SOMMARIO: 1. Rottamazione dei ruoli e breve evoluzione storica dei provvedimenti di sanatoria nell’ordinamento tributario italiano – 2. Ambito soggettivo ed oggettivo della definizione agevolata – 3. Iter procedurale e liquidazione degli importi – 4. Analisi di convenienza e criticità irrisolte.
1. Rottamazione dei ruoli e breve evoluzione storica dei provvedimenti di sanatoria nell’ordinamento tributario italiano
Ci sia consentito, prima di affrontare l’argomento relativo alla recente definizione agevolata (rottamazione) dei ruoli, ricordare le osservazioni di uno dei principali Maestri del Diritto tributario a proposito dell’istituto del condono fiscale considerato come uno dei più nefasti provvedimenti che uno Stato di diritto possa emanare, in quanto rappresenta la dimostrazione dell’incapacità di amministrare una corretta gestione (accertamento e riscossione) dei tributi e, inoltre, creerebbe sperequazioni e ingiustizie ai danni di quanti hanno adempiuto le loro obbligazioni nei confronti della collettività ed, ancora, induce all’evasione (1). Riteniamo che il recente provvedimento di rottamazione delle cartelle possa coerentemente essere inquadrato come una sanatoria / condono fiscale e, di conseguenza, dal punto di vista squisitamente etico, possa essere ritenuto ingiusto e sperequativo nei confronti della platea dei contribuenti che spontaneamente hanno adempiuto correttamente e puntualmente all’esatto adempimento dell’obbligazione tributaria. Nonostante tale osservazione, i dati numerici diffusi in questi giorni non fanno che ribadire il favor dei contribuenti verso il recente provvedimento di sanatoria che consente di incassare 7,2 miliardi in due anni, ma persino di superare tale obiettivo.
Cercando di inquadrare brevemente e normativamente l’argomento, possiamo precisare come il D.L. 22 ottobre 2016, n. 193 (convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225), all’art. 6, rubricato “Definizione agevolata”, ha disposto che, relativamente ai carichi affidati agli agenti della riscossione negli anni dal 2000 al 2016, i debitori possono procedere ad estinguere il debito senza corrispondere le sanzioni comprese in tali carichi, gli interessi di mora di cui all’art. 30, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ovvero le sanzioni e le somme aggiuntive di cui all’art. 27, primo comma, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, provvedendo al pagamento integrale, anche dilazionato in rate sulle quali sono dovuti, a decorrere dal 1° agosto 2017, gli interessi nella misura di cui all’art. 21, primo comma, del D.P.R. n. 602/1973. Viene immediatamente precisato, in seno al testo di legge, che il 70 per cento delle somme totalmente dovute deve essere versato nel corso del 2017 (tre rate di pari ammontare), mentre il restante 30 per cento dovrà essere saldato nel 2018 (l’importo dovrà essere suddiviso in due rate).
Sulla rottamazione dei ruoli si è sviluppato un acceso dibattito in ordine non soltanto alla sua (indubbia) natura di condono fiscale, sebbene sia caratterizzato da un differente nomen iuris, ma soprattutto sulle lacune normative che la disciplina ha lasciato aperte (2).
Prima di approfondire, e meglio comprendere, i punti di debolezza di tale provvedimento, riteniamo necessario inquadrare il tema de quo in seno alla più generale riforma della riscossione che vede, già dal 1° luglio 2017, un nuovo soggetto Ente pubblico economico (Agenzia delle entrate-Riscossione) doversi occupare delle numerose posizioni ancora riscuotibili, senza alcuna (ad oggi) indicazione procedimentale. In effetti, a quanto sembra, le “giacenze” in seno al “magazzino” di Equitalia ammonterebbero a circa 85 miliardi (3), per cui ancora vi sarebbe molto da recuperare (4).
Veniamo, adesso, ad approcciarci all’evoluzione dei caratteri generali dei provvedimenti di condono.
