconterebbe le limitazioni alla deducibilità previste ai fini IRAP.

Si deve da ultimo evidenziare come gli oneri finanziari correlati all’indebitamento dell’impresa assicurativa siano collocati nel conto non tecnico e, segnatamente, nella voce III.8 “Altri oneri[54]. Tale classificazione di bilancio esclude automaticamente la rilevanza degli oneri in questione ai fini IRAP. Questa impostazione è, peraltro, coerente con l’evoluzione della disciplina in materia. Mentre nel primo periodo di applicazione del tributo regionale gli interessi passivi erano del tutto irrilevanti per le imprese di assicurazione [55], dopo il decreto correttivo 19 novembre 1998, n. 422, sono stati ammessi in deduzione i soli interessi passivi relativi ai depositi cauzionali dei riassicuratori oltre agli oneri finanziari connessi ad investimenti [56]. Quindi, sin dal 1998     [57], gli interessi relativi all’indebitamento, classificati nel conto non tecnico, sono irrilevanti ai fini del tributo regionale. Ciò è peraltro comprensibile ove si consideri che il denaro non è l’oggetto dell’attività delle imprese assicurative con la conseguenza che il relativo costo esula dall’attività caratteristica.

 

Dott. Fabio Brunelli – Dott. Paolo Serva



[1] In coerenza con quanto stabilito dall’art. 4, terzo comma, del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38.

[2] Il bilancio consolidato deve, invece, essere redatto in conformità ai principi contabili internazionali da tutte le imprese assicurative (art. 95 del “Codice delle Assicurazioni Private”).

[3] La disciplina tradizionale del bilancio assicurativo – incentrata sul D.Lgs. n. 173/1997 – è completata (i) dal Regolamento ISVAP 4 aprile 2008, n. 22, dedicato, tra l’altro, ai criteri di classificazione degli elementi patrimoniali e dei componenti economici e (ii) dai principi contabili nazionali che integrano, ove compatibili, il richiamato D.Lgs. n. 173/1997 (per l’applicabilità dei principi contabili nazionali ai bilanci assicurativi, cfr. Applicazione OIC “Impairment e avviamento” – Applicazione per il settore assicurativo n.2.2”, 2011, 1).

[4] Il conto tecnico dei rami vita accoglie, poi, nelle voci II.3 e II.10, rispettivamente i proventi e gli oneri patrimoniali e finanziari relativi ad investimenti a beneficio di assicurati che ne sopportano il rischio e alla gestione dei fondi pensione.

[5] In tal caso, si movimenta in positivo la voce III.4 del conto non tecnico (“Quota dell’utile degli investimenti trasferita dal conto tecnico dei rami vita”) e in negativo la voce II.12 del conto tecnico dei rami vita (“Quota dell’utile degli investimenti trasferita al conto non tecnico”). I criteri di calcolo della quota trasferibile sono fissati dall’art. 23 del Regolamento ISVAP n. 22/2008 e devono essere esplicitati in nota integrativa.

[6] Dedicato al Piano dei Conti delle imprese assicurative e ai relativi contenuti.

[7] Tali interessi sono espressamente contemplati nelle sole voci II.9 e III.5.

[8] Cfr. l’allegato 2, punto 21.4, del Regolamento ISVAP n. 22/2008, cit. (relativo al contenuto della nota integrativa).

[9] s. pucci, Il bilancio di esercizio delle imprese assicurative in una prospettiva europea, Torino, 2001, 136.

[10] Lascia qualche perplessità, tuttavia, il mancato riferimento (in controtendenza rispetto alla disciplina codicistica) alla possibilità di capitalizzare gli oneri finanziari relativi alla fabbricazione presso terzi. Ci si riferisce, in particolare, ai contratti di appalto (che costituiscono la forma ordinaria di costruzione degli immobili per le imprese assicuratrici). Al riguardo, si deve ritenere che la capitalizzazione sia ammessa anche con riferimento ad immobili costruiti da appaltatori nel caso di un lungo periodo di costruzione che richieda il sostenimento di spese anticipate da parte dell’acquirente.

[11] In tal senso anche Assonime, circ. n. 46/2009, 25.

[12] In particolare l’art. 82. Il D.L. n. 112/2008 è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[13] Cfr. § 2.7 della circ. 21 aprile 2009, n. 19/E, in Boll. Trib., 2009, 710.

[14] Cfr. § 2.7 della circ. n. 19/E/2009, cit.

[15] In tal senso cfr. circ. Assonime n. 46/2009, 56.

[16] Cfr. circ. n. 19/E/2009, § 2.2, cit.

[17] Cfr. circ. n. 19/E/2009, cit.

[18] Indipendentemente dal fatto che tali oneri non maturino pro rata temporis.

[19] In tal senso, come già rilevato, cfr. circ. Assonime n. 46/2009, 56, cit.

[20] Nella prassi, invece, tale riqualificazione viene operata ove la fideiussione sia connessa ad un finanziamento.

[21] Così circ. 19/E/2009, § 2.7, cit. Tale conclusione era, peraltro, già stata proposta da circ. ANIA 30 settembre 2008, prot. 0291.

[22] L’Agenzia delle entrate (circ. n. 19/E/2009, cit.) ha ricondotto i componenti in parola tra gli oneri assimilati agli interessi passivi.

[23] I componenti connessi ai derivati in parola hanno, infatti, l’effetto di incidere sulla misura effettiva degli interessi passivi.

[24] In senso conforme circ. Assonime n. 46/2009, 56, cit., e circ. Assonime n. 27/2010, 58.

