SOMMARIO: PREMESSA – 1. DEFINIZIONI – 2. LE NOVITÀ DELLA RIFORMA – 3. ART. 48 (CONCILIAZIONE FUORI UDIENZA) – 4. ART. 48-BIS (CONCILIAZIONE IN UDIENZA) – 5. ART. 48-TER (DEFINIZIONE E PAGAMENTO DELLE SOMME DOVUTE); 5.1 Art. 48-ter, primo comma – Riduzione delle sanzioni; 5.2 Riduzione delle sanzioni: un esempio pratico; 5.3 Art. 48-ter, secondo comma – Pagamento delle somme dovute a seguito della conciliazione; 5.4 Art. 48-ter, terzo comma – Mancato pagamento delle somme dovute a seguito della conciliazione – 6. CONCLUSIONI.
PREMESSA
In attuazione di quanto stabilito dall’art. 10 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, la nuova versione del contenzioso tributario, contenuta nel D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, definita quale “revisione” del testo precedente, si estende a gran parte degli articoli del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, anche se – ma a confermarlo sarà solo la prassi operativa concreta – probabilmente non farà ancora assurgere quello tributario, fra le altre tipologie giurisdizionali, a rango di vero e proprio processo come, invece, gli competerebbe.
Ad ogni buon fine, dopo un precedente intervento su questa Rivista in cui ho cercato di dare evidenza alle novità introdotte dalla riforma (quantomeno in considerazione dell’avvenuta sua generalizzazione) rappresentata dal reclamo e mediazione di cui all’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, con il presente lavoro ci si prefigge lo scopo di (provare ad) approfondire sinteticamente le ulteriori novità introdotte dalla riforma su un altro istituto teso alla deflazione del contenzioso tributario: la conciliazione, sia essa giudiziale che stragiudiziale, di cui agli artt. 48, 48-bis e 48-ter del D.Lgs. n. 546/1992 (1).
1. DEFINIZIONI
Prima di procedere con la disamina delle novità della riforma, mi sia consentito fornire alcuni elementi in chiave terminologica, anche per meglio comprendere il significato e la portata del presente istituto.
Sotto la lente del processo di rito civile, per conciliazione si intende un procedimento di composizione di una controversia fra due o più parti in lite fra loro (tipico risultato della c.d. mediazione/conciliazione), il cui scopo è quello di cercare una soluzione condivisa fra istanze diverse e apparentemente inconciliabili per ridurre il già gravoso ammontare di cause pendenti sul “tavolo” dei giudici: attraverso la conciliazione, infatti, si cerca di far raggiungere alle parti un accordo che chiude in maniera definitiva la lite prima che essa venga affrontata o definita in Tribunale o presso un qualunque Organo di giustizia; strumento che, da ultimo, stante l’elevato numero di processi in corso nelle aule giudiziarie di tutto il Paese, per una serie di procedimenti civili, tassativamente indicati, prima di intentare una causa, occorre obbligatoriamente tentare (2).
In relazione ai suoi elementi essenziali, nel processo tributario, la conciliazione si colloca quale strumento di celere definizione della controversia, in via preventiva rispetto allo svolgimento del giudizio, offrendo alle parti la possibilità di giungere ad un accordo:
• sia al di fuori del processo (conciliazione extragiudiziale);
• che dinanzi al giudice tributario (conciliazione giudiziale).
Quanto, poi, al suo ambito di applicazione, l’istituto de quo coinvolge tutti i tipi di controversie instaurate dinanzi le Commissioni tributarie le quali – fatta eccezione per quelle controversie che per loro natura si basano su una quantificazione delle somme dovute per effetto di presunzioni legali, come nel caso degli accertamenti di tipo finanziario o a quelli per parametri, in cui la pretesa vantata è indisponibile per le parti – possono essere oggetto di conciliazione.
In particolare, una notevole spinta alla diffusione della conciliazione si è avuta in passato con la possibilità di effettuare la compensazione tra le somme già versate e quelle dovute per effetto dell’accordo transattivo (3).
Circa, poi, la natura dell’istituto, la conciliazione assume evidente natura di un accordo transattivo secondo i lineamenti previsti dal codice civile agli artt. 1965 e 1966; inoltre, essa è possibile solo in relazione al quantum dell’obbligazione tributaria avanzata con l’atto impugnato e non può mai, almeno di regola, riguardare l’an della stessa (4).
La conciliazione può, evidentemente, essere totale se riguarda la controversia nella sua interezza o parziale se riguarda soltanto una parte di essa e, quanto ai soggetti interessati, può essere proposta sia dal contribuente che dall’Ufficio impositore che esercita la pretesa impositiva (5).
