Imposte e tasse – Sanzioni penali – Reati tributari – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – Concorso del potenziale utilizzatore della fattura – Applicabilità del regime derogatorio previsto dall’art. 9 del D.Lgs. n. 74/2000 – Esclusione.
In tema di reati tributari, il disposto di cui all’art. 9, lett. b), del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, secondo cui non è punibile a titolo di concorso nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 8 del medesimo decreto legislativo, colui il quale si avvalga di dette fatture, lascia aperta la possibilità che risponda, invece, del reato, a titolo di concorso con l’emittente, il soggetto che si sia limitato ad annotare le fatture, senza poi utilizzarle nelle dichiarazioni relative alla imposta sul reddito o sul valore aggiunto.
[Corte di Cassazione, sez. III pen. (Pres. Mannino, rel. Andronio), 18 gennaio 2012, sent. n. 1894]
RITENUTO IN FATTO – 1. Con ordinanza dell’8 febbraio 2011, il Tribunale di Brescia, in sede di riesame, ha confermato l’ordinanza del Gip dello stesso Tribunale del 30 dicembre 2010, con cui era stata applicata all’indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari. In particolare, erano contestati all’odierno ricorrente i reati di cui agli articoli 81, secondo comma, 110 c.p., 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, commessi nella sua qualità di socio amministratore della P. … dei f.lli P. … & C. … s.n.c., nonché di socio amministratore unico della S. … s.r.l. e titolare della ditta individuale S. …
Riferisce il Tribunale del riesame che, nell’ambito di indagini tributarie svolte dalla Guardia di Finanza, erano emersi gravi indizi dei reati di cui sopra, consumati da diversi soggetti in concorso tra loro nel periodo tra il 2005 e il 2008 e consistenti, in particolare, nell’emissione continuata di fatture false per importi elevatissimi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti, tramite tre società di comodo; fatture che erano ricevute e annotate in contabilità dalle società facenti capo al prevenuto. A ciò si aggiungevano dichiarazioni fraudolente con l’uso di fatture o di altri documenti in tutto o in parte inesistenti, per l’indicazione di elementi passivi fittizi al fine di evadere le imposte sui redditi, in relazione agli esercizi finanziari da 2005 a 2007.
Il quadro indiziario era ravvisato: negli esiti delle verifiche compiute dalla Guardia di Finanza, nelle intercettazioni telefoniche effettuate, nelle risultanze dei servizi di osservazione, pedinamento e controllo predisposti.
2. Avverso tale ordinanza, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento e lamentando, con unico motivo di impugnazione, l’erronea applicazione dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 74 del 2000. Ad avviso della difesa – la quale richiama le sentenze Cass., sez. un., 7 novembre 2000, n. 27 , e 28 ottobre 2010, n. 1235/2011 , nonché Corte Costituzionale n. 49 del 2002 – poiché secondo la prospettazione accusatoria le società facenti capo all’indagato si sarebbero avvalse dei documenti contabili predisposti da altra società, non sarebbe configurabile il reato di cui all’articolo 8 del decreto legislativo medesimo, a lui contestato. A sostegno della sua ricostruzione, la difesa richiama il principio giurisprudenziale secondo cui l’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000, esclude, in deroga all’articolo 110 c.p., la configurabilità del concorso dell’emittente nel reato di dichiarazione fraudolenta commesso dall’utilizzatore e soprattutto, del concorso dell’utilizzatore nel reato di emissione anche in caso di preventivo accordo, con la conseguenza che, per l’emittente, la successiva utilizzazione da parte di terzi configura un postfatto non punibile, mentre per utilizzatore che se ne avvalga nella dichiarazione annuale, il previo rilascio costituisce un antefatto pur irrilevante penalmente. Erroneamente dunque – prosegue il ricorrente – il Tribunale avrebbe interpretato il sistema normativo nel senso che l’utilizzatore di documenti o fatture emesse per operazioni inesistenti concorre con l’emittente, non essendo applicabile, in tal caso, il regime derogatorio previsto dall’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000.
