1. L’inquadramento dell’abuso di diritto
Nella giurisprudenza tributaria si è andato configurando l’“abuso di diritto” come un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Da ciò consegue l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione (1).
Pertanto una volta contestata dall’Amministrazione finanziaria l’antieconomicità delle singole operazioni poste in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, è onere di quest’ultimo dimostrare la liceità fiscale dell’operazione negoziale unitariamente considerata nel suo complesso, e il giudice tributario non può al riguardo limitarsi a constatare la mera regolarità formale della documentazione cartacea (2). È quindi onere dell’Ufficio finanziario provare la finalità elusiva dell’operazione, mentre al contribuente compete la dimostrazione dell’esistenza delle valide ragioni economiche, non essendo pertanto necessario al riguardo farsi luogo all’accertamento della simulazione o del carattere fraudolento dell’operazione, trattandosi di valutare quest’ultima nella sua essenza, non potendo nello specifico influire ragioni economiche meramente marginali o teoriche, inidonee a fornire una spiegazione alternativa dell’operazione rispetto al mero risparmio fiscale, e tali quindi da potersi considerare manifestamente inattendibili o assolutamente irrilevanti rispetto alla predetta finalità (3).
Tuttavia di recente sempre la giurisprudenza di vertice sta circoscrivendo il campo di azione dell’abuso di diritto, richiamando l’attenzione sulla funzione e sul contenuto della c.d. clausola generale antielusiva, elaborata dalla recente giurisprudenza di legittimità e dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea. In particolare ha sottolineato che l’applicazione del principio giurisprudenziale dell’abuso del diritto, inteso come non ammissibilità per l’ordinamento tributario dell’utilizzo distorto dell’autonomia contrattuale e della libera iniziativa privata con finalità esclusivamente rivolte al risparmio d’imposta, comporta per l’Amministrazione finanziaria l’onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese dal contribuente al quale compete allegare le finalità perseguite diverse dal mero vantaggio consistente nella diminuzione del carico tributario (4). Ne consegue che il carattere abusivo delle operazioni e il relativo disconoscimento ai fini fiscali da parte dell’Amministrazione finanziaria impediscono il conseguimento di benefici sempre fiscali che non siano conformi alla natura del tributo la cui disciplina sia elusa ovvero disapprovano l’indebito ottenimento di esenzioni o agevolazioni tributarie (5).
Tuttavia si è ritenuto che esista nel vigente ordinamento fiscale un “generale principio antielusivo”. Si è osservato che i principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione di cui all’art. 53 Cost. costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi per cui non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei, atti ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale. Detto principio peraltro non può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali (6).
In questa ottica, sommariamente sintetizzata, il principio dell’abuso del diritto appare come una endiadi: da un lato, il disvalore giuridico collegato all’essenzialità dello scopo del risparmio d’imposta; dall’altro, la necessità della presenza di valide ragioni extra-fiscali. Conseguentemente, i giudici di legittimità esortano l’Amministrazione finanziaria a non “abusare” del principio dell’abuso del diritto nel senso che occorre esaminare in modo esaustivo e approfondito la fattispecie alla quale viene attribuito carattere evasivo o elusivo (7).
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2. Il contratto di sale and lease back
Prima di verificare se il contratto di sale and lease back configuri un’ipotesi di abuso di diritto è opportuno ricordare che, nella sua struttura socialmente tipica, è il contratto mediante il quale un’impresa, al fine di smobilizzare precedenti investimenti e di potenziare la produttività, vende un proprio bene di natura strumentale all’attività esercitata ad un imprenditore finanziario; quest’ultimo acquistandone la proprietà, lo concede contestualmente in leasing all’alienante, che corrisponde un canone per l’utilizzazione del bene e si riserva la facoltà, alla scadenza fissata, di riacquistare la proprietà esercitando un diritto d’opzione per un prezzo predeterminato; in questa configurazione socialmente tipica, il contratto di sale and lease back non integra violazione del divieto di patto commissorio ed è anzi meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. Laddove, tuttavia si riscontrino alterazioni dello schema negoziale socialmente tipico tali da denunciare che l’operazione non tende al perseguimento dell’assetto di interessi propri delcontratto di sale and lease back, ma che scopo effettivo è piuttosto quello di dotare il venditore di una provvista finanziaria assistita da garanzia reale, la vendita con locazione finanziaria di ritorno è nulla per violazione del divieto di patto commissorio.