Del resto, la stessa Commissione tributaria investita della controversia può esperire in udienza un tentativo di conciliazione, assumendo un ruolo attivo di promotore dell’accordo ove, sulla base degli atti processuali in suo possesso, ravvisi l’opportunità di procedere ad una composizione della lite tra le parti (6).
2. LE NOVITÀ DELLA RIFORMA
Tra i criteri direttivi della riforma del processo tributario di cui al citato D.Lgs. n. 156/2015, si segnala quello di «rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario», assunto nell’intento di superare la criticità legata allo scarso utilizzo di tale istituto e «anche a fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità».
Viene, così, confermata la funzione dell’istituto che si colloca nel processo tributario quale utile strumento per conseguire la più celere definizione della controversia, anche al fine di tentare di evitare il processo, con i suoi tempi, le sue lungaggini e i connessi rischi e costi, anche in considerazione della sensibile riduzione delle sanzioni dovute a seguito del suo conseguimento.
Tanto premesso, gli artt. 48, 48-bis e 48-ter del D.Lgs. n. 546/1992 di disciplina del processo tributario sono volti a disciplinare compiutamente le diverse tipologie di conciliazione, rafforzando l’istituto con l’estensione della sua applicabilità anche ai giudizi pendenti davanti alla Commissione tributaria regionale, sino ad oggi preclusa.
Inoltre, la nuova disciplina consentirà la definizione di controversie per tutta la durata del giudizio di merito, anche se il reclamo si è risolto negativamente, oppure in relazione a cause relative ad operazioni catastali (7), instaurate a seguito di rigetto dell’istanza di reclamo ovvero di mancata conclusione dell’accordo di mediazione (8).
Nell’ambito delle modifiche introdotte, che – in base a quanto stabilito dall’art. 12, primo comma, del D.Lgs. n. 156/2015 – si applicano ai giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 2016 scorso, le più rilevanti riguardano:
• l’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto al secondo grado di giudizio;
• l’individuazione di un diverso momento di perfezionamento della conciliazione e di nuove regole per il pagamento delle somme dovute;
• la determinazione del beneficio consistente nella riduzione delle sanzioni, riformulata secondo modalità ancora più favorevoli al contribuente.
Quanto all’intento di incentivare il ricorso all’istituto della conciliazione, lo stesso è rinvenibile dalla nuova entità delle sanzioni irrogabili: la nuova formulazione prevede, infatti, che le sanzioni si applicano nella misura del quaranta per cento del minimo previsto per legge per le singole violazioni e tale percentuale è la medesima quale che sia la fase di giudizio in cui la causa viene conciliata, mentre con la precedente formulazione la sanzione era dovuta sempre nella misura del 40 per cento dell’importo conciliato, ma le sanzioni non potevano essere inferiori al 40 per cento dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo (9).
3. ART. 48 (CONCILIAZIONE FUORI UDIENZA)
Nel caso in cui le parti, in pendenza del giudizio di primo e di secondo grado, raggiungono – fuori dell’udienza – un accordo conciliativo per la definizione totale o parziale della controversia, le stesse possono presentare istanza congiunta sottoscritta dagli stessi o dai rispettivi difensori.
Trattasi di una proposta di conciliazione alla quale l’altra parte deve aver previamente aderito, con l’unica differenza che il soggetto deputato ad effettuare il deposito è ora individuato in ciascuna delle parti del giudizio e non più esclusivamente nell’Ufficio.
L’istanza congiunta deve contenere:
• l’indicazione della Commissione tributaria adita;
• i dati identificativi della causa, anche con riferimento all’Ufficio dell’Agenzia e al contribuente parti in giudizio;
• la manifestazione della volontà di conciliare, con l’indicazione degli elementi oggetto della proposta conciliativa e i relativi termini economici;
• la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione;
• la motivazione delle ragioni che sorreggono la conciliazione;
• l’accettazione incondizionata del ricorrente di tutti gli elementi della proposta nonché delle somme liquidate;
• la data, la sottoscrizione del titolare dell’Ufficio e la sottoscrizione del contribuente o, nei casi in cui vi sia obbligo di assistenza tecnica, anche del difensore.
La nuova disposizione non fissa un termine per il deposito dell’accordo di conciliazione che dovrebbe essere rappresentato dal momento in cui la causa è trattenuta in decisione, e ciò dal momento che superata tale fase apparirebbe vanificato lo scopo deflattivo del contenzioso cui la conciliazione è preordinata (10).