[-protetto-]
CONSIDERATO IN DIRITTO – 3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Si verte, nel caso di specie, nell’ipotesi di un soggetto che si è limitato ad annotare le fatture false (prodotte da altri con il suo concorso) in contabilità, senza inserirle in dichiarazione, non avendo potuto effettuare tale inserimento perché gli accertamenti sono stati effettuati prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione stessa, come risulta dalla pag. 5 dell’ordinanza censurata. L’ipotesi in esame è, dunque, differente da quella del concorso tra chi ha emesso una fattura e chi l’ha utilizzata nella dichiarazione fiscale; concorso la cui configurabilità è esclusa dall’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 74 del 2000. Diversamente opinando, si giungerebbe a creare un’area di impunità per quei soggetti che abbiano concorso nell’emissione di documenti per operazioni inesistenti, limitandosi ad annotarli in contabilità, senza utilizzare tali documenti nella dichiarazione relativa all’imposta indicando elementi passivi fittizi: tali soggetti sarebbero, infatti, esclusi sia dall’ambito di applicazione dell’art. 8, che punisce l’emissione di documenti inesistenti, sia da quello dell’art. 2, che richiede, oltre all’annotazione dei documenti nelle scritture contabili, anche la loro indicazione nella dichiarazione annuale (e rispetto al quale la punibilità del tentativo è esclusa dall’art. 6 successivo) (Sez. III, 17 marzo 2010, n. 14862 ).
Né tale conclusione è smentita dalle sentenze citate dal ricorrente. Le prime di tali sentenze, infatti (Cass., sez. un., 7 novembre 2000, n. 27, e 28 ottobre 2010, n. 1235/2011), non escludono la configurabilità del concorso del reato di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000 di colui che ha annotato le fatture false in contabilità senza averle inserite in dichiarazione, perché si limitano ad affermare il principio per cui le condotte di utilizzazione – e cioè di annotazione in contabilità e indicazione in dichiarazione – di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, prodromiche o strumentali rispetto alla fraudolenta indicazione di elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, supportata da tali fatture o documenti, non sono, di per sé, previste dalla legge come reato. La sentenza n. 49 del 2002 della Corte costituzionale, per parte sua, si limita a ribadire tale principio.
4. Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M. – (Omissis).
Concorre nel reato di falsa fatturazione il soggetto che
registra le fatture false in contabilità anche senza
il loro inserimento nella dichiarazione dei redditi
1. Il caso
Il contenzioso in esame trae origine da un’indagine dalla Guardia di finanza la quale, a seguito di una serie di accessi e ispezioni, ha potuto ravvisare condotte delittuose, rilevanti in materia penale tributaria ai sensi del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, poste in essere da differenti soggetti tra gli anni 2005 e 2008.
Trattasi, nella specie, di un meccanismo finalizzato all’evasione d’mposta realizzato attraverso l’utilizzo di tre differenti società di comodo, in relazione alle quali i militari verbalizzanti hanno contestato l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’utilizzo delle stesse con l’annotazione in contabilità e la conseguente presentazione di dichiarazioni fraudolente per gli anni 2005, 2006, e 2007.
Nel corso delle indagini, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia aveva applicato al contribuente, nella qualità di soggetto indagato, la misura cautelare degli arresti domiciliari, ritenendo sussistere gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui agli artt. 81, secondo comma, e 110, c.p., e artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000, commessi nella sua qualità di legale rappresentante di tre differenti soggetti giuridici.
Detta misura cautelare veniva confermata in toto dal Tribunale del riesame di Brescia il quale, con ordinanza del 8 febbraio 2011, rigettava l’impugnazione del contribuente, confermando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273 c.p.p., tenuto conto, in particolare, degli esiti delle verifiche compiute dalla Guardia di finanza, delle intercettazioni telefoniche effettuate e delle risultanze dei servizi di osservazione, pedinamento e controllo.
Il Tribunale del riesame, inoltre, rilevava la non applicabilità dell’art. 9 del D.Lgs. n. 74/2000, norma che, in deroga all’art. 110 c.p., prevede la non punibilità a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 8 del medesimo D.Lgs. n. 74/2000 per chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e per chi concorre con il medesimo.
2. Il quadro normativo
La pronuncia in esame si muove intorno alla normativa contenuta nel D.Lgs. n. 74/2000, ove vengono puntualmente identificate le fattispecie che integrano gli estremi di reato in ambito tributario (1).
In particolare, l’art. 9 del D.Lgs. n. 74/2000, rubricato «Concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti», prevede, in deroga all’ordinaria disciplina dell’art. 110 c.p. inerente al concorso di reati (2), che l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (e chi concorre con il medesimo) non sia punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.
Quest’ultima norma sanziona con la reclusione chi, «al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi», specificando che «il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria».