In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione dopo un ampio dibattito che si era aperto nella dottrina anche a seguito di discordi sentenze della giurisprudenza (8) e, da ultimo, proprio la Suprema Corte (9) ha stabilito che occorre fare riferimento alla causa, alla funzione economico sociale del contratto di lease back per determinare se quest’ultimo risulti valido e quando invece sia stato stipulato in violazione del divieto di patto commissorio.
Nello specifico se la funzione del lease back è solo quella di finanziare l’impresa, il contratto è pienamente lecito, se invece viene posto in essere un contratto di lease back affinché esso assolva alla funzione di garantire maggiormente con la proprietà dei beni la società che eroga il prestito allora tale contratto potrà considerarsi nullo per illiceità della causa.
In tale sentenza la Corte di Cassazione ha indicato i criteri per stabilire quando il contratto si debba ritenere nullo: 1) l’esistenza di una situazione di credito e di debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice; 2) le difficoltà economiche in cui versa tale impresa; 3) una sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente.
In presenza di anche uno solo di tali indici rilevatori il contratto di lease back dovrà pertanto essere dichiarato nullo e quindi improduttivo di effetti tra le parti, con la conseguenza che verrà meno anche la funzione di finanziamento dell’impresa.
3. La giurisprudenza tributaria sul contratto di sale and lease back e l’abuso di diritto
La pronuncia in esame riguarda proprio la configurabilità nel contratto di sale and lease back dell’abuso di diritto, da un lato per la mancanza di una reale ragione economica di implementazione e/o miglioramento dei fattori produttivi della società conduttrice in considerazione del fatto che non sussistesse un’esigenza di liquidità monetaria immediata in quanto la società medesima godeva di solidità e affidabilità, anche relativamente all’assetto finanziario, e dall’altro per il vantaggio fiscale sia per la conduttrice che per la locatrice. In particolare la Commissione ha distinto le due tipologie impositive: ai fini IVA, poiché trattasi di un’imposta neutrale e non sussistendo limiti alla detrazione, non si configura nessun abuso di diritto; per quel che concerne invece l’imposizione diretta la questione risulta di più complessa soluzione posto che vi sarebbe il vantaggio di un più rapido recupero dei costi sostenuti, da un lato attraverso la deduzione del maxi canone e dall’altro con la deduzione delle rate costanti per un valore annuo superiore all’ammortamento ordinario.
La sentenza in rassegna si è richiamata alla giurisprudenza della Suprema Corte, e in particolare alla sentenza n. 12249/2010 (10), nonché alla pronuncia n. 21221/2006 (11), in cui si è ritenuto configurabile l’abuso di diritto in tutte quelle operazioni che, seppure realmente volute e immuni da invalidità (e, quindi, pur prescindendo da simulazioni o da fraudolenze), risultino da un insieme di elementi obiettivi compiute essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale, laddove l’uso dell’avverbio “essenzialmente” rivela che l’illecito non è escluso dalla concomitante ricorrenza di ragioni economiche diverse dal mero risparmio fiscale, se marginali o teoriche e, in quanto tali, insufficienti a sorreggere una valida giustificazione alternativa dell’operazione.
Sulla base di tale principio l’annotata sentenza, con una motivazione del tutto condivisibile, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha ritenuto che la compresenza di motivazioni economiche alle quali sottende anche un risparmio fiscale non possa configurare un’ipotesi di abuso di diritto, posto che si tratta di una libera scelta operata da un soggetto privato senza danno per l’erario.
