8 Aprile, 2016

Circolare 7 aprile 2016, n. 11/E, dell’Agenzia delle entrate

 

INDICE:

PREMESSA

PARTE PRIMA

1 DEFINIZIONI

2 LA FINALITA’ DELLA NORMA

3 AMBITO SOGGETTIVO

3.1 Modalità di accesso

3.1.1 Esercizio dell’opzione

3.1.2 Presentazione di un’istanza di ruling

3.1.3 Efficacia dell’opzione a seguito di presentazione di istanza di ruling

3.1.4 Passaggio da ruling obbligatorio a ruling facoltativo e viceversa

3.1.5 Effetti della sottoscrizione dell’accordo di ruling

4 AMBITO OGGETTIVO

4.1 Definizione di bene immateriale

4.1.1 Software protetto da copyright

4.1.2 Brevetti industriali siano essi concessi o in corso di concessione, ivi inclusi i brevetti per invenzione, ivi comprese le invenzioni biotecnologiche e i relativi certificati complementari di protezione, i brevetti per modello d’utilità, nonché i brevetti e certificati per varietà vegetali e le topografie di prodotti a semiconduttori

4.1.3 Marchi di impresa, ivi inclusi i marchi collettivi, siano essi registrati o in corso di registrazione 28

4.1.4 Disegni e modelli, giuridicamente tutelabili

4.1.5 Informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete, giuridicamente tutelabili

4.1.6 Beni esclusi dall’agevolazione

4.2 Definizione di attività di ricerca e sviluppo

5 CALCOLO DELL’AGEVOLAZIONE

6 DETERMINAZIONE DEL REDDITO AGEVOLABILE

6.1 Determinazione del reddito agevolabile in caso di utilizzo diretto

6.2 Determinazione del reddito agevolabile in caso di utilizzo indiretto

6.3 Determinazione del reddito agevolabile in caso di plusvalenze da cessione

6.4 La determinazione dei costi diretti ed indiretti

7 METODOLOGIE

7.1 Premessa

7.2 Metodi per la determinazione del reddito attribuibile al bene immateriale

7.2.1 Il metodo del confronto del prezzo

7.2.2 Il metodo del Profit Split

7.2.3 Altri metodi utilizzabili

7.2.4 Utilizzo di più di un metodo

8 OGGETTO DELL’ACCORDO PREVENTIVO

9 NEXUS RATIO

10 TRACCIATURA DEI COSTI DI RICERCA

11 VARIAZIONE IN DIMINUZIONE

12 PERDITE DA PATENT BOX

13 OPERAZIONI STRAORDINARIE

13.1 Operazioni straordinarie aventi ad oggetto aziende

13.2 Operazioni straordinarie poste in essere fino al 30 giugno 2016

13.3 Trattamento ai fini del nexus dei maggiori valori iscritti in sede di operazioni straordinarie

13.4 Riallineamento fiscale del disavanzo o dei maggiori valori iscritti in bilancio a seguito di operazioni straordinarie

13.5 Trasferimento di sede

PARTE SECONDA

14 QUESITI

14.1 Quesiti in tema di determinazione del reddito agevolabile

14.1.1 Rilevanza fiscale dei valori in caso di utilizzo indiretto

14.1.2 Rilevanza fiscale dei valori in caso di utilizzo diretto

14.1.3 Individuazione dei costi da computare nel calcolo del reddito

14.1.4 Irrilevanza dei costi sostenuti prima dell’accesso al regime

14.2 Quesiti in tema di calcolo del nexus ratio

14.2.1 Trattamento costi relativi a ricerca fallita

14.2.2 Spese di ricerca per marchi complementari

14.2.3 Tipologia di sfruttamento economico del bene immateriale

14.2.4 Concessione in uso a titolo gratuito

14.2.5 Utilizzo ricerca fondamentale

      1. Cost Contribution Agreement (C.C.A.).

“PREMESSA

In occasione di incontri tenutisi con interlocutori istituzionali sono stati posti all’attenzione della scrivente quesiti concernenti l’ambito applicativo del regime agevolativo denominato “Patent Box”, introdotto dall’articolo 1, commi da 37 a 45, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 e successivamente modificato dall’articolo 5 del decreto legge 24 gennaio 2015, n. 3 e dall’articolo 1, comma 148, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze 30 luglio 2015 sono state fornite le disposizioni di attuazione della predetta agevolazione, mentre con circolare n. 36/E del 1 dicembre 20151 sono stati resi noti i primi chiarimenti in relazione alle modalità di applicazione della citata disciplina.

Il presente documento, redatto in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), contiene chiarimenti sull’impianto generale dell’istituto, nonché soluzioni interpretative a quesiti pervenuti dai rappresentanti delle Associazioni di categoria e delle Professioni libere, anche al fine di agevolare la presentazione della documentazione relativa alle istanze di ruling.

PARTE PRIMA

1 DEFINIZIONI

Ai fini dell’applicazione della presente circolare:

  1. per “legge di stabilità 2015” si intende la legge 23 dicembre 2014, n. 190;
  2. per “legge di stabilità 2016” si intende la legge 28 dicembre 2015, n. 208;
  3. per “decreto Patent Box” o “decreto attuativo” si intende il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze 30 luglio 2015 recante disposizioni di attuazione dell’articolo 1, commi da 37 a 45, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
  4. per “decreto Investment Compact” si intende il decreto legge 24 gennaio 2015, n. 3;
  5. per “OCSE” si intende l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico;
  6. per “BEPS” si intende il progetto congiunto OCSE – G20 denominato “Base Erosion and Profit Shifting”;
  7. per “Action 5” si intende l’Azione 5 del Progetto BEPS così come riportato all’interno del Final Report “Countering Harmful Tax Practices More Effettctively, Taking into Account Transparency and Substance”;
  8. per “Linee Guida OCSE” si intendono le Linee Guida OCSE sulla determinazione dei prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, approvate dal Consiglio dell’OCSE in data 22 luglio 2010 e successive versioni;
  9. per “IP” si intende il termine Intellectual Property o il termine bene immateriale;
  10. per “nexus ratio” si intende il rapporto tra i costi indicati ai commi da 2 a 5 dell’articolo 9, del decreto Patent Box;
  11. per “nexus approach” si intende “nesso” tra le attività di ricerca e sviluppo, i beni immateriali ed il reddito agevolabile ad essi riferibile;
  12. per “reddito agevolabile” si intende, nel caso di utilizzo indiretto del bene immateriale, la differenza tra i canoni di concessione ed i costi diretti e indiretti fiscalmente rilevanti oppure, nel caso di utilizzo diretto, la differenza tra i ricavi impliciti derivanti dall’utilizzo del bene e i costi diretti e indiretti fiscalmente rilevanti;
  13. per “substantial activity” si intende lo svolgimento di un’attività materiale e rilevante da parte del contribuente;
  14. per “tracking and tracing” si intende l’attività di tracciatura e memorizzazione delle spese e dei redditi;
  15. per “costi qualificati” si intendono i costi riportati al numeratore del rapporto nexus ratio;
  16. per “costi complessivi” si intendono i costi riportati al denominatore del rapporto nexus ratio.

2 LA FINALITA’ DELLA NORMA

La crescente globalizzazione dell’economia mondiale ha reso sempre più centrale il ruolo dei beni immateriali nella creazione di valore aggiunto.

Lo sviluppo di asset immateriali è fondamentale per accrescere la competitività delle imprese. Non a caso le imprese ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale sono quelle che contribuiscono, soprattutto in Europa, a sostenere concretamente la crescita economica, sia in termini di prodotto interno lordo che di occupazione.

Già a far data dal 2010 la Commissione Europea, attraverso il programma “Strategia 2020”, aveva indicato la necessità di incrementare gli obiettivi di crescita europea attraverso investimenti in spesa di ricerca e sviluppo.

Tali obiettivi, però, hanno contribuito ad accrescere anche la mobilità dei beni immateriali di valore significativo da uno Stato membro all’altro, comportando di fatto la necessità di ripensare le misure fiscali di sostegno alla gestione e sfruttamento dei predetti beni immateriali.

Nel tempo, i fenomeni di allocazione delle risorse produttive in Paesi differenti rispetto al luogo di produzione hanno generato fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva.

Per questi motivi l’OCSE ha previsto una serie di azioni volte a contrastare la diffusione e gli effetti distorsivi provocati dalle pratiche fiscali dannose che diminuiscono la ricchezza e il benessere globale, ponendo in discussione la fiducia dei contribuenti nell’integrità dei sistemi fiscali.

Tale iniziativa trova espressione all’interno del documento denominato “Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting” (c.d. BEPS), che si propone di definire, attraverso quindici azioni, concrete proposte adottabili dai singoli Stati per contrastare l’elusione fiscale, le pratiche fiscali dannose e la pianificazione fiscale aggressiva.

L’Azione 5 del piano BEPS ripropone in modo aggiornato alcuni temi già affrontati dall’OCSE nell’anno 1998 (Harmful Tax Competition: An Emerging Global Issue) in materia di regimi fiscali dannosi. In tale azione, l’attenzione viene focalizzata sullo scambio di informazioni tra le Amministrazioni fiscali dei Paesi aderenti e sulla necessità che i regimi preferenziali adottati dagli Stati siano correlati allo svolgimento di attività sostanziali da parte delle imprese beneficiarie.

Il legislatore nazionale, con l’introduzione del regime in argomento, ha voluto tutelare la base imponibile nazionale con l’obiettivo di incentivare:

  • la collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane o estere;
  • il mantenimento dei beni immateriali in Italia evitandone la ricollocazione all’estero;
  • l’investimento in attività di ricerca e sviluppo.

Il decreto Patent Box richiama, nei considerando iniziali, l’Azione 5 dell’Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting e, in particolare, l’Agreement on Modified Nexus Approach for IP Regimes.

L’Italia e alcuni Stati membri della Comunità Europea hanno, infatti, introdotto propri regimi di Patent Box ispirati ai citati principi OCSE.

Tutti i Paesi che hanno adottato regimi di Patent Box, nessuno escluso, hanno “personalizzato” tale agevolazione generando, di fatto, regole e benefici differenti anche in termini di aliquote fiscali.

Al fine di eliminare i fenomeni distorsivi – che possono assumere le caratteristiche di “concorrenza fiscale dannosa” – l’OCSE non consente che, dopo la data del 30 giugno 2016, ci siano “nuove ammissioni” che possano beneficiare di regimi di Patent Box basati su regole e contenuti difformi da quelli indicati nell’Azione 5.

In questo quadro di riferimento si ritiene che le questioni di natura interpretativa che dovessero presentarsi in sede di applicazione del nostro meccanismo agevolativo dovranno far riferimento ai principi OCSE appena richiamati e successive versioni, sempreché la normativa italiana non preveda diversamente.

3 AMBITO SOGGETTIVO

L’ambito soggettivo di applicazione dell’agevolazione è individuato dal comma 1 dell’articolo 2 del decreto Patent Box che, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 37 della legge di Stabilità 2015, ammette tra i beneficiari dell’agevolazione tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa senza alcuna altra specificazione o limitazione.

Il Patent Box si applica quindi a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, in relazione alle attività produttive di redditi d’impresa, indipendentemente dalla natura giuridica, dalla dimensione e dal settore produttivo di appartenenza degli stessi.

L’agevolazione è fruibile anche dalle stabili organizzazioni – a cui sono attribuibili i beni immateriali indicati all’articolo 6 del decreto Patent Box – nel territorio dello Stato di soggetti residenti in Paesi con i quali sia in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni sia effettivo.

L’articolo 3 del decreto Patent Box esclude dal beneficio le società assoggettate alle procedure di fallimento, alle procedure di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Con riguardo a quest’ultima, si ritiene che il beneficio possa però spettare qualora la procedura sia finalizzata alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica.

Non possono, invece, accedere al regime agevolativo quei soggetti, titolari di reddito d’impresa, che determinano il reddito con metodologie diverse da quella analitica (nuovo regime forfetario, tonnage tax, società agricole che esercitano l’opzione per determinare il reddito su base catastale, ecc.).

Per fruire dell’agevolazione, in osservanza al principio OCSE c.d. “nexus approach“, occorre che colui che esercita l’opzione abbia diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali e svolga attività di ricerca e sviluppo. Ciò consente di collegare il godimento dell’agevolazione all’effettivo svolgimento di un’attività economica che si sostanzia nello sviluppo, manutenzione ed accrescimento del bene stesso.

In altri termini deve esserci un “nesso” tra le attività di ricerca e sviluppo, i beni immateriali ed il reddito agevolabile ad essi riferibile.

3.1 Modalità di accesso

3.1.1 Esercizio dell’opzione. I soggetti indicati al paragrafo precedente, per poter accedere al regime di tassazione agevolata, devono esercitare un’opzione da comunicarsi all’Agenzia delle entrate con modalità telematiche.

Per i primi due periodi d’imposta di applicazione della norma è necessario utilizzare un apposito modello semplificato da inoltrare telematicamente, direttamente o tramite soggetti incaricati della trasmissione di cui all’articolo 3, commi 2-bis e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, entro il termine del periodo d’imposta in cui ha inizio il regime di tassazione.

Il modello è stato approvato con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 10 novembre 2015, n. 144042 ed è disponibile sul sito internet dell’Agenzia alla voce:

http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Home/CosaDeviFare/Richiedere/Regimi+Opzionali/Opzione+per+tassazione+agevolata+beni+immateriali/Modello/

La trasmissione telematica è effettuata utilizzando l’apposito software denominato “PATENT_BOX”, disponibile gratuitamente sul sito internet dell’Agenzia delle entrate.

L’articolo 4, comma 2, del decreto Patent Box prevede che l’esercizio dell’opzione, a decorrere dal terzo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, sia comunicata direttamente nella dichiarazione dei redditi e decorre dal periodo d’imposta al quale la medesima si riferisce.

Pertanto, per i periodi di imposta 2015 e 2016 occorre presentare, in ipotesi di periodo di imposta coincidente con l’anno solare, entro il 31 dicembre di tali anni, il modello sopra richiamato, mentre i contribuenti che decideranno di optare per il regime di tassazione agevolata, ad esempio a partire dall’anno d’imposta 2017, dovranno comunicare l’opzione mediante il modello Unico 2018.

L’opzione ha durata pari a cinque periodi d’imposta, è irrevocabile ed è rinnovabile.

Come chiarito dalla relazione illustrativa al decreto Patent Box, l’opzione non va necessariamente esercitata con riferimento a tutti i beni immateriali detenuti dai soggetti beneficiari, bensì può essere esercitata, fin dal primo periodo d’imposta successivo al 31 dicembre 2014, per singolo bene immateriale.

Nel caso in cui in periodi di imposta successivi l’impresa intenda “agevolare” un nuovo bene immateriale, tra quelli individuati dall’articolo 6 del decreto Patent Box, la stessa dovrà esercitare una nuova opzione. Anche tale nuova opzione avrà durata pari a cinque periodi d’imposta a decorrere dal suo esercizio (e pertanto verrà a scadere, salvo proroghe, successivamente al termine di efficacia della precedente opzione) e richiederà di porre in essere ex novo tutti gli adempimenti del caso (ad esempio, inoltro di una nuova istanza di ruling). Tuttavia, laddove il nuovo bene immateriale oggetto di agevolazione presenti vincoli di complementarietà con un bene immateriale già agevolato con la precedente opzione e il contribuente intenda considerare detti beni un solo bene immateriale ai fini dell’opzione, tale nuova opzione avrà durata coincidente con la durata residua della precedente e in tal caso, per garantire l’opportuno coordinamento tra le due opzioni, il contribuente dovrà: (i) inoltrare, ai sensi del paragrafo 11.2 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 1 dicembre 2015, n. 154278, un’istanza motivata per richiedere la modificazione dell’accordo o, (ii) laddove non sia stato concluso alcun accordo e non sia obbligatorio attivare la procedura di ruling di seguito illustrata, conservare apposita documentazione che consenta di distinguere tutti gli elementi rilevanti riguardanti i beni immateriali “agevolati” con la precedente opzione dagli elementi rilevanti riguardanti i beni immateriali “agevolati” con la nuova opzione.

Occorre rilevare, da ultimo, che l’opzione per il regime in commento può essere esercitata anche tardivamente qualora il contribuente rispetti le condizioni previste dall’articolo 2, comma 1, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16.

A titolo esemplificativo, si consideri il caso di un contribuente, con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, che per l’anno 2015 non abbia esercitato l’opzione, ma abbia presentato istanza di ruling entro la fine del medesimo anno. In tale caso, il contribuente potrà fruire dell’agevolazione in esame a condizione che:

  • abbia i requisiti sostanziali richiesti dalla disciplina del Patent Box;
  • effettui la comunicazione telematica dell’esercizio dell’opzione utilizzando il modello sopra citato entro il 30 settembre 2016 (vale a dire entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile);
  • versi contestualmente l’importo della sanzione ridotta ai sensi della lettera c) dell’articolo 2, comma 1, del decreto legge n. 16 del 2012.

3.1.2 Presentazione di un’istanza di ruling. I titolari di reddito d’impresa che utilizzano direttamente il bene immateriale devono attivare la procedura di accordo preventivo con l’Amministrazione finanziaria (ruling) al fine di definire in contraddittorio i metodi ed i criteri di determinazione del reddito agevolabile (ipotesi di “ruling obbligatorio”). Le disposizioni concernenti l’accesso alla citata procedura sono state definite con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 1 dicembre 2015, n. 154278.

In caso di utilizzo indiretto del bene immateriale, il soggetto che intende beneficiare dell’agevolazione ha la facoltà di attivare la suddetta procedura di ruling qualora tale utilizzo venga realizzato nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa (ipotesi di “ruling facoltativo”).

L’istanza, indirizzata all’Ufficio Accordi preventivi e controversie internazionali dell’Agenzia delle entrate, è trasmessa in carta libera a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento ovvero da consegnare direttamente al citato Ufficio che rilascia attestazione di avvenuta ricezione. La documentazione prevista ai punti 3, 4 e 5 del citato Provvedimento può essere presentata o integrata entro 120 giorni dalla presentazione della stessa, unitamente a memorie integrative atte a illustrare e integrare l’istanza, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento ovvero direttamente all’Ufficio, che rilascia attestazione di avvenuta ricezione.

Con esclusivo riguardo alle istanze di ruling presentate dalla data di pubblicazione del citato Provvedimento del 1 dicembre 2015 e fino alla data del 31 marzo 2016, il temine entro cui può essere presentata o integrata la documentazione di cui ai punti 3, 4 e 5 del medesimo Provvedimento è fissato in 150 giorni che decorrono dalla data di presentazione dell’istanza (cfr. Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 23 marzo 2016, prot. 43572). Ad esempio, un contribuente che abbia presentato istanza di ruling il 30 dicembre 2015 può presentare la documentazione e le memorie entro il 28 maggio 2016.