In materia del tutto speculare, il citato art. 9 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede un’ulteriore deroga rispetto al regime ordinario del concorso di reati, escludendo altresì il concorso del soggetto che si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (e di chi concorre con questi) nel reato di cui al precedente art. 8 (relativo alla condotta di chi emette fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto).
Su queste basi, dunque, l’annotata sentenza fornisce una puntuale interpretazione del suddetto art. 9, definendo i confini applicativi della deroga al regime ordinario del concorso di reati nel caso di soggetto che utilizzi fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e ciò a prescindere dall’avvenuta presentazione della dichiarazione dei redditi.
3. La tesi difensiva
Ciò premesso, è opportuno osservare sin da ora che, come attentamente rilevato dalla più recente giurisprudenza e da autorevole dottrina (3), la fattispecie delittuosa punita e prevista dall’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 presenta una struttura bifasica.
Al fine di integrare tale reato, infatti, risulta necessaria la condotta di presentazione della dichiarazione fiscale con l’indicazione di elementi passivi fittizi, che si caratterizza non solo nell’utilizzo da parte del contribuente di fatture o di altri documenti relativi a operazioni inesistenti, ma altresì nella prodromica condotta di registrazione di tale fatture nelle scritture contabili obbligatorie o detenute ai fini di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (4).
La tesi della difesa nel ricorso per cassazione è incentrata sull’errata applicazione dell’art. 9 in quanto il Tribunale del riesame non avrebbe applicato in modo corretto detto art. 9 che al primo comma, lett. b), esclude la punibilità per chi utilizza le fatture false a titolo di concorso nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti. Difatti, rileva la difesa, la ratio legis sarebbe quella di evitare di andare a punire due volte il soggetto contribuente per una medesima condotta sostanziale (l’utilizzazione nella dichiarazione ed emissione di fatture false).
La difesa precisa, inoltre, che nel caso di specie la dichiarazione non era stata contestata come fraudolenta in quanto, a seguito dell’accesso dei militari della Guardia di finanzia, il contribuente, pur avendo contabilizzato le fatture false, non le aveva ancora inserite in dichiarazione.
Pertanto, non essendo possibile parlare di dichiarazione fraudolenta, il contribuente, secondo la prospettazione difensiva, non sarebbe neppure punibile in forza del disposto dell’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.
In altre parole, il contribuente non avrebbe mai realizzato la condotta che integra gli estremi del reato di cui all’art. 2, tenuto conto della struttura bifasica della medesima fattispecie delittuosa che prevede, appunto, la necessità di porre in essere non solo la registrazione delle fatture false, ma anche l’utilizzo delle stesse quali elementi fittizi all’atto della presentazione della dichiarazione dei redditi.
In effetti, l’argomentazione qui sviluppata non è certo priva di alcun pregio giuridico, trovando solide basi in un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato che ha definito in tal senso la struttura della fattispecie delittuosa in discorso.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte (5), infatti, hanno statuito che «le condotte di utilizzazione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti … in quanto meramente prodromiche o strumentali rispetto alla fraudolenta indicazione di elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto non sono più, di per sé, penalmente rilevanti, non potendo in alcun modo essere ricondotte nella previsione della più recente disposizione incriminatrice che individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica della fattispecie ed il momento in cui si verifica la lesione dell’interesse erariale all’integrale riscossione delle imposte».
4. La posizione della Suprema Corte
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte afferma il principio secondo cui il contribuente è punibile a titolo di concorso con il reato di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000 anche nel caso in cui le fatture false siano state semplicemente inserite nella contabilità, a prescindere (e dunque anche anteriormente) dall’avvenuta presentazione della dichiarazione dei redditi.
In altre parole, il concorso nel reato di emissione di fatture false scatta anche nel caso in cui il contribuente si limiti a registrare le fatture false in contabilità, senza utilizzare tali documenti nella dichiarazione relativa all’imposta, indicando elementi passivi fittizi.
Pertanto, in casi come quello in esame non può trovare applicazione la deroga prevista dall’art. 9 del D.Lgs. n. 74/2000, che esclude la punibilità a titolo di concorso con il reato di cui all’art. 8 (emissione di fatture false) per il soggetto contribuente che già pone in essere una condotta che integra la diversa fattispecie delittuosa di cui all’art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false).