L’unico precedente specifico della Suprema Corte in materia di contratto di sale and lease back è contenuto nella sentenza n. 8481/2009 (12) dove i giudici di legittimità hanno espresso il principio di diritto secondo cui «il contratto di leasing di beni ammortizzabili stipulati tra due società del medesimo gruppo realizza un abuso di diritto tributario». Principio che deve trarsi dalla considerazione che – in difetto di apprezzabili ragioni economiche differenti da quelle riconducibili a un indebito risparmio d’imposta – il negozio consente esclusivamente di concretizzare una duplicazione della deduzione delle quote di ammortamento, ovvero attraverso la deduzione dei canoni di locazione finanziaria da parte delle società che in precedenza avevano ammortizzato e poi ceduto i beni oggetto del contratto di leasing, mentre la società locatrice aveva nuovamente ammortizzato tali beni. Da tali considerazioni la Corte di Cassazione ha quindi potuto concludere che l’operazione di sale and lease back è lecita se riguardata sotto il profilo dell’autonomia contrattuale dei singoli soggetti facenti parte del gruppo ma, per il gruppo stesso, essa non trova una giustificazione economica, creando dei meri vantaggi fiscali.
Altro caso in cui si è ritenuto configurabile l’abuso di diritto in un contratto di sale and lease back è quello oggetto della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bari n. 171/2010 (13) ma non per la causa tipica del contratto, bensì perché utilizzato all’unico scopo di ottenere un vantaggio fiscale, ovvero il mancato pagamento di imposte relative a tre distinti contratti di compravendita e di finanziamento, e godere dei benefici economici quali quelli previsti dalla legge c.d. “Sabatini”.
Pertanto è da ritenere che non vi sia alcuna preclusione, e quindi non si configura l’abuso di diritto, nella stipula del contratto di sale and lease back, salvo che non si faccia un uso distorto del medesimo che comporti esclusivamente un risparmio d’imposta in difetto di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione posta in essere, diverse dalla mera aspettativa di quegli specifici benefici.
Avv. Laura Rosa
(1) Così Cass., sez. trib., 18 novembre 2011, n. 24231, in Boll. Trib., 2012, 1480; Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055, ivi, 2009, 484; Cass., sez. trib., 4 aprile 2008, n. 8772, ivi, 2008, 1027; e Cass., sez. trib., 21 ottobre 2005, n. 20398, ivi, 2006, 525.
(2) Con riferimento ad ipotesi di canoni di leasing ved. Cass., sez. trib., 25 maggio 2009, n. 12044; Cass., sez. trib., 18 maggio 2007, n. 11599; e, da ultimo, cfr. Cass., sez. trib., 12 gennaio 2011, ord. n. 616; tutte in Boll. Trib. On-line.
(3) Ved. Cass. n. 30055/2008, cit.
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 22 settembre 2010, n. 20030, in Boll. Trib., 2011, 149; Cass., sez. trib., 21 gennaio 2011, n. 1372, ibidem, 301; per la dottrina ved. N. Chiechi – F.S. Chiechi, L’abuso di diritto. La vexata quaestio in cerca di immediata soluzione, ibidem, 497; e S. Servidio, Dal disavanzo da fusione all’abuso del diritto. Il percorso argomentativo nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, ibidem, 1520.
(5) Sul punto V. Ficari, Libertà dell’imprenditore e poteri amministrativi e giudiziali. Spunti di riflessione dalla giurisprudenza comunitaria in materia, in Boll. Trib., 2012, 803.
(6) Cfr. Cass. n. 30055/2008, cit.; Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30056, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30057, in Boll. Trib., 2009, 481; Cass., sez. trib., 9 dicembre 2009, n. 25726, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 13 gennaio 2011, n. 688, in Boll. Trib., 2011, 294; per la dottrina cfr. E. De Mita, La giurisprudenza fiscale della Cassazione in materia di abuso del diritto, ibidem, 645.