La prima sanatoria del secolo scorso va riferita al R.D. 11 novembre 1990, n. 367, che introdusse il “condono di pene pecuniarie” (5), espressione del potere di clemenza dello Stato. Essa si è evoluta nei provvedimenti condonativi successivi quali quelli del 1951, del 1973, del 1982, del 1991 e del 2002, in una misura prevalentemente volta alla definizione agevolata delle pendenze tributarie e al reperimento di gettito da evasione altrimenti non esigibile.
I provvedimenti relativi alle annualità indicate avevano in comune la finalità di offrire al contribuente condizioni vantaggiose per definire ogni pendenza tributaria e, contestualmente, consentire allo Stato la rapida percezione di tributi sfuggiti a tassazione e, dunque, frutto di evasione.
La dubbia costituzionalità di un provvedimento del genere è innegabile e, proprio per questo motivo, abbiamo ritenuto di cominciare le nostre riflessioni dalle lucide e attuali osservazioni del Prof. Victor Uckmar, non isolate nel contesto dottrinale considerato che il condono è stato ritenuto «una forma di prelievo fuorilegge» (6).
In merito alla questione della costituzionalità dei condoni è da rammentare la sentenza n. 33 resa dalla Corte Costituzionale in data 26 febbraio 1981 (7), che ha identificato il condono in una forma di definizione atipica del rapporto tributario, considerato che essa prescinde dall’analisi delle componenti del reddito e che si fonda su parametri forfetari per la definizione delle imposte. È innegabile come tale visione politica del condono non rechi il connotato della eccezionalità, né l’ispirazione dell’emergenza né tantomeno appare collegata ai principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost.
Oltre alla coerenza costituzionale, merita attenzione altresì la coerenza statutaria considerato il precedente della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che disciplinava anch’essa un provvedimento di condono che violava gli artt. 2, 3 e 6 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) (8).
È bene ricordare come, nell’insegnamento di Vanoni, «in uno Stato che voglia continuare a riposare sulla proprietà privata o sulla libertà economica, e quindi non voglia incorrere ad altre soluzioni, il problema fiscale non è solo tecnico, ma anche morale e politico, oltre che economico» e l’adempimento spontaneo al dovere tributario deve essere inteso come un profilo essenziale della democrazia. A tali precetti riteniamo non aderisca la logica viziata dei condoni con qualunque nome essi vengano appellati: “definizione automatica”, “integrazione degli imponibili”, “definizione agevolata”, “chiusura delle liti fiscali pendenti” e, da ultimo, “rottamazione dei ruoli e delle cartelle”.
Da una rapida analisi dei provvedimenti di condono del 1973 e del 1982 emerge come, nel primo caso, le imposte fossero commisurate al maggiore imponibile tra quello dichiarato dal contribuente e l’ultimo imponibile definito nei modi ordinari, incrementato del 10 per cento; nell’ipotesi di accertamento notificato, l’imponibile accertato dall’Ufficio finanziario è ridotto per un importo pari al 40 per cento della differenza tra l’imponibile stesso e quello dichiarato dal contribuente e di un ulteriore 25 per cento dell’importo dichiarato.
Nella seconda ipotesi, cioè relativa al condono di cui al D.L. 10 luglio 1982, n. 429 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516), la dichiarazione originaria del contribuente è incrementata di un importo pari al 25 per cento per ciascuna imposta lorda. In caso di accertamento notificato, la controversia si estingue se la dichiarazione integrativa reca un imponibile non inferiore alla somma del 60 per cento sull’imponibile accertato dall’Ufficio e del 15 per cento sull’imponibile dichiarato dal contribuente.
Quanto al condono di cui alla legge 30 dicembre 1991, n. 413, la definizione sulla base della dichiarazione avveniva versando un importo pari al 20 per cento dell’imposta lorda quale risulta dalla dichiarazione originaria (percentuale che variava dal 18 al 15 per cento in base al quantum dell’imposta). Nel 2002, la definizione sulla base della dichiarazione avveniva col versamento di un importo pari all’8 per cento dell’imposta lorda risultante dalla dichiarazione originaria (percentuale che decresce al 6 e al 4 per cento in base al quantum dell’imposta). Nell’ipotesi di avviso di accertamento, la definizione si perfezionava col versamento di una percentuale riferita alle maggiori imposte complessivamente accertate (30, 32 o 35 per cento a seconda dell’aumentare delle imposte accertate).