3.1.3 Efficacia dell’opzione a seguito di presentazione di istanza di ruling. In merito alle modalità di fruizione dell’agevolazione a seguito di presentazione dell’istanza di ruling, l’articolo 4, comma 3, del decreto Patent Box prescrive che “Qualora la quota di reddito agevolabile sia determinata ai sensi dell’articolo 1, comma 39, secondo periodo o quarto periodo, della Legge di stabilità, l’opzione ha efficacia dal periodo di imposta in cui è presentata la richiesta di ruling ai sensi dell’articolo 8, comma 5 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, in deroga a quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, del medesimo decreto-legge, con riferimento al periodo di efficacia dell’accordo“.

La norma sopra richiamata prevede, quindi, che quando il reddito agevolabile è determinato sulla base di un accordo con l’Agenzia delle entrate, l’opzione diviene efficace dall’anno di presentazione dell’istanza di ruling.

Occorre, tuttavia, considerare che la presentazione di tale istanza può essere, come sopra chiarito, obbligatoria oppure facoltativa; si ritiene quindi necessario distinguere i casi di decorrenza dell’efficacia a seconda che ricorra l’una o l’altra ipotesi.

In caso di presentazione di ruling obbligatorio, l’opzione produce efficacia – e, quindi, il quinquennio inizia a decorrere – a partire dall’anno di presentazione dell’istanza di ruling. Ad esempio, se il contribuente ha comunicato l’opzione all’Agenzia delle entrate nel corso dell’anno 2015 senza però presentare istanza di ruling obbligatorio entro il termine del 31 dicembre 2015, l’opzione non sortirà effetti in tale annualità. Nel caso in cui lo stesso contribuente presenti l’istanza di ruling nell’anno 2016, tale istanza determina l’efficacia dell’opzione e fa decorrere il quinquennio dall’anno 2016.

Si ritiene che la mancata presentazione o integrazione della documentazione entro il termine previsto all’articolo 6 del Provvedimento del 1 dicembre 2015 e successive modificazioni determini la decadenza dell’istanza e, conseguentemente, la mancata efficacia dell’opzione effettuata, senza alcuna conseguenza per il contribuente, in linea con quanto già chiarito nella richiamata circolare 36/E. Qualora l’istanza di ruling venga nuovamente presentata e correttamente integrata, l’opzione diviene efficace – ed il quinquennio inizia a decorrere – dall’anno di presentazione della nuova istanza. Ad esempio, si consideri l’ipotesi di un contribuente che esercita l’opzione nell’anno 2015 ed entro il termine di tale anno presenta l’istanza di ruling, ma non presenta o non integra la documentazione nel termine di 150 giorni. In questo caso, l’istanza si considera decaduta e, quindi, l’opzione non produce effetti (il termine del quinquennio non decorre) e il contribuente non avrà conseguenze. Qualora il medesimo contribuente presenti una nuova istanza di ruling nel corso del 2016 e proceda nei termini alla presentazione o integrazione della documentazione, l’opzione produce effetti per un quinquennio decorrente dall’anno 2016.

Il tema del differimento dell’efficacia dell’opzione va diversamente declinato nel caso di ruling facoltativo.

In questo caso, qualora venga esercitata l’opzione e non venga presentato il ruling facoltativo, l’opzione è comunque efficace e il quinquennio inizia a decorrere; il contribuente determina autonomamente l’ammontare del reddito agevolabile. Tuttavia, se nel corso del quinquennio il contribuente presenta istanza di ruling facoltativo, lo stesso non può continuare a determinare il reddito autonomamente, ma deve attendere la conclusione dell’accordo con l’Agenzia delle entrate. Ad esempio, si consideri il caso di un contribuente che esercita l’opzione per l’anno di imposta 2015 per beneficiare del regime con riguardo ad un caso di utilizzo indiretto realizzato all’interno del gruppo societario di appartenenza. Se tale contribuente non presenta istanza di ruling facoltativo, l’opzione è efficace ed il quinquennio decorre dall’anno 2015; l’agevolazione sarà determinata autonomamente. Se il medesimo contribuente nell’anno 2017 presenta istanza di ruling, non potrà continuare a determinare autonomamente il reddito per la residua parte del triennio, vale a dire per gli anni 2017, 2018 e 2019, ma dovrà attendere la sottoscrizione dell’accordo con l’Agenzia.

Nel caso in cui venga esercitata l’opzione e nello stesso anno venga presentata l’istanza di ruling facoltativo, l’opzione è efficace ma il contribuente non può iniziare a determinare autonomamente il reddito e deve attendere la conclusione dell’accordo con l’Agenzia delle entrate. Ad esempio, si consideri il caso di un contribuente che esercita l’opzione per l’anno di imposta 2015 per beneficiare del regime con riguardo ad un caso di utilizzo indiretto realizzato all’interno del gruppo societario di appartenenza e presenta entro la fine del medesimo anno istanza di ruling facoltativo. In questo caso l’opzione è efficace ed il quinquennio inizia a decorrere dal 2015, ma il contribuente non può determinare autonomamente il reddito agevolabile e deve attendere la conclusione della procedura di ruling.

Infine, sempre nel caso di ruling facoltativo, se la relativa documentazione non è presentata o integrata entro il termine previsto dall’articolo 6 del Provvedimento del 1 dicembre 2015 e successive modificazioni, l’istanza si considera decaduta, fermo restando la validità dell’opzione esercitata; il contribuente potrà iniziare (se l’istanza di ruling è stata presentata per lo stesso anno in cui ha esercitato l’opzione) o continuare (se l’istanza di ruling è stata presentata per un anno successivo a quello in cui ha esercitato l’opzione) a determinare il reddito autonomamente, oppure potrà presentare una nuova istanza di ruling ed in tal caso dovrà attendere la sottoscrizione dell’accordo. Si consideri, ad esempio, il caso di un contribuente, che concede in uso un IP ad una società del gruppo, che esercita l’opzione per l’anno di imposta 2015 ed entro la fine di tale anno presenta istanza di ruling facoltativo. Si ipotizzi che tale contribuente non integri la documentazione entro il termine di 150 giorni: in tal caso, egli deve considerare l’istanza di ruling decaduta e, quindi, poiché l’opzione è ancora valida, potrà iniziare a determinare autonomamente il reddito agevolabile a partire dall’anno 2015 e fino al completamento del quinquennio.

Si consideri, ancora, il caso di un contribuente, che concede in uso un IP ad una società del gruppo, che esercita l’opzione per l’anno di imposta 2015 e che non presenta istanza di ruling facoltativo; tale contribuente potrà iniziare a determinare autonomamente il reddito agevolabile a partire dal 2015. Si ipotizzi che il medesimo contribuente presenti istanza di ruling facoltativo nell’anno 2017, ma non integri la documentazione entro il termine di 120 giorni: in tal caso, egli deve considerare l’istanza di ruling decaduta e, quindi, poiché l’opzione è ancora valida, potrà continuare a determinare autonomamente il reddito agevolabile, fino al completamento del quinquennio.

Da ultimo, si rileva che a decorrere dal terzo periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, l’opzione è comunicata nella dichiarazione dei redditi e decorre dal periodo di imposta al quale la medesima dichiarazione si riferisce. Non è stato ritenuto utile fare ricorso alla dichiarazione dei redditi presentata nell’anno per il quale si intende esercitare l’opzione in quanto, alla scadenza di tale adempimento, il medesimo anno di imposta non è ordinariamente concluso (il termine ordinario è il nono mese dalla chiusura del periodo di imposta precedente) e, quindi, il contribuente potrebbe non avere ancora contezza della possibilità di beneficiare dell’agevolazione (ad esempio, perchè non è ancora stato generato un bene immateriale).

Considerato che, come ampiamente chiarito, in caso di presentazione di istanza di ruling obbligatorio, l’opzione è efficace dal periodo di imposta in cui è presentata la medesima istanza, si potrebbe verificare, ad esempio, che il contribuente eserciti l’opzione nella dichiarazione modello UNICO 2018 (presentata a settembre 2018) e presenti l’istanza di ruling obbligatorio contestualmente o dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi (quindi, nell’anno 2018). In tale ipotesi, ai sensi dell’articolo 4, comma 3, del decreto Patent Box, l’opzione diviene efficace a partire dall’anno in cui è depositata l’istanza di ruling (il 2018), con conseguente impossibilità di fruire dell’agevolazione per l’anno 2017 alla quale si riferisce la dichiarazione e, di conseguenza, l’opzione.

Per ragioni di coerenza e per agevolare l’esercizio dell’opzione, è consentito presentare istanza di ruling nel corso dell’anno per il quale si intende fruire dell’agevolazione (nell’esempio sopra citato, entro la fine del periodo di imposta 2017) e comunicare l’opzione nella dichiarazione dei redditi relativa a tale annualità (nell’esempio, nel modello UNICO 2018 presentato nell’anno 2018); in tal modo, l’agevolazione può essere fruita a partire dall’anno al quale si riferisce la dichiarazione dei redditi con cui è comunicata l’opzione (nell’esempio, anno di imposta 2017).

3.1.4 Passaggio da ruling obbligatorio a ruling facoltativo e viceversa. Occorre precisare cosa accade quando il contribuente passa da una condizione in cui il ruling deve essere obbligatoriamente presentato ad una in cui, invece, la presentazione del ruling costituisce una facoltà, e viceversa.

Si pensi al caso di un bene immateriale utilizzato direttamente dal soggetto beneficiario dell’agevolazione, che viene conferito o scisso – dopo l’esercizio dell’opzione e la presentazione del ruling obbligatorio – a favore di una società del medesimo gruppo societario, la quale concede in uso il bene allo stesso dante causa o ad altra società del gruppo. La presentazione dell’istanza di ruling, a seguito dell’operazione prospettata, diviene facoltativa.

In una tale ipotesi si ritiene che, per l’anno per il quale il ruling era obbligatorio, il reddito agevolabile può essere determinato solo a seguito della sottoscrizione dell’accordo; resta ferma la facoltà del contribuente di non presentare o integrare la documentazione entro il termine previsto dall’articolo 6 del Provvedimento del 1 dicembre 2015 e, quindi, di far decadere l’istanza di ruling obbligatorio presentata, ferma restando la validità dell’opzione esercitata.

Di contro, nell’annualità per la quale il ruling è diventato facoltativo il soggetto beneficiario può determinare autonomamente il reddito agevolabile, a prescindere dall’esito dell’istanza presentata nell’annualità in cui il ruling era obbligatorio, ovvero può presentare istanza di ruling facoltativo ed attenderne la conclusione. Resta fermo, naturalmente, che l’esito dell’istanza presentata nell’annualità in cui il ruling era obbligatorio può costituire, con riferimento alla quantificazione del contributo economico, un valido parametro di riferimento per determinare i criteri ed i metodi di definizione del reddito agevolabile.

Si consideri, ad esempio, il caso di una società che ha esercitato l’opzione nell’anno di imposta 2015 e che, volendo beneficiare del regime per un bene immateriale utilizzato direttamente, ha presentato entro la fine del medesimo anno istanza di ruling obbligatorio. Nel 2016 la medesima società, allo scopo di costituire una IP Company, procede ad un conferimento di azienda comprensiva del bene immateriale per il quale ha esercitato l’opzione e presentato istanza di ruling.

In tale caso, la società conferente può beneficiare dell’agevolazione per l’anno 2015 solo se sottoscrive l’accordo con l’Agenzia delle entrate; in alternativa, la medesima conferente può rinunciare a presentare la documentazione entro i termini previsti e far decadere l’istanza per il 2015, senza far decadere gli effetti dell’opzione esercitata.

La conferitaria, dal canto suo, beneficia dell’opzione esercitata dal conferente prima dell’effettuazione del conferimento, ai sensi dell’articolo 5 del decreto attuativo, e può determinare autonomamente il reddito agevolabile poiché versa in una situazione di utilizzo indiretto del bene immateriale a favore di società del gruppo, oppure può presentare istanza di ruling facoltativo e attendere la conclusione dell’accordo. In tale caso, si considera che la conferitaria possa beneficiare dell’agevolazione per i restanti quattro anni di durata dell’opzione, salvo rinnovo.

Potrebbe anche verificarsi il caso del passaggio dalla condizione di ruling facoltativo a quella di ruling obbligatorio.

Si pensi all’esempio di una società che incorpora una società appartenente al medesimo gruppo societario, alla quale aveva concesso in uso il proprio bene immateriale per il quale aveva esercitato l’opzione per il regime in commento.

In tale ipotesi, il soggetto beneficiario del Patent Box, per le annualità in cui il ruling è facoltativo (vale a dire prima della fusione), ha la possibilità di determinare autonomamente il reddito agevolabile oppure di presentare istanza di ruling (in tale secondo caso, deve attendere la sottoscrizione dell’accordo).

Per le annualità in cui il ruling è divenuto obbligatorio (nell’esempio, dopo la fusione), il soggetto beneficiario dell’agevolazione (nell’esempio, il soggetto incorporante) deve presentare istanza per la determinazione in contraddittorio con l’Agenzia del reddito agevolabile, pena la perdita di efficacia dell’opzione esercitata.

Se l’istanza di ruling è stata presentata per l’annualità in cui essa era facoltativa, il reddito è determinato sulla base di tale istanza anche nelle annualità in cui il ruling è divenuto obbligatorio, salva la facoltà dell’Agenzia di richiedere al contribuente la integrazione della documentazione per tenere conto della diversa modalità di utilizzo del bene (da indiretto a diretto).

3.1.5 Effetti della sottoscrizione dell’accordo di ruling. Gli effetti della sottoscrizione dell’accordo di ruling sono disciplinati dall’articolo 4, comma 4, del decreto Patent Box secondo cui “Nelle more della stipula dell’accordo di cui all’articolo 8, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, i soggetti beneficiari determinano il reddito d’impresa secondo le regole ordinarie. Al fine di consentire l’accesso al beneficio fin dal periodo di imposta in cui è presentata l’istanza di ruling di cui al comma 3, la quota di reddito agevolabile relativa ai periodi di imposta compresi tra la data di presentazione della medesima istanza e la data di sottoscrizione dell’accordo, può essere indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di sottoscrizione del ruling“.

La relazione illustrativa chiarisce che resta ferma la possibilità di presentare istanza di rimborso o dichiarazione integrativa “a favore” di cui all’articolo 2, comma 8-bis, del d.p.r. 22 luglio 1998, n. 322 se ne ricorrono i termini di legge.

Ne consegue che, ad esempio, un contribuente con esercizio coincidente con l’anno solare che ha esercitato l’opzione e presentato l’istanza di ruling nell’anno 2015, con integrazione di quest’ultima entro il termine dei 150 giorni, e che ha sottoscritto l’accordo di ruling nel mese di aprile 2017, ha le seguenti facoltà:

  1. il periodo di imposta 2015, per il quale il reddito è stato determinato secondo le regole ordinarie, può essere gestito con dichiarazione integrativa a favore da presentarsi entro il 30 settembre 2017 ai sensi dall’articolo 2, comma 8-bis, del d.p.r. 22 luglio 1998, n. 322. Per la medesima annualità, il contribuente può, in alternativa, presentare istanza di rimborso se ricorrono i requisiti previsti dall’articolo 38 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602;
  2. il periodo di imposta 2016 può essere gestito con la ordinaria dichiarazione dei redditi Unico 2017 da presentare entro il 30 settembre 2017, con facoltà di includere in tale dichiarazione anche la variazione in diminuzione riferibile al 2015, sempreché non si sia avvalso delle facoltà indicate al punto 1). In tal caso la variazione in diminuzione sconterà le aliquote IRPEF/IRES e IRAP vigenti per l’anno d’imposta 2016;
  3. il periodo di imposta 2017 verrà gestito con la dichiarazione Unico 2018 da presentare entro il 30 settembre 2018;
  4. in alternativa, il contribuente può fruire dell’agevolazione per le tre annualità considerate – 2015, 2016 e 2017 – nella dichiarazione Unico 2018 da presentare entro il 30 settembre 2018, sempreché non si sia avvalso delle facoltà indicate ai punti 1) e 2). Nell’ipotesi rappresentata nel presente numero, la somma delle variazioni in diminuzione sconterà le aliquote IRPEF/IRES e IRAP vigenti nell’anno di imposta 2017.

Nel diverso caso di un contribuente, sempre con esercizio coincidente con l’anno solare, che ha presentato sia l’opzione che l’istanza di ruling nell’anno 2015, con integrazione della stessa entro il termine dei 150 giorni, e che ha sottoscritto l’accordo di ruling nel mese di novembre 2017, possono essere esercitate le seguenti facoltà:

  1. il periodo di imposta 2015, per il quale il reddito è stato determinato secondo le regole ordinarie, può formare oggetto di istanza di rimborso se ricorrono i requisiti previsti dall’articolo 38 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602;
  2. il periodo di imposta 2016 può formare oggetto di istanza di rimborso se ricorrono i requisiti previsti dall’articolo 38 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, oppure, in alternativa, può essere gestito con dichiarazione integrativa a favore da presentarsi entro il 30 settembre 2018 ai sensi dall’articolo 2, comma 8-bis, del d.p.r. 22 luglio 1998, n. 322. In tale dichiarazione può essere inclusa anche la variazione in diminuzione riferibile all’anno 2015, sempreché non sia stata presentata l’istanza di rimborso indicata nella lettera a). In tal caso la variazione in diminuzione sconterà le aliquote vigenti per l’anno d’imposta 2016;
  3. il periodo di imposta 2017 verrà gestito con la dichiarazione Unico 2018 da presentare entro il 30 settembre 2018;
  4. in alternativa, il contribuente può fruire dell’agevolazione per le tre annualità considerate – 2015, 2016 e 2017 – nella dichiarazione Unico 2018 da presentare entro il 30 settembre 2018, sempreché non si sia avvalso delle facoltà indicate alle lettere a) e b). Anche in questo caso si farà riferimento alle aliquote vigenti nell’anno di imposta 2017.

4 AMBITO OGGETTIVO

L’articolo 1, comma 39 della legge di stabilità 2015, come modificato dalla legge di stabilità 2016, e gli articoli 6 ed 8 del decreto Patent Box delimitano l’ambito oggettivo del meccanismo agevolativo fornendo le definizioni di beni immateriali ed elencando le attività di ricerca e sviluppo ammissibili al Patent Box.

L’articolo 6, comma 3 del decreto Patent Box prevede che “Qualora, nell’ambito delle singole tipologie dei beni immateriali individuati al comma 1 del presente articolo, due o più beni appartenenti ad un medesimo soggetto siano collegati da un vincolo di complementarietà tale per cui la finalizzazione di un prodotto o di un processo sia subordinata all’uso congiunto degli stessi, tali beni immateriali costituiscono un solo bene immateriale ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente decreto“.

L’articolo 1, comma 148 della legge di stabilità 2016 ha modificato l’articolo 1 della legge di stabilità 2015 introducendo il nuovo comma 42-ter.

Attraverso questo intervento, il legislatore ha chiarito che più beni immateriali collegati da un vincolo di complementarietà possono costituire un solo bene immateriale ai fini dell’agevolazione in argomento. In sostanza, il vincolo di complementarietà non è più riservato a beni della stessa tipologia e può riguardare anche beni di tipologia diversa utilizzati congiuntamente per le realizzazione di un prodotto o processo.