Pertanto, il deposito della proposta previamente concordata tra le parti deve avvenire non oltre l’ultima udienza di trattazione, in camera di consiglio o in pubblica udienza, del giudizio di primo o di secondo grado.
Per l’effetto, ai sensi del quarto comma dell’art. 48 in esame, la conciliazione “fuori udienza” si perfeziona “con la sottoscrizione dell’accordo”, nel quale sono indicate le somme dovute, con i termini e le modalità di pagamento (oppure sono indicati gli elementi caratterizzanti la conciliazione “catastale”).
La previsione che fa coincidere il perfezionamento della conciliazione con il momento in cui si formalizza, mediante un accordo sottoscritto congiuntamente, l’incontro di volontà tra Amministrazione finanziaria e contribuente, rappresenta un’importante novità per il fatto che nella previgente disciplina il perfezionamento avveniva solo nel momento del pagamento dell’intera somma dovuta o della prima rata, da effettuare entro venti giorni dalla data di comunicazione del decreto presidenziale di estinzione del giudizio, per cui in caso di omesso pagamento, si determinava il mancato perfezionamento dell’accordo, con necessità di una riattivazione del processo non estintosi.
La conciliazione si perfeziona, dunque, con la sottoscrizione dell’accordo che costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute (quarto comma), accordo che, una volta intervenuto, ha efficacia novativa del precedente rapporto, con la conseguenza che il mancato pagamento delle somme dovute dal contribuente porterà solo alla iscrizione a ruolo del nuovo credito derivante dall’accordo stesso (che, tuttavia, mantiene la sua efficacia).
L’accordo conciliativo, pertanto, da un lato, legittima l’iscrizione a ruolo del nuovo credito vantato dall’Amministrazione finanziaria, dall’altro, qualora sia l’Amministrazione stessa a non dare esecuzione al pagamento di quanto concordato, legittima il contribuente ad esperire l’azione esecutiva davanti al giudice ordinario, analogamente a quanto previsto nella disciplina del reclamo/mediazione (11).
In caso di conciliazione totale o parziale della controversia, i successivi secondo e terzo comma dell’art. 48 prevedono la tipologia dei provvedimenti che possono essere adottati dal giudice per dichiarare la cessazione della materia del contendere (12).
In particolare, in relazione a tali provvedimenti che conseguenzialmente devono essere assunti dal collegio giudicante, qualora sia stata già fissata l’udienza di trattazione del ricorso, la Commissione tributaria pronuncia:
• sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere (13), se l’accordo è totale;
• ordinanza, se l’accordo è parziale, in tale ultimo caso la sentenza sarà adottata solo al termine del giudizio di merito per le questioni che non sono state oggetto di conciliazione.
Se, invece, la data di udienza non è fissata, provvede il presidente di sezione con apposito decreto a pronunciare l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere.
Sempre per tale caso – data di udienza non fissata – va poi segnalato il riferimento della norma in esame all’esistenza delle “condizioni di ammissibilità” (14) per potersi addivenire alla conciliazione della controversia: con tale espressione ci si riferisce al potere di sindacato di legittimità del giudice, che può accertare la regolarità della proposta conciliativa e l’assenza di eventuali cause di inammissibilità previste dalla legge e impeditive al ricorso all’istituto de quo (ad esempio, inammissibilità del ricorso introduttivo, oggetto del ricorso non rientrante nella giurisdizione tributaria, inesistenza del potere di conciliare, ecc.).
Qualora il giudice, dunque, non ravvisi le condizioni di ammissibilità, la causa verrà discussa e proseguita fino alla sua definitiva decisione nel merito (fatte salve eventuali cause a ciò ostative, quali, ad esempio, il difetto di giurisdizione del giudice tributario adito).
4. ART. 48-BIS (CONCILIAZIONE IN UDIENZA)
Il nuovo art. 48-bis del D.Lgs. n. 546/1992 prevede che ciascuna delle parti possa presentare un’istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia, entro il termine previsto dall’art. 32, secondo comma, del più volte citato D.Lgs. n. 546/1992, per il deposito delle memorie illustrative, ovverosia entro dieci giorni liberi prima della data di trattazione, termine questo riferibile sia al primo che al secondo grado di giudizio.
La precedente disciplina prevedeva, invece, che la proposta di conciliazione andasse inserita nell’istanza di discussione in pubblica udienza di cui all’art. 33 del medesimo decreto, da notificare entro il termine di dieci giorni liberi prima della data di trattazione.