In definitiva, tale istituto giuridico (9) è caratterizzato dalla circostanza che l’elemento funzionale spiega non solo quale sia l’obiettivo che l’ordinamento giuridico si propone di conseguire mediante la sua adozione, ma ne esplicita la natura tecnica e formale, mostrando come esso venga articolato e congegnato. Procedendo in tale logica, è possibile affermare come i provvedimenti che introdussero nel 1951, 1973 e nel 1982 forme di condono, sebbene riferiti a norme diverse, in realtà rechino il medesimo oggetto riferibile alla definizione agevolata delle pendenze tributarie. La ratio delle disposizioni sopra rammentate è, dunque, quella di rappresentare un “condono fiscale premiale” (10) diretto, cioè, all’abbandono di sanzioni di natura amministrativa o civile connesse ad atti illeciti già compiuti.
La premialità e l’incentivazione ad attivare siffatte procedure era ed è riconducibile alla forte speranza di ottenere introiti più o meno immediati realizzando un gettito insperato in tempi brevi e riducendo in maniera significativa il contenzioso. E in effetti, quanto al provvedimento di rottamazione, va precisato che l’impegno a rinunciare al giudizio da parte dei contribuenti che intendono aderire alla rottamazione, non equivale alla rinuncia al ricorso considerato che il giudizio procede relativamente alla parte non definita, sebbene in pratica sia difficile che, rottamando uno solo dei carichi presenti nella stessa cartella, non decada il giudizio.
Nonostante le significative prese di posizione critiche da parte della dottrina (11), che non ha mancato di rilevare come i provvedimenti condonativi aumentino la propensione all’evasione, denuncino carenze strutturali da parte dell’Amministrazione finanziaria nel procedere a efficaci accertamenti e controlli maggiormente dissuasivi ed evidenzino il fallimento di un sistema impositivo sempre più caratterizzato dall’autotassazione, i condoni continuano a essere varati e il modo di concepire il ruolo degli Uffici finanziari, in un contest di self assessment, è sempre più distorto.
In definitiva, le differenti espressioni utilizzate dal legislatore (definizione automatica, integrazione degli imponibili, definizione agevolata, chiusura delle liti fiscali pendenti) mal si conciliano con uno strumento di finanza straordinaria – qual è il condono – che avrebbe dovuto essere disciplinato utilizzando una tecnica legislativa più consona ai principi dell’ordinamento.
2. Ambito soggettivo ed oggettivo della definizione agevolata
La definizione agevolata dei carichi, compresi i ruoli, è consentita a qualsiasi contribuente (persone fisiche, imprenditori, società di persone, società di capitali, contribuenti soggetti a procedure concorsuali, contribuenti che hanno rinunciato al contenzioso in corso, contribuenti che hanno avuto concessa una dilazione della cartella di pagamento, contribuenti soggetti alla procedura di crisi di sovra indebitamento) che abbia un debito dipendente da un ruolo affidato all’agente della riscossione, nei confronti delle pubbliche Amministrazioni.
La norma di cui all’art. 6 del D.L. n. 193/2016 prevede che possono formare oggetto di definizione agevolata i ruoli, di natura sia patrimoniale che tributaria, affidati all’agente della riscossione nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2016 che riportino crediti riguardanti: l’IRPEF; l’addizionale regionale; l’addizionale comunale; l’IRES; l’IVA; l’IMU (sempreché non sia gestita direttamente dal Comune); la TARI, se affidata all’agente della riscossione dall’ente locale; i contributi previdenziali e assistenziali; gli interessi sulle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada.