I giudici di legittimità, quindi, non hanno accolto il ricorso, confermando la sentenza impugnata ed evidenziando la circostanza che il contribuente non ha inserito le fatture per operazioni inesistenti nella dichiarazione annuale solo in quanto è stato scoperto dai militari della Guardia di finanza prima che decorresse il termine per la presentazione della dichiarazione annuale. Inoltre, proseguono i giudici di legittimità, deve ritenersi corretta la non applicazione del regime derogatorio di cui all’art. 9 del D.Lgs. n. 74/2000, in quanto quest’ultima norma determina la non punibilità a titolo di concorso per il reato di falsa fatturazione per chi utilizza le fatture false e, quindi, soltanto per chi è effettivamente punito per il reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2), il cui momento di consumazione è la presentazione della dichiarazione. In questo caso, invece, il contribuente, visto che, di fatto, non ha presentato alcuna dichiarazione fraudolenta, seguendo la tesi della difesa, non sarebbe punibile a titolo di concorso per il reato di fatture false, trovandosi così in una situazione di non punibilità.
Trattasi di tematica sovente posta all’attenzione della Suprema Corte, la quale, già in passato (6), ha delimitato l’ambito di operatività di detto regime derogatorio, precisando che se è vero che la normativa pone limiti ben precisi alla possibilità di configurare un concorso di reato, è anche vero che non ogni fattispecie è passibile di essere ricondotta a tale alveo.
Da ciò ne discende che il potenziale utilizzatore di documenti o fatture emesse per operazioni inesistenti, allorquando non integri con la sua condotta la fattispecie delittuosa complessa di cui all’art. 2, andrà a concorrere con l’emittente, trovando in tal caso applicazione l’ordinaria disciplina dettata dall’art. 110 c.p. In altre parole, in tale evenienza non potrà ammettersi l’adesione al regime derogatorio previsto dal più volte citato art. 9, posto che «una diversa interpretazione determinerebbe una situazione di irrilevanza penale nei confronti di chi abbia posto in essere comportamenti riconducibili alla previsione concorsuale in relazione all’emissione della documentazione fittizia, non utilizzando poi le fatture per essere avvenuti gli accertamenti prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione, poiché questi non potrebbe essere sanzionato né a norma dell’art. 8, a titolo di concorso, né a norma dell’art. 2, a titolo di tentativo». Ciò in quanto l’inammissibilità del concorso è limitata all’ipotesi di colui che, con la sua condotta, si “avvale”, cioè abbia utilizzato le fatture emesse, realizzando così una dichiarazione fraudolenta.
In tal caso, si determinerebbe un’inammissibile duplicazione della punibilità della medesima condotta, laddove il legislatore ha inteso invece assicurare che la punibilità dell’utilizzatore resti ancorata alla falsa dichiarazione, escludendo poi, a mezzo del citato art. 9 del D.Lgs. n. 74/2000, la configurabilità del concorso dell’utilizzatore stesso nel fatto dell’emittente.
Su tale scia si pone la sentenza in commento, la quale esclude l’applicabilità del regime derogatorio di cui all’art. 9 più volte citato. Ciò in quanto, osserva la Corte, nella vicenda per cui è causa il soggetto non aveva inserito le false fatturazioni in dichiarazione, posto che gli accertamenti erano stati effettuati prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione stessa.
La fattispecie, dunque, in tal caso è ben diversa da quella nella quale è consentito escludere il concorso tra chi ha emesso una fattura e chi l’ha utilizzata nella dichiarazione fiscale. Una soluzione difforme, conclude la Corte di Cassazione, darebbe vita a un’area di “impunità” certamente non conforme a principi di giustizia sostanziale.
5. Conclusioni
La posizione espressa dalla Suprema Corte in merito alla portata applicativa della deroga di cui all’art. 9 del D.Lgs. n. 74/2000 trova fondamento in argomenti non solo di carattere prettamente logico-giuridico, ma anche in argomenti che attengono a ragioni di equità e giustizia sostanziale.
In primo luogo, infatti, viene qui delineato un confine molto rigido di applicazione della disposizione di cui al predetto art. 9, che trova il proprio limite invalicabile nella possibilità di identificare o meno l’avvenuta realizzazione di tutti i presupposti necessari a integrare la fattispecie delittuosa di cui all’art. 2 del medesimo D.Lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta).
La struttura bifasica del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture false porta inevitabilmente a escludere che possa dirsi integrata detta fattispecie nel caso di semplice registrazione delle fatture false in contabilità, difettando in tal caso la successiva fase di presentazione della dichiarazione mediante elementi fittizi.