Anche nella nuova disciplina si deve, però, ritenere che l’istanza per la conciliazione, anche ove contenuta in una memoria illustrativa, non possa prescindere dalla presentazione della richiesta di pubblica udienza, necessaria per l’esperimento del tentativo di conciliazione in detta udienza che altrimenti dovrebbe svolgersi in “camera di consiglio” (15).
Per tale caso il giudice, se ritiene che sussistano i presupposti di ammissibilità dell’istanza (ammissibilità del ricorso introduttivo, imposte di competenza della Commissione tributaria, esistenza del potere di conciliare, ecc.), invita le parti alla conciliazione: qualora l’accordo conciliativo non si realizzi alla prima udienza di trattazione, il giudice può, comunque, concedere alle parti un rinvio e fissare una nuova successiva udienza, per l’eventuale successivo perfezionamento dell’accordo conciliativo ovvero, in mancanza, per la discussione della causa nel merito.
Nell’ipotesi in cui l’accordo conciliativo sia raggiunto “in udienza”, il terzo comma dell’art. 48-bis prevede che esso debba risultare da apposito processo verbale, nel quale sono indicate le somme dovute, nonché i termini e le relative modalità di pagamento (16).
Ai sensi del richiamato terzo comma dell’art. 48-bis “La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale”: anche per tale caso, pertanto, viene confermata la novità che fa coincidere il perfezionamento con la sottoscrizione dell’accordo e tanto differentemente dalla previgente disciplina secondo cui tale momento perfezionativo avveniva solo a seguito del versamento della somma dovuta o della prima rata.
Il terzo comma dell’art. 48-bis – come già in caso di accordo nella conciliazione “fuori udienza” – stabilisce che «il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente» (17).
Pertanto, in tale ipotesi di conciliazione “in udienza”, l’accordo conciliativo è formalizzato nel processo verbale e ha efficacia novativa del precedente rapporto, con la conseguenza che il mancato pagamento delle somme dovute dal contribuente determina unicamente l’iscrizione a ruolo del credito derivante dall’accordo stesso e l’applicazione delle sanzioni per l’omesso versamento delle somme dovute in base alla conciliazione.
A seguito dell’intervenuta conciliazione, la Commissione tributaria, ai sensi del quarto comma dell’art. 48-bis, dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
Sul punto, ferme restando le precedenti considerazioni in ordine alle caratteristiche ed agli effetti di una pronuncia di tale guisa, si evidenzia che il (nuovo) secondo comma dell’art. 46 del D.Lgs. n. 546/1992, per come modificato dal D.Lgs. n. 156/2015, conferma che l’estinzione del giudizio in caso di cessazione della materia del contendere è esclusivamente dichiarata con sentenza o con decreto presidenziale.
Il terzo comma del predetto art. 46 individua il principio in base al quale, soltanto in caso di cessazione della materia del contendere per sopravvenuta definizione delle pendenze tributarie nei casi previsti dalla legge (ad esempio, definizioni delle liti fiscali; condoni o altre ipotesi ex lege previste), le spese del giudizio rimangono a carico di chi le ha anticipate, mentre, negli altri casi, si applica il principio generale della soccombenza con condanna alle spese di lite della parte soccombente (ex art. 91 c.p.c.) (18).
Per cui, tra le conseguenze della conciliazione, si pone pure la probabile applicazione del principio che prevede la permanenza in capo al soggetto che le ha anticipate (ovviamente, il ricorrente contribuente) delle spese del giudizio fino a quel momento sostenute (sia a titolo di contributo unificato che per le competenze professionali del difensore incaricato) (19).
5. ART. 48-TER (DEFINIZIONE E PAGAMENTO DELLE SOMME DOVUTE)
Ai sensi del nuovo art. 48-ter del D.Lgs. n. 546/1992 viene disciplinato il pagamento delle somme dovute a titolo di conciliazione, stabilendo la percentuale delle sanzioni dovute, le modalità di versamento e di recupero delle somme non versate: va precisato che trattasi di disposizioni comuni sia alla conciliazione perfezionatasi in udienza che a quella fuori udienza.
5.1 Art. 48-ter, primo comma – Riduzione delle sanzioni
Il primo comma in esame stabilisce la riduzione delle sanzioni oggetto di controversia al 40 per cento del minimo previsto dalla legge, qualora l’accordo intervenga nel primo grado di giudizio; la percentuale è elevata al 50 per cento se la conciliazione avviene in grado di appello.