Sono esclusi dalla definizione agevolata: le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato; i crediti derivanti da pronunce di condanna della Corte dei Conti; le multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna, le risorse proprie tradizionali dall’Unione europea (l’IVA all’importazione, i dazi doganali sulle importazioni verso l’Unione europea); i diritti agricoli; le quote sullo zucchero; le altre sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e premi dovuti dagli enti previdenziali [esclusione introdotta dall’art. 6, decimo comma, lett. e-bis), del decreto nel corso dell’iter di conversione].
Il contribuente che decide di aderire alla rottamazione potrà estinguere il proprio debito pagando in una o più rate (massimo cinque) esclusivamente la somma capitale iscritta a ruolo, gli interessi legali e le somme dovute a titolo di remunerazione del servizio di riscossione ricalcolato sui nuovi importi.
L’accesso alla procedura consente non solo una ovvia riduzione degli importi da versare, ma numerosi effetti positivi per il contribuente considerato che le procedure esecutive cautelari vengono bloccate e l’agente della riscossione, considerata la sospensione di termini di prescrizione e di decadenza per il recupero delle somme iscritte a ruolo, non potrà richiedere nuovi fermi amministrativi, pignoramenti, o l’iscrizione di ipoteche (ex artt. 86 e 77 del D.P.R. n. 602/1973) nei confronti del contribuente che ha deciso di accedere alla definizione agevolata.
3. Iter procedurale e liquidazione degli importi
In base alle disposizioni di cui al secondo comma del citato art. 6 del D.L. n. 193/2016, il contribuente che intende accedere alla procedura di rottamazione delle cartelle di pagamento dovrà aver presentato, entro il 31 marzo 2017 (in seguito poi slittato al 21 aprile 2017), un’apposita dichiarazione (modulo “DA1”), dalla quale dovranno risultare: i dati identificativi del contribuente; il domicilio presso cui ricevere gli atti relativi alla richiesta; i carichi per i quali si richiede l’agevolazione; il numero di rate per eseguire i versamenti, nel limite di cinque rate (termine ampliato a seguito di un emendamento in sede di conversione al fine di aumentare il numero dei debitori che potrebbero accedere utilizzando la rateizzazione); l’eventuale esistenza di giudizi pendenti sulle cartelle che si intendono rottamare; luogo, la data e la firma. L’agente della riscossione, entro il 15 giugno 2017, comunicherà al debitore l’ammontare complessivo delle somme dovute ai fini della definizione, nonché, nel caso in cui il debitore avesse optato per la rateizzazione, il relativo piano di riparto delle singole rate.
Il pagamento può avvenire in unica soluzione oppure in cinque rate di pari importo sulle quali sono applicati gli interessi di dilazione, di cui al primo comma dell’art. 21 del D.P.R. n. 602/1973 al tasso del 4,5 per cento a decorrere dal 1° agosto 2017. Il terzo comma del citato art. 6 prevede che:
• nell’anno 2017, dovranno essere versate le prime tre rate della dilazione, rispettivamente nei mesi di luglio, settembre e novembre, e l’ammontare totale dovrà essere pari almeno al 70 per cento delle somme dovute;
• nell’anno 2018, dovranno essere versate le ultime due rate della dilazione, rispettivamente nei mesi di aprile e settembre, il cui ammontare totale dovrà essere pari al restante 30 per cento delle somme dovute.
Il pagamento delle somme dovute, sia in unica soluzione che a rate, può essere eseguito con diverse modalità sia con domiciliazione su un conto corrente indicato dal contribuente nel modello di accesso alla procedura che con bollettini precompilati allegati alla risposta fornita dall’agente che accetta la dichiarazione di accesso alla procedura e, infine, con pagamento diretto agli sportelli dell’agente della riscossione.