(7) Ved. anche Cass., sez. trib., 21 gennaio 2009, n. 1465, in Boll. Trib., 2009, 486.
(8) Cfr. Cass., sez. III, 16 ottobre 1995, n. 10805, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. III, 19 luglio 1997, n. 6663, ivi; Cass., sez. I, 7 maggio 1998, n. 4612, in Boll. Trib., 1998, 1242; e Cass., sez. trib., 28 luglio, 2000, n. 9944, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cfr. Cass., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5438, in Boll. Trib. On-line.
(10) Cfr. Cass., sez. trib., 19 maggio 2010, n. 12249, in Boll. Trib., 2010, 1562.
(11) Cfr. Cass., sez. trib., 29 settembre 2006, n. 21221, in Boll. Trib. On-line.
(12) Cfr. Cass., sez. trib., 8 aprile 2009, n. 8481, in Boll. Trib., 2009, 816.
(13) Cfr. Comm. trib. prov. di Bari, sez. IX, 15 dicembre 2010, n. 171, in Boll. Trib., 2011, 880, con nota di D. Carnimeo, Le Commissioni tributarie alle prese con l’abuso del diritto.
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Commissione trib. I grado di Bolzano, sez. II (Pres. Meyer, rel. Pichler), 22 ottobre 2012, sent. n. 116, ric. Planungsburo P. c. Agenzia delle entrate – Ufficio di bolzano
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Abuso del diritto ed elusione fiscale – Inesistenza di una generale clausola antielusiva – Abuso del diritto quale principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità e mutuato da quello di matrice comunitaria in materia di IVA – Caratteri.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Contratto di sale and lease back – Abuso del diritto – Esclusione – Insussistenza di indebiti vantaggi fiscali – Invalidazione del relativo accertamento tributario – Consegue.
Nell’ordinamento tributario italiano non esiste una norma di carattere generale cui far riferimento per verificare la sussistenza o meno di comportamenti di carattere elusivo, ma esistono solamente disposizioni dirette a contrastare fenomeni elusivi con riguardo a fattispecie specifiche, e tale lacuna normativa è stata progressivamente colmata dalla giurisprudenza di legittimità che ha dapprima ravvisato l’elusione fiscale nella finalità esclusiva del risparmio fiscale, con conseguente dichiarazione di illegittimità degli atti negoziali per nullità o per difetto di causa e, successivamente, ha iniziato ad elaborare la costruzione giuridica dell’abuso del diritto seguendo la linea interpretativa della Corte di Giustizia europea sul principio dell’abuso del diritto in materia di IVA, ravvisandolo sotto il profilo aggettivo nell’assenza di qualunque motivazione economica a giustificazione degli atti negoziali posti in essere e, sotto quello soggettivo, nell’esclusivo intento di perseguire un risparmio fiscale.