Si ritiene che tale nuova disposizione, nell’assumere una valenza interpretativa, possa applicarsi anche ai regimi avviati con decorrenza dall’esercizio 2015, cioè alle opzioni e istanze di ruling presentate entro il 31 dicembre del medesimo anno.

4.1 Definizione di bene immateriale. L’articolo 6, comma 1, del decreto Patent Box definisce ed elenca i beni immateriali che consentono alle imprese di accedere al regime opzionale di tassazione agevolata.

Si ricorda che il diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali indicati nel citato articolo 6 è condizione necessaria ma non sufficiente per la fruizione dell’agevolazione, in quanto occorrerà sempre verificare se agli stessi si può attribuire un valore dal quale derivano componenti positivi di reddito che concorrono alla formazione del reddito di impresa. La identificazione di tal valore va effettuata con le tecniche di seguito illustrate e può anche prescindere dalle modalità di rappresentazione in bilancio dei medesimi beni.

In relazione ai titoli di proprietà industriale indicati ai romanini (ii), (iii) e (iv) dell’articolo 8 del decreto Patent Box, essendo il nomen iuris del procedimento amministrativo di rilascio del titolo di proprietà industriale variabile in funzione delle diverse definizioni contenute nel diritto industriale dei Paesi concedenti la privativa, occorre fare riferimento alla tipologia sostanziale di privativa che, esemplificativamente, è stata indicata con riferimento all’ordinamento italiano (Codice della proprietà industriale, decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30).

Resta fermo, infatti, che come previsto all’articolo 6, comma 2, del decreto Patent Box, per la definizione delle tipologie di beni immateriali e dei requisiti per la loro esistenza e protezione si fa riferimento alle norme nazionali, dell’Unione europea ed internazionali e a quelle contenute in regolamenti dell’Unione europea, trattati e convenzioni internazionali in materia di proprietà industriale e intellettuale applicabili nel relativo territorio di protezione.

4.1.1 Software protetto da copyright. Per software protetto da copyright si intendono i programmi per elaboratore in qualunque forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore.

Restano esclusi dalla tutela accordata dalla presente legge le idee e i principi che stanno alla base di qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli alla base delle sue interfacce. Il termine programma comprende anche il materiale preparatorio per la progettazione del programma stesso.

La prova deve risultare da una dichiarazione sostitutiva, ai sensi del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, da trasmettere all’Agenzia delle entrate, che, nella consapevolezza delle sanzioni penali, nel caso di dichiarazioni non veritiere, di formazione o uso di atti falsi, richiamate dall’articolo 76 del d.p.r. citato, attesti la titolarità dei diritti esclusivi su di esso in capo al richiedente, a titolo originario o derivativo (in questo secondo caso specificando il negozio da cui deriva l’acquisto), e la sussistenza dei requisiti di tutela sopra individuati di originalità e creatività tali da poter essere identificati come opere dell’ingegno.

La dichiarazione deve altresì contenere la descrizione del programma per elaboratore a cui può essere allegata copia del programma su supporto ottico non modificabile, conformemente alle previsioni dell’articolo 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 gennaio 1994, n. 244 in materia di registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore.

4.1.2 Brevetti industriali siano essi concessi o in corso di concessione, ivi inclusi i brevetti per invenzione, ivi comprese le invenzioni biotecnologiche e i relativi certificati complementari di protezione, i brevetti per modello d’utilità, nonché i brevetti e certificati per varietà vegetali e le topografie di prodotti a semiconduttori. Per brevetti industriali si intendono:

  1. i brevetti per invenzione;
  2. i brevetti per modello di utilità;
  3. i brevetti per nuove varietà vegetali;
  4. le topografie di prodotti a semiconduttori;
  5. il certificato complementare per prodotti medicinali;
  6. il certificato complementare per prodotti fitosanitari.

I predetti titoli di proprietà industriale sono concessi dai competenti Uffici nazionali, comunitari o Organismi internazionali, variamente denominati. Esemplificativamente, oltre agli Uffici nazionali per la proprietà industriale dei diversi Stati a cui si rinvia, i riferimenti che potrebbero ricorrere con maggiore frequenza sono:

I. per i brevetti per invenzione:

  • l’Ufficio nazionale è la Direzione Generale Lotta alla Contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (DGLC-UIBM), http://www.uibm.gov.it/;
  • l’Ufficio europeo dei brevetti, https://www.epo.org/index.html;

II. per i brevetti per nuove varietà vegetali:

  • l’Ufficio nazionale è la Direzione Generale Lotta alla Contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (DGLC-UIBM), http://www.uibm.gov.it/;
  • l’Ufficio comunitario delle varietà vegetali, http://www.cpvo.europa.eu/main/en;

III. per i modelli di utilità, le topografie di prodotti a semiconduttori, i certificati complementari per prodotti medicinali ed i certificati complementari per prodotti fitosanitari:

  • l’Ufficio nazionale è la Direzione Generale Lotta alla Contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (DGLC-UIBM), http://www.uibm.gov.it/;

Per brevetti “in corso di concessione”, si intendono le domande per il rilascio dei predetti titoli depositate pressi gli Uffici competenti.

La prova dell’avvenuto deposito della domanda è fornita mediante la produzione di una ricevuta (in qualunque modo denominata) rilasciata dall’Ufficio competente. Nel caso di avvenuta concessione del titolo di proprietà industriale, la prova è costituita dal relativo attestato (in qualunque modo denominato) rilasciato dall’Ufficio competente. Devono essere forniti i riferimenti delle eventuali banche dati da cui è possibile desumere le predette informazioni o estrarre i relativi documenti.

4.1.3 Marchi di impresa, ivi inclusi i marchi collettivi, siano essi registrati o in corso di registrazione. Per marchi di impresa, ivi inclusi i marchi collettivi, siano essi registrati o in corso di registrazione, si intendono i marchi registrati dai competenti Uffici per la proprietà industriale, variamente denominati. Esemplificativamente, oltre agli Uffici nazionali per la proprietà industriale dei diversi Stati a cui si rinvia, i riferimenti che potrebbero ricorrere con maggiore frequenza sono:

  • la Direzione Generale Lotta alla Contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (DGLC-UIBM), http://www.uibm.gov.it/;
  • l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO (1) ), https://euipo.europa.eu/ohimportal/it/home ;
  • l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI o WIPO), http://www.wipo.int/portal/en/index.html

Per marchi “in corso di registrazione”, si intendono le domande di registrazione di marchio depositate presso gli Uffici competenti.

La prova dell’avvenuto deposito della domanda è fornita mediante la produzione di una ricevuta (in qualunque modo denominata) rilasciata dell’Ufficio competente. Nel caso di avvenuta registrazione la prova è costituita dal relativo attestato di primo deposito (in qualunque modo denominato) ovvero dall’ultimo attestato di rinnovo rilasciato dall’Ufficio competente. Devono essere forniti i riferimenti delle eventuali banche dati da cui è possibile desumere le predette informazioni o estrarre i relativi documenti.

4.1.4 Disegni e modelli, giuridicamente tutelabili. Per disegni e modelli “giuridicamente tutelabili”, si intendono:

  1. le domande di registrazione di disegni e modelli;
  2. i disegni e modelli registrati;
  3. i disegni e modelli comunitari non registrati che possiedano i requisiti di registrabilità, la cui tutela dura per un periodo di tre anni decorrente dalla data in cui il disegno o modello è stato divulgato al pubblico per la prima volta nella Comunità (di cui all’articolo 11 del Regolamento CE n. 6/2002 del Consiglio, del 12 dicembre 2001, su disegni e modelli comunitari);
  4. il disegno industriale che presenti di per sé carattere creativo e valore artistico (ai sensi dell’articolo 2, comma 1, n. 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633 in materia di diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio).

Le domande di registrazione sono depositate presso, ed i titoli di proprietà industriale sono rilasciati dai, competenti Uffici per la proprietà industriale variamente denominati. Esemplificativamente, oltre agli Uffici nazionali per la proprietà industriale dei diversi Stati a cui si rinvia, i riferimenti che potrebbero ricorrere con maggiore frequenza sono:

  • la Direzione Generale Lotta alla Contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (DGLC-UIBM), http://www.uibm.gov.it/;
  • l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO (2) ), https://euipo.europa.eu/ohimportal/it/home ;

Nei casi di cui alle lettere a) e b), la prova dell’avvenuto deposito della domanda è fornita mediante la produzione di una ricevuta (in qualunque modo denominata) rilasciata dall’Ufficio competente e la prova di avvenuta registrazione è costituita dal relativo attestato (in qualunque modo denominato) rilasciato dall’Ufficio competente. Devono essere forniti i riferimenti delle eventuali banche dati da cui è possibile desumere le predette informazioni o estrarre i relativi documenti.

Negli altri casi, sub lettere c) e d), la prova deve risultare da una dichiarazione sostitutiva, ai sensi del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445

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, da trasmettere all’Agenzia delle entrate, che, nella consapevolezza delle sanzioni penali, nel caso di dichiarazioni non veritiere, di formazione o uso di atti falsi, richiamate dall’articolo 76 del d.p.r. citato, attesti la titolarità dei diritti esclusivi su di esso in capo al richiedente, a titolo originario o derivativo (in questo secondo caso specificando il negozio da cui deriva l’acquisto), e la sussistenza dei rispettivi requisiti di tutela sopra descritti in relazione al regolamento n. 6/2002 sui disegni e modelli comunitari ed alla legge sul diritto d’autore (legge n. 633 del 1941) e indichi inoltre: (i) per il disegno e modello comunitario non registrato, la data e l’evento in cui il disegno o modello è stato divulgato al pubblico per la prima volta nella Comunità; e (ii) per il disegno industriale protetto dal diritto d’autore, il nome dell’autore e, se questi non è vivente, la data della morte.

4.1.5 Informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete, giuridicamente tutelabili. Per informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete, giuridicamente tutelabili si fa riferimento all’ambito di protezione delle informazioni aziendali riservate, come previsto dall’articolo 39 del TRIPs Agreement (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) ratificato dall’Italia con la legge 29 dicembre 1994, n. 747, che nell’ordinamento nazionale italiano attribuisce in capo al legittimo detentore un diritto di proprietà industriale, disciplinato agli articoli 98 e 99 del Codice della Proprietà Industriale (decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, “cpi”). In particolare, rientra in tale ambito di applicazione il know-how di cui all’articolo 1, lett. i) del Regolamento CE n. 772/2004, del 27 aprile 2004 (che, in relazione ai contratti di trasferimento di tecnologie, definisce il know-how come un “patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove, patrimonio che è: i) segreto, vale a dire non genericamente noto o accessibile; ii) sostanziale, vale a dire significativo e utile per la produzione di prodotti contrattuali; e iii) individuato, vale a dire descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da verificare se risponde ai criteri di segretezza e sostanzialità“).

Ai fini del regime opzionale si considerano pertanto “giuridicamente tutelabili”, le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:

  1. siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore. Si tratta di informazioni che, singolarmente o nella loro combinazione, siano tali da nonpoter essere assuntedall’operatore del settore, in tempi e a costi ragionevoli. In sostanza occorre che la loro acquisizione da parte del concorrente richieda sforzi o investimenti;
  2. abbiano valore economico in quanto segrete. Non nel senso che possiedano un valore di mercato, ma nel senso che il loro utilizzo comporti, da parte di chi lo attua, un vantaggio concorrenzialeche consenta di mantenere o aumentare la quota di mercato;
  3. siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l’autorizzazione dell’immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l’uso di nuove sostanze chimiche. Si ritiene comunemente necessario che il titolare delle informazioni renda edottii propri dipendentie i propri collaboratoridella natura delle informazionie della necessità di mantenere il segretosia come condizione contrattuale sia come informazione comunque diretta a collaboratori e dipendenti.

La prova deve risultare da una dichiarazione sostitutiva, ai sensi del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, da trasmettere all’Agenzia delle entrate, che, nella consapevolezza delle sanzioni penali, nel caso di dichiarazioni non veritiere, di formazione o uso di atti falsi, richiamate dall’articolo 76 del d.p.r. citato, attesti la legittima detenzione delle informazioni riservate in capo al richiedente, avendole lo stesso acquisite a titolo originario o derivativo (in questo secondo caso specificando il negozio da cui deriva l’acquisto) e la sussistenza dei requisiti di tutela sopra individuati e contenga i seguenti elementi:

  1. la descrizione delle informazioni o esperienze in modo sufficiente per la loro individuazione, e il riferimento alle eventuali relative fonti documentali interne ed esterne all’azienda utili a tale individuazione, [ad esempio: documenti in cui tali dati sono individuati contrattualmente quali informazioni e specifiche da qualificare come riservate anche nell’ambito di accordi di segretezza aziendale – accordi di non divulgazione – accordi o clausole di riservatezza accessori ad altri contratti, depositi fiduciari, circolari interne, protocolli, ordini di servizio, patti di non concorrenza – informazioni inserite in allegati tecnici in cui è effettuata la descrizione delle informazioni riservate, oppure sono marcati come documenti riservati (con diciture quali “segreto”, “riservato” o “confidenziale”), in modo da essere individuabili dal soggetto che viene in possesso della documentazione contenente le informazioni riservate];
  2. l’attestazione che tali informazioni o esperienze non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti (indicando la materia) ed agli operatori del settore (indicando il settore), con l’indicazione delle ragioni giustificative di tale conclusione;
  3. l’attestazione che il possesso di tali informazioni o esperienze in regime di segreto presenta valore economico, con l’indicazione delle ragioni giustificative di tale affermazione;
  4. l’attestazione dell’adozione di misure concretamente idonee a garantire l’effettiva riservatezza delle informazioni, con la descrizione delle misure di secretazione adottate e la giustificazione della relativa adeguatezza in relazione alle circostanze [ad esempio: documenti o informazioni conservati in archivi chiusi o su supporti informatici per i quali è necessario l’uso di credenziali per l’accesso alle cartelle contenenti tali informazioni riservate. Per tali fini, assumerà rilievo in particolare la dimostrazione dell’esistenza di atti interni aziendali (regolamenti, disposizioni, atti o delibere di organi amministrativi e simili) da cui si evincano metodologie e procedure che indichino le modalità di conservazione e di trasferimento delle informazioni riservate e le responsabilità relative].

Ai fini del regime opzionale non saranno pertanto prese in considerazione dichiarazioni o clausole che rimandino genericamente alla riservatezza di tutte le informazioni contenute negli atti o nei contratti cui si fa riferimento o il generico richiamo all’obbligo di riservatezza che grava sui dipendenti ai sensi dell’articolo 2105 c.c., essendo necessario identificare con sufficiente precisione quali siano le informazioni su cui viene posto il vincolo della segretezza.

4.1.6 Beni esclusi dall’agevolazione. L’articolo 1, comma 148 della legge di stabilità 2016 ha modificato il comma 39 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015 sostituendo l’espressione “opere dell’ingegno” con “software protetto da copyright”.

Tale definizione, già prevista dall’articolo 6, comma 1, lettera a) del decreto Patent Box, ha di fatto escluso dall’agevolazione le opere dell’ingegno quali le opere letterarie, le opere drammatiche, le opere scientifiche, le opere didattiche, i format radiotelevisivi, le opere fotografiche, le opere dell’arte cinematografica, le opere della scultura, le opere e le composizioni musicali, i disegni e le opere dell’architettura, i progetti di lavori di ingegneria, ecc.

Attraverso questo intervento, il legislatore ha confermato che il diritto d’autore – ad eccezione del software protetto da copyright – è escluso dall’agevolazione in commento.

Si ritiene che tale disposizione, nell’assumere una valenza interpretativa, possa applicarsi anche ai regimi avviati con decorrenza dall’esercizio 2015, cioè alle opzioni e istanze di ruling presentate entro il 31 dicembre 2015. In tal senso devono intendersi integrate le istruzioni della modulistica dichiarativa Unico 2016.

Sempre in tema di beni esclusi dall’agevolazione, si ritiene che in tale categoria siano annoverabili le liste di nominativi, quali ad esempio le liste fornitori e clienti, che contengono informazioni aggregate ed utilizzabili dalle imprese in chiave di direct marketing.

4.2 Definizione di attività di ricerca e sviluppo. Ai sensi dell’articolo 1, comma 41, della legge di stabilità 2015 “Le disposizioni dei commi da 37 a 40 si applicano a condizione che i soggetti che esercitano l’opzione di cui al comma 37 svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con società diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa ovvero con università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzate alla produzione dei beni di cui al comma 39“.

Al riguardo, l’articolo 8 del decreto Patent Box con riferimento alle definizioni di attività di ricerca e sviluppo – finalizzate allo sviluppo, mantenimento e accrescimento del valore dei beni di cui all’articolo 6 – ne individua le attività.

In base al comma 1, punto (i), dell’articolo 8 del citato decreto sono classificabili nella “ricerca fondamentale”:

  • “i lavori sperimentali o teorici svolti per acquisire nuove conoscenze, ove successivamente utilizzate nelle attività di ricerca applicata e design”.

Secondo il successivo punto (ii) sono classificabili nella “ricerca applicata” le attività di:

  • “ricerca pianificata per acquisire nuove conoscenze e capacità, da utilizzare per sviluppare nuovi prodotti, processi o servizi o apportare miglioramenti a prodotti, processi o servizi esistenti, in qualsiasi settore della scienza e della tecnica”;
  • “lo sviluppo sperimentale e competitivo, con ciò dovendosi intendere l’acquisizione, la combinazione, la strutturazione e l’utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica, commerciale e di altro tipo allo scopo di sviluppare prodotti, processi o servizi nuovi o migliorati”;
  • “le altre attività destinate alla definizione concettuale, concernente nuovi prodotti, processi o servizi, e i test, le prove e le sperimentazioni necessari ad ottenere le autorizzazioni per la immissione in commercio dei prodotti o l’utilizzo di processi e servizi”.

Sono inoltre classificabili nello “sviluppo sperimentale” le attività di:

  • costruzione di prototipi e campioni, la dimostrazione, la realizzazione di prodotti pilota, i test e la convalida di prodotti, processi o servizi nuovi o migliorati, e la realizzazione degli impianti e delle attrezzature a tal fine necessari”;
  • In base al punto (iii) sono classificabili nel “design” le attività di:
  • “ideazione e progettazione di prodotti, processi e servizi, ivi incluso l’aspetto esteriore di essi e di ciascuna loro parte”;
  • “le attività di sviluppo dei marchi”, intesa quale ideazione, progettazione ed elaborazione degli stessi.

Secondo il punto (iv) rientrano nelle attività di ricerca e sviluppo “l’ideazione e la realizzazione del software protetto da copyright», ivi incluse anche le attività di elaborazione e adeguamento dello stesso.

In base al punto (v) rientrano nelle attività di ricerca e sviluppo le attività di:

  • “ricerche preventive, i test e le ricerche di mercato e gli altri studi e interventi anche finalizzati all’adozione di sistemi anticontraffazione”.