[25] Le stesse conclusioni valgono per i derivati destinati a coprire rischi diversi dalle oscillazioni dei tassi di interesse (si pensi, ad esempio, al rischio di cambio).

[26] In quanto rappresentativo del costo del finanziamento. In tal senso anche l’Agenzia delle entrate, circ. n. 19/E/2009, cit. La stessa circolare ha invece escluso la rilevanza, ai fini dell’art. 96 del TUIR, degli interessi maturati sui titoli oggetto dell’operazione nel periodo di durata del contratto, in quanto questi non concorrono a formare il reddito del cedente.

[27] Recata dall’art. 2, comma 22, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148).

[28] Resta in ogni caso ferma l’applicazione dell’art. 109, comma 9, del TUIR, a mente del quale è indeducibile la remunerazione relativa a strumenti finanziari, comunque denominati, «per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente».

[29] Art. 3, comma 115, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.

[30] A seguito della riformulazione della norma operata dal D.L. n. 138/2011. L’esclusione in parola era comunque già acclarata stante il riferimento del previgente testo normativo all’art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in tal senso, cfr. Istruzioni al Modello di dichiarazione Unico 2000 Società di capitali; circ. Assonime n. 46/1999, 28; circ. Assonime n. 39/2000, 31, e circ. Assonime n. 46/2009, 62, cit.).

[31] Cfr. art. 96, comma 6, del TUIR.

[32] Almeno dal punto di vista economico.

[33] Che traspare chiaramente dalla relazione al D.L. n. 112/2008.

[34] Salvo l’integrale deducibilità degli interessi passivi sino a concorrenza di quelli riconosciuti da società aderenti al consolidato a soggetti estranei allo stesso. Sul punto, cfr. circ. Assonime n. 46/2009, 27, cit.

[35] Si ipotizza che gli interessi dovuti da B ad A siano di ammontare coincidente con quelli dovuti da A ai finanziatori estranei al consolidato.

[36] Peraltro, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che, qualora nell’ambito del medesimo consolidato coesistano società industriali e finanziarie, per le prime troverà applicazione il regime “ordinario” dell’art. 96 (subconsoldiato industriale) mentre per le seconde (subconsolidato finanziario) si applicheranno le disposizioni (appena esaminate) del comma 5-bis. A questo riguardo, gli interessi passivi maturati dal subconsolidato finanziario nei confronti di soggetti appartenenti al subconsolidato industriale devono essere considerati interessi verso soggetti “estranei al consolidato” ai fini dell’applicazione del meccanismo correttivo di cui al comma 5-bis.

[37] Cfr. § 1 della circ. n. 37/E/2009, cit.

[38] In quanto caratterizzate, in maniera prevalente, dall’attività di assunzione di partecipazioni in soggetti (imprese assicurative) esercenti attività diversa da quelle creditizia o finanziaria.

[39] In Boll. Trib., 2011, 1539.

[40] La prevalenza è verificata quando il valore contabile di dette partecipazioni eccede il 50 per cento dell’attivo patrimoniale.

[41] La risoluzione è particolarmente rilevante in quanto affronta il regime delle holding dopo l’abrogazione – da parte del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 – dell’albo di cui all’art. 113 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, richiamato dall’art. 1 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87 (al quale fa riferimento il comma 5 dell’art. 96 del TUIR per individuare i soggetti creditizi e finanziari). A questo riguardo, la risoluzione in commento sembra confermare che la holding – agli effetti dell’art. 96 del TUIR – si connota come industriale o finanziaria in funzione della natura delle partecipazioni detenute, indipendentemente dall’iscrizione in albi od elenchi.

[42] Ancorché la norma (entrata in vigore il 1° gennaio 2008) faccia riferimento alle voci di bilancio previste dell’allora vigente Regolamento ISVAP n. 735/1997, le poste devono essere individuate sulla base dell’analogo Regolamento ISVAP n. 22/2008, cit.

[43] Ad esempio, gli ammortamenti e le altre spese amministrative sono deducibili in misura pari al 90 per cento, i dividendi rilevano nella misura del 50 per cento, e così via.

[44] Cfr. § 4.1 della circ. n. 27/E/2009, cit.

[45] Incrementando o riducendo il risultato dei conti tecnici.

[46] «Oneri patrimoniali e finanziari».

[47] Oneri patrimoniali e finanziari relativi ad investimenti a beneficio di assicurati che ne sopportano il rischio e alla gestione dei fondi pensione.

[48] Il comma 5-bis dell’art. 96 del TUIR (cfr. il precedente § 2.1).

[49] Secondo un’impostazione analoga a quella adottata ai fini IRES (cfr. § 2.1).

[50] In Boll. Trib. On-line.

[51] Anche per tali società gli interessi passivi sono deducibili nei limiti del 96 per cento del loro ammontare (art. 6, comma 9, del D.Lgs. n. 446/1997).

[52] In quanto tali componenti (classificati nel conto tecnico dei rami vita) – per le medesime ragioni già evidenziate ai fini IRES (cfr. § 2.1) – non possono     essere considerati oneri assimilati agli interessi passivi.

[53] Anche in questo caso valgono le medesime considerazioni svolte ai fini IRES (cfr. § 2.1).

[54] Cfr. il precedente § 1.1.

[55] Cfr. circ. 4 giugno 1998, n. 141/E, in Boll. Trib., 1998, 1003.

[56] Si vedano circ. 12 novembre 1998, n. 263/E, in Boll. Trib., 1998, 1809, e le istruzioni alla dichiarazione IRAP.

[57] Nonostante la diversa formulazione della norma relativa alla base imponibile IRAP rispetto a quella attuale.

 

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