La stipulazione di un contratto di sale and lease back di parte di un’impresa non può integrare un’ipotesi di abuso del diritto, poiché si tratta di un’operazione di per sé legittima lasciata alla libera scelta dell’imprenditore allo scopo di poter disporre nell’immediato di una consistente liquidità da destinare all’attività aziendale senza alcun danno per l’erario, rispetto a cui l’accertamento tributario dell’Ufficio finanziario per supposta evasione conseguente a scelte finanziarie dell’impresa è possibile solamente allorquando tali scelte siano chiaramente incoerenti con l’interesse economico e commerciale dell’impresa medesima, ovvero ininfluenti ai fini del razionale incremento della produzione o del commercio e inequivocabilmente finalizzate al solo risparmio fiscale che nel caso in discorso non si configura, dato che ai fini dell’IVA non si verifica alcun vantaggio fiscale né sul contratto di compravendita né sui canoni di leasing, atteso il carattere neutrale del tributo, mentre riguardo all’IRES e all’IRAP a fronte di un vantaggio fiscale per gli anni di durata del lease back, derivante dal suo meccanismo che favorisce il più rapido recupero dei costi sostenuti attraverso la deduzione di un maxi-canone iniziale di notevole entità e poi di rate costanti dal valore annuo di gran lunga più elevato dell’ammortamento ordinario, si verifica un aggravio d’imposte negli anni successivi in cui non è più possibile detrarre le quote del finanziamento, cosicché nel lungo termine l’entità delle imposte versate risulta indifferente, qualsiasi scelta sia stata operata per l’abbattimento della spesa investita.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con i ricorsi rubricati sub. n. 112/12 R.G.R. e 113/R.G.R., depositati tempestivamente, sono stati impugnati gli avvisi di accertamento n. … e …, emessi in data 19 ottobre 2011 dall’Agenzia delle Entrate di Bolzano rispettivamente nei confronti della società Planungsburo P. – der Focus GmbH & Co. – KG in relazione all’accertamento del reddito, all’IRAP e all’IVA relativamente all’anno e periodo di imposta 2006 e indirizzato anche ai soci di quest’ultima (Focus s.r.l. e ing. M.S.P.), per gli effetti sul reddito di partecipazione, e nei confronti di M.S.P. in relazione all’IRPEF per l’anno 2006, con contestuale istanze di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati ex art. 47 D.Lgs. n. 546 del 1992, accolte con ordinanza depositata il 21/05/12.
I ricorsi, per evidente connessione oggettiva, sono stati riuniti e vengono trattati congiuntamente.
La presente controversia trae origine dal pvc redatto dal Comando Nucleo della G.d.F. di Firenze in data 18 dicembre 2008 a carico del Centro Leasing Banca di Firenze, con il quale veniva contestata la legittimità di numerosi contratti di sales and lease back stipulati con diversi clienti, molti dei quali con sede nella provincia di Bolzano per effetto degli intensi rapporti commerciali intrattenuti con la banca di Firenze dalla Cassa di Risparmio di Bolzano, che, nei confronti dei clienti interessati ad usufruire del contratto di lease back, forniva, di volta in volta, un prefinanziamento ovvero una semplice consulenza al fine di agevolare la conclusione dell’operazione.
Nel caso in trattazione all’odierna udienza, l’iniziativa per la contestazione della legittimità dell’operazione di finanziamento da parte della banca fiorentina alla ditta Planungsburo P. Sas è stata del Comando Tenenza della G.d.F di Silandro che in data 20 febbraio 2009, dopo una verifica di alcuni giorni effettuata presso la sede della Planungsburo con riguardo alle annualità 2004, 2005, 2006 e 2007 emetteva il pvc. A seguito di ciò e dopo la necessaria richiesta di chiarimenti sulle irregolarità riscontrate da parte dell’Agenzia delle Entrate, quest’ultima notificava avviso d’accertamento con il quale veniva accertato il disconoscimento dei canoni pagati per effetto del contratto di lease-back fra i componenti negativi di bilancio come anche il disconoscimento dell’IVA corrisposta a seguito del contratto di compravendita degli immobili, poi assunti in leasing e, quindi, utilizzata come IVA a credito. Di conseguenza, veniva rideterminato l’imponibile con effetto sia per la società che per i soci come anche veniva ricostruita la contabilità ai fini IVA.)
Va evidenziato che l’Agenzia delle Entrate, sulla base del pvc del Comando Tenenza della G.d.F. di Silandro del 20 febbraio 2009 aveva già provveduto ad inviare avvisi d’accertamento per gli anni d’imposta 2004 e 2005, regolarmente impugnati sia dalla società che dai soci in relazione ai quali sono già intervenute le sentenze di primo grado n. 16/01/10, depositata il 27 ottobre 2010 e 38/01/11, depositata il 29 aprile 2011 a mezzo delle quali sono stati accolti in toto i ricorsi presentati dalla società Planungsburo P. e dai propri soci.
La presente controversia ha per oggetto la medesima questione già esaminata, tuttavia, con riguardo all’anno 2006.