In caso di mancato, insufficiente o tardivo versamento dell’unica rata o di una rata concordata, la “definizione” non produce effetti e, di conseguenza, riprendono a decorrere i termini di prescrizione e decadenza per il recupero dei crediti oggetto della dichiarazione, mentre i versamenti eseguiti in parte restano acquisiti a titolo di acconto delle somme complessivamente dovute dal debitore. L’agente della riscossione potrà riprendere le attività del recupero e il debitore non avrà più la possibilità di utilizzare una rateazione, di cui all’art. 19 del citato D.P.R. n. 602/1973. Con le modifiche introdotte in sede di conversione è stato previsto che «solo per i carichi non inclusi in precedenti piani di rateazione» vigenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione, è possibile la rottamazione, sempreché non siano trascorsi meno di sessanta giorni dalla data di notifica della cartella di pagamento, ovvero dell’avviso d’accertamento esecutivo (art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), ovvero dall’avviso di addebito (art. 30 del medesimo D.L. n. 78/2010).
4. Analisi di convenienza e criticità irrisolte
La rottamazione dei ruoli di cui al D.L. n. 193/2016, grazie alle modifiche apportate in sede di conversione del decreto, si è arricchita di alcune novità in particolare sia per quanto riguarda il numero di rate sia per le tempistiche di pagamento. Novità significativa è stata l’inclusione del 2016 nell’arco temporale entro cui i carichi affidati all’agente della riscossione potranno essere oggetto di rottamazione, di conseguenza anche le cartelle il 31 dicembre 2016 saranno rottamate senza versare le sanzioni e gli interessi di mora in esse contenute. Sono state inserite, altresì, le somme che l’Agenzia delle entrate e l’Inps hanno affidato alla riscossione ad Equitalia in seguito ad accertamenti esecutivi e ad avvisi di addebito per i quali sia stato previsto, entro il 28 febbraio 2017, l’invio da parte dell’agente della riscossione, di informativa in ordine ai carichi affidati nell’anno 2016 e per i quali, alla data del 31 dicembre 2016, non sia stata ancora notificata la cartella di pagamento o non sia stata inviata la comunicazione della presa in carico degli accertamenti e degli avvisi di addebito.
E, infine, sono state introdotte norme interessanti anche per le procedure di crisi da sovraindebitamento di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3; per tali contribuenti il decreto prevede la possibilità di estinguere i carichi senza il pagamento delle sanzioni e degli interessi di mora, provvedendo a pagare il debito con le modalità e i tempi previsti dall’accordo di ristrutturazione omologato o nel piano del consumatore.
Nonostante le modifiche apportate, restano evidenti alcune lacune e imperfezioni che possono generare discriminazioni e disparità di trattamento fra i contribuenti, premiando coloro che si sono disinteressati della propria esposizione debitoria nel corso degli anni e che non hanno mai chiesto dilazioni di pagamento.
Al fine di poter effettuare una necessaria analisi di convenienza, bisogna innanzitutto prendere atto che tra due contribuenti, a parità di importi dovuti, i benefici maggiori spetteranno sicuramente a chi ha un’esposizione debitoria minore rispetto al carico iscritto per sanzioni (e questo già crea disparità) e potrebbe legittimare critiche sulla legalità ed equità della norma.
Anche il frazionamento delle rate risulta non omogeneo. Le somme da pagare nel 2017 non possono essere inferiori al 70 per cento di quanto complessivamente dovuto mentre il residuo 30 per cento dovrà essere corrisposto entro settembre 2018. Per i carichi di importo rilevante ci sembra maggiormente difficoltoso fronteggiare la pretesa fiscale che per sette decimi deve essere adempiuta in cinque mesi, e per i residui tre decimi nei successivi nove mesi. Altra criticità riguarda le somme che versate anteriormente alla definizione a titolo di sanzioni, di interessi di dilazione, di interessi di mora e di sanzioni aggiuntive non possono essere rimborsate e restano definitivamente acquisite. Tale disposizione sicuramente non premia i contribuenti che avendo già in corso una rateizzazione non hanno la possibilità di scomputare dal debito residuo quanto già versato. Saranno invece premiati solo i contribuenti che hanno avuto un comportamento meno onesto nei confronti dell’erario che hanno speculato sulla propria posizione debitoria confidando appunto in una sanatoria.