Ciò vuol dire che, fino a quando il contribuente non presenta la dichiarazione, non potrà mai dirsi integrato il delitto di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.
Da tale postulato, seguendo il ragionamento della Suprema Corte, ne discende quindi l’impossibilità oggettiva di ritenere applicabile la deroga di cui al citato art. 9 in caso di semplice registrazione in contabilità delle fatture false da parte dell’utilizzatore, essendo la deroga prevista normativamente soltanto in caso di integrazione del delitto di cui all’art. 2 per il quale appunto, trattandosi di fattispecie a struttura bifasica, risulta sempre necessaria l’avvenuta presentazione della dichiarazione.
Seguendo questo delicato iter logico, i giudici della Suprema Corte arrivano quindi a ritenere punibile a titolo di concorso con il reato di cui all’art. 8 il contribuente che si avvale delle fatture false registrandole in contabilità, pur in assenza di una dichiarazione fraudolenta.
Tuttavia, come già anticipato, le conclusioni a cui perviene la sentenza in esame trovano fondamento anche in ragioni di equità e giustizia sostanziale le quali, probabilmente, costituiscono il motivo principale che ha spinto la Suprema Corte a esprimere un’interpretazione che potrebbe, a primo avviso, apparire eccessivamente rigorosa (7).
Difatti, la Suprema Corte ha voluto fortemente evidenziare come una pronuncia di diverso tipo avrebbe comportato una sorta di impunità nei confronti di quei soggetti che abbiano fattivamente concorso nell’emissione di documenti per operazioni inesistenti, limitandosi ad annotarli in contabilità ma senza utilizzarli, con l’aberrante conseguenza di non punire una condotta che indubbiamente riveste portata penale e che, come tale, deve trovare adeguato regime sanzionatorio nel nostro ordinamento (8).
Dunque, lo sforzo interpretativo trova la propria ragion d’essere nell’esigenza di colmare un paventato vuoto normativo e di evitare l’affermarsi di ambiti di non punibilità in relazione a condotte che, stando al giudizio espresso dal giudice di legittimità, si caratterizzano ontologicamente per una indiscutibile natura delittuosa.
In definitiva, l’orientamento espresso nell’annotata pronuncia appare in linea di massima condivisibile, traendo spunto da argomenti di indubbio pregio logico, sistematico ed equitativo.
La presenza di precedenti orientamenti in tal senso contribuisce a definire un quadro interpretativo certamente oggi più chiaro, che individua in tale sentenza un preciso punto di riferimento per comprendere la reale portata applicativa dell’istituto del concorso nel reato nel diritto penale tributario.
Avv. Claudio Cipollini
(1) Per un approfondimento in merito alle sanzioni penali in ambito tributario si rinvia per tutti a G. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2007, 311 ss.
(2) L’art. 110 c.p., rubricato «Pene per coloro che concorrono nel reato», così testualmente recita: «Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti».
(3) In questo senso cfr. G. FALSITTA, op. cit., 313, secondo cui «la semplice utilizzazione dei documenti non è però sufficiente ad integrare il delitto in questione [dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti] che richiede anche un comportamento successivo e distinto, costituito appunto dalla presentazione della dichiarazione con indicazione degli elementi fittizi».
(4) In tal senso ved. Trib. pen. di Genova 20 gennaio 2012, n. 187, in Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex 24.
(5) Cfr. Cass., sez. un. pen., 7 novembre 2000, n. 27, in Riv. pen., 2001, 319.
(6) Cfr. Cass., sez. IV pen., 27 aprile 2011, n. 16550, in Guida al Diritto, 2011, fasc. 28, 81, secondo cui «il potenziale utilizzatore di documenti o fatture emesse per operazioni inesistenti concorre con l’emittente, secondo l’ordinaria disciplina dettata dall’art. 110 del c.p., non essendo applicabile in tal caso il regime derogatorio previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74».
(7) Per un giudizio in tal senso ved. anche A. IORIO, Per le fatture false basta la registrazione, in Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi, 19 gennaio 2012, 37.
(8) Per tale ordine di considerazioni ved. P. GALVAGNI, La sola presenza di fatture false nei conti concretizza la frode fiscale, in Il Sole 24 Ore, Guida alla Contabilità & Bilancio, 2012, fasc. 7, 22.