Rientrano in tale attività, ad esempio, le consulenze propedeutiche alla brevettazione o registrazione (studi su brevettabilità – ricerca di anteriorità, o su registrabilità – ricerca di novità, freedom to operate), le due diligence, gli studi di fattibilità, gli studi ed interventi finalizzati all’adozione di sistemi che consentano l’individuazione di un prodotto autentico da uno contraffatto quali, ad esempio, sistemi di tracciabilità e rintracciabilità.

  • “il deposito, l’ottenimento e il mantenimento dei relativi diritti, il rinnovo degli stessi a scadenza”.

Rientrano in tale attività, ad esempio, il deposito della domanda di privativa industriale presso un Ufficio nazionale, comunitario o organismo internazionale (es. DGLC-UIBM, EPO, EUIPO) comprese le eventuali relative estensioni (es. attraverso le procedure internazionali EPO o WIPO); le possibili conversioni tra domande (ad esempio: la domanda di brevetto per invenzione si può convertire in una domanda di brevetto per modello di utilità o viceversa). Sono comprese nelle predette attività ogni istanza ad esse connesse, comprese le eventuali traduzioni. Per “mantenimento in vita”, si intendono generalmente le attività amministrative necessarie affinché il titolo di proprietà industriale non incorra in decadenze. Tali attività consistono tipicamente, salvo eccezioni, nel pagamento di diritti di concessione annuali o pluriannuali all’Ufficio concedente (ad esempio: per i brevetti per invenzione industriale nazionali dal sesto al ventesimo anno è dovuto annualmente il pagamento di diritti), ovvero nella presentazione di una domanda di rinnovo (“rinnovazione”) del titolo all’ente concedente entro una determinata scadenza (ad esempio: per i marchi nazionali, la cui registrazione dura dieci anni, occorre presentare all’Ufficio concedente ogni dieci anni una domanda di rinnovazione per un eguale periodo). Le suddette attività possono essere svolte direttamente dal titolare o da un mandatario (tipicamente un consulente in proprietà industriale o un avvocato);

  • “la protezione di essi, anche in forma associata e in relazione alle attività di prevenzione della contraffazione e la gestione dei contenziosi e contratti relativi”.

Per attività di “protezione” si intendono: le azioni giudiziali, stragiudiziali ed amministrative in materia di proprietà industriale (ad esempio: l’azione giudiziale per contraffazione; per i marchi, l’azione per nullità davanti all’EUIPO; le misure di tutela dei diritti di proprietà intellettuale da parte delle autorità doganali previste dal regolamento UE n. 608/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013; le diffide e costituzioni in mora; la predisposizione di accordi di segretezza; trascrizione o annotazione nei registri di pubblicità legale). Per attività di “prevenzione della contraffazione” si intendono le attività di formazione ed informazione del personale interno all’azienda; le attività connesse al supporto e promozione delle politiche in materia di lotta alla contraffazione e proprietà industriale, siano esse svolte individualmente che attraverso associazioni aventi analoghe finalità; le attività di monitoraggio e controllo del mercato, anche on-line.

Secondo il punto (vi) del comma 1 dell’articolo 8 del decreto attuativo, rientrano nelle attività di ricerca e sviluppo le attività di:

  • “presentazione, comunicazione e promozione che accrescano il carattere distintivo e/o la rinomanza dei marchi, e contribuiscano alla conoscenza, all’affermazione commerciale, all’immagine dei prodotti o dei servizi, del design, o degli altri materiali proteggibili”.

Rientrano in tale ambito, ad esempio, le attività pubblicitarie e fieristiche.

5 CALCOLO DELL’AGEVOLAZIONE

L’agevolazione in commento consiste in una variazione in diminuzione – da operare ai fini IRPEF o IRES, nonché ai fini IRAP – per la cui determinazione occorre:

  1. individuare, innanzitutto, il reddito agevolabile derivante dall’utilizzo diretto o indiretto del bene immateriale, ai sensi dell’articolo 7 del decreto Patent Box;
  2. calcolare, poi, il c.d. nexus ratio, dato dal rapporto tra i costi qualificati e i costi complessivi, ai sensi dell’articolo 9, commi da 2 a 5 del medesimo decreto;
  3. effettuare il prodotto tra il reddito agevolabile ed il nexus ratio per ottenere la quota di reddito agevolabile, prevista dall’articolo 9, comma 7 del decreto.

La quota di reddito agevolabile non concorre a formare il reddito d’impresa per il 50 per cento del relativo ammontare. Tuttavia, per il periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e a quello in corso al 31 dicembre 2015 la percentuale di esclusione dal concorso alla formazione del reddito d’impresa è fissata, rispettivamente, in misura pari al 30 e al 40 per cento (cfr. articolo 9, comma 8 del decreto)

Considerando la percentuale a regime del 50%, questo meccanismo può determinare, di fatto, una tassazione ai fini IRES del bene immateriale con aliquota pari alla metà di quella ordinaria e, quindi, pari al 12% tenendo conto della riduzione dell’aliquota IRES al 24% prevista dalla legge di Stabilità 2016 a decorrere dal periodo di imposta 2017.

6 DETERMINAZIONE DEL REDDITO AGEVOLABILE

L’articolo 7 del decreto Patent Box dettaglia le modalità di determinazione del reddito agevolabile ascrivibile all’utilizzo dei beni immateriali oggetto di incentivazione, distinguendo l’utilizzo diretto dalla concessione in uso.

Nel caso di utilizzo diretto, il comma 3 di tale articolo prescrive che, per ciascun bene immateriale oggetto dell’opzione, deve essere individuato il reddito agevolabile (definito, dalla norma primaria e dal decreto attuativo, anche come contributo economico o, dalla relazione illustrativa al decreto attuativo, come reddito figurativo) che ha concorso algebricamente a formare il reddito d’impresa o la perdita. Tale previsione dà contenuto al principio recato dall’articolo 1, comma 39, terzo periodo, della legge di stabilità 2015 ai sensi del quale “la procedura di ruling ha ad oggetto la determinazione, in via preventiva e in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, dell’ammontare dei componenti positivi di reddito impliciti e dei criteri per l’individuazione dei componenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi”. Le modalità di determinazione del reddito agevolabile in caso di utilizzo diretto sono illustrate nel paragrafo 6.1.

Nel caso di concessione in uso (utilizzo indiretto), il comma 2 dell’articolo 7 del decreto Patent Box dispone che il reddito agevolabile è costituito dai canoni derivanti dalla concessione in uso dei beni immateriali, al netto dei costi fiscalmente rilevanti diretti e indiretti a essi connessi. Le modalità di determinazione del reddito agevolabile in caso di utilizzo indiretto sono rese nel paragrafo 6.2.

La documentazione a corredo dell’istanza da presentarsi nei 180 giorni da parte del contribuente deve permettere di ricostruire in modo dettagliato il reddito agevolabile per il primo periodo di esercizio dell’opzione. Posto che come chiarito nel paragrafo 8 l’accordo verterà sui criteri e metodi di determinazione del reddito agevolabile, per comprendere la coerenza degli stessi, è necessario quantificare il reddito agevolabile del primo periodo al fine di dimostrare la coerenza dei criteri e dei metodi scelti con il risultato ottenuto. In questa procedura, nessuna documentazione deve essere presentata ai fini della determinazione del nexus ratio.

Di fondamentale importanza è la distinzione tra costi “diretti” ed “indiretti” di cui si parlerà nel paragrafo 6.4.

6.1 Determinazione del reddito agevolabile in caso di utilizzo diretto. In caso di utilizzo diretto dei beni immateriali è necessario determinare il contributo economico fornito da ciascun bene immateriale oggetto di agevolazione al reddito complessivo (o perdita) realizzato nell’ambito dell’attività d’impresa.

Il contributo economico consiste nella quota di reddito (o perdita) di impresa ascrivibile al bene o ai beni immateriali, incorporata nel reddito complessivo (o nella perdita complessiva) derivante dall’attività d’impresa, che il soggetto beneficiario non avrebbe realizzato in assenza del bene immateriale stesso.

Tale reddito (o perdita) figurativo è il risultato del “conto economico virtuale” riferibile al bene immateriale, che tiene conto, per la parte delle componenti positive, della “royalty implicita” sul bene intangibile incorporata nel prezzo di vendita del bene materiale ceduto o del servizio prestato e, per la parte delle componenti negative, della sommatoria di tutti i costi, diretti e indiretti, relativi alle attività connesse alla creazione, allo sviluppo, al mantenimento e/o al miglioramento del bene immateriale medesimo. In relazione alle modalità di individuazione dei costi diretti ed indiretti, si veda il successivo paragrafo 6.4.

Il valore della predetta royalty da individuare nell’ambito delle componenti positive non è esplicito, cioè determinato a seguito di una specifica contrattazione tra parti giuridicamente distinte, ma risulta “implicito” e, pertanto, da estrapolare dal prezzo di vendita del bene o del servizio ceduto a terzi.

Come chiarito nella relazione illustrativa al decreto Patent Box, il contributo economico deve essere determinato assumendo l’esistenza di un ramo d’azienda autonomo deputato alla concessione in uso dei beni immateriali allo stesso contribuente, isolando, quindi, le componenti positive (componenti positive implicite) e negative di reddito ascrivibili allo sfruttamento del bene intangibile.

Per la determinazione delle componenti positive occorre far riferimento ai ricavi che sarebbero potenzialmente realizzabili qualora gli intangibili fossero utilizzati sul mercato, alle medesime condizioni d’impiego, da soggetti terzi indipendenti.

Rientrano tra le componenti positive di reddito anche le somme ottenute come risarcimento e come restituzione dell’utile a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, per inadempimento a contratti aventi ad oggetto i beni immateriali per i quali si esercita l’opzione e per violazione dei diritti sugli stessi.

Nella determinazione del contributo economico si fa riferimento ai dati contabili, così come rilevati nei conti economici predisposti ai fini del bilancio di esercizio redatto in base ai principi contabili di riferimento, tenendo comunque presente le eventuali successive variazioni, in aumento o in diminuzione, effettuate ai fini fiscali, in particolare ai fini IRES. Nei casi in cui dovesse risultare più appropriato, è possibile fare riferimento, nella determinazione del contributo economico, ai dati contabili così come rilevati nella contabilità analitica o industriale, purché il contribuente sia in grado di riconciliare i dati complessivamente riscontrabili in tale contabilità con i dati complessivamente indicati ai fini civilistici, e di fornire anche una riconciliazione con eventuali successive variazioni, in aumento o in diminuzione, effettuate ai fini IRES.

Si evidenzia che in caso di utilizzo diretto dei beni immateriali oggetto di agevolazione, i criteri e metodi di determinazione del contributo economico al reddito di impresa sono stabiliti mediante l’accordo preventivo con l’Agenzia delle entrate, di cui al successivo paragrafo 8.

Con riferimento sia alle componenti positive che negative, qualora si riferiscano ad operazioni con parti correlate di cui all’articolo 110 comma 7 del TUIR, il contribuente, al fine di avere certezza in relazione al valore normale delle predette componenti, può attivare le procedure ordinarie di accordo preventivo ai sensi dell’articolo 31-ter del d.p.r. del 29 settembre 1973.

6.2 Determinazione del reddito agevolabile in caso di utilizzo indiretto. Il reddito agevolabile derivante dalla concessione in uso del bene immateriale è determinato dai relativi canoni diminuito dei costi, diretti ed indiretti, fiscalmente riconosciuti ad essi connessi di competenza del periodo d’imposta.

Tra i componenti positivi di reddito da considerare nel computo, oltre ai canoni derivanti dalla concessione in uso del bene, rientrano anche le somme ottenute come risarcimento e come restituzione dell’utile a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, per inadempimento a contratti aventi ad oggetto i beni immateriali per i quali si esercita l’opzione e per violazione dei diritti sugli stessi. Nella tipologia di utilizzo indiretto di beni immateriali rientrano sia la concessione del diritto all’utilizzo di tali beni a parti correlate (nazionali e estere) che la concessione in uso a terze parti indipendenti (nazionali e estere).

Si evidenzia che in caso di utilizzo indiretto dei beni immateriali oggetto di agevolazione, i criteri e metodi di determinazione del reddito agevolabile, derivante dalla concessione del diritto all’utilizzo di tali beni a parti correlate (nazionali ed estere), possono essere stabiliti mediante l’accordo preventivo con l’Agenzia delle entrate, di cui al successivo paragrafo 8. Qualora, invece, il reddito agevolabile derivi dalla concessione in uso dei beni immateriali a terze parti indipendenti, non è possibile attivare la procedura di accordo preventivo con l’Agenzia delle entrate di cui al successivo paragrafo 8.

Nel caso di concessione del diritto all’utilizzo del bene immateriale a parti correlate estere, nell’ambito di operazioni di cui all’articolo 110, comma 7, del TUIR, il contribuente può attivare le procedure ordinarie di accordo preventivo ai sensi dell’articolo 31-ter del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione alle componenti, sia positive che negative, connesse alle predette operazioni; l’attivazione di tali procedure ordinarie è finalizzata ad acquisire certezza in relazione al valore normale delle predette componenti positive e/o negative.

Nel caso di concessione del diritto all’utilizzo del bene immateriale a parti correlate nazionali, resta fermo il potere dell’amministrazione finanziaria di effettuare le ordinarie valutazioni in merito all’eventuale antieconomicità delle operazioni stesse.

Anche nella determinazione del reddito agevolabile in caso di utilizzo indiretto è importante distinguere i costi diretti da quelli indiretti, come chiarito nel paragrafo 6.4.

6.3 Determinazione del reddito agevolabile in caso di plusvalenze da cessione. I soggetti che esercitano l’opzione per il regime agevolativo in commento hanno diritto ad un trattamento di favore anche in caso di cessione del bene immateriale.

Le plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immateriali indicati nell’articolo 6 del decreto Patent Box non concorrono, infatti, alla formazione del reddito complessivo in quanto escluse, a condizione che almeno il 90 per cento del corrispettivo derivante dalla cessione sia reinvestito in attività di ricerca e sviluppo finalizzate allo sviluppo, mantenimento e accrescimento di altri beni immateriali indicati nel medesimo articolo 6.

La plusvalenze in commento costituiscono anch’esse reddito agevolabile, motivo per cui, in conformità a quanto previsto per il reddito agevolabile derivante ordinariamente dallo sfruttamento diretto o indiretto del bene immateriale, si ritiene che la relativa variazione in diminuzione debba essere calcolata con le medesime modalità previste per l’ordinario reddito agevolabile. In pratica, dal prodotto tra la plusvalenza ed il nexus ratio scaturirà la quota di reddito agevolabile che non concorrerà alla formazione del reddito complessivo in quanto esclusa nei limiti del 50 per cento (30 o 40 per cento per le annualità 2015 e 2016).

Come precisato dall’articolo 10 del decreto attuativo, le attività di ricerca e sviluppo in cui deve essere reinvestito almeno il 90 per cento del corrispettivo possono essere svolte:

  1. direttamente dal soggetto beneficiario dell’agevolazione;
  2. mediante contratti di ricerca stipulati con università o enti di ricerca e organismi equiparati;
  3. mediante contratti di ricerca stipulati con società, anche start up innovative, che non appartengono al gruppo societario del soggetto beneficiario dell’agevolazione;
  4. mediante contratti di ricerca stipulati con società, anche start up innovative, che appartengono al gruppo societario del soggetto beneficiario dell’agevolazione, le quali si siano limitate a fare svolgere le attività di ricerca e sviluppo dai soggetti indicati alle lettere sub b) e c.

Al riguardo, l’espressione “altri beni immateriali” utilizzata dal legislatore induce a ritenere che il reinvestimento in attività di ricerca e sviluppo deve avere ad oggetto beni immateriali diversi da quelli già posseduti dal soggetto beneficiario al momento del realizzo della plusvalenza.

Non rientrano tra le ipotesi di reinvestimento che consentono di beneficiare della esclusione da tassazione della plusvalenza le ipotesi di acquisto di altri beni immateriali; le somme impiegate in siffatti acquisti non vengono, quindi, conteggiate nel calcolo del 90 per cento di reinvestimento del corrispettivo di cessione, imposto dalla norma in commento.

Tale obbligo di reinvestimento – che, come chiarito dalla relazione illustrativa al decreto, prescinde dalle condizioni finanziarie relative alla tempistica del pagamento – deve essere assolto prima della chiusura del secondo periodo di imposta successivo a quello nel quale si è verificata la cessione.

L’individuazione del periodo di imposta in cui si considera realizzata la plusvalenza e di quello in cui si considera assolto l’obbligo di reinvestimento deve essere effettuata applicando gli ordinari criteri di competenza utilizzati nella determinazione del reddito di impresa del beneficiario dell’agevolazione, prescindendo, come indicato dalla relazione illustrativa, dalle condizioni finanziarie relative alla tempistica dei pagamenti.

Se l’obbligo di reinvestimento non viene rispettato, il reddito del secondo periodo di imposta successivo a quello in cui è stata effettuata la cessione deve essere aumentato di un importo pari alla plusvalenza esclusa da tassazione. In altri termini, come precisato dalla relazione illustrativa al decreto Patent Box, il recupero a tassazione avviene nella dichiarazione dei redditi relativa al secondo periodo di imposta successivo a quello in cui si verifica la cessione, mediante una variazione in aumento pari all’importo della plusvalenza che non ha concorso alla formazione del reddito imponibile nel periodo di imposta di realizzazione.

Va da sé che la plusvalenza che non concorre alla formazione del reddito e che deve, eventualmente, essere recuperata è assunta nella misura fiscalmente rilevante; le aliquote applicabili sono quelle vigenti nei periodi di imposta in cui avviene, rispettivamente, la esclusione dalla formazione del reddito o il recupero a tassazione.

Rientrano nella previsione della norma in commento sia le plusvalenze realizzate nell’ambito di cessioni di beni immateriali a parti correlate (nazionali o estere) che le plusvalenze realizzate a seguito di cessione di beni immateriali a terze parti indipendenti.

Si evidenzia che in caso di plusvalenze realizzate nell’ambito di cessioni di beni immateriali a parti correlate (nazionali o estere), i criteri e metodi di determinazione del prezzo di cessione e della conseguente plusvalenza possono essere stabiliti mediante l’accordo preventivo con l’Agenzia delle entrate, di cui al successivo paragrafo 8.

Qualora, invece, le plusvalenze siano realizzate a seguito di cessione di beni immateriali a terze parti indipendenti, non è possibile attivare la procedura di accordo preventivo con l’Agenzia delle entrate di cui al paragrafo 8.

Nel caso di plusvalenze derivanti da operazioni di cessioni di beni immateriali a parti correlate estere, nell’ambito di operazioni di cui all’articolo 110 comma 7 del TUIR, il contribuente può attivare le procedure ordinarie di accordo preventivo ai sensi dell’articolo 31-ter del d.p.r. del 29 settembre 1973; l’attivazione di tali procedure ordinarie è finalizzata ad acquisire certezza in relazione al valore normale delle componenti positive e negative che hanno dato luogo alle predette plusvalenze .