La modalità di determinazione delle sanzioni dovute a seguito dell’accordo conciliativo è stata rideterminata in senso più favorevole per il contribuente, allo scopo di incentivare il ricorso all’istituto de quo e, infatti, il nuovo criterio di determinazione delle sanzioni è ora basato sul minimo edittale previsto dalla legge ed è lo stesso stabilito in caso di conclusione dell’accertamento con adesione e dell’accordo di mediazione (fatta salva la diversa percentuale della riduzione delle sanzioni, prescritta per il primo istituto al 30 per cento e per la seconda al 35 per cento) (20).
Non va, infine, sottaciuto che la nuova possibilità di poter conciliare anche in appello rende possibile un “cambio” di strategia processuale; in particolare, nel giudizio di secondo grado si dovrà sicuramente tener conto della decisione dei giudici tributari di prime cure che, se favorevole in tutto o in parte al contribuente, potrà determinare una sensibile e più favorevole riduzione della materia imponibile rispetto al primo grado e con essa delle sanzioni che verranno pure, di conseguenza, ulteriormente ridotte.
5.2 Riduzione delle sanzioni: un esempio pratico (21)
Si ipotizzi che l’atto impositivo impugnato rechi una maggiore imposta ai fini dell’IRAP pari a 10.000 euro, con la relativa sanzione di 24.000 euro, irrogata – nella misura edittale massima del 240 per cento dell’imposta dovuta – ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Ammettendo l’ipotesi di una conciliazione in primo grado, nella quale le parti abbiano concordato la rideterminazione del tributo nella misura di 6.000 euro, il beneficio della riduzione della sanzione risulterebbe ratione temporis così individuabile:
– sotto il vigore della precedente disciplina, la sanzione ridotta a seguito della conciliazione ammonterebbe a 5.760 euro (vale a dire il 40 per cento di 14.400 euro, che rappresenta, a sua volta, il 240 per cento di 6.000 euro);
¬ in applicazione della nuova disciplina, la sanzione ridotta ammonterebbe, invece, a 2.880 euro (vale a dire il 40 per cento di 7.200 euro, che rappresenta il minimo edittale, cioè il 120 per cento di 6.000 euro).
5.3 Art. 48-ter, secondo comma – Pagamento delle somme dovute a seguito della conciliazione
Il secondo comma dell’art. 48-ter del D.Lgs. n. 546/1992 dispone che il versamento dell’intero importo o della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo per la conciliazione fuori udienza, ovvero dalla redazione del processo verbale per la conciliazione in udienza (22).
5.4 Art. 48-ter, terzo comma – Mancato pagamento delle somme dovute a seguito della conciliazione
Il terzo comma dell’art. 48-ter del D.Lgs. n. 546/1992 disciplina l’ipotesi di mancato pagamento delle somme dovute entro il termine di venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo o del verbale di conciliazione o, in caso di rateizzazione, di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva (la cui cadenza – in forza di quanto stabilito dall’art. 8, secondo comma, del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159 – è trimestrale).
Per tali casi di inadempimento, che non incide sulla validità dell’accordo conciliativo, si prevede la decadenza dal beneficio della rateazione e la conseguente riscossione coattiva – mediante iscrizione a ruolo o, ove possibile, emissione dell’ingiunzione fiscale di cui al R.D. 14 aprile 2010, n. 639 (23) – delle residue somme dovute, come risultanti dall’accordo conciliativo, a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della (ulteriore) sanzione per omesso versamento, prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, aumentata della metà (pari, quindi, al 45 per cento) e applicata sull’importo residuo dovuto a titolo di imposta.
5.5 Art. 48-ter, quarto comma – Versamento rateale delle somme dovute a seguito della conciliazione
Ai sensi del successivo quarto comma dell’art. 48-ter del D.Lgs. n. 546/1992, per il versamento rateale delle somme dovute «si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218» (24).
In base all’art. 8, secondo comma, del D.Lgs. n. 218/1997, come modificato dal citato D.Lgs. n. 159/2015, è così ammessa la possibilità di pagamento in forma rateale delle somme dovute e, in particolare, secondo le seguenti modalità:
• in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o, se le somme dovute superano i cinquantamila euro, in un massimo di sedici rate trimestrali (25);
• sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi calcolati dal giorno successivo al termine di versamento della prima rata;
• entro 10 giorni dal versamento dell’intero importo o di quello della prima rata il contribuente fa pervenire all’Ufficio finanziario copia della quietanza di versamento.