L’Agenzia delle Entrate, con gli avvisi di accertamento impugnati, sostiene che l’operazione di vendita degli immobili alla Centro Leasing Banca ed il loro successivo utilizzo in leasing per effetto di un contratto di lease back sarebbe stata posta in essere con lo scopo preciso di ottenere di fatto un consistente vantaggio fiscale, sia ai fini delle imposte dirette che della tassazione IVA, senza che vi fosse una reale ragione economica di implementazione e/o miglioramento dei fattori produttivi della società.
I ricorsi prodotti si articolano in una serie di contestazioni che tendono a provare l’illegittimità dell’operato dell’Agenzia sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo del merito. In particolare si contesta:
– l’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento nei confronti del ricorrente in quanto privo della relata e della firma dell’ufficiale notificatore;
– l’inesistenza dell’avviso di accertamento per mancata sottoscrizione dello stesso;
– l’illegittimità delle attività di accesso compiute dai verificatori per mancato conferimento dei relativi poteri e conseguente nullità-illegittimità dell’avviso di accertamento;
– l’illegittimità delle attività di accesso e verifica per mancata comunicazione dello scopo del controllo con conseguente nullità-illegittimità dell’avviso di accertamento;
– la nullità-illegittimità dell’avviso di accertamento per insufficiente e/o omessa motivazione e contraddittorietà della motivazione;
– la nullità-illegittimità dell’avviso di accertamento per mancata considerazione della risposta fornita dalla Planungsburo KG a fronte della richiesta di chiarimenti inoltrata dall’amministrazione con invito prot. 19368/2009 ai sensi dell’art. 37-bis D.P.R. n. 600 del 1973;
– l’illegittimità dell’avviso di accertamento per plurima infondatezza nel merito delle pretese con il medesimo formulate. Liceità del contratto di lease back. Infondatezza di qualsiasi pretesa di nullità e di simulazione del contratto di lease back. Insussistenza di alcun vantaggio fiscale connesso alla stipula del contratto di lease back;
– l’illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto emesso in violazione del principio del legittimo affidamento e di buona fede;
– l’errore nella determinazione del maggior reddito di impresa accertato nei confronti della controparte;
– l’erroneo disconoscimento della detraibilità dell’IVA e violazione del principio di neutralità;
– l’illegittimità delle sanzioni irrogate in quanto si porrebbe in contrasto con l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e comunque non sarebbe sorretta da idonea motivazione.
Nelle proprie conclusioni i ricorrenti chiedono l’accoglimento dei ricorsi con vittoria di spese, competenze ed onorari.
Nelle sue controdeduzioni l’Ufficio contrasta puntualmente, con articolate argomentazioni, tutti i motivi del ricorso, chiedendone il rigetto e la condanna del ricorrente alle spese di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE – In merito alle eccezioni di carattere formali formulate da parte ricorrente, il Collegio ritiene che queste siano infondate e vanno, pertanto, rigettate.
Per quanto concerne in particolare gli asseriti vizi di notifica degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società e del socio ricorrente, si ritiene che la notifica, avvenuta a mezzo posta, sia conforme alle disposizioni che disciplinano la notifica degli atti tributari e non inficiata da alcun vizio di forma. Invero, ai sensi dell’art. 14 della L. n. 890 del 1982 le PP.AA. possono eseguire utilmente le notificazioni avvalendosi del servizio postale, come nel caso che qui rileva, come anche precisato con sentenza n. 11 del 2/2/2009 di questa C.T.