Nel caso di plusvalenze realizzate nell’ambito di operazioni di cessione del bene immateriale a parti correlate nazionali, resta fermo il potere dell’amministrazione finanziaria di effettuare le ordinarie valutazioni in merito all’eventuale antieconomicità delle operazioni stesse.

6.4 La determinazione dei costi diretti ed indiretti. Dall’ammontare dei componenti positivi impliciti in caso di utilizzo diretto o dai canoni di concessione in uso in caso di utilizzo indiretto è necessario sottrarre i componenti negativi connessi ai predetti componenti positivi.

Il reddito agevolabile sarà costituito dai componenti positivi diminuiti dei costi fiscalmente rilevanti diretti e indiretti a essi connessi.

Per costi diretti si intendono tutti i costi imputabili in maniera certa ed univoca al “costo di produzione” del singolo IP. Ci si riferisce a beni o risorse di produzione direttamente attribuibili al processo di ricerca e sviluppo. Si tratta di costi che hanno una relazione specifica con l’IP considerato (naturalmente correlabili).

Sono, invece, “indiretti” quei costi imputabili all’IP secondo criteri di comunanza ovvero indirettamente mediante un processo di ripartizione.

Per questa tipologia di costi manca una relazione specifica con l’IP considerato. Si tratta di quei costi che risultano comuni a più beni immateriali quali i costi di tipo amministrativo, utilizzo di attrezzature o macchinari condiviso da altre commesse, le spese relative agli immobili, ecc.

Per individuare tali costi si ritiene necessario far scaturire gli stessi da una ripartizione che faccia riferimento alle cause da cui originano. Generalmente, le metodologie di ripartizione più adoperate nella prassi fanno riferimento alle ordinarie modalità di allocazione e ripartizione dei costi impiegate nelle tecniche di contabilità industriale (ad esempio basate sul costo, sul capitale impiegato, sul fatturato, sull’organico, ecc.).

Resta fermo che, in termini quantitativi, i costi rilevanti ai fini della determinazione del reddito agevolabile di un determinato periodo d’imposta sono pari a quelli fiscalmente deducibili nel medesimo periodo d’imposta in base alle disposizioni del TUIR.

In altri termini, in sede di determinazione del reddito agevolabile, una volta identificati i costi diretti e indiretti riferibili all’IP, sarà necessario valutarne la rilevanza fiscale (in termini, ad esempio, di inerenza e di quantificazione), in base alle ordinarie disposizioni del TUIR.

7 METODOLOGIE

7.1 Premessa. Nella determinazione dei metodi e dei criteri di calcolo del contributo economico al reddito di impresa derivante dall’utilizzo diretto dei beni immateriali agevolabili, il punto 3 dell’articolo 12 del decreto Patent Box, stabilisce che si debba fare riferimento agli “standard internazionali rilevanti elaborati dall’OCSE con particolare riferimento alle linee guida in materia di prezzi di trasferimento“.

I medesimi standard internazionali sono utilizzati per determinare i metodi e i criteri di calcolo del reddito derivante dall’utilizzo indiretto dei beni agevolabili, nonché delle plusvalenze, realizzate nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

Il cap. VI delle Linee Guida OCSE sui prezzi di trasferimento è dedicato alle transazioni che coinvolgono l’uso o il trasferimento di beni immateriali ed è stato di recente modificato dalle azioni 8-10 del progetto “Base Erosion and Profit Shifting” (di seguito “BEPS”)(3).

Le Linee Guida chiariscono che le indicazioni generali fornite nei Capitoli I, II, e III, relative all’applicazione del principio di libera concorrenza, valgono anche per la determinazione dei prezzi di trasferimento tra imprese associate nel caso di beni immateriali.

Le Linee Guida specificano che la selezione del metodo più appropriato per la determinazione dei prezzi di trasferimento deve essere guidata da un’analisi funzionale in grado di fornire una chiara comprensione delle modalità con le quali i beni immateriali interagiscono con le funzioni ed i rischi che caratterizzano l’attività d’impresa. L’analisi funzionale deve identificare tutti i fattori che contribuiscono materialmente alla creazione del valore per l’impresa; tali fattori possono includere oltre alle funzioni routinarie ed ai beni immateriali, anche elementi ulteriori quali ad esempio le sinergie di gruppo o le specifiche caratteristiche del mercato, che non costituiscono “beni immateriali” ai sensi della definizione contenuta al Capitolo VI delle Linee Guida Ocse.

Le recenti modifiche al Capitolo VI delle Linee Guida precisano che i metodi di transfer pricing che possono rivelarsi particolarmente utili nelle valutazioni che coinvolgono il trasferimento o l’utilizzo di uno o più beni intangibili sono il metodo del confronto del prezzo (Comparable Uncontrolled Price o CUP) e il metodo basato sulla ripartizione degli utili (Profit Split Methods).

Il metodo del prezzo di rivendita (Resale Price Method) e il metodo del margine netto della transazione (Transactional Net Margin Method) vengono definiti, dalle Linee Guida, come generalmente non affidabili nella valutazione diretta degli intangibili. Le Linee Guida scoraggiano, altresì, metodi basati sul costo dello sviluppo dell’intangibile quali ad esempio il metodo del costo maggiorato (Cost Plus Method).

Tuttavia, tali metodi di transfer pricing possono essere utilizzati per valorizzare alcune funzioni routinarie e per determinare, in via indiretta, l’extra-profitto riferibile ai beni immateriali.

Infine, le Linee Guida fanno riferimento alle tecniche di valutazione che, in alcuni casi, potrebbero essere utilizzate quale strumento per integrare uno dei metodi OCSE o per determinare il valore normale purché applicate in conformità ai principi del transfer pricing.

7.2 Metodi per la determinazione del reddito attribuibile al bene immateriale. Sulla base dei principi generali sopra enunciati, ai fini della determinazione del reddito attribuibile al bene immateriale nell’ambito del regime di Patent Box, i metodi da preferire sono il metodo del confronto del prezzo (CUP) e il metodo della ripartizione dei profitti (Profit Split Methods).

Si precisa che i suddetti metodi previsti nell’ambito delle Linee Guida si riferiscono ad operazioni tra parti correlate aventi ad oggetto il trasferimento del bene immateriale e/o del diritto all’utilizzo dello stesso.

Con riferimento specifico alla determinazione del contributo economico al reddito di impresa derivante dall’utilizzo diretto dei beni immateriali, l’adozione dei predetti metodi, pur in assenza di transazioni con parti correlate, risponde all’esigenza di determinare, sulla base di un’apposita analisi funzionale e di rischio, la quota parte di reddito di impresa imputabile allo specifico “ramo d’azienda virtuale” deputato alla concessione in uso degli IP agevolati allo stesso contribuente. In tal senso, il metodo CUP applicato con riferimento all’ipotetica royalty “at arm’s length” è tendenzialmente da preferire, in quanto più immediatamente idoneo a quantificare la quota parte di reddito di impresa imputabile al “ramo d’azienda virtuale” deputato alla concessione in uso degli IP agevolati e di più agevole gestione.

7.2.1 Il metodo del confronto del prezzo. Il metodo CUP è indicato dalla Linee Guida OCSE come il metodo preferibile per stabilire se le condizioni poste in essere tra imprese consociate siano coerenti col principio di libera concorrenza.

Si precisa che la corretta applicazione del CUP richiede elevati livelli di comparabilità nell’ambito delle transazioni tra imprese associate (di seguito “transazioni controllate”) e quelle sul libero mercato (di seguito “transazioni indipendenti”), da valutarsi con riferimento a tutti i fattori di comparabilità previsti dalle Linee Guida Ocse (caratteristiche dei beni e servizi, analisi funzionale, termini contrattuali, circostanze economiche, strategie aziendali).

Nel caso in cui esistano differenze tra le transazioni controllate e quelle indipendenti, oppure tra imprese che effettuano tali transazioni, e non è possibile effettuare aggiustamenti ragionevolmente accurati che consentano di eliminare l’effetto sul prezzo di tali differenze, il metodo del CUP non potrà essere applicato in maniera affidabile.

Le predette considerazioni di carattere generale in relazione al metodo del confronto di prezzo possono essere ribadite anche nel caso di valutazioni aventi ad oggetto beni immateriali.

Nell’ambito della determinazione della quota di reddito riconducibile al bene immateriale nel regime di Patent Box, sia nel caso di utilizzo diretto che indiretto, il metodo del CUP può essere considerato un metodo appropriato ai fini dell’identificazione dei tassi di royalty di mercato. In taluni casi, il metodo del CUP può essere considerato appropriato ai fini del confronto tra i prezzi di commercializzazione dei prodotti venduti o servizi resi, nell’ottica di individuare il premium price ascrivibile ai beni immateriali utilizzati.

Il metodo può essere applicato nelle due differenti modalità del CUP interno ed esterno. Nello specifico, il primo consiste nel confronto tra le condizioni che l’impresa applica in una transazione con parti correlate e quelle che la stessa impresa adotta, in circostanze simili, a soggetti terzi indipendenti; il secondo si basa sul confronto tra le condizioni che l’impresa applica in una transazione con parti correlate e quelle che, in circostanze simili, sono adottate tra soggetti terzi indipendenti.

L’applicazione del metodo CUP può essere sviluppata nelle seguenti fasi:

  • determinazione di un appropriato tasso di royalty di mercato. Tale identificazione può essere effettuata, in assenza di transazioni comparabili interne (CUP interno), ricorrendo all’uso di banche dati specializzate o banche dati di pubblico dominio (CUP esterno), purché vengano garantiti gli standard di comparabilità previsti dalle Linee Guida.
  • individuazione dei ricavi ai quali applicare il tasso di royalty precedentemente identificato. Si tratta quindi di individuare, in modo analitico e dettagliato, i ricavi relativi alle linee di business (processo, prodotto o famiglie di prodotto) per le quali l’intangibile è utilizzato.

Il reddito agevolabile risulta dalla differenza tra il canone ottenuto dall’applicazione del tasso di royalty di mercato ai ricavi identificati, e i costi diretti fiscalmente rilevanti, sostenuti per lo sviluppo, mantenimento e accrescimento dell’intangibile agevolabile, nonché la quota parte di quelli indiretti (per tutti nella dimensione fiscalmente rilevante) collegata al predetto bene immateriale.

7.2.2 Il metodo del Profit Split. Il metodo di ripartizione degli utili delle transazioni (Profit Split) costituisce uno dei metodi reddituali previsti dalle Linee Guida Ocse e si pone l’obiettivo di eliminare gli effetti sugli utili derivanti dalle condizioni speciali convenute o imposte in una transazione controllata (o in transazioni controllate che è opportuno aggregare), determinando la ripartizione degli utili che imprese indipendenti avrebbero previsto di realizzare ponendo in essere la transazione o le transazioni.

Il metodo individua, innanzitutto, gli utili (o le perdite) da ripartire tra le imprese associate derivanti dalle transazioni controllate da queste effettuate. Successivamente, detti utili si allocano tra le imprese associate sulla base di un fondamento economicamente valido, il quale si avvicina alla ripartizione degli utili (o perdite) che sarebbe stata prevista e considerata in un accordo realizzato tra parti indipendenti, secondo il principio di libera concorrenza.

Il metodo si applica in quelle situazioni in cui due o più soggetti coinvolti in una transazione contribuiscono in misura significativa alla determinazione dell’utile che da tale operazione si origina o, in termini generali, in quei casi in cui l’utilizzo di un metodo unilaterale non sarebbe appropriato.

Nel caso di valutazioni aventi ad oggetto beni immateriali o diritti sugli stessi, qualora il metodo del CUP non risulti applicabile in maniera affidabile, in quanto non è possibile identificare transazioni comparabili indipendenti sul libero mercato, il metodo reddituale di ripartizione dei profitti risulta il metodo più appropriato secondo quanto illustrato nelle predette Linee Guida.

Il metodo del Profit Split, così come descritto dalle Linee Guida Ocse, nell’ambito del regime di Patent Box, è utilizzato per determinare la ripartizione dei redditi, non tra due o più imprese correlate, ma all’interno della stessa impresa, tra le diverse funzioni esercitate, al fine di isolare il profitto residuale attribuibile al bene immateriale.

In tal senso, ai fini della determinazione del reddito attribuibile al bene immateriale agevolabile, appare particolarmente utile fare riferimento alla variante di tale metodo definita Residual Profit Split (“RPSM”). Tale approccio assume di isolare il reddito attribuibile alle funzioni cosiddette “routinarie” dal risultato economico dell’impresa consentendo, per differenza, la determinazione dell’utile o perdita residua derivante dall’utilizzo dei beni intangibili.

In tale approccio è importante prestare particolare attenzione nell’identificazione di tutte le funzioni ed altri eventuali fattori che contribuiscono alla creazione di valore per l’impresa al fine di assicurare l’affidabilità dei risultati ottenuti nonché di individuare e valorizzare le funzioni connesse allo sviluppo, mantenimento o accrescimento del bene immateriale oggetto di agevolazione.

L’applicazione del metodo Residual Profit Split può essere sviluppata nelle fasi di seguito schematizzate:

  • individuazione del reddito di impresa da ripartire tra le diverse funzioni aziendali;
  • remunerazione delle funzioni cosiddette routinarie, tenendo conto dei principi e delle indicazioni contenute nelle Linee Guida Ocse e applicando, pertanto, i metodi e criteri previsti nelle stesse(4);
  • determinazione dell’extraprofitto derivante dall’utilizzo di tutti i beni intangibili e degli eventuali altri fattori che contribuiscono alla creazione di valore, individuato come differenza tra risultato economico della società e remunerazione delle funzioni routinarie;
  • individuazione di tutti i beni intangibili e degli altri eventuali fattori cui può essere riferito il predetto extraprofitto e selezione del bene intangibile (o dei beni intangibili) oggetto di agevolazione;
  • imputazione della quota parte di extra-profitto attribuibile al bene intangibile (o beni intangibili) oggetto di agevolazione, isolando la quota parte di extra-profitto attribuibile ad altri fattori che contribuiscono alla creazione di valore. Il criterio guida deve infatti sempre essere la determinazione della quota parte di reddito di impresa imputabile all’ipotetico “ramo d’azienda” deputato alla concessione in uso degli IP agevolati allo stesso contribuente, ragione per cui non può essere oggetto di agevolazione – in linea con quanto indicato dall’OCSE nell’Action Plan 5 al paragrafo 48 – la quota parte di extra-profitto eventualmente riferibile ai cd. manufacturing returns (ad esempio, la particolare qualità dei prodotti commercializzati rispetto al mercato; particolari economie di scala produttive; ecc.) e ai cd. marketing returns (ad esempio, posizione commerciale particolarmente importante della società sul mercato, eventualmente imputabile alla lista clienti ed altri marketing intangibles non agevolabili).

Si precisa, inoltre, che nel caso in cui vi siano beni intangibili agevolabili, collegati da un vincolo di complementarietà, tali per cui la finalizzazione di un prodotto, o di un processo, sia subordinata all’uso congiunto degli stessi, tali beni immateriali possono costituire un solo bene, ai fini dell’imputazione della quota parte di extra-profitto.

Si precisa che nella determinazione della quota parte di extra-profitto attribuibile al bene intangibile (o beni intangibili) oggetto di agevolazione, occorre tenere conto delle variazioni fiscalmente rilevanti ai fini IRPEF/IRES, in aumento o in diminuzione, afferenti allo specifico bene immateriale agevolabile; in tal caso, nell’allocazione di tali variazioni al singolo bene, occorrerà prendere in considerazione sia i costi diretti, nonché la quota parte di quelli indiretti collegata al predetto bene immateriale.

7.2.3 Altri metodi utilizzabili. Il contribuente che, nella determinazione del reddito agevolabile, utilizzi metodi diversi da quelli descritti nei punti precedenti ha l’onere di motivare in dettaglio le ragioni per le quali i metodi del CUP e del Residual Profit Split sono stati considerati meno appropriati o non praticabili nelle circostanze di specie e le ragioni per le quali si è ritenuto che il metodo selezionato rappresenti una soluzione più appropriata.

In particolare, le linee Guida OCSE, al revisionato Capitolo VI, prevedono la possibilità di utilizzare le c.d. “valuation techniques” ovvero dei metodi derivanti dalla prassi finanziaria, basati sull’attualizzazione dei flussi di cassa o di reddito derivanti dal bene immateriale sulla base di variabili chiave quali il periodo temporale considerato, le proiezioni future e l’applicazione di un corretto tasso di attualizzazione.

Il contribuente che utilizzi metodi diversi da quelli descritti ai punti precedenti ha, in ogni caso, l’onere di dimostrare che la determinazione del reddito è coerente con il principio dell’arm’s length così come descritto nelle linee Guida OCSE.

Pertanto, pur non essendo esclusa la determinazione del contributo economico con metodi diversi da quelli “ordinari” di transfer pricing (CUP e Profit Split), occorrerà ben esplicitare la coerenza tra i metodi alternativi selezionati e gli standard OCSE e motivare le ragioni che hanno portato alla selezione di un metodo non “ordinario”.

7.2.4 Utilizzo di più di un metodo. Per i casi di difficile trattazione, dove l’utilizzo di un unico metodo non consente di determinare con certezza il contributo economico, ovvero i redditi o le plusvalenze derivanti dallo sfruttamento economico o dalla cessione del bene immateriale, è opportuno e consigliabile, per il contribuente ricorrere all’utilizzo di più metodi congiuntamente.

L’utilizzo di più metodi consentirà di raggiungere un risultato più affidabile e conforme al principio di libera concorrenza.

8 OGGETTO DELL’ACCORDO PREVENTIVO

La legge di stabilità 2015, come già descritto nei paragrafi precedenti, prevede che, nel caso di utilizzo diretto dei beni immateriali agevolabili, il contribuente debba concludere con l’Ufficio competente un accordo di ruling (di seguito “accordo preventivo”) ai sensi dell’articolo 8 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269(5).

Per utilizzo diretto del bene immateriale agevolabile si intende a norma dell’articolo 7 del decreto Patent Box “l’utilizzo nell’ambito di qualsiasi attività che i diritti sui beni immateriali riservano al titolare del diritto stesso“. In tali circostanze, il soggetto che ha diritto allo sfruttamento economico del bene immateriale può trovarsi a beneficiare di un reddito figurativo, ascrivibile all’utilizzo del bene immateriale, incorporato nel reddito complessivo derivante dall’attività svolta.

Con riferimento alla concessione in uso (c.d. utilizzo indiretto) dei beni immateriali agevolabili nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, la stessa legge, prevede la facoltà per il contribuente di richiedere un accordo preventivo.