In pratica, con tale articolo il legislatore ha opportunamente inteso disciplinare, uniformandone regole e caratteristiche, tanto per la conciliazione giudiziale che per quella stragiudiziale, il pagamento delle somme dovute a titolo di conciliazione, stabilendo la più favorevole percentuale delle sanzioni dovute, nonché le modalità di versamento e di recupero delle somme non versate, ferma restando la validità dell’accordo conciliativo per effetto della sua mera sottoscrizione.
6. CONCLUSIONI
Non è mai troppo agevole ricavare dalla ricostruzione, più o meno sistematica di un istituto, delle conclusioni, quasi si trattasse della esigenza di sintetizzarne gli effetti, anticipandoli rispetto a quanto poi concretamente lo stesso istituto, nel momento in cui è messo praticamente in condizione di funzionare e operare, sarà in grado di realizzare.
A questo punto, piuttosto che rischiare di cadere in tentazione di superflue ripetizioni di meri principi, potrebbe essere utile ribadire – ancora una volta – come le modifiche in esame esemplificano l’evoluzione (lenta, ma costante e forse ineluttabile) di istituti quali la conciliazione (sia essa giudiziale che stragiudiziale) che, accanto alla mediazione tributaria e all’accertamento con adesione, sono tutti ugualmente caratterizzati dalla previsione di un possibile accordo tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente e che, in ultima analisi, pongono in assoluta evidenza la ricerca di una soluzione della controversia (instaurata o instauranda) attraverso il contraddittorio tra le parti.
Dunque, ancora una volta, vale rilevare come il ruolo del contraddittorio ha assunto una posizione di assoluta preminenza e centralità nei rapporti tra fisco e contribuente nel corso della fase pre-contenziosa, con la funzione di giungere ad una composizione della controversia.
Da ciò, senza dubbio, si attribuisce nuova linfa al procedimento tributario che, coinvolgendo la parte pubblica e quella privata nella ricerca di materia imponibile, rende palese l’assoluta importanza del momento del contraddittorio tra le stesse, ben definibile quale «elemento essenziale ed imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa» (26) e che – se correttamente e lealmente svolto tra le parti – certamente, come nello spirito della riforma, porterà a davvero soddisfacenti risultati in tema di definizione anticipata di liti potenziali.
E ciò sia attraverso il ricorso all’accertamento con adesione che alla mediazione che, per quanto qui di interesse, alla conciliazione del processo tributario.
Avv. Sergio La Rocca
(1) Tra i numerosi contributi in tema di conciliazione giudiziale tributaria, cfr. S. COLELLA, Considerazioni sull’efficacia della conciliazione giudiziale a seguito dei recenti interventi normativi e orientamenti giurisprudenziali, in Boll. Trib., 2013, 246; V. AZZONI, L’ingiustificato rifiuto della conciliazione determina la condanna alle spese anche nel processo tributario?, ivi, 2011, 1177; G. PETRILLO, Profili sistematici della conciliazione giudiziale tributaria, Milano, 2006; M. CANTILLO, Conciliazione (processo tributario), in Enc. giur. Trecc., XI, 2003; A. MERCATALI, Conciliazione giudiziale. Brevi riflessioni, in Boll. Trib., 2001, 645; F. BATISTONI FERRARA, Conciliazione giudiziale (diritto tributario), in Enc. dir., Milano, 1998, 249 ss.; e R. LUNELLI, La conciliazione giudiziale nel nuovo processo tributario, in il fisco, 1996, 5728.
(2) A seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione, con modifiche, del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, la mediazione/conciliazione civile e commerciale, dopo una prima parentesi dovuta alla declaratoria di parziale incostituzionalità per eccesso di delega del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, è ritornata ad essere obbligatoria, a far tempo dallo scorso 21 settembre 2013, per le controversie dinanzi al giudice civile, su specifiche materie, in cui il tentativo di mediazione/conciliazione risulta obbligatorio, tra cui: condominio, diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazioni, comodato, affitto di aziende, risarcimento di danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
(3) Il riferimento va all’art. 14 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, che, abrogando il settimo comma del previgente art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992, ha reso possibile la compensazione e, quindi, il rimborso della eventuale eccedenza dovuta a favore del contribuente nelle controversie aventi ad oggetto il rimborso di imposte o nelle controversie relative a tributi locali, in cui la riscossione avviene in autoliquidazione o in base ad iscrizione a ruolo.