Anche le eccezioni formulate dai ricorrenti in merito agli asseriti vizi di nullità degli avvisi di accertamento impugnati soprattutto per quanto concerne il potere di chi l’ha emesso o la regolarità della sottoscrizione degli stessi non sono fondate e vanno, pertanto, respinte. Su questi punti si è soffermato, con articolate argomentazioni, anche l’ufficio che ha integralmente contestato le irregolarità, fornendo la dimostrazione della sussistenza del potere ad agire del funzionario che ha sottoscritto l’accertamento. Anche per quanto concerne le ulteriori contestazioni di carattere pregiudiziale fatte valere dai ricorrenti, questo Collegio ritiene che non siano fondate, ritenendo l’operato dell’ufficio corretto sotto il profilo procedimentale. In particolare in merito all’eccezione formulata dal ricorrente in ordine al difetto di motivazione, per l’asserita mancata valutazione da parte dell’ufficio delle osservazioni ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, questo Collegio è dell’avviso che l’Ufficio abbia correttamente attivato tutte le procedure per garantire pienamente il diritto di difesa e il contraddittorio con il contribuente, che di fatto ha potuto compiutamente difendersi senza subire danno alcuno dall’inosservanza di termini o comportamenti procedimentali. Anche l’eccepita mancanza di atteggiamento critico, a garanzia di un’autonoma valutazione, nei riguardi dei pp.vv.cc. della G.d.F. di Firenze e Silandro appare a questo Collegio destituita di fondamento. Invero, ricorrendo alla “motivazione per relationem”, l’Ufficio dimostra solamente di condividere il complessivo procedimento accertativo degli inquirenti con le relative conclusioni e realizza unicamente una economia di scrittura, la quale, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio. Nulla vieta che l’Ufficio condivida le conclusioni della G.d.F. e le richiami nella motivazione dell’avviso di accertamento.
Per quanto concerne il merito, l’aspetto centrale della controversia riguarda la sussistenza o meno dei presupposti per ammettere l’utilizzo dello strumento del lease back ai fini di consentire il recupero o il miglioramento della posizione finanziaria di un’impresa. Gli argomenti adotti sul punto dall’Ufficio a dimostrazione dell’asserita volontà di elusione fiscale da parte dei ricorrenti possono essere riassunti sostanzialmente da un lato nella mancanza di una reale ragione economica di implementazione e/o miglioramento dei fattori produttivi della società sottesa all’operazione, in considerazione del fatto che non sussisteva un’esigenza di liquidità monetaria immediata in quanto la società godeva di solidità ed affidabilità anche con riguardo al suo assetto finanziario, e dall’altro dal vantaggio fiscale sia in materia di imposte dirette e di IVA per entrambe le società contraenti.
A tale proposito va ricordato che, come noto, nell’ordinamento tributario italiano non esiste una norma di carattere generale cui far riferimento per verificare la sussistenza o meno di comportamenti di carattere elusivo, bensì solamente disposizioni dirette a contrastare fenomeni elusivi con riguardo a fattispecie specifiche.
Tale lacuna normativa è stata colmata dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale con sentenza n. 20398/05 (1) ha dapprima ravvisato l’elusione fiscale nella finalità esclusiva del risparmio fiscale, con conseguente dichiarazione di illegittimità degli atti per nullità o per difetto di causa e, successivamente, ha iniziato ad elaborare la costruzione giuridica dell’abuso di diritto, seguendo la linea interpretativa della Corte di Giustizia Europea sul principio dell’abuso di diritto in materia di IVA (v. sentenza 21 febbraio 2006 – causa “Halifax” C-255/02 (2) e sentenza 21 febbraio 2008 – causa C-425/06 (3)), ravvisandolo sotto il profilo oggettivo nell’assenza di qualunque motivazione economica a giustificazione degli atti posti in essere, e sotto quello soggettivo nell’esclusivo intento di perseguire un risparmio fiscale, giungendo ad emettere numerose sentenze (per tutte, vedi sent. 12042/09 (4)) che hanno condotto ad una copiosa giurisprudenza di merito in materia di abuso della normativa fiscale.
Per una corretta soluzione della controversia in trattazione appare, a questo punto, opportuno analizzare il modo in cui si articola il contratto di sale and lease back e chiarire se lo stesso possa essere ritenuto coerente con le scelte aziendali ai fini del miglioramento dei fattori produttivi o dei risultati economici.