La legge di stabilità 2015 prevede, come già indicato nel paragrafo 6.3, la facoltà di richiedere un accordo preventivo nell’ipotesi di plusvalenze derivanti dalla cessione di beni immateriali agevolabili, realizzate nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

L’accordo preventivo connesso all’utilizzo dei beni immateriali ha, pertanto, ad oggetto:

  1. la preventiva definizione dei metodi e dei criteri di calcolo del contributo economico alla produzione del reddito d’impresa o della perdita in caso di utilizzo diretto dei beni immateriali agevolabili di cui all’articolo 6 del decreto Patent Box;
  2. la preventiva definizione dei metodi e dei criteri di calcolo dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni di cui all’articolo 6 del decreto Patent Box, in ipotesi diverse da quelle di cui alla precedente lettera A), realizzati nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa;
  3. la preventiva definizione dei metodi e dei criteri di calcolo delle plusvalenze di cui all’articolo 10 del decreto Patent Box, realizzate nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

Nelle more della stipula dell’accordo preventivo, come specificato all’articolo 4 del decreto Patent Box, il contribuente è tenuto a determinare il reddito di impresa secondo le regole ordinarie. Tuttavia, al fine di garantire l’accesso al beneficio fin dal periodo d’imposta in cui è presentata l’istanza di ruling, il comma 4 del medesimo articolo, precisa che la quota di reddito agevolabile, relativa ai periodi d’imposta compresi tra la data di presentazione dell’istanza e la data di sottoscrizione dell’accordo, può essere indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sottoscrizione dell’accordo (vedi paragrafo 3.1).

Gli accordi in argomento hanno ad oggetto esclusivo la preventiva definizione dei metodi e criteri di cui alle precedenti lettere A), B) e C) al fine di consentire al contribuente di beneficiare del regime agevolativo in commento.

Si precisa che qualora nell’ambito dell’accordo di Patent Box, siano coinvolte operazioni con parti correlate estere di cui all’articolo 110 comma 7 del TUIR, il contribuente può attivare le procedure ordinarie di accordo preventivo ai sensi dell’articolo 31-ter del d.p.r. del 29 settembre 1973, al fine di avere certezza in relazione al valore normale delle componenti positive e negative derivanti dalle predette operazioni.

Qualora nell’ambito dell’accordo di Patent Box, invece, siano coinvolte operazioni con parti correlate nazionali o parti terze, resta fermo il potere dell’amministrazione finanziaria di effettuare le ordinarie valutazioni in merito all’eventuale antieconomicità delle operazioni stesse.

Poste tali premesse, alla luce delle suesposte riflessioni, si ritiene che tale accordo non possa includere anche i criteri di calcolo del nexus ratio.

9 NEXUS RATIO

L’Action 5 richiede che per ogni regime preferenziale esista un’attività economica sostanziale. Tale requisito contribuisce al secondo pilastro del progetto BEPS che è quello di allineare la tassazione con la sostanza economica, garantendo che non sia più possibile spostare artificialmente il reddito imponibile dai Paesi in cui viene creato il valore.

In tale ottica, il nexus ratio consente di imputare il beneficio in commento al soggetto che sostiene i costi per l’attività di ricerca e sviluppo relativa ai beni immateriali da cui origina il reddito agevolabile. Tali spese rappresentano un indicatore di attività economica sostanziale ai fini dell’agevolazione Patent Box.

Deve comunque sussistere un collegamento diretto tra i costi per attività di ricerca e sviluppo relativi al bene immateriale ed il reddito agevolabile ritraibile dall’utilizzo dello stesso.

Il rispetto di tali condizioni è garantito nell’ordinamento interno dall’articolo 1, comma 41, della legge di stabilità 2015 secondo cui “Le disposizioni dei commi da 37 a 40 si applicano a condizione che i soggetti che esercitano l’opzione di cui al comma 37 svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con società diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa ovvero con università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzate alla produzione dei beni di cui al comma 39“.

Il successivo comma 42 della citata norma, invece, fornisce indicazioni circa le modalità di determinazione del coefficiente che è costituito dal rapporto tra:

  1. i costi di attività di ricerca e sviluppo, rilevanti ai fini fiscali, sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale;
  2. i costi complessivi, rilevanti ai fini fiscali, sostenuti per produrre tale bene”.

L’articolo 9 del decreto Patent Box nell’individuare in maniera puntuale gli elementi da tenere in considerazione per il calcolo del rapporto, non ha ripreso l’inciso “rilevanti ai fini fiscali” contenuto nella norma primaria. Tale scelta appare in linea con i principi contenuti nell’Action 5, per cui si ritiene che i costi da prendere in considerazione ai fini della costruzione del nexus ratio non siano da considerare, sotto il profilo quantitativo, nella loro accezione fiscale. Né rilevano i criteri di contabilizzazione adottati dall’impresa (ad esempio, scelta di capitalizzare o meno il costo), dovendo considerare il costo e spesa per l’intero importo nel momento del suo sostenimento come individuato in base all’articolo 109 del Tuir. Infatti, la rilevanza ai fini fiscali della norma di rango primario va interpretata in tal senso, come, peraltro, specificato dalla circolare nel prosieguo.

Nel dettaglio, i costi da indicare al numeratore sono afferenti alle attività di ricerca e sviluppo “svolte direttamente dai soggetti beneficiari (componente A), da università o enti di ricerca e organismi equiparati e da società, anche start up innovative, diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa (componente B)“.

Tale valore può essere incrementato dei costi afferenti attività di ricerca e sviluppo addebitati da soggetti appartenenti al medesimo gruppo societario, per la quota di tali costi che rappresenta un mero riaddebito di costi sostenuti da tali società del gruppo nei confronti di soggetti terzi per l’effettuazione delle medesime attività di ricerca e sviluppo (componente C).

Al riguardo, si ritiene che la presenza di un margine di intermediazione, fisiologico anche tra parti correlate, non debba essere considerato un elemento distorsivo tale da provocare, nell’ambito dell’accordo di riaddebito dei costi, un effetto negativo sul coefficiente. In tal caso, pertanto, per ottenere il riconoscimento di costi di ricerca e sviluppo “qualificati”, occorrerà sottrarre dalla quota di riaddebito dei costi sostenuti l’eventuale margine di intermediazione applicato.

Il numeratore del nexus ratio può essere, inoltre, incrementato dei costi afferenti alle attività di ricerca e sviluppo sostenuti dal soggetto beneficiario dell’agevolazione nell’ambito di accordi per la ripartizione dei costi, come definiti dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 settembre 2010 (c.d. CCACost Contribution Arrangements), nel limite dei proventi costituiti dal riaddebito dei costi di sviluppo, mantenimento e accrescimento ai soggetti partecipanti all’accordo per la ripartizione dei costi (anche questo ammontare verrà indicato come componente C).

Tale incremento, introdotto dall’articolo 9, comma 2, lettera ii) del decreto Patent Box, risulta coerente con le indicazioni del Report OCSE che attribuisce rilevanza a tutti i cosi di ricerca e sviluppo sostenuti nell’ambito di un C.C.A; sono riconosciuti qualificati, nel rapporto “nexus”, i costi sostenuti dal soggetto che ha svolto l’attività sostanziale di ricerca e ciò ancorché vadano in parte a vantaggio della società consorella che, diversamente, vede tali costi esclusi.

Al denominatore, invece, andranno indicati i costi complessivi costituiti dai costi indicati al numeratore aumentati: i) dei costi derivanti da operazioni intercorse con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa (componente D); ii) e del costo di acquisizione, anche mediante licenza di concessione in uso, del bene immateriale (componente E).

Non rilevano, invece, gli interessi passivi, le spese relative agli immobili e qualsiasi costo che non può essere direttamente collegato a uno specifico bene immateriale agevolabile.

Inoltre, al fine di ridurre il divario tra i costi qualificati riportati al numeratore e quelli complessivi riportati al denominatore, il legislatore ha introdotto, attraverso la modifica della norma primaria avvenuta a seguito del decreto legge Investment Compact, un meccanismo denominato up-lift che consente di incrementare il valore del numeratore di un importo (componente F) pari alla differenza tra il valore complessivo del denominatore e il valore del numeratore nei limiti del 30% di quest’ultimo.

Per semplicità di esposizione ed ai fini dell’esempio che segue il nexus ratio sarà dato dal rapporto:

A + B + C + F

A + B + C + D + E

Valga il seguente esempio in cui si ipotizza il caso di un’impresa che svolge la sua attività di ricerca e sviluppo:

  1. direttamente sostenendo costi pari a 100 (A);
  2. incaricando un ente di ricerca per un importo pari 120 (B);
  3. incaricando una società del gruppo che sostiene costi verso terzi per un importo pari a 150 (C);
  4. acquisendo beni immateriali per 200 (E).

In tal caso gli elementi del rapporto saranno pari a:

100 + 120+ 150

 

100 + 120 + 150 + 200

L’up-lift (F) sarà pari alla differenza del denominatore meno il numeratore (200) nel limite del 30% del numeratore (111), ovvero a 111.

100 + 120 + 150 + 111   84,39%
100 + 120 + 150 + 200

Pertanto, nella determinazione della quota di reddito agevolabile, il nexus ratio peserà sul reddito agevolabile nella misura del 84,39%.

I costi da considerare nel calcolo del rapporto, in aderenza ai principi previsti dall’Action 5, sono quelli sostenuti nel periodo di riferimento, senza tener conto del trattamento ai fini contabili e fiscali. Secondo il citato documento OCSE, infatti, le spese che non sono totalmente deducibili nell’anno in cui esse sono state sostenute perché sono state capitalizzate saranno considerate nella loro interezza ai fini del nexus ratio a partire dall’anno in cui esse sono state sostenute.

Si ritiene che il riferimento ai costi sostenuti porti ad escludere l’applicazione del criterio di cassa ai fini della individuazione dei costi da indicare nel rapporto nexus. Occorre, quindi, fare riferimento ad un criterio di competenza.

Al riguardo si ritiene che i costi di ricerca e sviluppo, coerentemente con quanto affermato nella circolare n. 5/E del 16 marzo 20162 in materia di credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, dovranno essere rilevati nel momento in cui si considerano sostenuti secondo le regole generali di competenza fiscale previste dall’articolo 109 del TUIR.

Non rileva, in linea con le indicazioni dell’Action 5, la ripartizione dei costi operata, ad esempio, secondo la tecnica dell’ammortamento; pertanto, per i casi in cui sia stata acquisita la proprietà del bene immateriale, il riferimento contenuto nell’articolo 9, comma 4, del decreto Patent Box all'”eventuale costo di acquisizione del bene immateriale sostenuto nel periodo di imposta” da indicare al denominatore del nexus ratio, deve intendersi al costo assunto nella sua interezza nel periodo d’imposta di competenza dell’operazione, a nulla rilevando la ripartizione del costo in più periodi d’imposta secondo la tecnica dell’ammortamento.

Si ritiene che l’articolo 109 del TUIR – contenente un criterio “giuridico-formale” di individuazione della competenza – costituisca un criterio applicabile a prescindere dalla circostanza che il soggetto beneficiario applichi la medesima regola per la determinazione del proprio reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito. Pertanto, anche i soggetti che redigono il bilancio in conformità ai principi contabili internazionali devono imputare i costi ai singoli periodi agevolati in base alle regole individuate dall’articolo 109 del TUIR.

Tenuto conto della finalità agevolativa della disciplina che accomuna il regime del Patent Box a quello del citato credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, che però non incide sulle ordinarie modalità di determinazione del reddito di impresa, si ritiene che non rilevano i diversi criteri di imputazione temporale in bilancio previsti per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002.

10 TRACCIATURA DEI COSTI DI RICERCA

L’articolo 9, comma 6, del decreto Patent Box prevede che nei primi tre periodi di imposta di efficacia della disciplina del Patent Box – vale a dire, per i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, gli anni 2015, 2016 e 2017 – i costi da prendere in considerazione ai fini del nexus ratio sono quelli sostenuti nel periodo di imposta cui si riferisce la dichiarazione dei redditi e nei tre periodi d’imposta precedenti e sono assunti complessivamente.

In pratica, assumendo un soggetto con esercizio coincidente con l’anno solare, la norma prevede che:

  • per l’anno di imposta 2015 occorre prendere in considerazione tutti i costi sostenuti nel periodo dal 2012 al 2015;
  • per l’anno di imposta 2016 occorre prendere in considerazione tutti i costi sostenuti nel periodo dal 2013 al 2016;
  • per l’anno di imposta 2017 occorre prendere in considerazione tutti i costi sostenuti nel periodo dal 2014 al 2017.

A partire dall’anno di imposta 2018, occorre prendere in considerazione, per singolo bene immateriale agevolabile, i costi sostenuti dall’anno di imposta 2015.

Come precisato dalla relazione illustrativa al decreto, al cui esempio numerico si rinvia per ulteriori chiarimenti, per consentire alle imprese di approntare adeguati sistemi di tracking and tracing dei costi e dei ricavi legati ai singoli IP, è stato previsto che, nella fase iniziale di ingresso nel regime, le imprese determinino il coefficiente, che è cumulativo e che prende in considerazione sia i costi sostenuti a partire dall’ingresso nel regime preferenziale sia quelli sostenuti antecedentemente, considerando i costi qualificati e i costi complessivi come grandezze aggregate, vale a dire senza distinzione per singolo IP. E ciò in considerazione del fatto che, anteriormente all’entrata in vigore dell’agevolazione in commento, i sistemi di rilevazione di costi e ricavi non consentono di operare la tracciatura dei costi e, quindi, di rilevare il legame tra costi, bene immateriale e ricavi richiesto dal nexus approach.

La previsione della determinazione di un coefficiente cumulativo per il triennio 2015-2017, volta a consentire l’accesso al regime anche a quelle aziende non ancora dotate di sistemi analitici di contabilità gestionale, impone comunque di separare i costi relativi ai beni agevolabili, indicati nell’articolo 6 del decreto attuativo, da quelli relativi ai beni non agevolabili.

Tuttavia, potrebbe accadere che il soggetto beneficiario dell’agevolazione non sia oggettivamente in grado di distinguere i costi relativi ai beni agevolabili dai costi relativi ai beni non agevolabili. In una tale situazione, e in coerenza della scelta legislativa di consentire l’accesso al regime a coloro che non sono dotati di sistemi di contabilità analitica, si ritiene che nel primo triennio di applicazione del regime possano essere presi in considerazione anche i costi relativi ai beni immateriali che non rientrano nella definizione prevista dall’articolo 6 del decreto Patent Box. Ovviamente, l’Amministrazione finanziaria controllerà che ricorrano le condizioni di oggettiva difficoltà di separazione dei costi di ricerca e sviluppo relativi ai diversi beni immateriali, al fine di accertare che non sia stato alterato il corretto calcolo del rapporto.

Come sopra richiamato, la relazione al provvedimento attuativo chiarisce che la previsione della determinazione di un coefficiente cumulativo per il triennio 2015-2017 è volta a consentire l’accesso al regime anche a quelle aziende non ancora dotate di sistemi analitici di contabilità gestionale.

Alla luce di tale ratio agevolativa, si ritiene che, laddove l’azienda sia in grado di determinare il nexus ratio analitico relativo ai beni agevolabili già entro la chiusura del primo esercizio di decorrenza dell’opzione (esercizio 2015) – trattandosi di un dato di maggiore dettaglio rispetto a quello “minimo” previsto dalla normativa di riferimento – sia consentito l’utilizzo di tale dato ai fini del calcolo dell’agevolazione fruibile per gli esercizi 2015, 2016 e 2017. In siffatti casi, il contribuente potrà mantenere nel calcolo del nexus ratio analitico calcolato a partire dal 2018 anche i dati analitici relativi al triennio 2012-2014.

A regime, ovvero a partire dal terzo periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore della normativa in commento, i costi del rapporto sono, per tutti i soggetti, quelli sostenuti nei periodi d’imposta in cui trovano applicazione le presenti disposizioni e sono assunti distintamente per ciascun bene immateriale indicato nell’articolo 6.

Il sistema del nexus fa riferimento ad un approccio additivo in quanto prende in considerazione, sia al numeratore che al denominatore, tutte le spese sostenute dall’impresa nel corso del periodo di vita del bene immateriale, comprese quelle sostenute prima della creazione del bene medesimo.

Ciò comporta che a regime (dall’anno 2018) le imprese dovranno individuare un coefficiente differente per ciascun bene immateriale oggetto di opzione che farà riferimento solamente alle spese di ricerca e sviluppo sostenute a far data dall’anno 2015 (inizio periodo di tracciatura obbligatoria). In tal caso il calcolo del nexus perderà i riferimenti relativamente ai primi tre periodi d’imposta in cui i beni venivano considerati in modo aggregato (periodo 2012-2014), salva l’ipotesi sopra evidenziata di una tracciatura analitica anche nel periodo 2012-2014.

Ad ogni modo, le imprese interessate a beneficiare del regime di tassazione in esame hanno l’obbligo, indipendentemente dall’anno di esercizio dell’opzione, di approntare un adeguato sistema di tracciatura contabile o extracontabile. L’articolo 11 del decreto attuativo impone, infatti, che il diretto collegamento delle attività di ricerca e sviluppo e i beni immateriali agevolabili, nonché tra questi beni ed il relativo reddito agevolabile derivante dagli stessi beni deve risultare da un adeguato sistema di rilevazione contabile o extracontabile.

L’obbligo di tracciatura analitica dei costi a partire dall’anno 2015 consentirà al contempo di memorizzare, per singolo IP, le perdite da esso prodotte. Come meglio chiarito nel paragrafo 12, anche se l’opzione viene esercitata quando il bene immateriale comincia a produrre un reddito, vale a dire quando i ricavi eccederanno i costi, permane l’obbligo di riassorbire le perdite generate dall’anno 2015 da ogni singolo bene immateriale, comprese quelle sostenute nella fase di ricerca.

Infine, nell’ipotesi in cui, a seguito di eventi particolari, l’impresa non abbia sostenuto per un anno costi legati all’attività di ricerca e sviluppo (i.e., rimangono invariati tanto il numeratore che il denominatore del nexus ratio), la stessa potrà continuare a fruire dell’agevolazione apportando la variazione in diminuzione in sede di dichiarazione. In tal caso il quinquennio continuerà a decorrere e la fruizione dell’agevolazione potrà avvenire fino ad esaurimento dell’opzione.

Tale soluzione appare in linea con la logica della costruzione additiva del rapporto nexus, confermata anche dalla relazione illustrativa all’articolo 8 del decreto secondo cui “non è necessario che le attività di ricerca e sviluppo relative a un determinato bene immateriale siano esercitate nel periodo di imposta in cui, in concreto, si fruisce dell’agevolazione dei redditi derivanti dal medesimo bene; è sufficiente che tale attività sia stata esercitata nei periodi di imposta precedenti. È comunque sempre necessario che si tratti di attività di ricerca e sviluppo direttamente collegate al bene da esse ‘generato’; tale verifica va, quindi, condotta separatamente bene per bene”.

11 VARIAZIONE IN DIMINUZIONE

L’articolo 9, comma 8 del decreto prescrive che la quota di reddito agevolabile, risultante dal prodotto fra il reddito agevolabile del singolo IP ed il coefficiente nexus, “non concorre a formare il reddito d’impresa per il 50 per cento del relativo ammontare. Per il periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e a quello in corso al 31 dicembre 2015 la percentuale di esclusione dal concorso alla formazione del reddito d’impresa è fissata, rispettivamente, in misura pari al 30 e al 40 per cento“.

La relazione illustrativa nel commentare tale comma precisa che è agevolato il reddito d’impresa. Si tratta, pertanto, di una variazione in diminuzione da apportare in sede di determinazione del reddito d’impresa.

Non può sottacersi che, in termini generali, la determinazione del reddito di impresa che costituisce la base imponibile ai fini IRPEF/IRES avviene seguendo una disciplina differente da quella applicabile per la determinazione del valore della produzione netta ai fini IRAP.

Ciò comporterebbe, in linea di principio, l’esigenza di dover determinare separatamente il reddito agevolabile ai fini IRPEF/IRES e ai fini IRAP, a causa delle diverse variazioni in aumento o in diminuzione da apportare ai componenti economici che costituiscono la base imponibile delle citate imposte. Tuttavia, per esigenze di semplificazione si ritiene che la variazione in diminuzione da operare ai fini IRPEF/IRES sia da operare anche ai fini IRAP, senza tener conto della diversa modalità di calcolo del tributo regionale.

Tale soluzione appare in linea con quanto previsto dall’articolo 1, comma 43 della legge di Stabilità 2015 secondo cui “l’esercizio dell’opzione … rileva anche ai fini della determinazione del valore della produzione netta di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446“.

12 PERDITE DA PATENT BOX

Nella circolare n. 36/E del 1 dicembre 20153, paragrafo 2, è stato chiarito che nel caso in cui, una volta esercitata l’opzione per l’anno d’imposta 2015, l’impresa verifichi che lo sfruttamento economico del bene immateriale genera una perdita fiscale, l’impresa in regime di Patent Box rinvierà gli effetti positivi dell’opzione agli esercizi in cui lo stesso bene sarà produttivo di reddito.

La perdita fiscale può verificarsi sia nel caso in cui il bene immateriale venga concesso in uso sia nel caso in cui lo stesso venga utilizzato direttamente. In entrambi i casi può verificarsi un’eccedenza fisiologica di costi fiscalmente rilevanti rispetto ai ricavi generati dallo sfruttamento diretto o indiretto del bene.

L’effetto negativo della perdita risulta particolarmente evidente con riferimento ad alcune aziende (aziende ad alta tecnologia, aziende farmaceutiche) dove gli IP agevolabili producono per molti anni della loro vita utile, in cui si concentrano ingenti investimenti di ricerca e/o di promozione-lancio sul mercato, ricavi bassi o addirittura nulli.

Nella fase successiva di “maturità” dell’IP – e, più precisamente, del prodotto su cui l’IP insiste – al contrario, i costi subiscono una sostanziale riduzione (se non un azzeramento) ed i ricavi crescono esponenzialmente in virtù dell’affermazione del prodotto sul mercato.

Tale disallineamento tra il momento di sostenimento dei costi di ricerca e sviluppo ed il momento di effettivo conseguimento dei ricavi relativi agli IP produce i suoi effetti nel momento in cui l’impresa decide di esercitare l’opzione per entrare nel regime Patent Box: per un corretto funzionamento dell’agevolazione è necessario tenere memoria, attraverso il sistema di tracciatura imposto dall’articolo 11 del decreto Patent Box, del risultato fiscale differenziale relativo all’IP anche negli esercizi in cui l’azienda non aveva ancora generato l’IP ed esercitato l’opzione per entrare nel regime.

In altri termini, la perdita del singolo IP – anche per la parte relativa al periodo antecedente alla creazione dello stesso – dovrà essere memorizzata, con il sistema di tracciatura a far data dall’anno 2015, anche se l’impresa non ha optato per il regime agevolato. L’esercizio dell’opzione, prima di produrre una variazione in diminuzione rappresentativa della misura dell’agevolazione, comporterà necessariamente una compensazione tra redditi e perdite formatisi nei periodi antecedenti l’opzione. Nel caso in cui nel periodo “ante opzione” siano presenti soltanto perdite fiscali, queste ultime dovranno essere abbattute dal reddito prodotto dallo stesso bene immateriale fino ad esaurimento delle stesse e senza limitazioni di natura temporale.

Alla luce di tale precisazione ed in linea con la relazione illustrativa che prevede la possibilità di esercitare l’opzione per singolo bene immateriale, si ritiene che le perdite fiscali generate da un determinato IP debbano essere mantenute all’interno del regime Patent Box del solo IP che le ha prodotte, senza alcun impatto sui redditi eventualmente generati da altri IP per i quali sia stata esercitata l’opzione per il regime in argomento.

Le perdite fiscali di un determinato IP, infatti, andranno a decurtare i soli eventuali redditi positivi generati dallo stesso IP nel quinquennio di efficacia dell’opzione, senza alcun impatto sul regime Patent Box di altri IP per i quali l’azienda ha optato.

Tale interpretazione appare coerente con l’impostazione generale della disciplina in oggetto che prevede un meccanismo di opzioni separate per singoli IP, nonché da quanto già confermato dalla citata circolare 36/E che prevede la riferibilità delle perdite allo stesso bene che le ha generate. Si rammenta che la medesima circolare ha anche precisato che i componenti positivi e negativi ascrivibili al bene immateriale concorrono in modo ordinario alla determinazione del reddito di impresa di periodo anche quando non venga operata alcuna variazione in diminuzione per fruire dell’agevolazione.

Valga il seguente esempio nel quale si suppone che l’Azienda X ha optato per il marchio A ed il marchio B. Si ipotizza che i suddetti marchi generino i seguenti risultati fiscali differenziali nel quinquennio:

ANNO

2015

2016

2017

2018

2019

Marchio A

-100

-200

-300

100

100

Marchio B

150

250

300

300

250

Alla luce di quanto sopra le perdite del marchio A realizzate negli esercizi 2015, 2016 e 2017 andranno ad azzerare il reddito agevolabile prodotto dal marchio A negli anni 2018 e 2019.

I contributi economici positivi prodotti dal marchio B nei 5 anni saranno invece integralmente agevolati sulla base delle percentuali in vigore per gli esercizi in oggetto (30% nel 2015, 40% nel 2016, 50% dal 2017 al 2019).

13 OPERAZIONI STRAORDINARIE

13.1 Operazioni straordinarie aventi ad oggetto aziende. Come chiarito dalla Circolare n. 36/E del 1 dicembre 2015, le operazioni straordinarie potrebbero consentire una più facile gestione della disposizione agevolativa in argomento e, allo stesso tempo, rendere più efficiente la gestione dell’attività di ricerca e sviluppo.

L’articolo 5 del decreto Patent Box prevede che in caso di operazioni di fusione, scissione e conferimento di azienda, il soggetto avente causa (società incorporante, società beneficiaria e società conferitaria) subentra nell’esercizio dell’opzione effettuata dal dante causa (società incorporata, società scissa e società conferente), anche in relazione alla natura e all’anzianità dei costi da indicare nel rapporto costi qualificati e costi complessivi, secondo quanto richiesto dal nexus approach.

Occorre tuttavia considerare se il richiamato articolo 5 conduca a ritenere che, in presenza di opzione effettuata dal dante causa, l’avente causa subentri sempre nella natura e nell’anzianità dei costi del primo.

A tal fine, è opportuno considerare che la nota 18 del paragrafo 52 dell’Action 5 prevede che le normative dei Paesi che si dotano di un regime di Patent Box devono assicurare che i contribuenti non aggirino il trattamento di sfavore, dedicato ai costi di acquisizione degli IP, attraverso operazioni di acquisizione dell’entità che possiede l’IP.

Al riguardo si ritiene che la indicazione contenuta nella citata nota 18 vada riferita alle ipotesi in cui vengano acquisite entità che posseggono solo beni immateriali senza avere una struttura idonea allo sviluppo ed allo sfruttamento economico degli stessi. In pratica, il citato documento OCSE chiede di assimilare l’acquisizione di una entity che possiede solo il bene immateriale all’acquisizione diretta del medesimo bene immateriale.

Potrebbe infatti accadere che una società A, anziché acquisire un IP dalla società B da questa autoprodotto, acquisisca le partecipazioni di controllo della società B, che detiene sostanzialmente solo l’IP, la quale successivamente esercita l’opzione per il regime in esame. Dopo tale esercizio, la società A incorpora la società B e, in applicazione del citato articolo 5 del decreto, la società A potrebbe considerare l’IP come autoprodotto e non come acquisito. In questo caso, poiché il dante causa ha formalmente rispettato l’articolo 5 del decreto Patent box, l’avente causa non considererebbe il bene come acquisito, nonostante l’effetto sostanziale, in capo al medesimo avente causa, sia stato quello di aver acquistato l’IP. E ciò in contrasto con quanto raccomandato dalla citata nota 18.

Per evitare tali comportamenti e al tempo stesso per dare attuazione al dettato dell’articolo 5 del decreto, occorre precisare che le operazioni indicate in tale articolo 5, che consentono il subentro nella posizione del dante causa, sono riconducibili alle sole operazioni di fusioni tra aziende, scissioni di aziende e conferimenti di aziende e non anche alle operazioni aventi ad oggetto singoli beni.

In altri termini, si ritiene che l’articolo 5 in esame abbia inteso privilegiare le sole compenetrazioni di vere aziende, dotate ciascuna di una propria struttura, comprensiva di uno o più beni immateriali, e rivolte all’esercizio dell’attività di ricerca e sviluppo o sfruttamento economico dei medesimi beni. E ciò a prescindere dalla circostanza che l’operazione avvenga tra parti terze o nell’ambito del medesimo gruppo societario.

È doveroso precisare che l’Amministrazione finanziaria valuterà, in sede di controllo, se le operazioni straordinarie in esame abbiano effettivamente ad oggetto un’azienda che rispetti le condizioni sopra citate. Tale circostanza sarà necessariamente oggetto di valutazione case by case.

La continuità in capo all’avente causa della natura e dell’anzianità dei costi del dante causa permette, nel rispetto delle condizioni sopra indicate, all’avente causa di poter godere dell’agevolazione senza subire la penalizzazione prevista per i costi di acquisto degli IP. Pertanto se il dante causa possiede, nell’ambito dell’azienda oggetto dell’operazione straordinaria, un IP autoprodotto, il rispettivo costo non deve mai essere indicato al denominatore del rapporto costi qualificati/costi complessivi dall’avente causa.

A completamento di quanto finora argomentato, può ritenersi, nella misura in cui l’operazione straordinaria abbia, come detto, ad oggetto un’azienda, che l’avente causa subentri nella posizione del dante causa, anche se il dante causa non ha esercitato l’opzione prima dell’effettuazione dell’operazione.

Non sussiste motivo, infatti, di precludere, in assenza dell’esercizio dell’opzione, l’effetto di subentro, quando l’operazione risponda al reale interesse delle parti di trasferire una vera e propria azienda, a nulla rilevando, come detto, se ciò avvenga tra parti terze o all’interno del medesimo Gruppo.

Di contro, il formale esercizio dell’opzione da parte del dante causa non assicura all’avente causa, in assenza delle condizioni sopra richiamate, il subentro nei costi sostenuti dal dante causa.

13.2 Operazioni straordinarie poste in essere fino al 30 giugno 2016. È opportuno considerare che l’Action 5, in virtù di una clausola di salvaguardia, prevede un periodo transitorio per le normative Patent Box degli Stati non in linea con il nexus approach.

In particolare, i paragrafi 63 e 64 dell’Action 5 prevedono che: i) le “nuove ammissioni” a regimi IP esistenti e non coerenti con l’approccio nexus sono permesse fino al 30 giugno 2016; ii) ai fini della clausola di salvaguardia, le “nuove ammissioni” includono sia i nuovi contribuenti che in precedenza non beneficiavano del regime, sia le nuove attività IP possedute dai contribuenti che già beneficiano del regime.

Il citato documento Ocse consente, dunque, a soggetti che già beneficiano del regime Patent Box di includere entro il 30 giugno 2016 in tale regime nuovi beni anche in deroga al nexus approach (che, si rammenta, impone di porre al denominatore del nexus ratio i costi di acquisto di beni immateriali).

Si ritiene che le operazioni di fusione, scissione e conferimento poste in essere entro il suddetto termine temporale consentano all’avente causa di subentrare nella posizione del dante causa anche nel caso in cui le medesime operazioni abbiano ad oggetto singoli beni immateriali. Il subentro per l’avente causa determina, ad esempio, che se il bene era stato autoprodotto dal dante causa o da questo acquisto prima del terzo periodo di imposta antecedente all’entrata in vigore della disciplina in esame (vale a dire il 2011 per i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare), il medesimo avente causa non deve considerare il costo di acquisizione del bene immateriale al denominatore del nexus ratio.

Tale interpretazione è volta ad agevolare, le operazioni di riorganizzazione aziendale finalizzate a beneficiare del regime agevolativo oggetto della presente circolare. Per tale motivo si ritiene che essa possa essere riferita esclusivamente alle operazioni effettuate tra società che alla data di entrata in vigore della relativa disciplina appartenevano al medesimo gruppo societario.

Posto che, ai sensi dell’articolo 1, comma 45, della legge di stabilità 2015 le disposizioni in tema di Patent Box si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, si ritiene che solo le operazioni poste in essere entro il 30 giugno 2016 (termine ultimo previsto per le nuove ammissioni a regimi non coerenti con l’approccio nexus) tra società che alla data del 31 dicembre 2014 appartenevano al medesimo gruppo societario possono beneficiare dell’effetto successorio previsto dall’articolo 5 del decreto Patent Box, anche se le medesime operazioni hanno ad oggetto singoli beni immateriali e non aziende.

13.3 Trattamento ai fini del nexus dei maggiori valori iscritti in sede di operazioni straordinarie. Gli eventuali maggiori valori contabili dell’IP, iscritti in bilancio in relazione all’imputazione del disavanzo da fusione o scissione, ovvero iscritti in relazione al conferimento d’azienda, non rilevano, in linea di principio, ai fini della determinazione del rapporto costi qualificati/costi complessivi.

Ciò in quanto, ciò che rileva nell’approccio nexus è il costo effettivamente sostenuto dal soggetto che acquisisce l’IP e non quello che deriva da rilevazioni meramente contabili, come nell’ipotesi di allocazione del disavanzo da fusione o scissione o iscrizione di maggiori valori in sede di conferimento di azienda.

Tale interpretazione è applicabile, in coerenza con quanto affermato nel paragrafo 13.1, nelle sole ipotesi in cui l’operazione straordinaria abbia ad oggetto un’azienda oppure sia attuata infragruppo nel periodo transitorio indicato nel paragrafo 13.2.

Nel caso in cui tramite l’operazione di fusione, scissione o conferimento venga acquisita un’entità che possiede sostanzialmente solo un IP, si ritiene, invece, che, al di fuori dei casi di agevolazioni infragruppo attuate nel predetto periodo transitorio, occorra tenere conto del fatto che le predette poste contabili potrebbero essere espressive del valore del medesimo IP. Si ritiene, quindi, che in una tale ipotesi il disavanzo (da annullamento o da concambio) allocato sull’IP, derivante dal maggior costo di acquisto della partecipazione (o dal maggior aumento di capitale sociale effettuato a servizio dei soci) della società contenente l’IP, o il maggior valore iscritto in sede di conferimento dell’IP rilevi anche ai fini del nexus ratio, in considerazione e nei limiti di quanto esposto nel paragrafo 13.1.

13.4 Riallineamento fiscale del disavanzo o dei maggiori valori iscritti in bilancio a seguito di operazioni straordinarie. L’articolo 176 comma 2-ter del Tuir, cui fanno rinvio gli articoli 172, comma 10-bis e 173, comma 15-bis, nonché l’articolo 15, commi da 10 a 12, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 consentono alle società aventi causa in un’operazione straordinaria di optare per il regime di riallineamento dei valori fiscali ai maggiori valori iscritti in bilancio in occasione di operazioni di conferimento, di fusione o di scissione aventi ad oggetto aziende o rami di azienda, previo versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP.

Nel caso in cui si sia optato per il riallineamento parziale o totale del valore dell’IP per il quale si intende fruire dell’agevolazione in esame, si ritiene che il maggior valore fiscale affrancato rilevi esclusivamente ai fini della quantificazione del reddito agevolabile derivante dall’utilizzo diretto o indiretto del bene immateriale determinato ai sensi dell’articolo 7, commi 2 e 3 del decreto Patent Box.

Di contro, lo stesso non assume rilevanza ai fini della determinazione del rapporto costi qualificati/costi complessivi che, come precisato nel paragrafo 9, non assume i costi nella loro misura fiscale.

13.5 Trasferimento di sede. L’articolo 166-bis del TUIR prevede che i soggetti che esercitano imprese commerciali, residenti in Paesi che assicurano un effettivo scambio di informazioni, che trasferiscono la residenza ai fini delle imposte sui redditi nel territorio dello Stato, assumono quale valore fiscale delle attività e passività il valore normale delle stesse, determinato ai sensi dell’articolo 9 del TUIR. Per i soggetti residenti in Paesi diversi da quelli che assicurano un effettivo scambio di informazioni, che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato, l’assunzione del valore normale è subordinata alla definizione di un accordo preventivo ex articolo 31-ter del d.p.r. n. 600 del 1973. In assenza di accordo, si assume, per le attività, il minore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e il valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9, mentre per le passività, in misura pari al maggiore tra questi.

Ai fini della corretta determinazione del rapporto costi qualificati/costi complessivi, si ritiene, in primis, che l’eventuale maggior valore fiscale “di ingresso” attribuibile ai sensi del citato articolo 166-bis ai costi sostenuti in relazione all’IP non sia rilevante in quanto il trasferimento di sede, di per sé, non integra un’ipotesi di acquisizione diretta del bene.

Rileva, invece, il costo originario effettivamente sostenuto dal soggetto estero che trasferisce la residenza nel territorio dello Stato.

In tal senso, ai costi sostenuti in relazione all’IP, iscritti nel bilancio del soggetto che ha trasferito la residenza si applicherà la disciplina ordinaria. A titolo esemplificativo, il costo sostenuto dal soggetto estero per l’acquisto dell’IP concorrerà a formare il denominatore del nexus ratio, ricorrendo le condizioni previste dalla norma (cfr. articolo 9 del decreto Patent Box).

Diversamente, i valori fiscali “di ingresso” attribuiti all’IP ai sensi dell’articolo 166-bis del TUIR sono costi fiscalmente rilevanti ai fini della determinazione del reddito agevolabile derivante dall’utilizzo diretto o indiretto del bene immateriale ai sensi dell’articolo 7, commi 2 e 3, del decreto Patent Box.

PARTE SECONDA

Nei paragrafi che seguono, per completezza di materia, sono trattati alcuni temi oggetto di specifiche richieste di chiarimenti pervenute alla scrivente.

14 QUESITI

14.1 Quesiti in tema di determinazione del reddito agevolabile

14.1.1 Rilevanza fiscale dei valori in caso di utilizzo indiretto. In caso di utilizzo indiretto dell’IP, il reddito agevolabile è determinato come grandezza di tipo reddituale contabile o reddituale fiscale? In altri termini, ipotizzando che oggetto dell’agevolazione sia un brevetto, dato in licenza a terzi, ai fini della determinazione del reddito agevolabile, le royalties devono essere assunte al netto dei costi di ammortamento contabili o, nel caso vi sia divergenza di valori, di quelli fiscalmente rilevanti?

Risposta

A norma dell’articolo 7, comma 2, del decreto Patent Box, nel caso di utilizzo indiretto dell’IP, “il reddito agevolabile è costituito dai canoni derivanti dalla concessione in uso dei beni immateriali, al netto dei costi fiscalmente rilevanti diretti e indiretti a essi connessi”. Pertanto, anche avuto riguardo al dato letterale della disposizione, è da ritenere che il reddito agevolabile vada determinato come grandezza reddituale fiscale. Ciò comporta che, ai fini della determinazione dello stesso reddito, assumano rilievo i costi fiscalmente riconosciuti, determinati in base alle disposizioni del TUIR e, quindi, nel caso prospettato nel quesito, gli ammortamenti fiscalmente rilevanti a norma dell’articolo 103, comma 1, del TUIR.

14.1.2 Rilevanza fiscale dei valori in caso di utilizzo diretto. In caso di utilizzo diretto, al fine della determinazione del reddito figurativo dell’IP, l’articolo 12, comma 3, del decreto Patent Box dispone che lo stesso avvenga sulla base degli standard internazionali rilevanti elaborati dall’OCSE, con particolare riferimento alle linee guida in materia di prezzi di trasferimento. È corretto ritenere che ciò presupponga che i costi vadano assunti al valore contabile e non a quello fiscale?

Risposta

Come evidenziato dalla relazione illustrativa al decreto Patent Box, il riferimento a un reddito figurativo dell’IP, al fine della determinazione dell’agevolazione in caso di utilizzo diretto, “assume l’esistenza di un ramo d’azienda autonomo deputato alla concessione in uso dei beni immateriali allo stesso contribuente”. Pertanto, ferma restando la necessità di attivare preventivamente la procedura di ruling ai sensi dell’articolo 1, comma 39, della legge di stabilità 2015, si ritiene che, nella determinazione del reddito figurativo, valgano gli stessi principi sanciti per la determinazione del reddito agevolabile in caso di utilizzo indiretto dell’IP. A ciò consegue che, analogamente a quanto stabilito dall’articolo 7, comma 2, del citato decreto per il caso di utilizzo indiretto dell’IP, anche nella determinazione del reddito figurativo dell’IP assumono rilevanza i componenti positivi e negativi di reddito nella misura fiscalmente riconosciuta in base alle ordinarie disposizioni del TUIR. Quindi, per determinare il reddito figurativo è necessario partire dai dati di conto economico e conseguentemente applicare puntualmente le disposizioni fiscali rilevanti, in ultima analisi pervenendo così a segregare un risultato reddituale fiscale riferibile agli IP, come quota parte del reddito complessivo prodotto dal contribuente. Si evidenzia, infine, che il rinvio alle linee guida in materia di Transfer Pricing elaborate in ambito OCSE, contenuto nell’articolo 12, comma 3, del decreto Patent Box e ribadito, tra l’altro, nel paragrafo 3.2 del Provvedimento del 1 dicembre 2015 (prot. 2015/154278), è finalizzato unicamente a fornire indicazioni in merito alle potenziali metodologie utilizzabili per la determinazione del reddito figurativo dell’IP. Determinazione che, si ribadisce, dovrà avvenire assumendo nell’applicazione delle citate metodologie – ad esempio, confronto con il prezzo e il metodo della ripartizione dell’utile – in luogo dei valori contabili i valori della cd. azienda fiscale.

14.1.3 Individuazione dei costi da computare nel calcolo del reddito. L’articolo 7 del decreto Patent Box, nel definire i redditi agevolabili in caso di utilizzo diretto e indiretto dell’IP, non rinvia alle attività di ricerca e sviluppo descritte nel successivo articolo 8, cui invece fa riferimento l’articolo 9 che regola il nexus ratio. È corretto concludere che i costi che concorrono nel calcolo del reddito agevolabile sono qualitativamente diversi da quelli che rilevano per il rapporto?

Risposta

La risposta è affermativa.

I costi da prendere in considerazione ai fini della determinazione del reddito agevolabile possono essere diversi da quelli che concorrono alla formazione del nexus ratio.

Ai sensi dell’articolo 7 del decreto occorre prendere in considerazione, in sede di determinazione del reddito agevolabile derivante dall’utilizzo indiretto, tutti i costi diretti ed indiretti connessi a tale reddito. Nel caso di utilizzo diretto, occorre assumere l’esistenza di un autonomo ramo d’azienda deputato alla concessione in uso dei beni immateriali allo stesso contribuente; e ciò al fine di attribuire a quest’ultimo lo stesso beneficio che otterrebbe laddove licenziasse i beni immateriali ad altri soggetti.

In applicazione di tale logica, occorre prendere in considerazione tutti i costi che direttamente o indirettamente hanno generato il reddito agevolabile, ivi compresi gli oneri finanziari ed i costi relativi agli immobili per la quota imputabile alla formazione del reddito.

I costi che concorrono alla formazione del nexus ratio sono solo quelli afferenti alle attività di ricerca e sviluppo indicate nell’articolo 8 del decreto Patent Box. Per espressa previsione sono esclusi gli interessi passivi, le spese relative agli immobili, i costi che non possono essere direttamente collegati a uno specifico bene immateriale.

Da quest’ultima previsione può ricavarsi che i costi indiretti sono espressamente esclusi dal nexus ratio, mentre sono espressamente contemplati nella determinazione del reddito agevolabile.

Ne consegue che i costi rilevanti ai fini della determinazione del reddito possono essere diversi da quelli assunti ai fini della costruzione del nexus ratio.

14.1.4 Irrilevanza dei costi sostenuti prima dell’accesso al regime. Nel calcolo del reddito agevolabile, si tiene conto anche dei costi sostenuti in periodi antecedenti rispetto all’opzione?

Risposta

No, in quanto, come confermato anche dalla relazione illustrativa all’articolo 7 del decreto Patent Box, ai fini della determinazione del reddito agevolabile, rilevano unicamente i costi di competenza del singolo periodo di imposta oggetto del regime.

Resta fermo quanto precisato nel paragrafo 12 in tema di recupero delle perdite.

14.2 Quesiti in tema di calcolo del nexus ratio

14.2.1 Trattamento costi relativi a ricerca fallita. Possono essere espunti dal rapporto i costi di ricerca applicata, eventualmente comprensivi di quella fondamentale, laddove in seguito la ricerca fallisca?

Risposta

L’OCSE, nel report finale dell’Azione 5, evidenzia come la ricerca che non va a buon fine non debba essere considerata ai fini del rapporto (“unsuccessful R& D will typically not be included in the nexus ratio“); in tale ipotesi, dal periodo d’imposta in cui si palesa il “fallimento” della ricerca, il rapporto dovrà essere opportunamente rettificato escludendo i costi relativi alla ricerca fallita dal numeratore e/o dal denominatore del rapporto (a seconda che trattasi di costi “qualificati” o meno).

 

14.2.2 Spese di ricerca per marchi complementari. I costi per “attività di presentazione, comunicazione e promozione che accrescano il carattere distintivo dei marchi” [di cui all’articolo 8, punto vi), del decreto Patent Box] sono inclusi nel rapporto. Si deve intendere che tali costi rilevano ai fini del rapporto unicamente se tra i beni agevolati sono presenti marchi, anche in quanto inclusi in un IP risultante dalla somma di più IP complementari?

Risposta

Nella relazione di accompagnamento al decreto Patent si legge che i costi di ricerca rilevano in quanto “si tratti di attività di ricerca e sviluppo direttamente collegate al bene da esse “generato”; tale verifica va, quindi, condotta separatamente bene per bene”. Inoltre, ai sensi dell’articolo 42-ter della legge di stabilità 2015 (come modificata dalla legge di stabilità 2016), i beni “collegati da vincoli di complementarietà”, che siano “utilizzati congiuntamente” per la realizzazione di prodotti/processi, “possono costituire un solo bene immateriale” ai fini dell’agevolazione in esame.

Pertanto, i costi per “attività di presentazione, comunicazione e promozione” devono essere computati nel nexus ratio se e nella misura in cui si riferiscono ad un marchio oggetto di opzione, tanto nell’ipotesi in cui il marchio in questione sia agevolato come bene autonomo, tanto nell’ipotesi in cui il marchio stesso sia agevolato come bene complementare ad altri IP.

14.2.3 Tipologia di sfruttamento economico del bene immateriale. Lo sfruttamento economico del bene immateriale agevolato deve includere tutti i diritti “propri” del titolare oppure è sufficiente una parte (magari quella caratteristica)?

Risposta

Le modalità con cui sono trasferiti i diritti di sfruttamento del bene (compresa l’eventuale possibilità di concessione in sub-licenza ovvero la concessione in esclusiva o meno dei diritti stessi) risultano dal contratto tra il licenziante e il licenziatario; conseguentemente, è dalle pattuizioni contrattuali che emergerà la specifica tipologia di utilizzo (diretto e/o indiretto) rilevante ai fini dell’agevolazione.

14.2.4 Concessione in uso a titolo gratuito. Qualora, per policy di gruppo, la società capogruppo registri il marchio e ne conceda (mediante un accordo non formalizzato) lo sfruttamento, a titolo gratuito, alla società controllata (che lo ha creato e che lo utilizza nella propria attività, sostenendone i relativi costi di presentazione, comunicazione e promozione), può l’agevolazione competere alla società controllata?

Risposta

Nella relazione di accompagnamento al decreto Patent si legge, relativamente all’articolo 2, che l’opzione può essere esercitata, “indipendentemente dal titolo giuridico” in virtù del quale i beni sono utilizzati, comprendendo sia i beni immateriali “sviluppati internamente” che quelli “acquisiti da altri soggetti (anche in licenza), e sui quali il contribuente svolge attività di mantenimento, accrescimento e sviluppo”.

Ne deriva che, nella fattispecie prospettata, la società controllata, in quanto soggetto che ha creato il marchio e che, altresì, sostiene i relativi costi di presentazione, comunicazione e promozione [di cui all’articolo 8, punto vi), del decreto Patent], può agevolare il reddito riveniente dall’utilizzo (diretto) del predetto marchio (ancorché acquisito in licenza a titolo gratuito). Nel denominatore del nexus ratio non figureranno costi per l’acquisizione del marchio, posto che questi non risultano dal contratto; saranno invece computati i costi di ricerca di cui al citato articolo 8 relativi al marchio, compresi quelli sostenuti per la creazione del marchio stesso.

In una siffatta fattispecie, comunque, resta ferma la potestà dell’Amministrazione di sindacare il comportamento delle parti del rapporto secondo i canoni dell’antieconomicità dell’operazione.

14.2.5 Utilizzo ricerca fondamentale. I costi di ricerca fondamentale confluiscono nel nexus ratio se le relative conoscenze acquisite sono utilizzate nella “ricerca applicata e design” (articolo 8 del decreto Patent). Esistono limiti temporali entro i quali devono verificarsi i successivi utilizzi della citata ricerca fondamentale ai fini della inclusione nel nexus ratio, ovvero è necessario spalmare i costi sui singoli IP, anche tenendo conto del cd. “cherry picking”?

Risposta

I costi di ricerca fondamentale, debitamente tracciati (complessivamente nel solo periodo transitorio, ovvero per singolo IP), devono essere computati nel nexus ratio relativo al periodo d’imposta in cui si appalesa l’utilizzo delle conoscenze acquisite per il loro tramite nelle attività agevolate (vale a dire quando la ricerca fondamentale si traduce in ricerca applicata); solo allora, infatti, si integra il “successivo utilizzo” cui fa riferimento l’articolo 8 del decreto Patent Box.

Dal citato periodo d’imposta, pertanto, il nexus ratio sarà modificato, assumendo al numeratore e/o al denominatore, secondo le regole di cui all’articolo 9 del decreto stesso, i predetti costi di ricerca fondamentale.

14.2.6 Cost Contribution Agreement (C.C.A.). Si ipotizzi che le società A, B, e C, appartenenti allo stesso gruppo, aderiscano a un C.C.A. in base al quale:

  1. ciascuna società svolge direttamente un’attività di ricerca e sviluppo destinata a integrarsi o, comunque, correlarsi con quelle delle altre società partecipanti all’accordo (ad esempio, esegua una fase di un progetto di ricerca) e si impegna a mettere a disposizione delle altre società i risultati di tale attività secondo criteri, limiti e quote convenuti in base all’accordo stesso;
  2. ciascuna società si impegna a sopportare una quota dei costi complessivi sostenuti da tutti i partecipanti in ragione della quota di utilizzo dei risultati ad essa riconosciuta dall’accordo.

Caratteristica di tale accordo è che ciascun partecipante, da un lato, esegue direttamente una parte soltanto dell’attività di ricerca e sviluppo oggetto del C.C.A. (“ricerca comune”) e, dall’altro, può accedere ai risultati complessivi della “ricerca comune” (vale a dire che può giovarsi anche dei risultati conseguiti dagli altri partecipanti). Inoltre, grazie al meccanismo di contribuzione sopra cennato (sub 2), si ha che ciascun partecipante al C.C.A. resta inciso per una quota del costo complessivo della “ricerca comune” coerente e proporzionata con l’utilizzo di tale ricerca.

Peraltro, poiché – come detto – ciascun partecipante svolge una parte di attività di ricerca e sviluppo sostenendo le relative spese e poiché in concreto manca di regola una esatta coincidenza tra spese da ciascuno sostenute e quota di utilizzo della “ricerca comune”, le differenze in più o in meno tra spese e utilizzi vengono rispettivamente rimborsate e pagate. In particolare chi ha sostenuto spese maggiori rispetto alla quota di utilizzo stabilita dal C.C.A., avendo imputato per intero dette spese al C/E rileverà il rimborso come provento così da ottenere un effetto netto al C/E dell’operazione coerente con l’accordo.

Al riguardo, si chiede di conoscere se ciascun partecipante al C.C.A. deve considerarsi “beneficiario” dell’accordo nel senso che può utilizzare i risultati della “ricerca comune”? I partecipanti che abbiano sostenuto costi di ricerca e sviluppo maggiori rispetto alla quota di utilizzo della “ricerca comune” stabilita dal C.C.A. rileveranno proventi per effetto di tale accordo?

Risposta

Al fine di inquadrare l’ipotesi prospettata si assuma che:

  • in base a un accordo di C.C.A. vengono sostenuti costi complessivi di ricerca e sviluppo per 900. In particolare detti costi sono così ripartiti: la società A ha sostenuto costi per 300; la società B per 400; la società C per 200;
  • si assuma inoltre che ciascun partecipante abbia una uguale quota di utilizzo dei risultati della “ricerca comune”.

In base ai dati sopra esposti (e senza considerare, per motivi di semplicità espositiva, la regola del “up lift”):

  • la società A riceve dal C.C.A. una utilità corrispondente a 300 (33,3 per cento di 900) pari ai costi sostenuti per l’attività di ricerca e sviluppo svolta direttamente e quindi non deve né versare né ricevere rimborsi. Ai fini del rapporto “nexus” pertanto tale società mette al numeratore e al denominatore lo stesso importo di 300;
  • la società B riceve dal C.C.A. una utilità corrispondente a 300 (33,3 per cento di 900) inferiore al costo di ricerca e sviluppo sostenuto di 400 per cui deve ricevere un rimborso (dalla società C) di 100 che, come cennato, costituisce un provento da rilevare a C/E. Ai fini del rapporto “nexus” la società B iscrive al denominatore l’intero costo di ricerca e sviluppo direttamente sostenuto (400), mentre al numeratore può iscrivere come costo qualificato sia la parte corrispondente alla propria quota di utilizzo della “ricerca comune” (300) sia, in base all’articolo 9, comma 3, ii) del decreto, i “proventi costituiti dal riaddebito dei costi … ” a carico della società C (proventi pari a 100). In pratica, la società B iscriverà sia al numeratore che al denominatore lo stesso importo di 400;
  • la società C riceve dal C.C.A. una utilità corrispondente a 300 (33,3 per cento di 900) che questa volta è superiore al costo di ricerca sostenuto di 200 per cui detta società è tenuta, come cennato, a versare la differenza di 100 alla società B; sicché in sostanza essa sostiene costi complessivi di ricerca e sviluppo per 300 di cui 200 per attività di ricerca e sviluppo direttamente sostenute e 100 per rimborso dell’attività svolta dalla consorella. Ai fini del rapporto “nexus” la società C iscrive al denominatore l’intero importo di spese di ricerca e sviluppo sostenute (300) mentre al numeratore può iscrivere come costo qualificato solo la parte relativa alla ricerca e sviluppo direttamente svolta (200; importo questo che può essere maggiorato in base alla regola “up lift”).

In conclusione, dall’esempio svolto emerge che la particolare regola contenuta nel citato articolo 9, comma 3, ii), trova applicazione solo nei confronti della società B in quanto solo essa si presenta come soggetto beneficiario del C.C.A. e, al tempo stesso, consegue proventi dall’accordo”.

NOTE:

(1) Il regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento sul marchio comunitario è entrato in vigore il 23 marzo 2016. Da tale giorno l’Ufficio, già denominato “Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno” – UAMI, si chiamaUfficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) e il marchio comunitario si chiamamarchio dell’Unione europea.

(2) Il regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento sul marchio comunitario è entrato in vigore il 23 marzo 2016. Da tale giorno l’Ufficio, già denominato “Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno” – UAMI, si chiamaUfficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO)e il marchio comunitario si chiamamarchio dell’Unione europea.

(3)OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project – Aligning Transfer Pricing Outcomes with Value Creation – ACTIONS 8-10: 2015 Final Reports (ottobre 2015).

(4) Si precisa che ai sensi dei Capitoli I, II e III delle Linee Guida Ocse, i metodi preferibili per valutare le ruotinarie funzioni di produzione sono il metodo del confronto di prezzo (CUP) ed il metodo del Costo Maggiorato (Cost Plus); in caso di funzioni routinarie di distribuzione, i metodi preferibili risultano essere il metodo del confronto di prezzo ed il metodo del prezzo di rivendita (Resale Price Method). Tali metodi possono essere applicati facendo ricorso a indicatori di profitto (PLI) lordi o netti (Metodo del Margine Netto della Transazione o TNMM).

(5) L’articolo 8 del decreto-legge 269/2003, convertito con modificazioni dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326 è stato abrogato dall’articolo 31-ter del d.p.r. 600/73 introdotto dal d.lgs. n. 147 del 14 settembre 2015. Le disposizioni di tale articolo pubblicato in G.U. il 22 settembre 2015, si applicano a decorrere dalla data fissata dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate emanato, in sostituzione del provvedimento del 23 luglio 2004, in data 21 marzo 2016.

1In Boll. Trib., 2015, 1722.

2In Boll. Trib., 2016, 432.

3In Boll. Trib., 2015, 1722.