(4) In tale caso, infatti, l’Amministrazione finanziaria che valuta come infondata la pretesa tributaria avanzata con l’atto impugnato dovrà ricorrere all’autotutela per rimuovere l’atto illegittimo, promuovendo la revoca del provvedimento emanato, con conseguente estinzione del giudizio per cessata materia del contendere (su cui si dirà infra).
(5) È pacifico come l’istituto de quo sia applicabile a tutte le controversie di competenza delle Commissioni tributarie, in relazione alla impugnazione di atti e provvedimenti emessi lato sensu da qualsivoglia “ente impositore”, sia esso: l’Agenzia delle entrate; l’Agenzia delle dogane e dei monopoli; gli Enti locali (Regioni, Province e Comuni) in relazione ai tributi locali propri o a quelli da essi amministrati (ad esempio, ICI, TARI, TASI, TOSAP, addizionali locali, imposta o canone sulla pubblicità, bollo auto, ecc.); le cancellerie o segreterie degli Uffici giudiziari, per il contenzioso in materia di contributo unificato, ai sensi dell’art. 11, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992; nonché, Equitalia Spa e Società del gruppo, fino ai concessionari della riscossione degli enti locali, iscritti all’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992, in relazione agli atti “propri” da questi emessi.
(6) È evidente che, in tale caso, per la definizione dell’accordo le parti private devono essere presenti personalmente o per il tramite dei propri difensori muniti di una specifica procura che contempli il potere di disporre dei diritti sostanziali del cliente.
(7) Si tratta di quei ricorsi con cui si impugnano gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, e previsti dall’art. 19, primo comma, lett. f), del suddetto decreto legislativo, emessi dagli Uffici dell’Agenzia delle entrate, subentrati agli ex Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio che, lo si rammenta per opportuna completezza, a partire dagli atti notificati dallo scorso 1° gennaio 2016, sono assoggettati all’obbligo del previo esperimento della fase di mediazione tributaria.
(8) È questa, infatti, una ulteriore novità, rappresentata dalla eliminazione dell’inciso, presente nella precedente versione, che escludeva la possibilità di ricorso all’istituto della conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992; con ciò probabilmente il legislatore della revisione, prevedendo espressamente che anche le controversie proposte avverso atti reclamabili possono essere oggetto di conciliazione, evidenzia l’intento di ulteriore potenziamento degli istituti deflativi del contenzioso, sia prima che durante il processo, anche attraverso il ricorso alla conciliazione giudiziale.
(9) Si rammenta che non è prevista la conciliazione nella fase del giudizio di cassazione, anche se è auspicabile un ripensamento legislativo, trattandosi pur sempre di un giudizio pendente che le parti potrebbero intendere bonariamente definire, per difficoltà interpretative delle norme o per contrasti giurisprudenziali in atto, anche se l’esclusione si motiva per essere preclusi a detto giudice gli accertamenti di fatto.
(10) Così circ. 29 dicembre 2015, n. 38/E, in Boll. Trib., 2016, 58, recante “Riforma del processo tributario – Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156”. Tale limite temporale, invece, in precedenza era individuato in un momento anteriore, rappresentato dalla data di trattazione in camera di consiglio o di discussione in pubblica udienza del giudizio di primo grado.
(11) Infatti, in relazione alle controversie aventi per oggetto rimborsi di imposte, la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento e detto accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente, per cui, in caso di inadempimento da parte dell’Ufficio finanziario, il contribuente ben potrà agire dinanzi al giudice ordinario (anche in via monitoria, ai sensi degli artt. 633 ss. c.p.c.) per ottenere un provvedimento di condanna al pagamento emesso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
(12) Come noto, ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. n. 546/1992, se durante il processo sopraggiunge una circostanza che elimini la posizione di contrasto delle parti e, di conseguenza, fa venire meno oggettivamente la necessità di una pronuncia della Commissione tributaria sull’oggetto della controversia, il processo si estingue. Quando sia sopravvenuta una situazione riconosciuta e ammessa da entrambe le parti, che ne abbia eliminato la posizione di contrasto e abbia fatto venir meno la necessità di una pronuncia del giudice su quanto costituiva oggetto della controversia, il giudice può dichiarare la cessazione della materia del contendere anche d’ufficio (sul punto cfr. Cass., sez. trib., 12 novembre 2003, n. 16987, in Boll. Trib. On-line).
(13) La cessazione della materia del contendere, diversamente dalla rinunzia al ricorso (art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992) incide non sul processo ma sul giudizio. Tale differenza non è di poco conto in quanto dalla dichiarazione di cessazione della materia del contendere discende il venir meno delle sentenze emesse nei precedenti gradi di giudizio; mentre la rinuncia agli atti in appello determina il passaggio in cosa giudicata della sentenza di primo grado (cfr. Cass. n. 16987/2003, cit.).