Dall’esame degli atti emerge che l’operazione posta in essere fra la società ricorrente e il Centro Leasing Banca di Firenze si compone dei seguenti passaggi:
– stipula di un contratto di vendita di cinque immobili facenti parte del patrimonio della ditta Planungsburo P. KG al Centro leasing Banca;
– stipula di un contratto di acquisizione in uso degli immobili strumentali denominato lease back fra gli stessi contraenti ed allo stesso valore del prezzo di vendita con il versamento di un primo maxi-canone pari al 23% dell’importo pattuito, oltre ad un numero concordato di canoni fino all’azzeramento del valore.
Questo Collegio è dell’avviso che in materia di IVA non si verifica alcun vantaggio fiscale, né sul contratto di compravendita, né sui canoni di leasing, atteso il carattere neutrale del tributo. Secondo la consolidata giurisprudenza comunitaria e la VI Direttiva CEE, per effetto della neutralità del tributo, il diritto alla detrazione d’imposta pagata a monte non viene meno neanche nel caso in cui a monte o a valle della cessione legittimamente effettuata si siano verificate irregolarità non conosciute all’avente diritto.
Invece, con riguardo all’IRES ed all’IRAP la situazione è diversa, atteso che il meccanismo del lease back favorisce il più rapido recupero dei costi sostenuti attraverso la deduzione, in primo luogo, di un maxi-canone di notevole entità e, poi, con rate costanti di valore annuo di gran lunga più elevato dell’ammortamento ordinario che, per gli immobili, può essere effettuato nella misura del 3%.
Tuttavia, ciò comporta un vantaggio fiscale per gli anni di durata del lease back, ma un aggravio d’imposte negli anni successivi in cui non è più possibile detrarre le quote di mutuo. Di conseguenza, nel lungo termine, l’entità delle imposte versate dovrebbe risultare indifferente qualsiasi scelta sia stata operata per l’abbattimento della spesa investita. L’unico reale vantaggio della società nella scelta della vendita del bene e conseguente stipula di un contratto di lease back, consisterebbe in una dilazione degli oneri fiscali senza aggravio d’interessi.
Ritiene questo Collegio che l’accertamento dell’ufficio ai fini di recuperi fiscali per supposta evasione conseguente a scelte finanziarie dell’azienda sia possibile solamente allorquando le scelte siano chiaramente incoerenti con l’interesse economico e commerciale della società, ovvero ininfluenti ai fini del razionale incremento della produzione o del commercio e inequivocabilmente finalizzate al solo risparmio fiscale.
Osserva infine il Collegio, in relazione alla sentenza della Corte di Cassazione n. 12249 del 19 maggio 2010 (5) riportata dall’Ufficio a conforto delle proprie argomentazioni sulla sussistenza dell’abuso del diritto anche nella controversia in trattazione, che in definitiva appare assai difficile accertare se, fra i motivi che hanno determinato un soggetto economico ad agire, possa ravvisarsi, unitamente alle motivazioni economiche, anche quella finalizzata al risparmio fiscale.
Ciò posto, questo Collegio ritiene che i ricorrenti nel caso in discussione abbiano posto in essere un’operazione di per sé legittima, allo scopo di poter disporre nell’immediato di una consistente liquidità da destinare all’attività aziendale. Si tratta di una libera scelta operata da un soggetto privato senza danno per l’Erario.
In considerazione della complessità della questione, il Collegio ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti in causa.
Stante quanto precede, questo Collegio ritiene assorbiti completamente gli ulteriori motivi di doglianza dei ricorrenti.
P.Q.M. – la Commissione Tributaria di I grado, in accoglimento dei ricorsi riuniti annulla gli impugnati avvisi d’accertamento; dichiara interamente compensate tra le parti le spese di giudizio.
(1) Cass. 21 ottobre 2005, n. 20398, in Boll. Trib., 2006, 525.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 25 maggio 2009, n. 12042, in Boll. Trib., 2009, 1223.
(5) In Boll. Trib., 2010, 1562.