Infine, una delle questioni maggiormente critiche di tale definizione agevolata concerne i rapporti con le liti pendenti in quanto, fra l’altro, chiaramente l’art. 6 dispone che dal momento della presentazione della domanda il debitore assume l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi, ma non ci sembra chiaro se l’obbligo della rinuncia diventi effettivo con il versamento di tutte le rate (e cioè con il perfezionamento della definizione) o se debba esserci una rinuncia processuale al ricorso. A tal proposito, e di recente (12), la Suprema Corte ha chiarito che la richiesta di rateizzazione non equivalga ad acquiescenza e abbandono della contestazione in giudizio e, quindi, è necessaria la conclusione positiva della rottamazione. E, ancora, l’effetto della rottamazione sulle liti sarebbe il venire meno delle ragioni di prosecuzione della lite e non la rinuncia al ricorso. Tale profilo è, in conclusione, indubbiamente collegato alla condanna alle spese di lite; difatti la Corte di Cassazione – con l’ordinanza n. 8377 resa in data 31 marzo 2017 (13) – stabilisce come il contribuente che rinuncia al ricorso, in seguito all’adempimento conseguente alla rottamazione dei ruoli, possa essere condannato alle spese di lite, sebbene in un’ordinanza precedente la Suprema Corte fosse giunta a conclusioni differenti (14).
Insomma i punti ancora poco chiari ci sembrano numerosi, ci auguriamo che il provvedimento relativo alla definizione agevolata delle liti pendenti (di cui al D.L. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96) abbia maggiore appeal e chiarezza normativa.
Prof. Maria Vittoria Serranò
Associato di Diritto tributario
Università di Messina
(1) Cfr. UCKMAR, Presentazione di Condoni & scudo fiscale, in Italia Oggi del 25 marzo 2003.
(2) Si vedano le osservazioni di CARINCI, Rottamazione delle cartelle con troppe lacune normative, in Il Sole 24 Ore del 12 gennaio 2017.
(3) Tale dato è tratto da Il Sole 24 Ore del 6 aprile 2017.
(4) Occorre precisare che nell’ammontare del magazzino quantificato in 85 miliardi rientrano non solo tributi erariali, ma anche propri locali (con una procedura di riscossione per così dire autonoma) e importi previdenziali (comprese le Casse dei professionisti).
(5) Cfr. GEMMA, Profili costituzionali dell’amnistia, dell’indulto e del condono fiscale, in Arch. giur., 1973, 68 ss.
(6) Così si espresse TREMONTI in Il Corriere della Sera il 25 settembre 1991.
(7) In Boll. Trib., 1981, 806.
(8) Se si analizza la struttura normativa dell’art. 5-bis del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282 (convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27), è palese come si sia proceduto in maniera opposta a quanto prescritto dall’art. 2 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (recante lo Statuto dei diritti del contribuente); detto articolo prevede che le leggi e gli atti aventi forza di legge che compongono le disposizioni tributarie devono menzionare l’oggetto nel titolo e, inoltre, le leggi e gli atti che non hanno un oggetto tributario non possono contenere disposizioni di carattere tributario. In effetti le modifiche apportate al testo normativo-base quale è la legge n. 289/2002 sono state inserite in una legge di conversione (n. 27/2003) di un decreto-legge (n. 282/2002) il cui oggetto non prevedeva alcuna fattispecie di condono: l’evidente contrasto con lo Statuto dei diritti del contribuente emerge anche quanto al prescritto divieto di proroga dei termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d’imposta.
(9) Cfr. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1957, I, 53 ss., il quale precisa che un istituto giuridico esiste se vi sia «il concorso di due elementi, funzione e struttura, tra loro combinati e fusi».
(10) Si veda LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1976, 260 ss.
(11) Per tutti ricordiamo FALSITTA, I condoni fiscali tra rottura di regole costituzionali e violazioni comunitarie, in il fisco, 2003, 794 ss.
(12) Cfr. Cass., sez. trib., 8 febbraio 2017, n. 3347, in Boll. Trib. On-line.
(13) In Boll. Trib. On-line.
(14) Ved. Cass., sez. VI, 3 marzo 2017, ord. n. 5497, in Boll. Trib. On-line.