(14) È opportuno evidenziare che la disciplina previgente faceva riferimento alla sussistenza dei “presupposti di ammissibilità”.
(15) In tale senso cfr. correttamente circ. n. 38/E/2015, cit., e tanto in considerazione del fatto che, per il suo perfezionamento, la proposta conciliativa non può prescindere dall’accordo tra le parti “presenti” all’udienza pubblica di discussione della controversia da definire in via conciliativa, pubblica udienza che non può svolgersi in assenza di richiesta di trattazione in tale senso, secondo quanto prescritto dal citato art. 33 del D.Lgs. n. 546/1992.
(16) In questo caso, l’accordo conciliativo viene formalizzato all’interno del processo verbale redatto dal segretario della Commissione tributaria, secondo quanto previsto dall’art. 34, comma 2, del citato decreto n. 546/1992.
(17) Anche da tale riferimento normativo emerge con palese evidenza la circostanza secondo cui l’atto di conciliazione, dovendo riportare il calcolo delle somme dovute e conciliate, deve pur sempre tradursi nel pagamento di una pur minima somma (a titolo di imposta o sanzioni) a carico del contribuente/ricorrente; in difetto di tale circostanza non si sarebbe di fronte ad una conciliazione, ma ad altra e diversa fattispecie di accordo non ammissibile, per cui la controversia non potrebbe, per tale caso, che essere decisa nel merito.
(18) Si evidenzia che la modifica in esame si è resa necessaria per adeguare la disposizione a Corte Cost. 12 luglio 2005, n. 274, in Boll. Trib., 2005, 1157, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 46, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui prevedeva che le spese del giudizio estinto restavano a carico della parte che le aveva anticipate, non solo nei casi di definizione delle pendenze tributarie previste per legge, ma in ogni caso di cessazione della materia del contendere.
(19) Peraltro, anche a voler ritenere applicabile alla conciliazione il principio generale di condanna alle spese di lite della parte soccombente (nel caso della conciliazione difficilmente individuabile, visto l’accordo raggiunto tra le parti), sarebbe più verosimile l’applicazione del principio di cui al secondo comma dell’art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte in caso di soccombenza reciproca o di sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate dal giudice: per cui anche per tale via, pur essendo preclusa la compensazione ope legis dichiarata dal giudice, si determinerebbe la compensazione tra le parti delle spese di lite ai sensi del secondo comma dell’art. 15, rimanendo ciascuna “incisa” di quelle fino ad allora effettivamente sostenute.
(20) In base alla pregressa disciplina, invece, in caso di avvenuta conciliazione le sanzioni erano applicabili nella misura del «40 per cento delle somme irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima» e, in ogni caso, in misura non inferiore al «40 per cento dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo».
(21) L’esempio è tratto dalla circ. n. 38/E/2015, cit.
(22) Si tenga presente che agli importi dovuti a titolo di conciliazione vanno computate in diminuzione le eventuali somme versate dal contribuente a titolo di iscrizione provvisoria.
(23) Il riferimento va ai tributi c.d. minori (IMU, TOSAP, TARSU, ecc.) dovuti a favore degli enti locali che, in luogo della riscossione tramite ruolo e successiva cartella di pagamento emessa dall’agente della riscossione, procedono direttamente o per il tramite di concessionari locali alla notifica dell’ingiunzione in parola. Tanto giacché dallo scorso 1° gennaio 1998, per effetto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ogni Comune può decidere, attraverso un proprio regolamento, di gestire le fasi di riscossione volontaria o coattiva delle proprie entrate (non solo tributarie, ma anche patrimoniali, come in caso di canoni concessori o similari) o direttamente o per il tramite di soggetti iscritti in uno speciale albo delle società di riscossione dei tributi locali, costituiti sotto forma di società di capitali o di aziende speciali a (prevalente o meno) capitale pubblico locale.
(24) Il legislatore ha inteso così uniformare – tra di loro – le regole che presiedono alle modalità di pagamento delle somme dovute a seguito di accertamento con adesione, reclamo/mediazione e conciliazione.
(25) In precedenza, secondo quanto stabilito dal previgente art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992, la rateizzazione era ammessa in un massimo di otto rate, elevate a dodici nel caso di somme superiori ai cinquantamila euro.
(26) In tale senso cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, in Boll. Trib., 2010, 303, con nota di M. PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite.